HOME PAGE

REGINA COELI. OTTAVA SEZIONE
CRONACA DI UN'ORDINARIA OFFESA ALLA DIGNITA'.
di Claudio Paoloantoni

Mercoledì 3 marzo
Il benvenuto mi viene dato già dalla matricola. Gli stessi agenti della Digos prima di congedarsi mi avvertono: "guarda che questi sono stronzi per davvero!". E infatti l'occasione arriva poco dopo, al momento di essere trasferiti alle sezioni dopo aver terminato con tutti i coimputati le procedure di rito. Io e Alberto veniamo avviati insieme nonostante il divieto di incontro. L'agente che ci accompagna pretende però che siamo noi stessi ad autoimporci questo divieto. E così al secondo cenno di saluto scambiato mentre camminiamo a tre metri di distanza, l'agente perde la pazienza, mi blocca, e senza aggiungere altro ad una cagnesca espressione mi fa ritornare nella cella di transito. "Sarebbe una punizione?"gli chiedo."Così impari che stai in carcere!", risponde. E continua gridando "ma tu chi sei?!", domanda retorica utile ad introdurre la risposta appropriata, gridata ancora più forte "tu sei solo un DELINQUENTE!". "Delinquente". E' la parolina magica con cui i signori agenti di custodia usano trasformare, nel loro immaginario, un essere umano soggetto di diritti, in essere acefalo oggetto solo di obblighi, divieti, arroganza. E con ciò stendere il necessario velo autoassolutorio sulla propria coscienza: quando hai di fronte un"delinquente"è legittimo sospendere ogni forma di rispetto per l'altro."Gridare". E' la forma appropriata per impartire ordini ad un"delinquente", ad un carcerato. La vita nel carcere e soprattutto nell'ottava sezione è costellata di ordini impartiti con secchezza e arroganza sempre, con biliosità spesso. La cella 26 dell'ottava sezione consta di circa 20 mq destinati a 5 persone. I compagni di cella mi mettono al corrente di alcune regole ferree: alla"conta"delle 7.30, delle 13.00 e delle 19.30 bisogna farsi trovare in piedi davanti alla porta, e la cella deve essere in"ordine". Ma vedremo che queste regole possono espandersi alla bisogna. 
Venerdì 5 marzo
L'occasione arriva la sera del secondo giorno, venerdì 5 marzo."Arriva la conta!". Già bisogna stare attenti al momento giusto: l'orario è infatti flessibile e quindi si deve sempre protendere un orecchio per captare indizi dell'arrivo delle guardie. Stavolta li avvertiamo solo quando fanno sferragliare il chiavistello. Ci precipitiamo alla porta. Io scendo dal letto da dove sto' guardando il TG. Per sedersi è quasi obbligatorio usare il letto giacch* ci sono solo 2 sgabelli. E sul letto, soprattutto se è a castello, non ci si sta con le scarpe. Eccomi quindi in ciabatte al cospetto del plotoncino di 4-5 agenti. L'occasione è evidentemente ghiotta:"Alla conta devi stare con le scarpe!!", grida uno."Mi scusi, ma le ciabatte non vanno bene ugualmente?", mi azzardo. "METTITI SUBITO LE SCARPE!" è la risposta aumentata di decibels. Mi sembra veramente troppo e oso chiedere quale articolo del regolamento carcerario preveda questa regola. La"conversazione"si avvita nel giro di poche battute in una escalation di rabbiosità loro e di miei appelli alla legalità e al rispetto dei diritti inalienabili della persona, fino ad arrivare alla fatidica domanda"ma tu chi sei?!". Il biondino che me la rivolge gridandomi nelle orecchie diresti che è una brava persona dall'aspetto inoffensivo. Ma qui si può permettere di sfogare il suo Mr. Hide, e alla mia pacata risposta"Claudio Paolantoni, detenuto in attesa di rinvio a giudizio"dà sfogo a tutto il suo livore continuando a gridarmi nelle orecchie:"TU SEI SOLO UN PEZZO DI MERDA". Penso che il carcere è veramente il luogo dei paradossi, ma posso solo rispondere:"Questa è solo una sua personale opinione". Tutti i carcerati sanno che in ottava sezione le guardie ti mettono facilmente le mani addosso. Per mia fortuna quello stesso pomeriggio avevo ricevuto la visita di alcuni consiglieri comunali e parlamentari. E così l'agente ha pensato bene di continuare il suo sfogo abbozzando una forsennata perquisizione della cella e facendo volare violentemente oggetti"fuori posto", accompagnandosi sempre con minacciose urla. Ultima minaccia prima di andarsene: il rapporto alla direzione. Nell'arco delle 24 ore successive abbiamo poi ricevuto 3 perquisizioni. La prima solo un paio d'ore dopo."Perquisizioni": punizione applicata discrezionalmente dagli agenti. Va dal leggero rimescolamento di indumenti alla distruzione di piccole suppellettili. 
Sabato 6 marzo
Il giorno dopo, sabato 6 marzo, la perquisizione della sera, in anticipo, mi sorprende sul water. "Ma allora non ci siamo capiti": irrompono nel cesso e mi obbligano a uscirne
Lunedì 8 marzo
La mattina presto portano uno nuovo, Felice. Ha un sonno arretrato e si butta subito sul letto. La conta delle 7.30 lo sorprende ancora lì.Viene letteralmente buttato giù dal letto. Il poverello viene coperto di insulti e minacce, agitandogli sotto il naso il tubo di ferro ricurvo utilizzato per"battere"le sbarre dalla finestra. La lezione è sempre la stessa:"sei un carcerato e devi fare il carcerato", ovvero devi sottostare alle loro regole variabili, ovvero al loro discrezionale delirio di potenza. Alla conta del primo pomeriggio Felice si fa trovare in piedi, ma non ha avuto il tempo di risistemare bene il letto."Ma allora non hai capito", grida gongolando l'aguzzino. E stavolta iniziano gli spintoni a brutto muso: uno, e poi un altro più forte, e poi il terzo. L’offesa alla dignità di chiunque è una offesa alla propria dignità, e così intervengo:"guardi che questo non lo può fare". Nella cauta risposta dell'agente pesa ancora la visita parlamentare che dicevo prima, e poi la manifestazione per la nostra libertà avvenuta giusto il giorno precedente davanti alle mura al carcere:"non ho toccato te!". Come dire:"ok, a te non ti tocchiamo perché non si sa mai uscisse qualche grana, ma non ti allargare più di tanto".
Martedì 9 marzo
Gli agenti comuniacano tra loro i nomi dei cattivi. E così alla conta del mattino seguente arriva la piccola vendetta. Il plotoncino entra con la solita baldanza alla ricerca di qualcosa che non va. Ci provano prima con una delle 2 finestre:"devono stare aperte!!". Inutile dire che grida, perché questo è sottinteso. Faccio notare che l'apertura della finestra è bloccata dalla struttura dei letti a castello. E il letto è cementato per terra. Non ha neanche finito di sfidare il ridicolo gridando"però io mi ricordo che questa finestra si apriva", che il suo sguardo individua una fonte più promettente di possibili ritorsioni: "chi ha messo quel foglio di carta davanti alla lampada notturna?". E sì, perché nell'ottava sezione c’è una simpatica lampada al neon che rimane accesa tutta la notte. Ma se servono per"controllare"non basterebbe accenderle solo nel momento del"controllo"? Si rivolge a me e io, che neanche m'ero accorto del foglio tanta era l'inconsistenza del suo schermo alla luce, rispondo di non saperne nulla. "TOGLILA SUBITO. Noi dobbiamo poter CONTROLLARE". Forse non c'è peggiore oppressione di quella che usa il ridicolo per giustificarsi. Non posso fare altro che rifiutare di arrampicarmi sul tavolo:"non sono un operaio di Regina Coeli". La squadretta se ne va promettendo un altro rapporto (il terzo) e avvertendo"che per uno ci vanno di mezzo tutti". Evidentemente non hanno tardato ad assimilare la più antica tattica dell'oppressione. Aggiungono sorridenti qualche frase sconnessa sulla"costituzione dei diritti umani", tentativo maldestro e cinico di ridicolizzare gli argomenti della mia difesa di qualche giorno prima.
Mercoledì 10 marzo
Vengo finalmente trasferito alla 3a sezione. Nei 7 giorni trascorsi nell'ottava sezione per sole 3 (tre) volte sono andato all’aria: venerdì 5, domenica 7 e martedì 3. E ogni volta per non più di 10 minuti. Alla mia protesta per i primi pochi minuti mi si rispose:"è anche troppo". Dopo ogni pomeriggio passato senza"aria"protestavo cautamente con l'appuntato capo. Mi capitava per l’occasione sempre il meno peggio dei colleghi, e questi si affidava apparentemente dispiaciuto alle spiegazioni dei suoi subordinati: il divieto di incontro con altri 3 reclusi nella stessa sezione limitava il tempo disponibile. Una scusa ridicola in più!  In quei sette giorni ho vissuto la detenzione con la serenità e la rabbia di chi si sente nel giusto. Il turbamento peggiore mi veniva dal quel maledetto sferragliare di chiavistelli, saperlo imminente, e non sapere quale forma nuova avrà oggi l’arroganza. In quei sette giorni ho pensato come la dignità umana si frantumi  di fronte alle sbarre: di qua viene offesa, di là scompare.