"Libera Università" perché?
Perché abbiamo voluto riprendere il significato antico di universitas, "totalità, insieme di cose, di persone, di rapporti giuridici" ma anche "insieme di persone associate". Totalità intesa come libertà di pensare e di ricercare su tutti i temi del presente, Libera Universitas, associazione di persone che non pongono limiti ai loro interrogativi, associazione di "non sapienti". Che vogliono sapere di rapporto tra lavoro e democrazia nella società del lavoro indipendente, di conflitti sociali e delle loro forme, di musica e libertà, d'intreccio tra memoria storica e agire politico, di democrazia e scrittura, d'immaginario della speranza e di tecnologie del virtuale, di saperi e di caste dei sapienti e ancora.... Non vogliamo dunque riprodurre piccole copie dei megapparati didattici conosciuti col nome di Università, né tantomeno rinverdire progetti di Università popolari, benemerite ma anche datate istituzioni di alfabetizzazione delle classi subalterne.
"di Milano e del suo Hinterland". perché?
Perché i soci fondatori hanno in maggioranza come riferimento di vita e di lavoro la regione milanese, e perché credono che la metropoli lombarda rappresenti un ibrido singolare, una forma di "laboratorio sociale culturalmente depresso", una società dove i fenomeni della "modernità" si manifestano con maggiore ampiezza, i prodotti del business culturale si consumano in abbondanza ma non si produce uno straccio d'idea, non si fabbricano "prototipi mentali". "Hinterland" perché in un mondo caratterizzato dai sistemi a rete il concetto di "retroterra" e diventato un concetto dinamico, mobile, che sta a significare non più uno spazio geografico delimitato ma uno spazio virtuale; il nostro Hinterland e rappresentato da altre universitates, da altri insiemi di uomini che non hanno limiti nei loro interrogativi ma che si sforzano di "produrre prototipi mentali".
"Prototipi mentali" perché?
Perché ci e venuto di pensare all'esperienza weimariana del Bauhaus, del cui messaggio abbiamo recepito positivamente I'audacia intellettuale e il piacere del rischio della sperimentazione. Fabbricavano prototipi di oggetti, forme che avevano vita indipendente dai valori d'uso. Perché, invece di oggetti, non produrre prototipi mentali? Non è questo il fine della ricerca? Siamo dunque inveterati sostenitori della razionalità, della lucidità di ragionamento, crediamo nel potere liberatorio di "veder chiaro", di "vedere oltre" le spesse cortine fumogene emesse dai media, dalle caste dei sapienti, dalla corte dei miracoli della politica.
Le nuove professionalità
Li abbiamo chiamati "lavoratori autonomi di seconda generazione". Sono i professionisti del settore "servizi alle imprese", prodotti dai fenomeni di terziarizzazione, di outsourcing, di informatizzazione, di finanziarizzazione oppure prodotti dallo sviluppo dei nuovi servizi alla persona, delle nuove abitudini di vita, di consumo del tempo libero di comunicazione. Non assomigliano agli "autonomi" tradizionali (che sono avvocati, medici oppure negozianti, ristoratori, albergatori ecc.). Hanno di frequente come spazio di lavoro il mondo o, almeno I'Europa e si concentrano tuttavia preferibilmente nelle metropoli: Milano, Francoforte, Amburgo, Londra, Bruxelles, Barcellona, Parigi. Si illudono di rappresentare la "fascia alta" del mercato del lavoro postfordista ma le più recenti indagini ci dicono che sono "a rischio di povertà" in un'Europa degli anni novanta che ha perso dieci milioni di posti di lavoro dopo la caduta del muro di Berlino. L’"età aurea" del postfordismo e finita e gli eroi yuppies di un tempo si avvicinano sempre più alla "fascia bassa" del mercato del lavoro, alla galassia del self employment, a quell'universo innovativo, caratterizzato dalla necessità di uscire dalla sottoccupazione e dal precariato senza ricorrere a strumenti assistenziali – che peraltro ormai gli stati non riescono più a finanziare. Un universo che comprende in prevalenza giovani e donne ma anche persone di mezza età espulse dal processo produttivo un mondo che non può vivere senza solidarietà e mutualismo. Dire che i primi rappresentano la "nuova borghesia" e gli altri il "nuovo proletariato" e una banalità priva di senso. E più sensato dire che ambedue rappresentano il fenomeno epocale del "declino del lavoro salariato". Quindi della messa in discussione delle mentalità, dei comportamenti, delle abitudini, delle ideologie, delle politiche, delle istituzioni, delle norme giuridiche, dei modelli culturali che ad esso ed ad esso soltanto facevano riferimento come pilastro delle società industriali, capitaliste o socialiste che fossero. Indagare le conseguenze di questa svolta epocale nelle mentalità, nelle abitudini e soprattutto nei bisogni e nei modelli culturali, tradurre tutto ciò in proposte di nuovi modelli e di nuove forme comunicative, associative, culturali e giuridiche e il compito che i fondatori della "Libera Università di Milano e del suo Hinterland Franco Fortini" si sono dati.
La "Casa del lavoro postfordista"
Ripercorrendo idealmente il cammino che i nuovi ceti e le nuove classi hanno compiuto nella storia moderna nelle prime fase della loro evoluzione, dall'apparire della borghesia mercantile e finanziaria del Quattrocento, nei principati italiani, nelle Fiandre, dall'emergere delle nuove professioni della comunicazione nel crogiolo delI'illuminismo sino al formarsi nell'Ottocento prima della borghesia industriale e poi della classe operaia - si osserva che sempre I'assunzione d’identità di una nuova classe si accompagna alla costruzione di "luoghi di socialità" che diventano sia sedi di produzione di nuovi modelli culturali che sedi di consumo dei medesimi. Le "case del popolo" del proletariato industriale sono stati luoghi di mutua assistenza e di consumo del tempo libero, di partecipazione democratica e di educazione civica, di alfabetizzazione e di protesta, borse del lavoro e sale da ballo. Si può configurare un "luogo" dove il lavoro autonomo di seconda generazione trovi soddisfatti parte dei suoi bisogni d’identità e di cultura, di comunicazione e di reciproca assistenza, possa costruire "reti" e utilizzare quelle esistenti, possa esprimere la sua visione di una polis, possa cominciare a progettare una città a misura dei suoi bisogni e dei suoi desideri?
Lo spazio virtuale in cui opera il lavoro autonomo di seconda generazione e il mondo. Viaggiare, muoversi su itinerari non ripetitivi, attraversare confini, "pensare in un altro fuso orario", dialogare in diverse lingue, e diventato una forma usuale del suo comportamento. La storia e piena di vagantes, dai commercianti di pelli e di aringhe della Lega Anseatica ai maestri d'arte, agli operai specializzati di epoche successive, ai wanderarbeiter, non di rado vagabondi e ribelli al tempo stesso. Chi ha maggiore "capitale umano", maggiori risorse di conoscenza, li offre su un mercato che è sempre stato mondiale, cosmopolita. Come ogni nuovo ceto emergente il lavoro autonomo di seconda generazione ha bisogno di "memoria", quindi di luoghi con forte carica simbolica, con forte sedimento culturale e comportamentale, con un’identità urbana. Ha bisogno di imprimere il proprio segno su luoghi storici della società industriale per affermarne la trasformazione. "La casa del lavoro postfordista", o come decideremo di chiamarla vorremmo fosse insediata in uno stabile del lavoro e delle comunicazioni dismesso. A chi dispone o possiede di questi patrimoni urbano il compito di darci una mano.