L'AUTONOMIA SCOLASTICA IN ITALIA E IN EUROPA

 

La ricerca condotta è indirizzata alla individuazione del profilo del nuovo Dirigente Scolastico nell’ottica dell’autonomia prevista dalla L. 59/97 art. 21, e che già da quest’anno trova attuazione. Il passaggio all’autonomia non è un evento come tanti altri, proprio perché al nuovo Dirigente, l’autonomia offre la possibilità di fare delle scelte non più soltanto epidermiche ma di fondo. Essa costituisce infatti uno snodo ulteriore nella complessa vicenda della libertà di insegnamento e di scuola che ha segnato in profondità la storia italiana, e rappresenta una significativa occasione non soltanto per portare efficienza e funzionalità sul piano amministrativo e gestionale, ma per rilanciare la scuola intorno ai valori della cultura, dell’impegno etico - civile, della persona, della solidarietà. Nel lavoro di seguito riportato l’attenzione, comunque, non è stata focalizzata esclusivamente sul Dirigente Scolastico, ma si è inteso allargare la ricerca su tutto in contesto scuola, prendendo in considerazione anche le situazioni dei vari paesi europei, dei quali sono stati analizzati non solo gli aspetti regolativi ma anche gli indicatori relativi alle modalità attraverso le quali si esplicano l’autonomia organizzativa e didattica nei vari paesi.

Anticipando che non sarà semplice per i Dirigenti già impegnati nella gestione delle scuole un approccio pieno alla nuova legislazione che coinvolge e comprende una nuova idea di scuola, nel lavoro sono stati messi in luce i punti salienti della normativa e i nuovi concetti che presiedono, oggi, anche all’organizzazione della scuola, in riferimento alla dimensione qualitativa e comunicativa della scuola, proprio perché luogo che produce cultura. Il progetto di autonomia avrà bisogno di una lunga sperimentazione, e forse non pochi saranno i nodi problematici che i Dirigenti dovranno affrontare, dall’attività più strettamente amministrativa (gestione del personale e risorse finanziarie), fino a quella pedagogica – didattica che va conosciuta nella sua pratica quotidiana direttamente, per divenire capaci poi di riorganizzarla complessivamente indirizzando lo sforzo comune ad un solo progetto: quello dello sviluppo degli alunni in una dimensione democratica.

 

Capitolo I

IL DIRIGENTE TRA STORIA ED EVOLUZIONE DELLA SCUOLA ITALIANA

1.0. Premessa

Il profilo professionale del dirigente scolastico è stato sottoposto in questi anni a forti sollecitazioni. Man mano che si affievoliva la spinta partecipativa degli anni Settanta (tanto che qualcuno aveva perfino teorizzato la "scomparsa" del capo di istituto), si è tornati a vedere nella figura del direttore - preside una funzione di garanzia per il funzionamento della scuola.

Si è elevato il livello di aspettative nei confronti del dirigente scolastico, senza peraltro modificare i criteri di reclutamento che, di fatto, prevedono un accesso alla qualifica dirigenziale senza una preparazione specifica e senza alcun tirocinio formativo. I diretti interessati lamentano anche lo scarso riconoscimento in termini economici di una funzione così complessa e delicata.

Cosa significa oggi essere "capo" in una scuola? Forse disporre di pieni poteri, soprattutto in materia di gestione amministrativa e regolamentare sul personale o piuttosto caratterizzarsi come leader di una comunità, capace di promuovere e sostenere la progettualità dei diversi soggetti della comunità scolastica? Molte ricerche confermano questi due modelli di capo di istituto: quello del capo che dialoga con i subalterni anche se alla fine riserva a sé ogni decisione, e quello dell’animatore che lavora con gli insegnanti per aiutarli a trasformare la loro pratica. Il secondo modello sembra più coerente con una idea di leadership democratica. La leadership rappresenta infatti la capacità di produrre e trasmettere idee, creare entusiasmo e condivisione attorno alle scelte e alle decisioni da prendere. Si tratta di un modo di agire innovativo, di natura culturale prima ancora che giuridico. Non bastano infatti le norme giuridiche per adottarlo. La ricerca della qualità e quindi della produttività "culturale" mette in gioco l’identità di ogni scuola, il suo clima, l’immagine, la proposta formativa, il modo di porsi nei confronti dell’utenza. Questi elementi sono fortemente connessi all’azione del dirigente scolastico. Qual è allora l’identikit del dirigente "regista"? Dovrà essere un eccellente organizzatore (perché il sistema scolastico è anche un’organizzazione preposta all’erogazione di servizi), un accorto amministratore, un informato conoscitore delle norme giuridiche (perché siamo ancora malati di iperproduzione di leggi, circolari, disposizioni applicative ecc.); dovrà trovarsi a suo agio nelle dinamiche relazionali, per far funzionare i numerosi gruppi di lavoro che caratterizzano la vita della scuola. Ma soprattutto dovrà suscitare entusiasmo e partecipazione attorno al progetto educativo. Ma allora chi è questo dirigente che abbiamo forse troppo idealizzato? Non un generico insegnante in carriera, un po’ più bravo o un po’ più anziano dei colleghi, ma un professionista con accertate competenze, capace di lasciarsi alle spalle la scrivania e di agire in mezzo ai suoi docenti, tra i suoi alunni, vicino alla sua comunità, con l’aiuto di uno staff di validi collaboratori.

1.1. COME NASCE IL DIRIGENTE SCOLASTICO Nel sistema scolastico italiano la figura e le competenze del dirigente hanno avuto una particolare evoluzione, rispetto ad altri sistemi stranieri, strettamente connessa con lo sviluppo dell’unificazione nazionale e con la centralizzazione, che seguì il passaggio delle scuole da comunali a statali . Che il dirigente scolastico nell’ordinamento italiano sia sempre stato concepito come un funzionario esecutivo non vi sono dubbi. Nella legge Casati, da cui più o meno discendono i vari ordinamenti e la stessa caratterizzazione delle nostre istituzioni scolastiche, fino alla Costituzione repubblicana, questa interpretazione del dirigente esecutore è assai rigidamente precisata. Per la scuola primaria, affidata alla responsabilità delle municipalità, la legge Casati si limita ad affidarne la sopraintendenza ad un Regio Ispettore per le scuola primarie, nominato in ogni capoluogo di provincia. I compiti degli Ispettori vennero poi definiti dettagliatamente nelle norme del regolamento applicativo della legge Casati n.3897 del 1859. Accanto agli Ispettori per gli studi primari, la legge Casati stabilisce che vengano nominati, in ogni capoluogo di circondario, Ispettori eletti dai ministri. In genere, da parte di alcuni studiosi, viene dato, a questi Ispettori, scarso rilievo; invece si tratta di organi che nella struttura scolastica delineata dal Casati assunsero un valore molto importante, poiché in essi venivano a ricomporsi, a livello locale, attribuzioni e competenze che erano demandate a organi diversi. Essi, infatti, nel proprio circondario, rappresentavano, ad un tempo, il Provveditore e l’Ispettore, avendo giurisdizione su ogni ordine e grado di scuola. Si introdussero una serie di modifiche, attuate dai ministri De Sanctis, Berti, Coppino. Si abolirono gli Ispettori proviniciali; rimasero invece, ma in una discreta confusione delle effettive competenze, gli Ispettori di circondario; i Comuni da parte loro costituirono, in proprio, direzioni scolastiche; in luogo degli Ispettorati di circondario vennero create delle Circoscrizioni ispettive denominate Circoli di ispezione destinate a trasformarsi in Circoli didattici. Dal 1880 divenne generale l’impiego di Direttori didattici, nominati dai Comuni, per gruppi di scuole, sottoposti agli Ispettori. La necessità di omogeneizzare meglio il lavoro programmatico dei docenti ed i problemi tecnici connessi all’insegnamento, spinsero a consolidare l’istituto della direzione didattica. In tal senso il RD del 1895, n.623, dovuto al ministro Baccelli, conferisce a questo istituto un più stabile assetto. Erano previsti anche contributi statali di sostegno alle spese, ma gli effetti furono molto al di sotto delle aspettative. L’idoneità del direttore didattico consisteva nel possesso della patente magistrale di grado superiore ed in almeno otto anni di lodevole servizio nelle scuole elementari pubbliche . Il Ministero incoraggia con ogni mezzo i comuni, anche con sussidi economici ad istituire direzioni didattiche. L’azione promozionale dello Stato, incontra notevoli resistenze in molti comuni, cosicché l’attivazione sul territorio nazionale di uffici direttivi risulta compromessa . Con la legge n. 45 del 1903, detta legge Nasi, si cerca di ovviare a tale inconveniente disponendo all’art. 15 l’obbligatorietà della direzione didattica nei comuni con popolazione superiore ai diecimila abitanti, e la facoltatività nei rimanenti comuni di aprire una propria direzione didattica anche consorziandosi con altri . Con la legge n. 45 del 1903 e successivo RD n.431 del 1903 - Testo Unico, abbiamo una vera e propria istituzione nuova della direzione didattica, che resterà fondamentale per i decenni a venire. La fisionomia giuridica e professionale del dirigente della scuola elementare non solo viene precisata ma si connota di un tipico aspetto: quello didattico. Di lì a poco, con la legge n. 689 del 1904 e con RD n. 30 del 1906, veniva istituito presso l’Università il corso di perfezionamento per i maestri che volevano accedere all’ufficio di Direttore didattico e Ispettore scolastico . Le competenze del Direttore didattico venivano minuziosamente elencate nel successivo regolamento generale del 1908: in particolare, gli artt. 76, 77, 85, 87 definivano lo stato professionale e giuridico di questo dirigente, divenuto in seguito un quadro di riferimento pressoché inalterato fino al 1974. Nel 1911, con il passaggio di un gran numero di scuole comunali sotto il controllo dello Stato per effetto della legge Daneo – Credaro, la Direzione didattica in quei Comuni fu abolita e fu raddoppiato il numero degli Ispettori, che venne portato prima a 400 poi a 700. Nel 1919, con Decreto Luogotenenziale n.771, viene soppresso il ruolo dei vice - ispettori scolastici e trasformato nel ruolo dei direttori didattici governativi, elevati a 2000 unità. Nei comuni che non fanno parte delle 2000 direzioni didattiche governative, si può istituire la direzione didattica per incarico, da affidare ad un maestro del comune provvisto di abilitazione alla direzione didattica, volendo in tal modo assicurare un’assidua vigilanza in tutte le scuole dello Stato . Intanto la ventata del pensiero pedagogico del neoidealismo agitava i problemi generali e particolari di ogni ordine di scuola, mettendone in discussione le finalità, i contenuti ed i metodi. Il nuovo corso si apriva di fatto con la legge n. 1061 del 1922, su proposta del Ministro Gentile. Con l’affermarsi della filosofia gentiliana come criterio ispiratore della politica scolastica del regime fascista, secondo la quale nella scuola lo stato realizza se stesso, la figura del preside subì le stesse sorti che subì la scuola, strumentalizzata dal regime per l’affermazione della sua ideologia; a lui non fu più necessario possedere esperienza ed eccellenza nell’insegnare in quanto il R.D. del 30-4-1924 lo ridusse al ruolo di burocrate al quale spettava di eseguire e far eseguire le disposizioni delle leggi, dei regolamenti e gli ordini delle autorità superiori. Prende avvio un’azione, da parte dello Stato, di forte centralizzazione amministrativa e di progressiva erosione dei residui poteri autonomistici municipali propri del precedente indirizzo liberale dello Stato. E con R.D. n.2453 del 1923 lo Stato disciplina le attribuzioni del direttore didattico, ma l’anno successivo O.M. del 5 giugno all’art. 38 ridefinisce i doveri del direttore didattico che integrano e meglio puntualizzano la precedente sequenza: dirigere e visitare le scuole; formare le classi e disciplinare i turni; determinare il calendario e l’orario; ecc. Con il successivo T.U. delle leggi sulla scuola primaria n. 577 del 1928 si conferma la precedente normativa sulla struttura della direzione didattica. L’applicazione del T.U. n. 577 avviene con il varo del RD n. 1297 del 1928; gli artt. 49-98 riguardano la direzione didattica e la figura del direttore didattico: sono norme che costituiranno l’ossatura dell’ufficio e del ruolo direttivo sino al varo dei decreti delegati del 1974 . "Dal 1935 in poi si accentua sempre più la penetrazione di regime nella scuola, specie col De Vecchi, centralizzatore per indole, del quale ricordiamo l’introduzione nei programmi scolastici della cultura militare e del principio che la scuola ‘deve condurre al raggiungimento da parte dei giovani di una cultura unitaria e viva, della cultura fascista’ " . L’intervento sull’assetto dirigenziale si ebbe con il D.M. 25 agosto 1923, col quale si istituivano 252 circoscrizioni ispettive e si facevano entrare nelle giurisdizioni delle 2000 direzioni didattiche costituite nel 1919 quasi tutti i comuni , eccettuati 267, che conservavano la gestione e la direzione delle loro scuole. La regolamentazione della funzione direttiva, però era analoga a quella statale, primeggiando anzi nei grandi centri per le capacità tecnico - didattiche delle persone prepostevi e per l’esperienza fatta. Rigidamente inquadrato nell’ordinamento gerarchico dell’amministrazione scolastica locale, il direttore didattico è investito da una gigantesca mole di attribuzioni. L’assunzione avviene tramite concorso per titoli ed esami, da espletarsi in modo severo e altamente selettivo. L’assestamento definitivo si ebbe con il RD 1° luglio 1933, n. 786, che avocava allo Stato anche le scuole dei comuni autonomi. Questo decreto, tra l’altro, ristrutturava l’organico del personale ispettivo e direttivo della scuola primaria, portando a 1710 i circoli didattici. Un miglioramento economico ed una semplificazione nelle categorie degli operatori della scuola furono infine apportati dalla legge n. 570 del 1943, che collocava i direttori didattici nel grado 9°, gruppo B, dei funzionari civili dello Stato . Durante il periodo che va dal dopoguerra agli anni ’60, mentre migliorano lo stato giuridico e le situazioni operative, la sostanza della funzione direttiva comincia a distinguersi dalle attribuzioni di ruolo a causa di una realtà sociale e scolastica in rapida trasformazione. La macchina centralizzata della burocrazia scolastica dà gravi segni di inefficienza e mette in crisi le strutture gerarchizzate, tra cui la direzione didattica, che, essendo periferica e più a contatto con le esigenze del territorio, mostra difetti di autonomia decisionale, di elasticità e di competenza riguardo alle richieste di attività integrative, di trasporti, di mense, di interventi di sostegno per alunni disadattati, di aggiornamento dei maestri, di rapporti con gli enti locali e con la partecipazione dei genitori . Si pone di fatto l’esigenza di una ristrutturazione degli organismi della scuola e si considera l’autonomia come il modo migliore per risolvere le gravi questioni gestionali sul tappeto. Le condizioni di fondo sono due: indipendenza della funzione direttiva dal potere centrale e politico; democratizzazione della direzione. Accanto ad altri fatti più "esterni", come la contestazione del 1968 e l’apertura degli accessi universitari, si consolida a livello tecnico e politico la necessità di cambiamenti strutturali anche per la funzione direttiva scolastica. Di notevole portata ebbe poi la legge n. 820 del 1971 e relativo D.M. del 28 febbraio del 1972, non tanto perché pongono l’obiettivo della "scuola a tempo pieno" quanto perché delineano una diversa funzione direttiva: con la scuola a "tempo pieno" le funzioni manageriali - direttive passano infatti presso le funzioni tecnico - magistrali, la superiorità gerarchica alla collaborazione paritaria. I processi attivati hanno delineato un nuovo sbocco, quello della partecipazione alla gestione della scuola ed alle sue funzioni (legge n. 477 del 1973 e DPR n.417 del 1974). La figura del dirigente viene specificatamente delineata dall’art. 4, punto 2, della legge n. 477, che prospetta " le attribuzioni, i doveri e i diritti propri della funzione direttiva intesa come promozione e coordinamento delle attività dell’istituto o del circolo". Si richiede, per il reclutamento, "una formazione universitaria completa", il superamento del concorso e la provenienza dal ruolo docente con "un congruo numero di anni di servizio di ruolo". Le novità più sostanziali, rispetto al passato, sono nel concetto di funzione, non solo più vasto rispetto a quello tradizionale e burocratico di ruolo ma comprensivo del medesimo . Della funzione direttiva tratta in particolare, e con un testo scritto che è tra i più lunghi, generici e confusi dell’intero decreto, l’art. 3, dove si afferma che spetta al personale direttivo: a) stimolare la definizione delle scelte di fondo, gli obiettivi pedagogici, che alla scuola spetta conseguire; b) assicurare la buona impostazione di tutte le operazioni organizzative per rendere possibile una buona attuazione dei programmi (orario delle lezioni, assegnazione delle classi, impostazione del bilancio in seno alla Giunta); c) presiedere alla valutazione dei risultati ai vari livelli; d) promuovere la sperimentazione in vista di un miglioramento del servizio e di un suo adeguamento alle esigenze nuove della società; e) favorire i contatti dei docenti con i genitori degli alunni, i contatti degli alunni con il mondo del lavoro e della produzione e con gli altri Enti che operano sul territorio; f) garantire la salubrità della scuola e il benessere psico - fisico degli alunni, promuovendo o sollecitando un buon servizio di medicina scolastica nonché attività assistenziali integrative interne ed esterne alla scuola.

1.2. I PROGRAMMI DEL 1955 Dopo gli anni di guerra e i primi sforzi della ricostruzione post – bellica della scuola, con il Decreto Cps n.629 del 1947 vengono modificate le norme riguardanti la nomina e le attribuzioni del capo di istituto. Non c’è intanto, nel nuovo testo, alcun tentativo di formulare un identikit del capo di istituto; ci si accontenta di stabilire i requisiti necessari per concorrere ai ruoli degli uffici di presidenza (5 anni di ordinariato); le modalità per l’espletamento del concorso (biennale, distinto per ordini di scuola, sulla base di titoli e colloquio su argomenti attinenti la scuola). I programmi del 1945 purgati da ogni traccia di fascismo, risentivano della filosofia pragmatistica americana e mettevano in evidenza la teoria dell’autogoverno, l’apertura alla socialità e l’introduzione del fare alla base dell’apprendimento . I programmi del ’45 erano stati l’espressione di un momento critico della storia civile e politica italiana. Codignola li considerò " una testimonianza ufficiale del disagio, in cui si trovò la nostra scuola elementare" . Ma la società italiana si mosse verso rapidi cambiamenti, per cui ben presto si sentì il bisogno di uscire da certe ambiguità, espresse dai programmi del ’45, in cui si trovavano elementi di diversa origine ed ispirazione. Il ministro Ermini con D.P.R. n. 503 del 14 giugno 1955, emanava nuovi programmi didattici per la scuola elementare. "In tali programmi...fu chiaramente precisata la dipendenza della scuola dal dettato politico espresso dalla Costituzione per cui...ad essa fu assegnata la finalità generale di assicurare alla totalità dei cittadini quella formazione basilare della intelligenza e del carattere...tale finalità era indirizzata alla formazione delle capacità fondamentali dell’uomo che aveva come suo coronamento e fondamento l’insegnamento della dottrina cristiana..." . "Nella concezione della educazione come sviluppo integrale della persona sotto gli aspetti naturale, spirituale e sociale, essi poggiano su tre fondamenti: la psicologia, la sociologia e la filosofia tipicamente italiana dell’umanesimo cristiano. Vi senti il cattolico Dèvaud, il pragmatista Dewey, il naturalista Decroly, il funazionalista Claparède, l’idealista Lombardo Radice, il positivista Gabelli. Vi trovi, i due supremi e universali principi della metodologia formale. Il primo consiste nel seguire e rispettare la natura concreta del fanciullo...Il secondo principio è la legge del sintetismo, la quale vuole che si concilino delle antinomie pedagogiche e didattiche, in particolare: libertà e autorità, autonomia ed eteronomia, natura ed arte, individualità e socialità, senso e ragione, pensiero e azione..." . E’ riaffermata la libertà didattica dell’insegnante; compaiono i concetti pedagogici di interesse e di attivismo; si introducono i cicli didattici, che esprimono le fasi dell’età evolutiva e si indicano gli aspetti essenziali di una psicologia concreta del fanciullo; compaiono anche concetti pedagogici come l’episodico, il sistematico e il globalistico . " Fra le innovazioni più felici di questi programmi mi piace ricordare la sostituzione, nel primo ciclo, delle materie tradizionali con la graduale scoperta ed esplorazione del mondo naturale ed umano in cui è immerso il bambino" . "Ma i vigenti programmi presentano altresì dei difetti...C’è, ad esempio, chi non ha ben inteso il globalismo, prendendolo in senso culturale anche nelle classi del secondo ciclo e quindi abolendo la distinzione delle materie; o chi assume l’ambiente come unica fonte di sapere; o chi considera le ricerche semplicemente come scopiazzamento di libri ed enciclopedie e non come esplorazione e osservazione diretta della realtà ambientale" . Nello stesso tempo, occorre ricordare che i programmi del ’55 riflettevano certamente anche alcuni tratti di carattere tradizionale:

- insistenza sul principio dell’unità educativa (unicità dell’insegnante);

- tendenza ad una visione piuttosto romantico - affettivistica dell’alunno;

- carenza di elaborazione sul fronte epistemologico per quanto riguarda i contenuti dell’apprendimento (le discipline di studio fatte tutte derivare dal principio dell’esperienza ambientale diretta ed immediata dell’alunno) . "In conclusione i nuovi programmi del’55 per la scuola elementare ripropongono all’attenzione di chi ama la scuola e la vorrebbe migliore, vecchi problemi la cui soluzione non può essere oltre differita:

- far si che tutte le scuole si trovino nelle condizioni materiali necessarie perché vi possa aver luogo un insegnamento attivo: dispongano di aule rispondenti al loro fine;

- procedere al una mediata riforma dell’istituto magistrale che lo renda atto a formare degli insegnanti consapevoli del compito che gli spetta nella nostra società;

- promuovere corsi di aggiornamento per chi già insegna" . E’ comunque fuori di dubbio che questi programmi hanno esercitato una sensibile azione di stimolazione e di orientamento qualitativo per la scuola primaria italiana per almeno dieci anni, mentre, successivamente, la loro persistenza nel tempo è andata definendosi in maniera sempre più chiara come una sopravvivenza scarsamente efficace in un quadro di mutamenti sociali, culturali ed istituzionali sempre più accelerati . Si tratta, ad ogni modo, di programmi che, nelle mani degli insegnanti meglio disposti, hanno incoraggiato l’aggiornamento, la qualificazione professionale, la ricerca didattica e l’innovazione educativa. Pensare a dei nuovi, quindi , non ha voluto significare di per sé essere "contro" il documento normativo del ’55, ma soltanto prendere atto e coscienza di quanto si era esaurito e provare, di conseguenza , ad elaborare una nuova risposta ai problemi.

1.3. IL DIBATTITO DEGLI ANNI ’60 " Chi vive nella scuola, è in pari tempo soggetto a due sollecitazioni contrastanti: da un lato egli sente di essere chiamato a rappresentare il capitale acquisito dell’esperienza passata dell’umanità, e quindi ad assumere una funzione conservatrice e tradizionale: da un altro lato, tuttavia, egli avverte l’urgenza dei tempi nuovi che incalzano con nuovi problemi, ed è da essi sospinto ad assumere una funzione critica e progressiva...La società di oggi muta...si tratta di un radicale rinnovamento dei rapporti tra le persone e i gruppi...di nuove dimensioni nel tempo, nello spazio e nell’energia per l’umana avventura...La scuola riflette la società da cui viene espressa, le sue virtù e i suoi vizi. Perciò si moltiplicano, in Italia e altrove, le ricerche e le indagini per conseguire una presa di coscienza dei rapporti dinamici che collegano la scuola all’ambiente" . Un sondaggio del 1963, condotto sotto la direzione del dott. Carlo Trevisan in 15 centri italiani di varie regioni, con la collaborazione di circa mille maestri dell’AIMC, forniva risposte assai puntuali a questionari attentamente studiati sulle principali modificazioni della società italiana: modificazioni economiche, connesse al progresso tecnico e all’ampliamento dei mercati; demografiche, con aumento dell’età media e nella scomparsa della famiglia patriarcale, sostituita dalla famiglia unicellulare e poco numerosa; delle comunicazioni, sia di cose e di persone mercè più rapidi mezzi di trasporto, sia di emozioni, di immagini, di pensieri e di ideologie tramite i mezzi di stampa diffusione e trasmissione; della mobilità territoriale e professionale, da aree interne ad altre aree interne o estere, da settori agricoli o artigianali a settori industriali e di servizi; del tenore di vita, elevato da più alti e diffusi livelli di reddito e da nuove comodità strumentali, e modificato dal crescente lavoro femminile extracasalingo; del tempo libero, più ampio sia prima, sia durante, sia dopo l’età lavorativa. Il sondaggio valutava le influenze positive o negative di queste variazioni rispetto all’ambiente locale, alle famiglie, agli alunni, agli insegnanti, alla scuola e alla sua efficacia educativa. Fu un primo passo affinché anche i maestri prendessero coscienza delle trasformazioni sociali, non per passivo contraccolpo subito ma per attenta visione della realtà . La nuova scuola elementare esigeva una nuova scuola media, rispondente alle mutate condizioni della società italiana. Si giunse così alla legge n.° 1859 del 1962, con cui vennero soppresse scuole statali di avviamento professionale e le scuole medie inferiori per istituire la scuola media unica, obbligatoria, gratuita, secondaria di primo grado . La riforma venne salutata come un provvedimento di radicale importanza e significatività sul piano della democratizzazione degli ordinamenti scolastici e come una speranza decisiva per la realizzazione di un effettiva continuità educativa e didattica nel campo dell’istruzione obbligatoria: nasceva e si affermava, in questo clima, il concetto di "scuola di base" . "Oggi vi sono almeno tre buone ragioni che giustificano, anzi impongono una urgente riforma dei programmi della scuola elementare:

- la insufficienza oggettivamente constatata dei loro risultati;

- l’istituzione della nuova scuola media unica e i nuovi compiti che si richiedono alla scuola dell’obbligo;

- l’ambiguità dei loro principi fondamentali...la contraddittorietà di questi con la realtà pratica della scuola e della società. ...Che i risultati dei programmi del ’55 siano in gran parte deludenti emerge chiaramente da una massa di dati il cui tema comune è la scarsa preparazione dei ragazzi licenziati dalla scuola elementare...Ora la nuova scuola media unica mette in crisi tutto un sistema traballante, anzi fa esplodere la crisi. Abolito l’esame d’ammissione e trasformata la scuola media da scuola d’elitè in scuola di massa (popolare e democratica), incapace di rispondere ai compiti che le si chiedono" . L’accresciuto interesse degli organi di Stato per la scuola dell’infanzia diede vita alla legge n. 444 del 1968, con cui è stata istituita la Scuola Materna Statale, che prevede l’iscrizione facoltativa e la frequenza gratuita. La scuola materna è progressivamente divenuta la prima esperienza di scolarizzazione per una sempre più elevata percentuale di bambini italiani. Quanto agli Orientamenti , essi si sono posti come documento pedagogico - normativo di particolare pregio, sensibile alla costruzione di una esperienza educativa che riesce effettivamente a fondere l’attenzione per le esigenze del mutamento sociale con il rispetto per la natura più viva e reale del bambino .

1.4. OLTRE LA SCUOLA ISTITUZIONALE "Nella direzione di uno sviluppo critico delle tematiche care all’attivismo si collocano su un piano utopistico, il programma ‘minimo’ proposto da Goodman ...su un piano più concreto...il documento della Dichiarazione delle finalità del Movimento di Cooperazione educativa del 1957" . Il Movimento di Cooperazione Educativa, Associazione scaturita da una libera iniziativa di insegnanti, persegue come finalità il rinnovamento della vita scolastica italiana, attuando sempre lo spirito della cooperazione. Attraverso tale cooperazione si tende ad eliminare gli insegnanti dall’isolamento, promuovendo la formazione umana e professionale, tenendo sempre presenti le condizioni sociali di fatto in cui l’opera educativa si svolge e le implicazioni sociali dell’attività stessa consapevoli che le sue finalità potranno attuarsi pienamente solo dove si elimineranno gli ostacoli e si trasformeranno le strutture che condizionano la scelta e la durata dei corsi di studi . Questi ‘programmi’, pur ispirandosi a ideali pedagogici diversi, come quello della educazione secondo natura (Goodman) e dell’impostazione comunitaria della vita scolastica (MCE), ancora oggi continuano a svolgere una funzione importante di rinnovamento e cambiamento nel costume scolastico italiano. "La contestazione, sul piano più specificatamente pedagogico e scolastico, trova una espressione originale nelle scuole e nei modelli educativi ‘alternativi’, che si impegnano a rispondere alle più urgenti esigenze di crescita umana e sociale soprattutto dei giovani, degli emarginati e degli operai" . Molto variegato è il panorama offerto da queste scuole, soprattutto per il modo di rapportarsi alle istituzioni, ponendosi all’esterno o all’interno di esse: la scuola di Partinico di Danilo Dolci, la scuola del Vho di Piadena di Mario Lodi, la scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani, ecc. Pur differenti fra loro ,queste scuole presentano molti punti in comune sul piano della operatività sia metodologica che didattica. Inoltre un filo conduttore lo si trova fra le scuole alternative italiane e quelle fiorite all’estero. Fra queste ricordiamo le scuole libere inglesi, le scuole aperte sia inglesi che americane, le scuole senza pareti americane , in Brasile i circoli di cultura istituiti da Freire, in Europa le piccole scuole private danesi e le scuole private tedesche. "La validità di queste scuole alternative consiste soprattutto nell’aver offerto una testimonianza viva e concreta di come le idee rivoluzionarie e umanitarie possano staccarsi dal mondo delle idealità, traducendosi in realtà operanti..." . Gli ‘animatori’ delle scuole alternative sono profondamente convinti che il problema scolastico potrà essere risolto quando si rimuoveranno le cause e i fattori che condizionano negativamente la nostra civiltà, in ogni caso si può dire che la lezione delle esperienze alternative rimane indiscutibile, poiché è una lezione di semplicità, di costume che tenta di infrangere le barriere del consumismo e dell’autoritarismo per proporre in alternativa scuole libere e aperte . La maggior parte delle scuole alternative, pur proponendo forme originali di apprendimento, sono state spesso accusate di troppo permissivismo o di ingenuità. Illich, invece, riferendosi soprattutto alle scuole alternative americane, si pone all’opposto di queste posizioni critiche, poiché ritiene il movimento delle scuole libere, nonostante l’anticonformismo, un appoggio all’ideologia industriale e tecnologica, la quale tende a costruire l’uomo cooperativo, nell’ambito di un sistema altamente organizzato che soffoca la libertà umana . I descolarizzatori, pur avendo alcuni punti in comune con gli animatori delle scuole alternative, se ne discostano proprio per la consapevolezza che le istituzioni scolastiche, non solo sono influenzate dalle istituzioni politiche, economiche e sociali, ma insieme con queste sono un insieme unitario in cui ogni tassello contribuisce alla conservazione del sistema, un sistema del quale si propone la totale inversione . Illich e Reimer sono i maggiori interlocutori del dibattito contemporaneo sulla descolarizzazione, ed entrambi convengono che la scuola istituzionalizzata riveste le maggiori responsabilità in merito all’attuale crisi sociale, in quanto promuove ed incentiva l’atteggiamento di giustificazione dello sviluppo sempre crescente della nostra società industrializzata. La scuola costituisce, il principale elemento del "sistema di produzione per il consumo", anzi essa risulta indispensabile alla produzione delle abitudini e dei bisogni della società dei consumi . Sicuramente il movimento di descolarizzazione può avere il merito di favorire la consapevolezza che l’educazione non deve esaurirsi nella scuola, soprattutto in una società dai molteplici strumenti di comunicazione della cultura. Anche altre istituzioni possono e devono svolgere un’azione educativa ugualmente importante per la formazione della persona: il lavoro ,il tempo libero, la politica, la vita cittadina e la stessa vita familiare possono svolgere una funzione formativa, possono essere "veicoli di insegnamento". Per Frabboni la descolarizzazione offre un contributo notevole al rinnovamento delle istituzioni scolastiche e della funzione dell’insegnante. Il suo principale merito, consiste nell’aver riallaciato vita ed educazione, apprendimento e ricerca, esperienza e istruzione . In Italia il pensiero descolarizzatore ha contribuito ad aprire e a rafforzare il nuovo capitolo della pedagogia della partecipazione, avviato ufficialmente con l’entrata in vigore dei Decreti Delegati, nel 1974.

1.5. LE RIFORME DEGLI ANNI ’70 "Nel corso degli anni ’70, importanti mutamenti ebbero luogo nella scuola italiana come effetto dell’evolvere della situazione politica, economica e sociale caratterizzata da una notevole migrazione interna dal Sud verso le zone industrializzate del Nord e verso le altre nazioni europee...Da tali mutamenti nella situazione sociale prese il via una modificazione strutturale e programmatica della scuola dell’obbligo...si andò facendo strada nella coscienza degli educatori, dei genitori e delle autorità scolastiche, e tra l’opinione pubblica più sensibile ai problemi scolastici, la richiesta di una scuola diversa e più qualificata" . Nel 1971, una legge che sarebbe divenuta molto nota nella scuola elementare come "la legge 820", introduceva nel curricolo previsto dai Programmi del ’55 le "attività integrative" e gli "insegnamenti speciali", con lo scopo di "contribuire all’arricchimento della formazione dell’alunno e all’avvio della realizzazione della scuola a tempo pieno" . La norma, che in qualche misura, interpretava una delle linee di tendenza che si erano andate affermando, sul finire degli anni ’60, con esperienze didattiche d’avanguardia, era destinata a segnare una tappa importante nel cammino di rinnovamento della scuola elementare. La legge 820, rompeva la rigidità del rapporto insegnante - classe e determinava, su base sperimentale, una profonda modificazione nel funzionamento del sistema scolastico. Il nuovo modello organizzativo del tempo pieno non prolungava soltanto il tempo - scuola, ma, metteva in discussione anche un modo consolidato di esercitare la funzione docente. Con il tempo pieno si introduceva il principio giuridico della contitolarità dei due insegnanti nella gestione del rapporto educativo con la classe. I docenti del modulo venivano chiamati ad impostare il lavoro scolastico a base collegiale e programmatoria. La scuola a tempo pieno sembrava consentire più ampie possibilità di sostegno didattico e di recupero educativo per gli alunni in difficoltà di apprendimento, quelli abitualmente destinati alla ripetenza o alla minore frequenza o al non completo profitto. Negli anni successivi al 1975, la storia della scuola elementare a tempo pieno mostrerà i complessi problemi di una innovazione che avrebbe dovuto essere sorretta da interventi amministrativi, supporti tecnici, risorse economiche, ben maggiori di quelli a disposizione. Fatte le debite eccezioni per alcune esperienze veramente significative sul piano sperimentale, la scuola a tempo pieno fallì i suoi scopi poiché non venne considerata una alternativa alla scuola tradizionale, ma fu concepita da molti solo come attività ricreativa e di svago, quasi come attività di recupero o come doposcuola; nonostante la legge avesse previsto la collegialità e la programmazione, queste risultarono aspetti di una nuova professionalità che non poteva affermarsi in assenza di una azione di aggiornamento . Il tempo pieno stava segnando il decisivo superamento dei Programmi del ’55, in quanto rallentavano sostanzialmente un processo di rinnovamento unitario ed integrale della fascia dell’obbligo scolastico. Il percorso innovativo avviato dalla legge n.820 si sviluppa attraverso la legge delega n.477/73 e i decreti delegati nn. 416-417-418-419-420 del 1974. La figura del Direttore didattico viene a subire un ridimensionamento con l’approvazione dei cosiddetti Decreti delegati del 1974. Fra questi i due più importanti sono il n.416 e il n.417, da cui emergono i sistemi collegiali della gestione della scuola e il nuovo stato giuridico di tutto il personale della scuola. La nuova regolamentazione stabilisce le norme attuative corrispondenti all’esercizio della triplice funzione: docente art.2; direttive art.3; e ispettiva art.4. Direttori didattici, ex – direttori, rettori e presidi sono regolamentati da unica disciplina. Altro aspetto innovativo delle norme del 1974 è la netta distinzione fra funzione direttiva e funzione ispettiva. Mentre la funzione direttiva ha un risvolto di autonomia relativa, collegata anche al ruolo dei nuovi organismi collegiali, la funzione ispettiva rappresenta, in certo modo, il "braccio" tecnicamente operativo e il supporto di consulenza didattica di un’amministrazione ministeriale a prevalente connotazione giuridica. La funzione direttiva è vista in un unico contesto lungo tutto l’arco della scolarità obbligatoria e secondario – professionale. Più che da una definizione specifica della figura del dirigente scolastico il suo identikit viene individuato attraverso l’indicazione dei suoi compiti e delle sue responsabilità. Il capitolo III del D.p.r.417, tratta in modo ampio il reclutamento del personale direttivo. Per i concorsi relativi rimane fisso, il principio del concorso stabilito nella legge del 1947. L’unificazione in norme unitarie dei sistemi di reclutamento dei direttori didattici, dei presidi e dei direttori di convitti ed educandati rappresenta probabilmente uno degli aspetti più innovativi ed interessanti della cosiddetta decretazione delegata e della formulazione del nuovo stato giuridico del personale della scuola. Non c’è dubbio che l’attuazione dei sistemi partecipativo – gestionali ha modificato notevolmente la posizione del capo di istituto, non tanto per aver messo in crisi quella che le norme precedenti chiamavano la sua "funzione di governo", quanto per aver, duplicato le fonti di riferimento della sua azione decisionale, ponendolo da un lato di fronte alla trafila amministrativa in termini di responsabilità, dall’altro lasciandolo relativamente inerme di fronte ad organismi eletti, dotati di poteri spesso vaghi e mal definiti. "La novità di maggior rilievo introdotta con l’emanazione dei decreti delegati fu certamente il principio della gestione sociale della scuola per cui si delineò una nuova immagine della scuola e del docente...la scuola iniziò concretamente a muovere i primi passi verso una nuova organizzazione grazie alla previsione di un organico collegamento con la società riconoscendo a quest’ultima il diritto di partecipare alla vita della scuola mediante varie rappresentanze all’interno degli Organi collegiali istituiti con il D. P. R. n.416/74" . Per la scuola elementare, l’istituzione degli organi collegiali significava un modo nuovo di gestire i rapporti con le famiglie degli alunni e con la comunità sociale; ma significava, soprattutto, un modo nuovo di organizzare i rapporti tra gli insegnanti, inaugurando l’esperienza della collegialità . Un’altra innovazione centrale, introdotta dai Decreti Delegati per tutta la scuola, è quella che riguarda la definizione della funzione docente, contenuta nel D. P. R. 417/74 e intesa "come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura..."(art.2); ma è altresì importante evidenziare la ribadita garanzia della "libertà di insegnamento"(art.1), il cui esercizio "è inteso a promuovere...la piena formazione della personalità degli alunni" . "Si chiedeva, insomma, una scuola veramente democratica ...che stimolasse negli alunni processi di crescita individuale e di consapevolezza dell’esistenza degli altri..." . Nell’itinerario di rinnovamento della scuola elementare, nessuna sollecitazione, forse, è stata più forte e più incisiva di quella proveniente dalla presenza degli alunni portatori di handicap nelle classi comuni. L’obiettivo della integrazione, e non del puro e semplice inserimento di soggetti handicappati nelle classi comuni della scuola dell’obbligo, venne perseguito, con la legge n. 517 del 1977 . La legge 517, è una pietra miliare della scuola elementare: essa abolisce i voti e la pagella, sostituendoli con la "scheda personale dell’alunno"; consolida il principio della "programmazione educativa e didattica"; Istituisce il sistema della organizzazione didattica "a classi aperte" e del lavoro "per gruppi di alunni della stessa classe oppure di classi diverse". La scuola elementare, infatti, (ed anche la scuola media),avvalendosi del nuovo tipo di organizzazione previsto dalla legge, "attua forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap con la prestazione di insegnanti specializzati ...". Nel 1979, la scuola media rinnovava i suoi Programmi di insegnamento, essi interpretavano il disposto della legge n.348/77, che aveva modificato alcune norme della legge istitutiva n. 1859 della scuola media unica. Sotto l’aspetto metodologico, i programmi del ’79 si fondano sulla programmazione curricolare, sull’individualizzazione dell’insegnamento, sull’interdisciplinarità, sulla verifica sistematica delle acquisizioni, sul rapporto con l’ambiente, sulla ricerca individuale e di gruppo e sull’adeguamento alla psicologia dell’età evolutiva . C’è da domandarsi per quale ragione i Programmi della scuola media unica venissero aggiornati senza che, in parallelo, si procedesse a rivedere gli ormai sorpassati Programmi della scuola elementare vigenti dal 1955. La risposta più plausibile è che, mentre per la scuola media era intervenuta la legge 348/77 a modificare sul piano istituzionale l’ordinamento, niente di simile era accaduto per la scuola elementare, il cui ordinamento si rifaceva ancora, sostanzialmente, al Testo Unico e la Regolamento Generale del 1928. La mancanza di una legislazione aggiornata sull’ordinamento complessivo della scuola elementare sarà alla base di molte discussioni nella fase di avvio della elaborazione dei nuovi Programmi .

1.6. I PROGRAMMI DEL 1985 Negli anni ’80, un vasto movimento di esperienze, di studi, di ricerche anima l’orizzonte della scuola elementare nella prospettiva di una riforma che ormai si preannuncia imminente. E’ infatti del maggio 1980 la proposta di legge presentata dal Partito Comunista Italiano su "Norme per la modifica dei programmi della scuola elementare", mentre il Partito Socialista Italiano presenterà la sua proposta nel 1981 su "Nuove norme in materia di scuola elementare" e la Democrazia Cristiana nel 1983 su "Provvedimenti per la riforma degli ordinamenti della scuola materna, elementare e media" . In campo professionale, l’Aimc (Associazione Italiana Maestri Cattolici) si batte, in prima linea, per il rinnovamento della scuola elementare "a partire dalla riforma dei Programmi" e propone i risultati della sua ricerca su un’ipotesi di nuovo curricolo della scuola elementare . Contributi di notevole impegno sono presentati dalle maggiori riviste scolastiche specializzate; apporti di rilievo sono dati dal Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), che lavora per una politica della innovazione pedagogica e didattica; il discorso si arricchisce degli interventi di studiosi ed esperti di problemi educativi e scolastici . Quindi sulla necessità di sostituire i Programmi della scuola elementare vigenti dal 1955, il consenso dei gruppi politici, professionali, sindacali appare pressoché unanime. Su questo sfondo di problemi, discussioni e proposte, si colloca l’inizio dei lavori della Commissione nazionale, incaricata dal Ministro della P.I. nel 1981, della "elaborazione, in via preliminare, delle linee fondamentali e generali dei programmi di insegnamento nella scuola elementare". I lavori della Commissione si articoleranno in due fasi: una prima fase, a Commissione "ristretta"(i membri saranno venti), per l’elaborazione delle linee fondamentali e generali; una seconda fase, a Commissione "integrata" (i membri diventeranno sessanta), per la stesura di una bozza di nuovi programmi. La prima fase di lavoro della Commissione si conclude il 20 marzo 1982, con la presentazione al Ministro di una relazione, cosiddetta "di medio termine", indicata pure come Relazione Fassino, dove si affronta un compito più ampio e più impegnativo di quello affidatole dal Ministro poiché si redige una sorta di mappa dei problemi e delle esigenze della scuola elementare di oggi, nel quadro di un’ipotesi globale di riforma del sistema scolastico di base; inoltre è da rilevare il carattere pluralistico della ricerca condotta dalla Commissione su questioni di rinnovamento scolastico. Nella seconda fase di lavoro, la Commissione ministeriale procedeva alla stesura di una bozza di nuovi programmi didattici per la scuola elementare, sulla base degli orientamenti maturati e delle proposte avanzate nella Relazione di medio termine. Una particolare attenzione viene dedicata dalla Commissione alla stesura della "premessa", che dovrà avere la funzione di discorso progettuale fondante, in senso pedagogico - istituzionale, per la "parte disciplinare". Anche la bozza, come già era accaduto per la Relazione di medio termine, ha un’immediata diffusione nella scuola; se ne discute in centinaia di convegni; se ne fa oggetto di pubblicizzazione, a vari livelli, da parte della editoria specializzata e dei mass - media . L’elaborazione della commissione rifluì, con alcune modifiche derivanti da compromessi politico - ideologici, nei programmi emanati con D.P.R. n.104 del 1985. "La scuola elementare è nata storicamente, nel nostro Paese, come scuola popolare di alfabetizzazione, intesa a dare a tutti il possesso degli strumenti necessari per leggere, scrivere e far di conto e a stimolare l’emancipazione sociale mediante la cultura del libro...saper leggere e scrivere significa, oggi, non soltanto possedere la lingua, ma possedere...tutti i fondamentali tipi di linguaggio, in quanto strumenti fondamentali della conoscenza" . Dai primi quattro paragrafi della Premessa si possono ricavare i tratti salienti di quella che possiamo definire la "nuova identità" della scuola elementare, richiamando l’attenzione sul profilo istituzionale che si costruisce in base alle scelte operate sul piano culturale, pedagogico e politico:

- una scuola formativa - scuola come luogo di istruzione e di educazione con funzione basilare per lo sviluppo della personalità nella prospettiva di una piena integrazione sociale;

- una scuola democratica - scuola democratica come "scuola di ciascuno";

- una scuola inserita in un sistema scolastico formativo di base - i Programmi della scuola elementare sono attuabili soltanto in una prospettiva di raccordo con la scuola materna e con la scuola media;

- una scuola comunitaria - il carattere comunitario viene richiesto come condizione per ‘fare’ educazione alla convivenza democratica;

- una scuola laica - la laicità conferisce alla scuola di Stato il carattere di un servizio rispondente alle esigenze del pluralismo sociale ; Nella seconda parte della Premessa, i fondamenti che definiscono la prestazione del servizio scolastico consentono di tratteggiare il profilo dinamico (la ‘funzione’) della scuola elementare dei nuovi Programmi, sintetizzando gli aspetti caratterizzanti i compiti che realizzano le finalità istituzionali, rendendo operativi i principi a cui l’intero progetto si ispira:

  1. la promozione di un apprendimento formativo - l’azione specifica della scuola elementare è impegno di "alfabetizzazione culturale": in un mondo dove la crescita dell’informazione e la cosiddetta cultura di massa alimentano il diffondersi di nuovi analfabetismi, la scuola, contrappone ad un ‘apprendimento per informazione’ un ‘apprendimento per la formazione’, nella prospettiva di una "partecipazione sempre più consapevole alla cultura e alla vita sociale";

b) l’attenzione alla persona che apprende - l’itinerario che la scuola struttura è tale da consentire "percorsi" diversi, la possibilità di procedere, per tutti, qualifica l’insegnamento come attività di ricerca per promuovere l’apprendimento, intenzionalmente sollecitato;

c) l’organizzazione di un ambiente educativo di apprendimento - il tema della ‘organizzazione didattica’, correlato a quello della ‘programmazione didattica’, prende rilievo e costituisce un passaggio obbligato per l’attuazione dei Programmi;

d) l’impegno per l’integrazione - migliorare la scuola per gli alunni in grave difficoltà, significa migliorarla anche per tutti gli altri ; Il tema dell’organizzazione della scuola, entro sui si colloca la problematica del rapporto tra programma e programmazione, nella terza ed ultima parte della Premessa, può essere sintetizzato intorno ad alcuni punti - chiave che costituiscono sviluppi necessari della riforma. Si possono richiamare brevemente l’importanza delle motivazioni:

a) la formazione degli insegnanti - la Premessa propone una figura di insegnante che ha, una notevole cultura didattica, il profilo professionale che scaturisce motiva l’esigenza di una formazione di livello universitario; b) l’iniziativa reale della scuola - la scuola viene sollecitata a farsi servizio istituzionale nel tessuto vivo della società democratica, a livello di comunità locali, attraverso la programmazione - valutazione dotando le comunità scolastiche di un ampio potere di iniziativa per l’adeguamento del programma alla situazione concreta; c) lo sviluppo organizzativo - la caratteristica nuova, che si afferma nettamente nella teoria della scuola delineata dai Programmi, è la cultura dell’organizzazione. La qualità del cambiamento appare sempre più unita alla qualità e all’efficienza delle dinamiche organizzative, focalizzate sui processi di comunicazione di gruppo, sulla gestione partecipata alla cultura dell’organizzazione . "Non possiamo non aggiungere che i programmi proposti dalla Commissione Fassino erano davvero di stoffa buona se nonostante tante manipolazione, risultano ugualmente programmi nuovi e validi, che aprono a possibilità avanzate di approfondimento e di azione didattica. Risultano programmi importanti e su cui la scuola italiana potrà impegnarsi a operare fruttuosamente. Purché, beninteso, venga attuato il sostegno di una struttura valida, con un orario adeguatamente accresciuto per tutti, una pluralità definita, anche nel suo modo di insegnare, di maestri, un raccordo istituzionalizzato tra le 3 scuole di base, una pianificazione seria ed effettiva dell’aggiornamento, e a monte, e sia pure con effetti non immediati, con una generale "formazione universitaria completa" per tutti gli insegnanti, capace di saldare sapere curricolare e scienze dell’educazione, università e tirocinio scolastico, diversità delle culture" . L’approvazione della legge n.869 del 1982 sul trattamento economico dei dirigenti nelle amministrazioni dello Stato e il lungo decennale dibattito seguito all’approvazione della legge n.745 del 1972 (Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle amministrazioni dello Stato) ebbero naturali ripercussioni anche nell’ambito dei responsabili di funzioni direttive nella scuola. L’insofferenza per una certa compressione dell’immagine del dirigente responsabile, il disagio per la formulazione del D.p.r.417/1974, la prospettiva di compiti sempre più sfuggenti, ebbero, nei primi anni ’80,proprio in concomitanza con la proposta dei sindacati confederali e del P.C.I., una prima risposta identificativa e differenziatrice. Essa venne da un gruppo di dirigenti scolastici, costituitisi, nel 1982, in "Libera associazione nazionale dirigenti scolastici", Il nocciolo della ragione associativa era dato dalla constatazione che era impensabile un dirigente autoritario, ma unica soluzione possibile era appunto un dirigente autorevole. Ma soprattutto la constatazione che dietro al dirigente manca quell’impalcatura statale – amministrativa che una volta era la sua corazza. Durante il periodo ministeriale (1983-1987) la Sen. Falcucci riprese rielaborandola la "bozza Bodrato" di riforma dell’amministrazione della P.i.; ed arrivò alla stesura di un testo, dove il problema individuato maggiormente è non tanto quello della ristrutturazione dell’amministrazione centrale, quanto quello dell’autonomia, sia pure relativa, delle singole istituzioni scolastiche. Certo il problema viene soltanto sfiorato, sarà successivamente la "proposta Galloni" (1988), che affronterà in modi più impegnativi il problema delle autonomie di base delle istituzioni scolastiche. La novità del testo di Galloni è data dal fatto che esso si muove non soltanto sulla linea delle innovazioni relative alla normativa del 1974, ma congloba nel suo testo altre istanze. Il punto da cui il testo Galloni prende le mosse per aggredire i problemi è quello che viene enunciato come "problema della modernizzazione" delle istituzioni scolastiche. Ma in che cosa consiste, secondo il testo Galloni, l’autonomia delle istituzioni scolastiche? Si tratta, dice il testo, di dare "più incisivo sviluppo al disegno riformatore già attivato con le norme delegate del 1974, attribuendo all’autonomia nuove valenze, anche sul piano più propriamente didattico". Per quanto riguarda il dirigente scolastico, quello che si nota subito è da una parte l’eclissi quasi totale della figura del direttore – preside. Infatti il gioco di responsabilità nel gestire l’autonomia sembra rifluire sul palleggio tra Collegio docenti e Consiglio istituto – circolo. Il preside riemerge in qualche modo nella sua qualità di presidente della giunta esecutiva con le attribuzioni e i compiti fissati dall’articolo 5 norme 416/1974. Ma se l’autonomia è anche gestione e managerialità non si direbbe che questo secondo aspetto sia particolarmente esaltato dal testo di Galloni; è una autonomia didattica gestita collegialmente dal corpo insegnante e un’autonomia organizzativa in cui il Consiglio di istituto – circolo assume, esso pure la massimo livello di collegialità, le deliberazioni attuative delle proposte formulate dal Collegio dei docenti. Il progetto Galloni sull’autonomia delle istituzioni scolastiche diventava ovviamente uno dei temi scottanti del dibattito sulle politiche scolastiche. Certamente le reazioni dei responsabili scolastici dei vari partiti mostrarono posizioni non sempre di consenso. E bisognerà attendere la fine degli anni ’90 per vedere questo traguardo, ormai una certezza e una conquista verso, si spera, una nuova cultura della scuola. §.1. L’impianto epistemologico Nella Premessa ai Nuovi Programmi della Scuola Elementare si dice:" Fin dai primi giorni di scuola...gli insegnanti potranno accertare quali abilità di base sono già presenti negli alunni - relative al piano percettivo, psicomotorio e manipolativo, ai processi di simbolizzazione, alle competenze logiche, comunicative e sociali, alla rappresentazione grafica, spaziale e ritmica, ecc. - per procedere al loro potenziamento e per colmare eventuali ritardi con opportuni interventi che utilizzino tutti i canali della comunicazione, oltre quello verbale". In sostanza, la scuola deve assumere "come punto di partenza" quella che è "l’identità culturale del bambino, le modalità cognitive ed affettive che lo caratterizzano - riportabili a fattori naturali e sociali...". La scuola, in breve, prende atto del fatto che il bambino che entra in classe non à affatto una tabula rasa: è già una "memoria culturale" . Ed è su questa memoria che agisce l’insegnamento. E, difatti, "compito specifico della scuola elementare è quello di realizzare la prima alfabetizzazione culturale, che si esplica nell’acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio in situazioni motivanti e in diversi contesti di esperienza,,,". E poi: " Lo strumento fondamentale dell’intervento intenzionale e sistematico proprio della scuola è dato dall’organizzazione e arricchimento di un ‘ambiente per l’apprendimento’, capace di consentire l’azione diretta, la manipolazione, la progettazione e la verifica, l’esplorazione e la scoperta, la riflessione e lo studio individuale". Lo strumento che i nuovi programmi avanzano, la modalità dell’insegnamento proposta è quella che potremmo chiamare "insegnare per problemi": catturare i problemi dei bambini, fare inciampare i bambini in problemi nuovi e alla loro portata, e, una volta che i bambini siano stati catturati dai problemi, occorre che propongano, senza paura di sbagliare, le loro ipotesi e che le mettano alla prova. Sono i bambini che fanno ricerca insieme: che affrontano problemi, che propongono ipotesi, che vagliano queste ipotesi, che apprendono dai loro errori . "Problemi - teorie - critiche; nuovi problemi - nuove teorie - e ancora critiche: questo, dice Popper...E, se è ben vero, come ha scritto Konrad Lorenz, che ‘vivere è imparare’, allora imparare a risolvere i problemi è, in senso profondo, imparare a vivere. E ciò per la ragione che - come ha anche di recente ribadito lo stesso Popper _ ‘vivere è risolvere problemi’" . Il tema apprendimento ha acquisito recentemente una nuova centralità anche fuori dai settori di studi specificatamente psico - pedagogici. Uno dei fattori fondamentali considerabili causa del fenomeno è il nuovo spazio affidato alla formazione nei cotesti d’impresa . Generalmente si identificano tre approcci per quanto riguarda le teorie dell’apprendimento: l’approccio comportamentistico, l’approccio cognitivistico, l’approccio della cosiddetta "terza forza" ( orientamento umanistico). La prima "visione" anche se presenta sfaccettature diverse nelle varie concezioni, rappresenta l’apprendimento come un fenomeno di associazione tra stimolo e risposta e come acquisizione di abitudini ( teorie di Thorndike, Pavlov, Guthrie, Skinner e Hull ). Secondo l’approccio della psicopedagogia cognitiva l’apprendimento non può essere visto semplicemente come una risposta, ma come un processo centrale conoscitivo che nasce dal bisogno di strutturazione - costruzione del reale implicito nell’interazione io/ambiente (teorie di Lewin, Tolman, Piaget e Bruner ). Altre teorie dell’apprendimento, come quelle emerse nell’ambito dell’approccio fenomenologico umanistico ( Carl Rogers e Maslow ), collegano l’apprendimento al bisogno di crescita della personalità che ristruttura se stessa nell’atto dell’apprendere come fatto globale. In questa ottica l’apprendimento investe la personalità, non solo a livello cognitivo, ma anche a livello emotivo/affettivo. Secondo Bruner, psicologo e pedagogista di orientamento cognitivo, ogni individuo possiede i motivi intrinseci per apprendere. Bisogna aggiungere comunque che, laddove si esamina il rapporto tra motivazione ed apprendimento, incidono una molteplicità di fattori che condizionano, il successo dell’apprendimento (Bruner, 1988). Le teorie cognitiviste sottolineano in particolare la natura costruzionista del processo di apprendimento . L’apprendimento organizzativo è divenuto uno dei temi di maggior rilievo nell’ambito della letteratura sullo sviluppo e l’innovazione delle imprese. Insieme alle altre funzioni di elaborazione della conoscenza, della memoria, dell’intelligenza e della cultura, l’apprendimento dell’organizzazione appare ormai ben più che una semplice metafora (vedi il pensiero di Morgan: usare il cervello come metafora utile alla comprensione delle organizzazione apre strade nuove, poiché la metafora del cervello ci induce a considerare l’organizzazione stessa come ‘un sistema cognitivo, come qualcosa capace non solo di agire ma anche di pensare’). Esso si configura anche come una finzione cruciale di cui il management degli anni ’90 dovrà tener conto . "L’apprendimento organizzativo avviene quando i membri dell’organizzazione agiscono come attori di apprendimento per l’organizzazione, quando cioè, informazioni, esperienze, scoperte, valutazioni di ciascun individuo diventano patrimonio comune dell’intera organizzazione fissandole nella memoria dell’organizzazione, codificandole in norme, valori, metafore, mappe mentali in base alle quali ciascuno agisce. Se questa codificazione non avviene gli individui avranno imparato , ma non le organizzazioni (Arghiris e Shon, 1978)" . La scuola è generalmente riconosciuta, come un’istituzione delegata dalla società allo sviluppo di corretti processi di socializzazione delle generazioni emergenti. Accanto a questa modalità di scorgere la scuola come istituzione, emerge con sempre maggior credito e consistenza un altro approccio che individua la scuola come oggetto di analisi dal punto di vista dello studio dell’organizzazione (gli studi di L. Ribolzi, L. Besozzi e E. Etzioni) . L’orizzonte dell’innovazione nell’istituzione scuola si profila tanto più credibile se rompendo le barriere dell’isolamento della scuola nel contesto sociale si recupera la voglia di apprendere ad apprendere anche ‘con’ e ‘attraverso’ modelli e fenomeni organizzativi propri dei sistemi di impresa . §.2. La legge 148/90 "La Legge 148/90, prevedendo ampi margini di flessibilità del modello organizzativo, si inserisce nello scenario dell’autonomia scolastica" . La scuola elementare che emerge dalla riforma presenta un volto organizzativo profondamente diverso. E’ quindi essenziale ritornare alle ragioni vere e profonde del cambiamento organizzativo che è strettamente connesso alla nuova identità formativa della scuola elementare, delineata nei programmi del 1985. Si tratta di una scuola che vuole contare di più, che vuole esplorare nuove prospettive di formazione culturale e sociale . L’organizzazione scolastica si presenta articolata e complessa, proprio per rispondere alle mutate esigenze formative, molto diverse ad esempio da quelle riscontrabili nei programmi del 1955, che ispiravano una struttura organizzativa alquanto semplice: un’insegnante, una classe, un’aula. L’adulto - insegnante era visto come modello "valoriale" e garante della formazione integrale della personalità degli alunni, impegnato a plasmare caratteri e comportamenti prima ancora che a fornire le chiavi di accesso alla conoscenza ed al sapere . Dai programmi del 1985 emerge invece un diverso principio formativo, "leggibile" nella struttura disciplinare del sapere scolastico. Per tracciare gli assi portanti della riforma, pur nella complessità della normativa, non si può prescindere da quattro aspetti cardinali: l’ampliamento generalizzato del tempo scuola connesso all’arricchimento dell’impianto curricolare, definito dai Nuovi Programmi del 1985; il superamento del "docente unico" e la conseguente e la conseguente pluralità degli interventi educativi affidati a più docenti "contitolari" nel modulo; la ripartizione ponderata dell’insegnamento per "aree disciplinari"; l’introduzione generalizzata dell’apprendimento di una lingua straniera. Nel contesto della riforma, inoltre, si trovano condizioni particolari che devono essere soddisfatte: la continuità del processo educativo e i raccordi pedagogici, curricolari, organizzativi; la programmazione a garanzia dell’unità dell’insegnamento oltre che nel raggiungimento degli obiettivi del programma; l’aggiornamento obbligatorio del personale insegnante . E’ importante ripercorrere i momenti essenziali che in forme più o meno strutturate di sperimentazione hanno anticipato, in qualche modo, la legge di riforma ed hanno avuto il merito di rimuovere alcuni impedimenti, anche di natura ideologica, che avrebbero difficilmente superato l’ostacolo del confronto parlamentare. Particolare portata ed incidenza, a questo fine, rivestono: la legge 820/71; la legge 517/77; la legge 270/82; artt. 2 e 3 del D.P.R. 419/74 . La legge 820/71(meglio conosciuta come legge di avvio al tempo pieno) offriva una articolazione differenziata di modelli organizzativi, nella forma di: a) classi integrate a tempo pieno, con orario settimanale pieno e contitolarità paritaria dei due docenti di classe; b) attività integrative pomeridiane facoltative, per gruppi di alunni, costituiti in gruppi mobili e opzionali di attività; c) insegnamenti speciali (es. musica, lingua straniera, ecc.)affidati a docenti particolarmente esperti. Questo complesso di opportunità, da un lato riesce a far fronte ad una crescente domanda sociale di servizio scolastico ampio e differenziato; dall’altro accoglie una richiesta di innovazione curricolare e di valorizzazione di nuove competenze professionali . Anche la legge 517/77, pur senza mettere a disposizione risorse aggiuntive, contribuisce ad una maggiore flessibilità dell’organizzazione didattica. L’invito rivolto ai collegi dei docenti, a programmare un piano annuale di attività integrative, consente di ampliare il ventaglio delle sollecitazioni sociali, operative e culturali offerte agli alunni . La legge 270/82, che regolamenta le procedure per il reclutamento degli insegnanti, stabilizza e fissa gli organici docenti, per il tempo pieno ed il sostegno e quindi per la sperimentazione, mettendoli a disposizione per le routinarie operazioni di movimento del personale. Con la stessa legge si offre tuttavia la possibilità di attivare progetti didattici ed educativi ( di carattere innovativo),utilizzando le quote in soprannumero. Si apre dunque un nuovo canale parallelo per la sperimentazione metodologica e didattica, ma anche per l’introduzione di innovazioni strutturali (ad esempio la presenza di nuove figure professionali intermedie), che sarà ampiamente utilizzato nel corso degli anni ’80, fino alle soglie della riforma dell’ordinamento (1990), che avocherà a sé tutte le risorse aggiuntive disponibili . Abbiamo visto come la scuola elementare nel corso degli anni settanta e ottanta abbia registrato forti cambiamenti, ben oltre la portata degli strumenti giuridici a ciò deputati (art. 2 e 3 del Dpr 419/74). La risposta a nuove domande sociali, le nuove prospettive pedagogiche, alcuni importanti provvedimenti legislativi sono tutti elementi che hanno contribuito a determinare una situazione di permanente innovazione, offrendo possibilità e strumenti alternativi a quelli ufficiali . Purtroppo le sperimentazioni di ordinamento e di struttura (art.3/419) non appare il canale decisivo per promuovere processi innovativi. Tendono a consolidarsi progetti ed esperienze già avviate a vario titolo, che utilizzano l’art. 3 come un ordinario strumento amministrativo. Di un certo interesse appare l’esplorazione della sperimentazione art. 2/419 (metodologica - didattica), perché rappresenta un’area di microinnovazioni, che coinvolge gruppi limitati di docenti, però fortemente motivati a dare visibilità al loro progetto innovativo. Infatti è quasi nulla la possibilità di ottenere risorse finanziarie aggiuntive in presenza di una sperimentazione metodologico - didattica. In ogni caso la "copertura" sperimentale è utile e necessaria per formalizzare modelli flessibili, non pienamente accolti dalla normativa(che tende ad irrigidire i modelli organizzativi, anche dopo la riforma). In quest’ottica l’art. 2 sembra rappresentare un’area di arricchimento curricolare e di flessibilità organizzativa. Entrambi gli elementi dovranno trovare accoglimento all’interno del principio dell’autonomia scolastica, nella prospettiva di quell’autonomia di ricerca e di sviluppo finalizzata al miglioramento e alla qualità . "La legge 148/90 ha ridefinito sul piano istituzionale non solo i caratteri e le finalità della Scuola elementare, ma anche lo stato giuridico del docente, modificando il quadro dei diritti, dei doveri e il modo di intendere la libertà di insegnamento" . Una delle novità fondamentali della legge 148/90 è proprio quella costituita dall’insistente richiamo ai diritti dell’alunno e dalla necessità di definire i doveri dei docenti. Ne deriva che la funzione docente, consiste nella attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione degli alunni a tale processo. La finalità verso cui tendere è, quindi, duplice: promuovere negli alunni processi adattivi alle situazioni culturali propri della cultura in cui essi sono inseriti, e favorire, il processo di formazione della personalità . "Una delle questioni sorti con il nuovo ordinamento della Scuola elementare è quella che riguarda la garanzia della libertà d’insegnamento, configurata nel D.D. 417/74 come autonomia didattica e libertà di impostazione critica e pertanto non soggetta ad altro vincolo di controllo se non quello della efficacia" . Dopo l’entrata in vigore della legge 148/90 la libertà di insegnamento deve confrontarsi con la nuova dimensione didattica collegiale e cioè con quella modulare, per quanto riguarda la scuola elementare: il modulo non è una semplice aggregazione di insegnanti, ma è un gruppo formato per assolvere a compiti che nella loro diversa articolazione tendono comunque alla realizzazione di un progetto unitario che proprio grazie a tale articolazione può essere realizzato .

CAPITOLO II L’ETA’ DELL’AUTONOMIA

2.0. Premessa L’autonomia del sistema scolastico, prima che della singola unità scolastica, trova la sua ragione nei principi costituzionali. L’art. 33 della Costituzione, che rappresenta un riferimento fondamentale per le scelte relative all’assetto istituzionale della scuola, inizia con una significativa premessa :"L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento". Il comma successivo recita :"La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Essi escludono qualsiasi concezione "proprietaria" dello Stato nei confronti della scuola, qualsiasi idea di pedagogia di Stato. "La Repubblica" detta norme generali e istituisce scuole statali. Ne emerge un’idea di sistema scolastico inteso come istituzione finalizzata a garantire un diritto, ritenuto così importante e connaturato con le condizioni minime di cittadinanza, al punto che l’art, 34 rende l’istruzione obbligatoria per almeno otto anni ( da qualche mese dieci anni) . La scuola non è quindi del Ministero, degli apparati burocratici o dei governi centrali o periferici, come, purtroppo è stata spesso considerata anche nel mezzo secolo trascorso dall’approvazione della Costituzione. E’ necessario ricordare che l’autonomia è un dato intrinsecamente connesso ai principi di libertà scientifica e artistica e di insegnamento. L’autonomia scolastica si colloca all’interno del "sistema delle autonomie": un sistema articolato e ordinato di relazioni, poteri, responsabilità. Per realizzare questo disegno non basta, quindi, attribuire competenze alle singole unità scolastiche: è necessario ripensare complessivamente il sistema di governo della scuola, definendo una nuova mappa dei poteri. E’ necessario che il modello verticale e centralistico lasci il posto a servizi di documentazione, ricerca, formazione e valutazione. Ad un ministero snello deve corrispondere un’amministrazione periferica caratterizzata per la sua capacità di essere elemento di raccordo tra gli indirizzi nazionali e le esigenze territoriali . E’ necessario che il modello di partecipazione, spesso fine a se stessa in quanto priva di un ruolo reale, caratterizzante gli organi collegiali del ’74, venga sostituito da un modello in cui poteri formali e reali coincidano. Non si tratta di stabilire quale componente sia più centrale (spostando il centro a seconda dell’interlocutore: direttori, studenti, insegnanti e genitori), quanto di definire il ruolo e il rapporto tra queste componenti, distinguendo chiaramente tra le funzioni di indirizzo e controllo da quelle di gestione, valorizzando e riconoscendo l’autonomia e la responsabilità delle diverse figure professionali .

2.1.LA SCUOLA CERCA LA QUALITÀ NEL RAPPORTO TRA NORMA E DECISIONALITÀ DIFFUSA. Già nei Decreti Delegati del 1974 (frutto di un forte impegno non solo del mondo della scuola, ma anche del mondo del lavoro in generale) si era affermato che la scuola non e’ un’attività amministrativa che può essere gestita dal Ministero attraverso i suoi uffici periferici, ma una istituzione che, a tutti i livelli, deve rapportarsi alla società e che nello stesso tempo deve essere espressione del pluralismo culturale che la società esprime; in definitiva la scuola pubblica non può essere espressione della maggioranza di governo. Questo nuovo sistema avrebbe dovuto garantire che l’istruzione pubblica, in quanto compito della Repubblica, corrispondesse non solo alle "esigenze dell’utenza", ma soprattutto all’interesse della collettività nel suo complesso. La Scuola avrebbe dovuto assumere il ruolo di "funzione dello Stato". Tutti sappiamo che questo sistema di governo non ha funzionato perché impedito e privato di ogni effettivo potere dagli apparati burocratici, cioè dal sistema gerarchizzato e verticistico con cui la scuola e’ stata gestita dopo i Decreti Delegati. Ma cosa si aspetta il mondo della scuola, il comune cittadino, da una scuola autonoma? Anzitutto l’autonomia è un "modo" di svolgere determinate attività. L’autonomia scolastica è quindi una forma di governo della scuola, ma non realizza di per sé un rinnovamento dei contenuti culturali e del ruolo della scuola. L’autonomia non può sostituire un progetto culturale che ogni sistema scolastico nazionale deve avere ed aggiornare rispetto alle esigenze concrete della società. In conclusione non esiste un progetto di "autonomia scolastica", ma possono esisterne tanti. Si tratta quindi di chiarire quale autonomia scolastica si vuole, per quale scuola e soprattutto per quale società. Se l’autonomia scolastica è una forma di organizzazione del sistema scolastico, è quindi un "mezzo" per perseguire un "fine". L’autonomia può essere prevista per realizzare un "decentramento territoriale" e quindi una maggiore adattabilità di una determinata attività alle diverse esigenze; può essere intesa invece come garanzia per impedire possibili interferenze di parte di altri soggetti; può essere anche l’uno e l’altro. Quale è il fine dell’autonomia scolastica? L’autonomia deve realizzare senza dubbio un ampio decentramento del governo della scuola, e deve arricchire le competenze gestionali e didattiche delle singole scuole, ma soprattutto deve essere una garanzia di indipendenza dagli indirizzi culturali del governo o dell’apparato ministeriale. Una tale esigenza è già presente nel principio costituzionale della libertà di insegnamento. Libertà di insegnamento e conseguente autonomia scolastica sono non solo garanzia del pluralismo culturale nella scuola, ma soprattutto garanzia dell’assetto democratico e pluralistico del nostro Stato. Un’organizzazione autonoma delle singole scuole richiede inoltre un’organizzazione democratica orizzontale: si deve cioè prevedere una partecipazione paritaria di tutti i soggetti che operano nella scuola alle decisioni della vita scolastica. In quest’ottica libertà di insegnamento significa partecipazione al confronto delle diverse esigenze e delle diverse opzioni culturali. Ciò che si chiede è un’autonomia capace di realizzare le finalità formative della scuola. Questo presuppone: da un lato responsabilità gestionali, amministrative e didattiche che prevedono funzioni professionali e organi propri fondati sulla collegialità e l’interazione nella logica della rete (e che quindi eliminano qualsiasi verticismo); dall’altro l’ambito della partecipazione di genitori e studenti che si esplica sia attraverso autonomi organismi (comitati e assemblee), sia attraverso l’utilizzo degli strumenti amministrativi innovativi (L. 142/90 e L. 241/90) che vanno dall’istituzione del "difensore civico", quale garante dell’istruzione (nominato da genitori e studenti), all’accesso ai documenti e alla trasparenza degli atti. Ovviamente autonomia non può significare autoreferenzialità né, tanto meno, autogoverno del mondo della scuola chiuso in se stesso. La scuola pubblica, in quanto corrispondente alle esigenze della collettività deve essere anzitutto governata dalle istituzioni rappresentative dell’intera collettività e quindi in primo luogo dal Parlamento per le scelte di carattere generale. Nell’ambito di tali scelte tutta l’attività volta a definire gli indirizzi culturali, le innovazioni, ecc., per garantire l’apporto di tutti gli orientamenti culturali, deve avere una sua sede trasparente e rappresentativa del pluralismo culturale del nostro paese, in modo da garantire l’apporto di tutti gli orientamenti culturali. Il passaggio al sistema delle autonomie scolastiche prevede un profondo cambiamento culturale, che trova uno dei punti cruciali, negli atteggiamenti nei confronti della regola, della norma, dei vincoli di legge . Al momento assistiamo ad una continua, quotidiana produzione di norme che dettagliano comportamenti amministrativi in modo minuzioso e, a volte, anche contraddittorio, costringendo i Dirigenti Scolastici a continui esercizi di interpretazione e coordinamento fra testi normativi diversi, con spreco di energie e tempo . I modelli impliciti di riferimento sono, da parte del "centro", la convinzione che basti produrre la norma, per ottenere i comportamenti desiderati e, da parte della "periferia", che sia sufficiente applicare la norma, nel modo più ortodosso, per essere buoni amministratori. Oltretutto, il controllo, come attività interna alla pubblica amministrazione, è pressoché inesistente e va quasi sempre bene tutto, ma anche il contrario di tutto . Il passaggio alle autonomie non significa certo anarchia e deregulation, anzi significa spostare il luogo di riconoscimento e di costruzione di norme dal centro alla periferia, per individuare regole rispondenti ai bisogni del contesto, da condividere con la comunità scolastica. In questa ottica, l’attività di programmazione si configura come mediazione fra vincoli istituzionali e regole organizzative locali, per la costruzione del Progetto di Istituto che costituisce un vero e proprio patto operativo tra scuola e comunità, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi . La norma si carica di significati diversi: da regolatore dei comportamenti individuali, a risorsa che tutela i diritti di cui gli attori sociali sono portatori, da vincolo, a strategia funzionale al risultato. Il cambiamento è notevole, gli schemi comportamentali fondati sulla esecutività devono lasciare il posto ai rischi della responsabilità dei risultati. In un clima di decisionalità diffusa, secondo regole e vincoli orientati alla qualità del prodotto, la norma costituisce un quadro di orientamento all’interno del quale ognuno si ritaglia il suo spazio di decisionalità/responsabilità . Essa rimane un vincolo di tutela, di sicurezza, di trasparenza, ma anche una risorsa negli spazi dell’autonomia. La prospettiva dell’autonomia evidenzia una diversa cultura del servizio scolastico e, di conseguenza, un approccio dinamico e strategico alla norma che si pone come risorsa strategica da "utilizzare" nelle sue opportunità. In conclusione, occorre fare un salto di qualità, ampliare gli orizzonti, "saper pensare in grande ed agire localmente", applicare regole generali a situazioni particolari . Schema: Un sistema in transizione verso l’autonomia: dal centralismo al decentramento.

Modello centralistico

Modello autonomo – decentrato

NORMA - VINCOLO NORMA – RISORSA

- atteggiamento esecutivo

- atteggiamento costruttivo

- burocratizzazione

- trasparenza

- supporto del sistema - stabilità

- garanzia della tutela della qualità del prodotto

- strumenti di garanzia procedurale

- sicurezza operativa

- ambito di determinazione della decisionalità

- produzione/attivazione della decisionalità

- identificazione della norma con la decisionalità

- interpretazione strategica e funzionale

- interpretazione letterale restrittiva

- quadro orientativo

- margini di aderenza formale

- contestualizzazione

- strumento funzionale a... (obiettivi strategici)

2.2. GLI SPAZI DI AUTONOMIA NELLA NORMATIVA

Schema: AUTONOMIA ORGANIZZATIVA

AUTONOMIA DIDATTICA Al di là di quanto previsto dalla legge n.59 del 15/3/1997 capo IV art. 21 ai fini della realizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche "...le funzioni dell’Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione,...sono progressivamente attribuite alle istituzioni scolastiche...", sin dagli anni ’70, la normativa propria della scuola elementare prevede margini di autonoma determinazione, con riferimento sia alla sfera didattica che a quella organizzativa . Da un punto di vista cronologico, l’evolversi di una sempre più marcata autonomia della scuola elementare può essere sintetizzato nel modo seguente :

D. P. R. n. 417/74 (art.1 del T.U.) Art. 1, comma 1. ...ai docenti è garantita la libertà di insegnamento...(che nel T.U. viene riaffermata come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente, cui viene garantita anche la autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica). D. P. R. n. 416/74 (artt. 7 e 10 del T. U. ) Art. 4, lett. a) ...il Collegio dei docenti cura la programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali... Art. 4, lett. d), e), f): ...il Collegio dei docenti provvede all’adozione dei libri di testo...adotta e promuove iniziative di sperimentazione...promuove iniziative di aggiornamento... Art. 6 ...il Consiglio di Circolo...dispone in ordine all’impiego dei mezzi finanziari..., .. adotta il regolamento interno del Circolo..., ...adatta il calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali..., ... definisce i criteri...attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche..., ...iniziative di collaborazione con altre scuole..., ...partecipazione ad attività culturali, sportive e ricreative..., ...iniziative assistenziali assunte dal Circolo. ( A questi compiti il T.U. aggiunge la competenza relativa alla definizione dei criteri generali per la programmazione educativa). L. n. 517 del 14/8/1977 (art. 126 del T.U.) Art. 2,comma 1 Ferma restando l’unità di ciascuna classe, (...) la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa classe, oppure di classi diverse, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. comma 3 il collegio dei docenti elabora, entro il secondo mese dell’anno scolastico, il piano delle attività di cui al precedente primo comma... comma 4 Il suddetto piano viene periodicamente verificato e aggiornato dallo stesso collegio dei docenti nel corso dell’anno scolastico. D. P. R. n. 104/85 Premessa, III parte, 2° cap. "Programmazione didattica ed organizzazione didattica":.. La programmazione, nel quadro della prescrittività delle mete indicate dal programma, delineerà i percorsi e le procedure più idonee per lo svolgimento dell’insegnamento, tenendo conto che i risultati debbono essere equivalenti, qualunque sia l’itinerario metodologico scelto... ...Possono essere previste nell’arco del quinquennio anche scansioni diverse...(rispetto a quelle di primo e secondo ciclo). ...L’organizzazione didattica utilizzerà, inoltre, attività didattiche di sostegno e di didattica differenziata per aree di intervento specifico, coordinate all’attività didattica generale... Legge n. 148/1990 (artt. 125,127,129,130,131 del T.U.) Art.5,comma 1 La programmazione dell’attività didattica, nella salvaguardia della libertà di insegnamento, è di competenza degli insegnanti che vi provvedono sulla base della programmazione educativa approvata dal collegio dei docenti...; comma 5 Nei primi due anni della scuola elementare,...la specifica articolazione del modulo organizzativo...è, di norma, tale da consentire una maggiore presenza temporale di un singolo insegnante in ognuna delle due classi. comma 7 Il collegio dei docenti...procede all’aggregazione delle materie per ambiti disciplinari, nonché alla ripartizione del tempo da dedicare all’insegnamento delle diverse discipline del curricolo... Art.6,comma 3 Nell’ambito dell’organico di circolo può essere prevista l’utilizzazione, fino a un massimo di ventiquattro ore, di un insegnante, fornito di titoli specifici o di esperienze in campo psicopedagogico, per intervenire nella prevenzione e nel recupero, agevolare l’inserimento e l’integrazione degli alunni in situazione di difficoltà e interagire con i servizi specialistici e ospedalieri del territorio... . Art.7 - possibilità di adottare un orario superiore alle ventisette ore, ma comunque entro il limite di trenta, per l'attivazione dell’insegnamento della lingua straniera e per motivare esigenze didattiche ed in presenza delle necessarie condizioni organizzative; -i criteri della ripartizione del tempo dedicato ai diversi ambiti disciplinari. dell’attività didattica devono rispettare una congrua programmazione; comma 5 I consigli di circolo definiscono le modalità di svolgimento dell’orario delle attività didattiche, scegliendo...fra: a) orario antimeridiano e pomeridiano ripartito in sei giorni della settimana; b) orario antimeridiano e pomeridiano ripartito in cinque giorni della settimana. Art. 8, comma 1 ...potranno realizzarsi, su richiesta delle famiglie, anche per gruppi di alunni di classi diverse, attività di arricchimento e di integrazione degli insegnamenti curricolari se:

- l’orario complessivo settimanale di attività non supera le trentasette ore, ivi compreso il "tempo mensa";

- vi sono le strutture necessarie;

- il numero degli alunni interessati non è inferiore a venti;

- la copertura dell’orario è assicurata con lo svolgimento, da parte dei docenti contitolari delle classi cui il progetto si riferisce, di tre ore di servizio aggiuntivo o con l’utilizzazione di altro docente titolare del plesso o del circolo... Art. 9, comma 2 Nell’ambito delle ore di insegnamento, una quota può essere destinata al recupero individualizzato o per gruppi ristretti di alunni con ritardo nei processi di apprendimento, anche con riferimento ad alunni stranieri... D.M. del 28/6/1991 (art. 125 del T.U.) Art. 1, comma 2 Il collegio dei docenti, sentito il Consiglio di circolo, individua e valuta le esigenze locali in ordine alla scelta della lingua. C.M. n. 271 del 10/9/1991 D.M. 10/9/1991 (art. 128 del T.U.) Art. 1 Affronta due questioni centrali (criteri per l’aggregazione delle materie per ambiti disciplinari, ripartizione del tempo da dedicare alle diverse discipline) che coinvolgono i più rilevanti aspetti qualitativi ed organizzativi previsti dalla legge di riforma. Nella salvaguardia e nella valorizzazione dell’autonomia professionale dei docenti, offre riferimenti regolativi sul piano nazionale. Art.2.1 La programmazione dell’azione educativa e la programmazione didattica sono i riferimenti progettuali ed applicativi delle innovazioni...La programmazione dell’azione educativa compete al collegio dei docenti e costituisce la base progettuale unificante e dinamica degli aspetti generali pedagogico - didattici ed organizzativi dell’attività della scuola. Fanno parte della programmazione dell’azione educativa...anche l’aggregazione delle materie per ambiti disciplinari e la ripartizione del tempo da dedicare all’insegnamento di ogni disciplina. La programmazione educativa realizza le condizioni di progetto, di organizzazione e verifica calibrate sulle esigenze formative degli alunni e sulle risorse disponibili nella scuola e nel territorio, per garantire un servizio scolastico rispondente agli obiettivi della legge e dei programmi. Essa, pertanto, si caratterizza alla luce di criteri di fattibilità, è più progettuale e dinamica che rigidamente definitoria e cogente, resta aperta per essere eventualmente integrabile. Art.2.2 Il collegio dei docenti può valutare la possibilità di utilizzare, ai fini della programmazione didattica e della valutazione in itinere dei risultati dell’insegnamento e del rendimento degli alunni, in aggiunta alle due ore già previste, parte delle ore da destinare ad attività non di insegnamento previste dai vigenti istituti contrattuali. Art.3.1 All’inizio di ciascun anno e nel quadro della programmazione educativa, il collegio dei docenti provvede all’aggregazione delle materie in ambiti disciplinari e alla ripartizione dei tempi di insegnamento da dedicare alle diverse discipline sulla base dei criteri definiti dal D.M. 10/9/1991... La delibera opportunamente motivata in relazione a ragioni di ordine pedagogico ed organizzativo ed alle soluzioni meglio rispondenti alle singole situazioni operative, concerne...tutte le classi del circolo. Art.3.2 Per il modulo di quattro docenti su tre classi, il collegio dei docenti potrà decidere, con motivata deliberazione, di formare quattro ambiti disciplinari...oppure potrà deliberare che il modulo organizzativo comprenda tre ambiti disciplinari, in modo che in ciascuna classe non operino più di tre docenti. Art.4.1 I tre livelli coordinati per la determinazione dei tempi da destinare alle materie del curricolo individuati nel D.M. allegato rispondono...alla duplice esigenza di fissare una soglia minima... che garantisca il perseguimento degli obiettivi previsti dai programmi...ed, insieme, favorisca la più ampia autonomia didattica dei docenti, responsabili della programmazione, della gestione e della valutazione del processo di apprendimento degli alunni. (Cfr. anche art.2 del D.M. del 10/9/1991)...la definizione di fasce temporali è finalizzata a consentire margini di flessibilità e di adattamento entro cui sarà compito dei docenti contitolari del modulo fissare i tempi da destinare all’insegnamento di ogni materia. C.M. n. 339 del 16/11/1992 D.M. (art. 119 del T.U.) Il fascicolo è accompagnato da una sintesi globale elaborata collegialmente al termine di ogni grado di scuola. 1 - I Dirigenti Scolastici delle scuole che insistono sullo stesso territorio effettueranno appositi incontri e individueranno le scuole interessate ad elaborare comuni progetti di continuità. 2 - Ciascun Collegio dei Docenti delle scuole individuate designerà gli insegnanti che faranno parte del "gruppo di lavoro unitario per la continuità":

- i collegi dei docenti potranno articolarsi in commissioni;

- il gruppo di lavoro, coordinato di concerto dai Capi d’Istituto, formulerà proposte per i piani di intervento da sottoporre a ciascun collegio dei docenti. 3 - Questi ultimi programmeranno i piani di intervento e verificheranno periodicamente nel corso dell’anno scolastico la realizzazione delle intese e delle azioni progettate, valutando i risultati e avviando eventualmente riprogettazioni in itinere. DECRETO LEGISLATIVO n. 29 del 3/2/1993 Art. 5, comma 1 Le amministrazioni pubbliche sono ordinate secondo i seguenti criteri... f) flessibilità nell’organizzazione degli uffici e nella gestione delle risorse umane. Art. 7,comma 2 Le amministrazioni pubbliche garantiscono la libertà di insegnamento e l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca. O.M. n.236/1993 C.M. n. 237/1993 (art.144 del T.U.) L’ordinanza illustra funzioni e contenuti dell’Agenda della programmazione delle attività, del Giornale dell’insegnante e del Registro di classe, la forma dei quali, considerato che si tratta di strumenti interni alla scuola, sarà definita in sede locale, nel rispetto delle indicazioni fornite nei medesimi articoli e sulla base delle specifiche esigenze e scelte della programmazione. Per una migliore corrispondenza alle programmazioni didattiche e per valutare i processi di apprendimento degli alunni che presentano difficoltà o si trovano in situazioni di handicap, la struttura aperta ed integrabile consente di inserire gli elementi di valutazione specifici che i diversi colleghi o gruppi di docenti ritengono necessari. La ridefinizione dell’atto di valutazione degli alunni, in quanto strutturalmente legata alla programmazione educativo - didattica, implica una più puntuale messa a fuoco del rapporto tra programmi didattici e programmazione collegiale, fra prescrittività degli obiettivi educativi da conseguire e responsabile autonomia didattica degli insegnanti, nell’impegno volto a porre ogni alunno nelle migliori condizioni per raggiungere la richiesta di formazione di base. CCNL del 4/8/1995 Art. 28,comma 7 Il piano delle singole scuole, per le attività di formazione e di aggiornamento destinate al personale docente è deliberato dal collegio dei docenti... Art. 38, comma 5 I docenti, nella loro dimensione collegiale, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico - didattici, il progetto di istituto, adattandone l’articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio - economico e culturale di riferimento. Art. 43, comma 2 Le attività aggiuntive di insegnamento...possono consistere anche nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi o in ulteriori attività aggiuntive di insegnamento volte all’arricchimento e all’integrazione dell’offerta formativa, fino ad un massimo di 6 ore settimanali. comma 3, lett. c) partecipazione a progetti comunitari, nazionali o locali, mirati al miglioramento della produttività dell’insegnamento e del servizio ed al sostegno dei processi di innovazione...ovvero ulteriori attività funzionali all’attività scolastica, debitamente deliberate nell’ambito delle risorse assegnate. C.M. n. 116 del 22/3/1996 Gli spazi di autonomia progettuale, i soggetti ed i ruoli professionali Il complesso delle indicazioni fornite valorizza gli spazi di autonomia progettuale dei diversi soggetti professionali e collegiali della scuola elementare, che si viene caratterizzando sempre più come ambiente di ricerca, in grado di migliorarsi interrogandosi e riflettendo sulle proprie scelte. Gli spazi di autonomia progettuale non devono, tuttavia, costituire occasione per scelte arbitrarie e casuali che porterebbero ad ingiustificate differenziazioni del servizio. Sono infatti decisivi, per promuovere la qualità dell’offerta educativa, l’uso ottimale delle risorse, la convergenza e l’unitarietà degli interventi, l’attenzione ai risultati, più che l’omogeneità formale delle procedure. La progettualità delle scuole si colloca in un sistema articolato di ruoli e responsabilità, che esaltano le funzioni del collegio dei docenti e dei singoli team nella configurazione della proposta educativa. DIRETTIVA n. 133 del 3/4/1996 Art. 1, comma 1 Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nell’ambito della propria autonomia, definiscono, promuovono e valutano, in relazione all’età e alla maturità degli studenti, iniziative complementari e integrative dell’iter formativo degli allievi, la creazione di occasioni e spazi di incontro da riservare loro, le modalità di apertura della scuola alle domande di tipo educativo e culturale provenienti dal territorio, in coerenza con le finalità formative istituzionali. Art. 2, comma 1 e 2 Ogni istituto promuove iniziative complementari e integrative di accoglienza e accompagnamento nell’iter formativo al fine di offrire ai giovani occasioni, anche extracurricolari, per la crescita umana e civile e opportunità per un proficuo utilizzo del tempo libero. Le predette iniziative complementari si inseriscono coerentemente negli obiettivi formativi delle scuole e tengono conto delle concrete esigenze rappresentate dagli studenti. Art. 5, comma 1 e 2 Le iniziative di cui agli artt. 2,3 e 4 sono deliberate, ai sensi e con le modalità previste dalle vigenti disposizioni, dal consiglio di circolo o di istituto, che ne valuta la coerenza con le finalità formative dell’istituzione scolastica. Le iniziative complementari sono sottoposte al previo esame del collegio dei docenti per necessario coordinamento con le attività curricolari e per l’eventuale adattamento con le attività curricolare delle attività e del progetto di istituto in relazione a quanto previsto dall’art. 39 del CCNL Comparto Scuola. 2.3. SPERIMENTARE L’AUTONOMIA: ORA SI PUÒ La frammentazione (anche temporale) della disciplina dei vari aspetti dell’autonomia scolastica rende difficile individuare le scelte politiche dell’insieme della proposta; si rischia infatti di rimanere imbrigliati in aspetti tecnici, perdendo di vista la rilevanza politica delle scelte che sono proposte. Come si è più volte precisato, non esiste un concetto univoco di autonomia, né quindi una sola forma di autonomia; al contrario l’autonomia scolastica può avere contenuti diversi a seconda del ruolo che si assegna alla scuola e quindi delle finalità che si vogliono perseguire e delle relative scelte organizzative che si adottano. Ma è comunque chiaro che con le scelte sull’autonomia si deciderà se la scuola pubblica dovrà essere ancora "governata" dal Ministero P.I. (sia pure in modo più agile con le sole funzioni di indirizzo e di controllo) oppure se dovrà essere governata in modo da garantire che gli indirizzi generali dell’istruzione siano espressione del pluralismo culturale del nostro paese; si deciderà se le singole scuole dovranno essere gestite dal dirigente scolastico con criteri manageriali oppure con il ruolo attivo dei docenti e degli studenti; si deciderà se il personale docente avrà un ruolo attivo nel processo formativo oppure se assumerà il ruolo di lavoratore subordinato che dovrà seguire le direttive del dirigente; si deciderà se gli studenti ed i genitori avranno effettivi spazi di partecipazione. Bisogna quindi realizzare l’autonomia scolastica, ma non qualsiasi autonomia; bensì un’autonomia che sia rivolta però anzitutto ad esaltare la natura pluralistica e la funzione primaria e specifica della scuola pubblica. Un dibattito sull’autonomia scolastica deve essere centrato sugli aspetti che richiedono scelte politiche coerenti e che sono: a) sistema formativo nazionale e federalismo; b) sistema formativo pubblico e scuole private; c) ruolo del Ministero e definizione degli organi di governo della scuola; d) autonomia delle istituzioni scolastiche e ruolo del dirigente scolastico; e) autonomia amministrativa e autonomia finanziaria. Deve essere infatti ribadito che l’istruzione non è un servizio pubblico che molto più opportunamente può essere governato a livello regionale, è invece una funzione essenziale dello Stato che deve garantire a tutta la collettività nazionale le stesse opportunità formative ed una identità culturale nazionale. E’ quindi necessario impegnarsi a fondo per evitare il rischio di una pericolosa "regionalizzazione" del sistema formativo. Nello schema di regolamento sono indicate le finalità dell’autonomia, ma non c’è alcun riferimento alla libertà di insegnamento ed al pluralismo culturale che devono caratterizzare le scuole pubbliche. La mancanza di un esplicito riferimento alla libertà di insegnamento può caratterizzare la proposta governativa in senso soltanto efficientistico; se poi si considera che, mentre ancora non sono definiti il ruolo ed i compiti degli organi collegiali, al contrario è già definita la figura del dirigente scolastico con compiti manageriali, l’autonomia sembra acquisire un carattere aziendalistico in un ambito neo-dirigistico. L’autonomia delle singole istituzioni scolastiche si deve collocare in un sistema formativo nazionale che abbia connotati comuni per tutto il territorio nazionale; l’autonomia non deve essere intesa come una forma di parcellizzazione del sistema scolastico in tante scuole localistiche in competizione tra di loro, ma al contrario come un sistema unico in cui tutte le scuole operano, anche in collaborazione tra di loro, per realizzare al meglio, gli obiettivi culturali definiti a livello nazionale. Ma chi deve definire gli obiettivi nazionali? Chi deve valutare (e come) la realizzazione di tali obiettivi e gli opportuni interventi? Contrariamente a quanto affermato nel 1° comma 1° parte dell’art. 21 della L. n.59, il sistema formativo nazionale non sarà autonomo, ma continuerà ad essere governato dal Ministero; obiettivi e standard nazionali saranno difatti definiti dal Ministero P.I.; allo stesso modo la valutazione a livello nazionale, pur essendo affidata tecnicamente al C.C.D.E., sarà però diretta dal Ministero con uno specifico Comitato (Direttiva n. 307/97). Una tale autonomia potrebbe non garantire nella scuola pubblica un effettivo pluralismo culturale, ma soltanto un decentramento di competenza in un sistema che pare rimanere dirigistico e governato in modo gerarchizzato; in questo senso l’attribuzione della dirigenza al personale direttivo che risponde della propria attività ad una struttura periferica del Ministero P.I. a livello regionale è abbastanza indicativa. Nel contempo si dovrebbe però definire in modo coerente l’assetto degli organi collegiali nazionali e periferici ed il rapporto di tali organi con il Ministero P.I. La scuola deve essere infatti organizzata, a tutti i livelli, attraverso forme di partecipazione collegiale e democratica, con una distribuzione di funzioni e relative responsabilità. Infatti l’art.21 della L. n.51/97 non definisce chi e come si governano le singole istituzioni scolastiche, quale ruolo devono avere in esse le singole componenti scolastiche (studenti, genitori, docenti, personale direttivo ed ATA), quali rapporti devono esserci tra gli organi di governo della scuola e l’Amministrazione scolastica, ecc.; tutti i problemi che incidono concretamente sul governo della scuola rimangono quindi aperti e dovranno essere disciplinati da una legge attualmente all’esame del Parlamento. L’attuazione dell’autonomia scolastica non è solo un fatto giuridico ed amministrativo. Non basteranno per farla decollare concretamente, decreti e regolamenti. Si tratta infatti, per la scuola, di adottare una diversa prospettiva culturale ed operativa, imperniata sulla capacità di progettare, realizzare e verificare proposte formative al massimo livello di qualità possibile, nel rispetto di standard nazionali, ma esaltando le energie e le risorse "locali" . E’ ormai assodato che l’autonomia decorrerà, con tutti i suoi pieni effetti (personalità giuridica, dimensionamento, dirigenza, regolamenti) solo dal 1 settembre 2000 (e quindi dall’anno scolastico 2000/2001), ma converrà prepararsi per tempo, utilizzando i prossimi due anni di transizione come un opportuno e indispensabile tirocinio formativo . Questo era (e rimane) l’obiettivo del decreto n.765 del 27 novembre 1997, che consentiva alle scuole di realizzare progetti di anticipazione sperimentale dell’autonomia organizzativa e didattica. Ora quel decreto, alquanto "snobbato" dalla scuola, viene rilanciato sulla scena, sfruttando le risorse finanziarie messe a disposizione dalla Legge 440/97, per l’arricchimento dell’offerta formativa, con una provvista di circa 845 miliardi per il triennio 1997/1999 (cfr. Direttiva n. 238 del 19 maggio 1998). In questo nuovo contesto diventa più appetibile per le scuole presentare progetti sperimentali, tanto più che il meccanismo prescelto dal Ministero con la circolare ministeriale n. 239 del 19 maggio 1998 prevede la garanzia di un finanziamento - base per ogni istituto, a prescindere da una valutazione preventiva delle caratteristiche del progetto inoltrato. Si tratta di una cifra di circa 5 - 7 milioni di lire (variabile sulla base delle dimensioni della scuola) che sarà erogata a fronte della semplice presentazione del progetto al Provveditorato agli Studi. L’operazione va compiuta entro il 30 settembre 1998, e le verifiche sui progetti saranno poi svolte in itinere, con azioni di monitoraggio affidata ai Provveditorati agli Studi, agli IRRSAE, al CEDE . Questa però rappresenta solo la prima fase dell’intera operazione. La successiva, più attraente, è data dalla possibilità di accedere a finanziamenti aggiuntivi a fronte di progetti di particolare complessità. In questo caso il progetto, da inoltrare sempre al Provveditorato agli Studi, sarà esaminato e valutato (ex - ante) dall’apposito Nucleo per l’autonomia operante presso il Provveditorato , che dovrà comunque dare il via libera agli eventuali finanziamenti entro il 30 ottobre . Ma quali sono i possibili oggetti della sperimentazione? La fonte di riferimento è data dal D.M. n. 765/1997 che già individuava alcuni ambiti tematici da sviluppare: a) adattamento del calendario scolastico; b) flessibilità dell’orario e diversa articolazione della durata della lezione,... c) articolazione flessibile del gruppo classe,... d) organizzazione di iniziative di recupero e sostegno; e) attivazione di insegnamenti integrativi facoltativi; f) realizzazione di attività organizzate in collaborazione con altre scuole e con soggetti esterni per l’integrazione della scuola con il territorio; g) iniziative di orientamento scolastico e professionale; h) iniziative di continuità. Ad integrazione del decreto è stata poi diffusa informalmente tra i rappresentanti dei Nuclei provinciali un ulteriore elenco dei possibili contenuti dei progetti sperimentali dalla portata argomentativa assai ampia. Anche in questo caso è di aiuto la fonte di riferimento contenuta nel D.M. 765/97, che richiama in termini semplificativi le procedure già previste per la stesura dei progetti di sperimentazione ex art. 3/DPR 419: a) le delìbere di adesione alla sperimentazione sono predisposte in modo da consentire l’individuazione del problema da affrontare, degli obiettivi da perseguire, degli strumenti, delle condizioni organizzative e delle responsabilità di attuazione, nonché delle metodologie prescelte, che possono essere differenziate in relazione alle proposte di singoli o di gruppi di insegnanti, anche in coerenza con il principio della libertà d’insegnamento... Inoltre vi è la possibilità di richiedere un finanziamento specifico (ma supplementare) per le attività di aggiornamento connesse al progetto sperimentale, dal momento che presso ogni Provveditorato sarà disponibile un apposito budget da destinare alle scuole per promuovere iniziative di formazione in servizio. Si preferisce usare questo termine a quello ormai logoro di aggiornamento, per potersi rifare al punto 4 della nuova direttiva sull’aggiornamento (n. 226 del 13/5/1998) che invita ad abbandonare il classico corso di aggiornamento (strutturato su lezioni frontali) in favore di un sistema di opportunità differenziate di sviluppo professionale dei docenti . 2.4. QUALIFICA DIRIGENZIALE PER I CAPI DI ISTITUTO Il Decreto Legislativo 6 marzo 1998, n. 59,disciplina la qualifica dirigenziale dei capi di istituto delle istituzioni scolastiche autonome, a norma dell’artico 21, comma 16, della legge 15 marzo 1997, n. 59. L’unico organo che l’art. 21 si è preoccupato di definire è il personale direttivo cui è stata riconosciuta una qualifica dirigenziale con "l’affidamento, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, di autonomi compiti di direzione, di coordinamento e valorizzazione delle risorse umane, di gestione di risorse finanziarie e strumentali, con connessa responsabilità in ordine ai risultati". Bisogna premettere che la gestione democratica prevede difatti una posizione paritaria di tutti i soggetti che possono anche avere funzioni differenziate (funzione direttiva, funzione docente, ecc.) ed esclude che un soggetto possa essere gerarchicamente sovraordinato ad altri. In una gestione democratica della scuola il personale direttivo deve avere , così come era previsto dall’art.3 del DPR n. 417/74 (ora art.396 del D.Lvo n.297/94),essenzialmente compiti di coordinamento e di promozione delle attività della scuola; tali funzioni dovrebbero essere pertanto potenziate e soprattutto "liberate" da vincoli di subordinazione gerarchica nei confronti dell’Amministrazione scolastica. Se invece il personale direttivo ha "compiti di direzione…delle risorse umane e professionali e compiti di gestione delle risorse finanziarie e strumentali" ed infine se ha una "responsabilità dirigenziale", potrebbe collocarsi in una posizione di sovraodinazione gerarchica rispetto a tutto il personale scolastico con un ampio potere discrezionale che mal si concilia con un governo democratico della scuola. Si deve infine considerare che il D.Lvo n.59 del 6/3/1998 prevede che "nello svolgere delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati" cioè di suoi fiduciari con probabile effetto condizionante rispetto a tutti i docenti ( chi aspira a tali incarichi, sarà più disponibile al "consenso"). E’ evidente come sia necessaria chiarezza per eliminare ogni forma di ambiguità; definire cioè il ruolo decisionale e di verifica degli organi collegiali della scuola e le garanzie di libertà individuale e collegiale del personale docente ed eliminare ogni ipotesi di potenziale condizionamento. "1. Dopo l’articolo 25 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, sono inseriti i seguenti articoli: Art. 25 - bis (Dirigenti delle istituzioni scolastiche); Art. 25 - ter (Inquadramento nei ruoli regionali dei dirigenti scolastici dei capi di istituto in servizio); Art. 28 - bis (Reclutamento dei dirigenti scolastici)". A differenza delle altre categorie dirigenziali, quella scolastica sta ottenendo oggi in sede legislativa il riconoscimento formale, dopo che il CCNL 1995 aveva sancito il riconoscimento della qualifica ai capi d’istituto. Dall’esame delle norme che hanno regolato, fino ad oggi, la funzione direttiva, si ricava un profilo professionale radicalmente mutato nelle ultime disposizioni normative . Partiamo dal decreto legislativo integrativo del D. L. vo n. 29/93 sulla dirigenza scolastica, così come previsto dall’art. 21 della L. n. 59/97, con gli artt. 25 bis, 25 ter e 28 bis, prevede l’assimilazione dei dirigenti scolastici ai dirigenti pubblici, salvaguardando le peculiarità che derivano dalla funzione istituzionale della scuola. Il primo richiamo è all’art. 20 del D.L.vo n. 29, prevedendo la valutazione dell’attività dirigenziale da parte di un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale. Al punto 2 si afferma che il dirigente scolastico "assicura la gestione unitaria dell’istruzione" affermazione già presente nell’art. 32 del CCNL 95 . E’ un’affermazione a carattere organizzativo molto forte. Infatti, affinché si abbia una gestione unitaria è necessario che il dirigente scolastico attui una politica di integrazione di tute le culture presenti nella scuola. Fino ad oggi il prodotto scolastico è stato inteso come risultato del rapporto insegnamento - apprendimento, tenendo in scarsissimo conto le variabili dipendenti e indipendenti del sistema scuola, ma, cosa ancora più grave, alla "produzione" hanno partecipato esclusivamente gli addetti ai lavori, gli insegnanti, nucleo operativo dell’istituto scolastico. Il dirigente deve ricondurre a sistema tutte le professionalità presenti nella scuola integrandole al fine della produzione di un servizio che è "prodotto integrato". D’altronde il PEI è già o dovrebbe essere il prodotto del contributo di tutte le componenti scolastiche. La gestione unitaria richiamata dalla norma porterà conseguentemente all’impianto di una cultura organizzativa all’interno dell’istituto scolastico, frutto di valori e atteggiamenti. Importantissimo, quindi, il ruolo del dirigente in quest’ambito fino ad oggi settorializzato e non comunicativo al suo interno . Inoltre è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e dei risultati del servizio. E’ l’esplicito richiamo all’art. 20 del D.L.vo n. 29. E’ ovvio che affinché tale norma diventi effettivamente applicabile occorre che siano individuati i parametri di valutazione. Al punto 3 è richiamata l’attività di promozione di interventi per assicurare una serie di effetti positivi sull’istruzione scuola, quale la qualità dei processi formativi, l’esercizio pieno della libertà di insegnamento, la libertà di scelta educativa delle famiglie . Alla fine di questa panoramica sulle condizioni di diritto per l’esercizio della funzione dirigenziale, si evidenzia la mancanza di due documenti regolamentari forse tra i più importanti, quello sul riordino degli organi collegiali e quello sul riordino dell’amministrazione centrale e periferica dello Stato. Comunque l’autonomia sembra già, allo stato delle cose, spostare il baricentro delle responsabilità decisionali verso il dirigente scolastico. Ma tale determinazione richiede che gli organi collegiali, fino ad oggi sede delle decisioni più pregnanti, vengano riconfigurati e nelle competenze e nei livelli e tipi di responsabilità. Lo stesso articolo 25 bis prevede la possibilità per il dirigente scolastico di avvalersi, nello svolgimento delle funzioni organizzative e amministrative, di docenti che egli stesso individua e ai quali può delegare compiti specifici. E’ un passaggio determinante che modifica profondamente i rapporti tra il vertice e il suo staff o figure di sistema. Il rapporto si configura come un vero rapporto fiduciario di cui il dirigente risponderà, oltre che al livello di risultati finali della gestione, anche a livello interno, essendo suo onere creare le condizioni organizzative per la condivisione delle sue scelte. I successivi articoli 25 ter e 28 bis sono norme che riguardano rispettivamente l’inquadramento nei ruoli regionali dei dirigenti scolastici in servizio e il sistema di reclutamento. Pertanto, la peculiarità richiamata dall’art. 21 della legge n. 59/97 sembra riguardare, in sostanza tre punti: l’estensione della responsabilità gestionale, il sistema di reclutamento, la specificità delle funzioni in relazione al servizio prodotto. Fondamentalmente, però, la figura dirigenziale nella scuola, è assimilata alle figure individuabili in tutto l’ambito pubblico. La peculiarità più volte richiamata, riguarda l’esercizio della funzione e sarà individuata per effetto di criteri valutativi . CAPITOLO III IL DIRIGENTE SCOLASTICO TRA ORGANIZZAZIONE, QUALITA’ E COMUNICAZIONE 3.0 Premessa L’avvio degli anni ’90 ha visto l’affermarsi di grandi trasformazioni sia nella vita sociale che economica rendendo drammaticamente accelerato, per tutta l’economia occidentale, l’affermarsi di nuove regole del gioco relativamente alla competizione globale, diventata ormai la conditio sine qua non per l’affermarsi di qualunque business . "Si assiste ad una forte crisi delle rappresentatività, ad un declino della politica come proposta o progetto, ad una frammentazione che traduce o svilisce le grandi opzioni ideali in forme nuove di corporativismo e di localismo . Si profila una ‘società degli interessi’ che rischia di smarrire i valori fin qui riconosciuti dell’appartenenza, della democrazia, della convivenza civile e della solidarietà...Certamente è possibile costruire una cultura nuova partendo dalla scuola stessa come istitumessa sulla qualità di un’esistenza che si declini secondo un progetto umano globale" . "L’unità scolastica, in quanto realtà pedagogica, dovrebbe essere, dal punto di vista organizzativo, un sistema a struttura interna rilassata, lenta, un’organizzazione, cioè, che dovrebbe aspirare ad un modello tendenziale il cui obiettivo è quello di aumentare i livelli interpretativi piuttosto che quelli esecutivi o applicativi...La scuola, infatti, si realizza come unità scolastica significativa quando essa presenta livelli ottimali di autonomia, di autodeterminazione e di interpretatività" . "La scuola, pertanto, si qualifica come istituzione organizzata, aperta alle interazioni con l’esterno. Perciò, piuttosto, esercita una spinta innovativa nell’interno tessuto sociale comunitario, sgombrata di quella veste burocratica che fin qui la faceva ritenere distributrice di titoli di studio, di certificati e di diplomi...la scuola rivendica un primato educativo proprio davanti alla comunità sociale...Gli insegnanti e ogni altro operatore scolastico dovranno modificare il loro tradizionale ruolo per farsi animatori di comunità in una scuola che cambia e che pone perciò l’esigenza di nuove professioni educative...Perciò il dirigente scolastico, nel mentre la scuola ritrova la sua funzione promozionale nello sviluppo della vita comunitaria, si pone come agente di innovazione" . "Ciascuna scuola si configura come un sottosistema sociale che esprime una cultura simbolica da capire e da esplorare...Ne discende l’interessante discorso di un curricolo implicito o indiretto che si respira in ciascun istituto e per cui le regole del gioco non sono mai quelle attese o dettate, ma quelle percepite ed attuate in un sistema di interazioni simboliche. La cultura dei soggetti(aspettative e dinamiche) è, dunque, essa stessa l’organizzazione. Dirigere l’organizzazione significa esercitare una leadership, esercitare il management come azione simbolica e capace d’influenzare il sistema" . 3.1. LA CULTURA DELL’ORGANIZZAZIONE Affrontare il problema del sistema scuola oggi, significa tener conto di alcuni nodi problematici legati all’organizzazione e alla complessità:

- come gestire l’ansia di un sistema complesso;

- come gestire l’imprevisto;

- come organizzare le risorse. Esistono da una parte numerosi manuali che, sulla base dello studio delle azioni organizzative, spiegano come progettare una struttura organizzativa (Thompson,1967, Mintzberg,1983) e dall’altra opere che illustrano come può essere interpretata una realtà organizzata, come ad esempio il celebre testo di Morgan (1986) che propone diverse metafore, per leggere un’organizzazione: la macchina, l’organismo, il cervello, il sistema culturale, il sistema politico, il fenomeno psichico, il cambiamento. Più in generale, possiamo definire il punto di vista dello studio della realtà come organizzazione, come l’analisi del sistema di relazione tra le parti e l’insieme. La riflessione sull’organizzazione, a sua volta, si presenta strettamente connessa con quella sul management, che può infatti essere definito come il "lavorare con e mediante individui per conseguire obiettivi organizzativi" . §.1. Le persone e la struttura Molto spesso l’organizzazione è stata definita come "La combinazione delle risorse di uomini e di mezzi, in funzione del raggiungimento di un fine, attuata secondo uno schema preciso di rapporti e di interrelazioni tra i vari elementi che la costituiscono" . Uomini e struttura, dunque: quale dei due si deve adattare all’altro? Secondo il padre del management scientifico, Frederick Taylor, è la struttura organizzativa che va adeguatamente progettata, dopodiché l’uomo si deve inserire. La progettazione dell’organizzazione, secondo quella che è stata definita come "la scuola classica", è finalizzata a conseguire il massimo dell’efficienza, mediante la separazione della direzione dall’esecuzione, lo studio del modo migliore di eseguire il lavoro. Ogni operazione standardizzata viene affidata per l’esecuzione ad una persona appositamente selezionata ed addestrata, che viene incentivata soprattutto mediante compensi monetari proporzionali alla produttività. Gli esperimenti di Elton Mayo nello stabilimento di Hawthorne sul finire degli anni venti aprono la strada alla scuola delle relazioni umane, fondata sulla consapevolezza della complessità delle motivazioni umane e della capacità che i gruppi informali e le norme sociali hanno di condizionare i comportamenti individuali. La logica è sempre quella dell’adattamento della persona alla struttura, ma l’individuo non viene più considerato come soggetto inseribile in modo meccanico, bensì come persona da considerare nella globalità dei suoi sentimenti e da fare oggetto di attenzione sul piano dei suoi bisogni sociali. Con la "scuola delle risorse umane", che si sviluppa nella seconda metà degli anni cinquanta e che ha tra i maggiori esponenti Douglas Mc Gregor e gli studiosi della motivazione Abraham Maslow e Frederick Herzberg, la concezione del rapporto viene pressoché ribaltata: l’uomo non viene più considerato alla stregua di un qualsiasi fattore produttivo, ma come la risorsa centrale dell’organizzazione, che va appunto studiata "a misura d’uomo". Nel perseguire i propri obiettivi l’organizzazione deve infatti cercare di creare condizioni tali da consentire ai singoli di raggiungere contemporaneamente i loro obiettivi e di soddisfare quindi i loro bisogni. Ciò può essere fatto mediante una struttura a matrice ed il conseguente lavoro per progetti, l’arricchimento delle mansioni, la direzione per obiettivi ed il controllo sui risultati, anziché sulle mansioni. La "scuola sistemica", che si afferma a partire dagli anni settanta e per la quale possiamo assumere come autore di riferimento Igor Ansoff, riequilibra il rapporto, sostenendo che l’efficacia di un’organizzazione dipende dall’interdipendenza e dalla coerenza dei diversi elementi del sistema, ed in questa prospettiva va concepito anche il rapporto tra variabili strutturali e variabili umane. Gli autori della "scuola sistemica" hanno considerato l’organizzazione come soggetto alle prese con fattori dell’ambiente esterno e con la necessità di sviluppare comportamenti adattivi per sopravvivere ai mutamenti ambientali. Dapprima autori come Chandler, Lawrence, Lorsch e successivamente il già citato Ansoff hanno identificato nella coerenza tra struttura, obiettivi dell’organizzazione e richieste dell’ambiente esterno, la condizione di sopravvivenza dell’organizzazione, come evidenzia il modello di Ansoff: L’organizzazione come sistema aperto secondo il modello di Ansoff. In tempi più recenti anche la rappresentazione dell’organizzazione come sistema in interazione con l’ambiente è stata messa in discussione alla luce della particolare concezione sistemica elaborata da Maturana e Varela, secondo cui ogni sistema vivente è un sistema chiuso ed autonomo che fa riferimento solo a se stesso. Secondo questo modo di pensare, trasferito dal funzionamento del cervello a quello dell’organizzazione, l’ambiente è una proiezione dell’organizzazione stessa: i rapporti dell’organizzazione con l’ambiente sono determinati dall’interno, così come interamente vengono generati anche gli eventuali cambiamenti. Le organizzazioni che assumono questo punto di vista evitano di considerare l’ambiente come un fattore indipendente con il quale dover competere ma prendono in considerazione il compito di attivare le condizioni idonee a consentire la co - evoluzione della loro identità e di quella dell’ambiente . §.2. La progettazione della configurazione della struttura La struttura organizzativa, per costituire realmente uno strumento efficace in rapporto agli obiettivi da raggiungere, non può essere lasciata al caso, ma va invece consapevolmente ed intelligentemente progettata. Nei testi classici di organizzazione aziendale si distinguono due tipi di sviluppo della struttura organizzativa:

- la specializzazione verticale, a seguito della quale, mediante la progressiva creazione di posizioni intermedie tra il vertice e la base esecutiva, la struttura assume la forma di una piramide;

- la specializzazione orizzontale, che porta le unità e lo posizioni a moltiplicarsi e differenziarsi in base al tipo di lavoro svolto, in modo che l’attività complessiva risulta alla fine suddivisa in tanti segmenti operativi, ciascuno dei quali risulta competente per una specifica area. I problemi che la struttura piramidale si è trovata a dover affrontare sono stati comunque due in particolare: l’eccessiva separazione tra funzioni dirigenziali e funzioni esecutive, tra posizioni di vertice e posizioni di base con conseguente difficoltà delle persone collocate in queste ultime a identificarsi negli obiettivi dell’organizzazione ad attivare energie, mobilitare risorse, assumersi responsabilità per il miglioramento e lo sviluppo dell’impresa; la rigidità, la distorsione delle comunicazioni incanalate per le vie gerarchiche. PIRAMIDE Anche la struttura a matrice presenta al contempo diversi problemi: l’esigenza di aumentare la quantità di tempo da dedicare allo scambio di informazioni, al confronto, alla negoziazione; la necessità per le persone di "saper stare e saper lavorare in gruppo"; la possibile percezione di confusione, come evidenzia una nota ricerca sulle imprese americane eccellenti (Peters e Waterman,1984). Organizzazione matriciale La tendenza attuale è sempre più rivolta al superamento dell’eccessiva separazione tra funzioni dirigenziali, intermedie ed esecutive a favore del coinvolgimento e della responsabilizzazione di tutte le posizioni nel progetto aziendale. Il sistema dei rapporti si va modificando nel senso della costituzione di gruppi di lavoro e la costruzione di reti tra i diversi settori aziendali, va scalzando i tradizionali rapporti gerarchici a favore di una fitta trama di relazioni orizzontali e verticali. La metafora della struttura policellulare (Landier,1987) evoca l’idea di una struttura caratterizzata da gruppi di lavoro autoregolati, gruppi di progetto, che dispongono di una notevole autonomia, con soggetti che possono contemporaneamente far parte di più gruppi. Il processo decisionale va decentralizzato tutte le volte che è possibile, senza compromettere il risultato finale desiderato e atteso. La struttura policellulare DALLA PIRAMIDE ALLA RETE: UN NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO LA PIRAMIDE APPARATO BUROCRATICO PARTECIPATO PENSIERO FORTE TRASMISSIONE PER APPLICAZIONE CORRETTEZZA FORMALE VINCOLO IL SISTEMA AUTONOMIA APPLICATIVA PER DECENTRAMENTO PENSIERO FUNZIONALE CAMBIAMENTO TECNOCRATICO MASSIMA EFFICIENZA MONO-OPZIONALITA’ LA RETE AUTONOMIA AUTOREALIZZAZIONE AUTODETERMINAZIONE PENSIERO DEBOLE INNOVAZIONE PER SVILUPPO CULTURALE MAX. QUALITA’ DELL’EFFICIENZA PLURI-OPZIONALITA’ LEGAMI RAPPORTI SEQUENZIALI LEGAMI RAPPORTI STRUTTURALI E FUNZIONALI: INTERAZIONI ISTITUZ. FRA SOGGETTI INDIVID. E/O COLLEGIALI LEGAMI RAPPORTI E INTERAZIONI STRUTTURANTI: RETI DI RAPPORTI FRA PROBLEMI E TEMATICHE CULTURALI IN CIRCUITI DI MICROORGANIIZZ. TENSIONE: CLIMA DI INSODDISFAZIONE TENSIONE: CONFLITTUALITA’ RIVENDICATIVA FRA PERSONE E/O GRUPPI TENSIONE: CONFLITTUALITA’ CRITICO-COSTRUTTIVA SU TEMATICHE VALUTAZIONE: CONTROLLO GERARCHICO FORMALE VALUTAZIONE: VERIFICA SEGMENTARIA DI EFFICIENZA DEL SIST. SU APPARATO DECENTRATO VALUTAZIONE: VALUTAZIONE DI QUALITA’ FUNZIONALE DISCREZIONALITA’: APPLICAZIONE NORMA DECISIONE FORMALE RESPONSABILITA’ FORMALE DISCREZIONALITA’: ATTRIBUZIONE COMPITI DECISONE ISTITUZIONALE RESPONSABILITA’ ISTITUZIONALE DISCREZIONALITA’: PROGETTUALITA’ FUNZIONALE DECISIONALITA’ DIFFUSA ESERCIZIO DI RESP. FUNZIONALE E DI RESP. CONDIVISE Dalla piramide alla rete: un nuovo modello organizzativo. §.3. Le microorganizzazioni nella scuola Nell’ambito della cultura del management scolastico emerge oggi il modello definito della "leadership diffusa", caratterizzato da due aspetti fondamentali:

- la razionalità tipica dei modelli manageriali classici;

- l’attenzione alla dimensione socio - emotiva dei singoli operatori; in quanto il leader "cattura l’aspetto emotivo" dei componenti l’organizzazione, trasformandolo in energia propulsiva e costruttiva. La gestione delle risorse umane secondo il modello della leadership diffusa rende autonomi i soggetti dell’organizzazione, generando nel tempo altri "leader" . Il modello della leadership diffusa richiede l’attivazione di una strategia che comporta il decentramento decisionale e la costruzione di microorganizzazioni per la gestione delle unità scolastiche. La Microorganizzazioni sono unità di base a cui può essere attribuito un significato organizzativo all’interno del circolo. Sono gruppi di lavoro caratterizzati da una struttura propria e da competenze specifiche che operano all’interno del circolo, inteso come sistema complesso. Sono caratterizzate al loro interno in modo da orientare l’attività dell’unità scolastica in una direzione specifica, con lo scopo di perseguire l’efficacia e l’efficienza del servizio. Non esiste, pertanto, un modello unico di microorganizzazioni: tali organismi si costituiscono con composizioni e compiti adeguati di volta in volta alle necessità della scuola. All’interno delle unità scolastiche esistono già delle microorganizzazioni, ma esse si caratterizzano prevalentemente come articolazioni del Collegio dei docenti e, come tali, non rispondono in modo adeguato alle esigenze di una innovazione verso l’autonomia. Le diverse tipologie di legami danno vita ad un modello di classificazione delle microorganizzazioni, che può essere così esplicitato:

- Microorganizzazioni a legami interni:

- staff di direzione;

- collaboratori del direttore;

- Microorganizzazioni a legami interni/esterni:

- gruppi di lavoro/commissioni:

- osservatorio sulla programmazione organizzativa;

- gruppo di monitoraggio per l’elaborazione didattica;

- gruppo di ricerca/sviluppo.

- gruppi di modulo/ambito;

- gruppo di lavoro per la continuità;

- gruppo di lavoro sull’handicap;

- referenti alla salute.

- Microorganizzazioni a legami esterni:

- sistema dei rapporti:

- scuola/famiglia

- , scuola/ente locale,

- scuola/soggetti con progettualità formativa,

- scuola/altre istituzioni scolastiche .

§.4. La valorizzazione delle risorse umane nelle organizzazioni Le risorse umane, l’insieme degli individui che con ruoli e compiti diversi fanno parte di un sistema organizzativo, costituiscono la più produttiva, la più versatile, la più complessa di tutte le risorse . Studi recenti di teoria della organizzazione valorizzano specificatamente il ruolo dei soggetti umani, in quanto si è preso atto che i comportamenti nell’organizzazione condizionano la qualità stessa, e che, in genere, le persone si comportano diversamente a seconda della organizzazione in cui sono inseriti. Annota Spaltro a questo proposito: "Una risorsa umana è composta da progetti e destini,...da eredità e cultura, dal limiti biologici, sociali e fisiologici, da potenzialità e attuazioni, da attitudini e competenze" . Valorizzazione delle risorse umane significa farsi carico della valorizzazione della soggettività del singolo e agire perché competenze, professionalità, cultura, senso di appartenenza, ruolo, responsabilità di ogni singola persona possano essere indirizzate positivamente agli scopi dell’organizzazione stessa. La dimensione organizzativa nella percezione dei singoli, nel grado di benessere e di interazione dei vari soggetti e il grado di influenza che tali percezioni hanno sulla organizzazione stessa, costituiscono il clima che si determina in un contesto organizzativo. "Il clima organizzativo è dunque quell’insieme di attributi specifici del contesto organizzativo e il modo in cui sono percepiti e il tipo di influenza che tali percezioni hanno sul comportamento delle persone. In tale prospettiva il clima organizzativo diviene un modo di analizzare l’organizzazione nella sua globalità" . (Bentivogli, Callini, 1993) Una gestione della scuola, intesa come sistema organizzato per la produzione di un servizio di qualità, non può prescindere da una attenta considerazione e attenzione al problema della valorizzazione del personale. La progettazione e la realizzazione delle condizioni organizzative per l’attuazione di un servizio ispirato a criteri di qualità, rendono necessario un Progetto Educativo che delinei gli elementi costitutivi di ogni singola scuola e crei le condizioni per il controllo della qualità. All’interno del sistema scuola la risorsa docenti appare come la risorsa qualitativamente e numericamente più significativa, ma oggi è opportuno considerare anche tutte quelle figure definite per lungo tempo in negativo "non docenti": personale ausiliario e amministrativo; soprattutto nella prospettiva della autonomia. §.5. La valutazione del personale Il problema della valutazione del personale è sicuramente uno dei più complessi all’interno della singola unità scolastica. Prima dei decreti delegati, il direttore didattico aveva il compito di esprimere un giudizio: la cosiddetta qualifica sul personale insegnante; questa valutazione finiva per essere assolutamente irrilevante . Successivamente, la norma tuttora vigente attribuì ogni compito valutativo, per quanto riguarda il personale docente all’apposito comitato, che di fatto costituisce un momento formale di valutazione privo di compiti effettivamente efficaci. Di esclusiva competenza del capo di istituto rimane la stesura di una relazione informativa sul personale docente e amministrativo durante il periodo di prova. Le esperienze passate dimostrano l’inutilità di momenti valutativi non legati a precise strategie di miglioramento professionale, appaiono quindi più significative e orientate ad una effettiva crescita professionale le esperienze di autovalutazione , di autoanalisi di istituto, che se non affrontano appieno il problema della valutazione dell’insegnamento e degli insegnanti, costituiscono un esempio significativo di come il dirigente scolastico possa essere promotore di interventi finalizzati a far nascere consapevolezze opportuni feed - back di comportamento, in un’ottica di miglioramento del servizio stesso. Il progetto INES (Indicators for Education System) ha come obiettivo l’analisi dei fattori che influiscono sulla qualità di insegnamento. "Gli indicatori dell’insegnamento sono statistiche che permettono di portare giudizi di valore su aspetti essenziali del funzionamento dei sistemi educativi", in altri termini gli indicatori costituiscono "un’informazione limitata, semplice, direttamente misurabile" su aspetti essenziali del sistema scuola . Un modello di analisi della professionalità docente in chiave sociopsicologica è offerto in Italia dalle ricerche di A. M. Mariani sulla valutazione. La ricerca assume il ruolo del dirigente scolastico all’interno del processo di sviluppo professionale delle risorse umane presenti nella scuola, come quello di agente di miglioramento. In questo modo viene fortemente valorizzato il ruolo di influenzamento del capo di istituto, in rapporto alla competenza valutativa che acquisisce un significato strettamente legato a strategie di efficace management . §.6. La leadership La gestione delle risorse umane nell’organizzazione scuola spetta in primo luogo al Capo di Istituto. Lo scopo è quello di fare in modo che tutto il personale che opera all’interno della scuola sviluppi competenze, assuma atteggiamenti ed attivi comportamenti in sintonia con i principi, le regole e le finalità che la scuola si è data. La funzione direttiva si concretizzava nella figura del capo all’inizio del secolo, in quella del leader situazionale negli anni settanta, mentre si proietta verso la leadership come attività simbolica negli anni novanta. La leadership è la capacità di rappresentare norme, ideali, obiettivi di un gruppo, non in modo statico, ma adattandosi alla situazione organizzativa. Questo significa che non si diventa leader per doti innate, ma in funzione di ciò che si è e della relazione che si ha con il gruppo. In una organizzazione in evoluzione come è la scuola ai nostri giorni, non solo la funzione direttiva può essere gestita attivando più o meno il processo della leadership, ma la gestione della leadership stessa ha caratteristiche diverse a seconda dei contesti organizzativi e delle situazioni gruppali. Hersey - Blanchard, autori del famoso libro :"Leadership situazionale" sostengono che non esiste uno stile di leadership efficace per ogni situazione, ma che il leader deve saper adottare un comportamento adeguato in relazione alla maturità dei dipendenti. a leadership situazionale permette ai dirigenti di diagnosticare con precisione la situazione in cui si trovano ad operare per adeguare lo stile di leadership. Lo stile di leadership più efficace è quello che permette di coniugare comportamento direttivo e di relazione. Secondo questi due autori la combinazione del comportamento direttivo con quello relazionale permette di ottenere quattro combinazioni che corrispondono a quattro stili di leadership . Gli stili comportamentali di leadership fondamentali (Hersey - Blanchard 1982) I leader autoritari portano a vedere una realtà che richiede uno stile autoritario, i leader democratici "costruiscono" una realtà che richiede uno stile democratico. La leadership diventa quindi una metodologia di gestione di significati. §.7. Leadership ed Empowerment Empowerment è un termine che, ha trovato una traduzione attraverso esplicitazioni descrittive quale quella di Bruscaglioni: "l’ampiezza di ventaglio di possibilità tra le quali il soggetto può scegliere quella di privilegiare e praticare nell’operatività ". La centralità del concetto è rappresentata dall’idea di possibilità e dall’azione che produce o amplia le possibilità attraverso un uso ottimale delle risorse, in modo da essere protagonisti delle proprie azioni. Il concetto di empowerment deve quindi essere presente in tutti i soggetti dell’organizzazione ma aumenta la sua valenza quando riguarda soggetti che hanno responsabilità organizzative. L’autonomia scolastica prefigura nuovi scenari organizzativi sia attraverso la nascita di nuovi soggetti (vedi staff di direzione, gruppi di progetto), sia attraverso l’attribuzione di nuove e diverse funzioni ai soggetti (vedi Progetto Educativo di Istituto, Carta dei servizi). Il cambiamento in un contesto di autonomia scolastica riguarda tutti i soggetti: sia i vertici dell’organizzazione (Capi di istituto), sia quelli di nuova istituzione (staff di direzione, gruppi di progetto),sia quelli tradizionali (insegnanti, personale ATA).

OPPORTUNITA’ BASSE

OPPORTUNITA’ ALTE

RESPONSABILITA’ BASSA

ALIENAZIONE

GARANTISMO

RESPONSABILITA’ ALTA

BUROCRAZIA

EMPOWERMENT

Modello di Bacharach (da Piccardo, 1995) L’autonomia, secondo questo approccio, è quindi possibile solo se riguarda tutti i soggetti che operano nella scuola. Solo se a tutti i soggetti sono offerte maggiori opportunità è possibile che la scuola risponda ai bisogni formativi diversificati provenienti dal contesto territoriale . L’empowerment, poiché permette di coniugare alta responsabilità con elevate opportunità, garantisce ai soggetti la possibilità di esprimere al meglio le potenzialità operative e le capacità creative al fine di erogare un servizio di qualità. Si tratta quindi di aumentare complessivamente il potere gestito dai soggetti e di realizzare una gestione della leadership giocata su un duplice binario, sia sul potenziamento proprio che sull’empowerment degli altri soggetti. Il leader è così colui che favorisce il "potere dell’equilibrio", non l’ "equilibrio del potere", che favorisce cioè una cultura di pari, dove la crescita dei singoli diventa aumento di potere di tutta l’organizzazione . Il processo dell’empowerment (indicatore, esito, funzione), riguarda la mentalità, la cultura del leader di una organizzazione. Può quindi essere descritto nel sul manifestarsi solo attraverso una indicazione di atteggiamenti e una rappresentazione di contesti dentro i quali si esprimono relazioni tra i soggetti .

ATTEGGIAMENTI / COMPORTAMENTI EMPOWERED

NON EMPOWERED Disponibilità aggressività Energia, vitalità delusione Cooperazione passività Autostima basso ascolto di sé e degli altri Sfida dipendenza Determinazione disimpegno Fiducia di sé e negli altri ricerca di approvazione Autonomia manipolazione Ottimismo pessimismo Imprenditorialità ipercontrollo Espressività scetticismo Concentrazione impotenza Creatività isolamento Il capo d’istituto e l’empowerment.

3.2. QUALITÀ NELLA SCUOLA Affrontare il problema della qualità della scuola nella prospettiva dell’autonomia fa emergere alcune questioni di fondo:

- che cosa s’intende per qualità del servizio offerto, e in quali termini può essere definita la qualità nella scuola?

- chi valuta e come è possibile valutare la qualità?

- quale cultura è coerente con l’orientamento verso la qualità? - Il problema qualità si pone in termini particolarmente difficoltosi per la scuola, considerato che il rapporto servizio offerto e soddisfacimento della domanda, sembra più complesso rispetto a ciò che avviene nelle imprese erogatrici di servizi. Forse non ci si può limitare a introdurre all’interno della scuola la cultura organizzativa delle imprese che operano nel comparto dei servizi, perché ci sia una scuola capace di fare qualità. Ciò, probabilmente, non vuol dire rinunciare alla cultura organizzativa, ma, bensì provare a riconoscere nella scuola la necessità di costruire dal di dentro una specifica cultura organizzativa. - Nella prospettiva dell’autonomia ciascun individuo coinvolto, anche l’alunno, può essere considerato titolare del compito di realizzare la qualità e di valutarne l’effettiva incisività nel miglioramento dell’offerta formativa. Diventa ormai necessaria la presenza di un Sistema Nazionale di Valutazione della qualità del servizio scolastico, che dovrebbe definire gli indicatori e gli standard di riferimento.

- Una cultura orientata alla qualità potrebbe essere la cultura del servizio, che richiede disponibilità all’autocritica, competenza e volontà di creare qualità, migliorando i processi organizzativi interni e l’interazione con l’esterno, guardando all’idea di dirigenza e di partecipazione collegiale come a spazi di decisionalità interagenti in senso positivo. §.1. Il concetto di qualità Il concetto di qualità nei servizi ha subito nel corso dell’ultimo ventennio una notevole evoluzione facendo riferimento, di volta in volta, a principi diversi. Resta però interessante la definizione che ha fatto Juran nel 1964: " La qualità è una funzione di conformità, disponibilità, servizio al cliente ". In questa definizione troviamo infatti tutti gli elementi indispensabili per parlare di qualità: il prodotto/servizio e il cliente/utente. Nel rapporto fra Prestazioni del prodotto / erogazione del servizio Bisogni del cliente / soddisfazione dell’utente si gioca il concetto di qualità. La qualità diventa la somma di efficienza ed efficacia. L’efficienza considerata come il rapporto fra la quantità di prodotto e i costi; l’efficacia considerata come il grado di soddisfazione dei bisogni del cliente. La qualità pertanto può essere definita come "il grado di soddisfazione delle attese del cliente al costo minimo" (Negro, 1992) . §.2.Un programma di qualità totale Per avviare un programma di qualità totale, occorre che questo diventi un valore condiviso da tutti i membri dell’organizzazione, perché dovrebbe entrare nel "cuore" di ciascuna persona . Secondo R. Collard i principi su cui fondare un programma di qualità sono sintetizzati nello schema seguente:

- L’impegno dei quadri manageriali Per introdurre un discorso di qualità in una organizzazione, è fondamentale far leva sulla convinzione e sulla disponibilità del management, che si traduce in una specie di impegno con se stesso che il responsabile dell’organizzazione attiva e che si manifesta nel modo di porsi, nel modo di organizzare, nel modo di controllare in termini di qualità Nella scuola questo compito spetta al Dirigente scolastico, anche se la qualità del servizio erogato dalla sua scuola è correlata a decisioni superiori al suo spazio di intervento.

- Il cambiamento dell’atteggiamento Un programma di qualità passa necessariamente dalla motivazione dei quadri manageriali, ma anche dal cambiamento di atteggiamento di tutti i membri dell’organizzazione. Nella scuola la qualità, dopo aver coinvolto il dirigente scolastico, passa necessariamente dagli operatori scolastici: insegnanti e personale amministrativo. Non si ha cambiamento solo perché si introducono nuovi programmi o si modificano gli strumenti di valutazione. Si ha cambiamento di qualità quando le innovazioni introdotte dal vertice sono effettivamente condivise e diventano strumenti per migliorare il servizio.

- Il miglioramento continuo La qualità non si raggiunge mai: è un processo continuo verso il miglioramento della prestazione. Questo richiede un controllo efficace di tutti gli elementi del servizio al fine di individuare quegli aspetti che comunque possono essere migliorati. Nella scuola il miglioramento continuo è richiesto dalla natura stessa del servizio erogato: ciò che viene fatto oggi non può esser ripetuto, perché le richieste, i bisogni e le aspettative degli utenti (genitori ed alunni) cambiano continuamente. Un programma di qualità deve cercare di adeguarsi a queste richieste sempre diverse.

- Il rafforzamento della supervisione In un percorso di qualità, la supervisione ha la funzione di verificare come si svolge il processo di produzione. Nella scuola questo modello di supervisione rivoluziona completamente la funzione valutativa del Capo di istituto e si avvicina al modello di valutazione assunto nell’insegnamento, laddove si considera il percorso di conoscenza dell’alunno (processo) oltre ai risultati finali (prodotto). Un dirigente scolastico che attivi il suo ruolo di supervisione garantisce che tutti facciano bene il proprio lavoro in modo che la scuola possa funzionare migliorando continuamente.

- L’ampliamento della formazione In un programma di qualità, la formazione è fondamentale. Nella scuola i cambiamenti sono in generale sostenuti da corsi di aggiornamento più che da percorsi di formazione. In tal modo si ottiene un arricchimento di conoscenze, ma non necessariamente una modificazione dei comportamenti. Un processo di qualità si inserisce in una logica di strategia di formazione continua.

- Il riconoscimento del rendimento Poiché un programma di qualità si basa sulla motivazione di tutte le persone, è fondamentale riconoscere il contributo perché le motiverà al miglioramento continuo. Nella scuola il riconoscimento del miglioramento è raramente di tipo economico. Non sempre però l’aspetto economico è sufficiente a supportare i processi di qualità. Nella scuola il dirigente scolastico deve quindi utilizzare strumenti di riconoscimento che producano valorizzazione per mobilitare e sviluppare energie . §.3. I circoli di qualità "I circoli di qualità si possono definire come un piccolo gruppo di persone (8 o10) appartenenti alla stessa area di lavoro e con mansioni simili, che si riuniscono periodicamente e volontariamente sotto la guida di un coordinatore, imparano ad identificare ed analizzare i problemi del loro lavoro, per proporre soluzioni, metterle in atto, verificarne e misurarne gli effetti" . Nati in America negli anni ’50, all’interno della scuola organizzativa delle "relazioni umane", sono diventati, a partire dagli anni ’70, lo strumento utilizzato dall’industria giapponese per conquistare la leadership produttiva mondiale. I circoli di qualità sono sorti per valorizzare l’importanza delle risorse umane all’interno dell’organizzazione e per sottolineare l’importanza di operare in un ambiente di lavoro confortevole, aperto e sereno dove ciascuno può esprimere al meglio le proprie capacità personali. Essi puntano al miglioramento continuo della qualità del prodotto/servizio attraverso il coinvolgimento attivo dei lavoratori. Sono infatti i lavoratori stessi che individuano i problemi e formulano proposte per risolverli. I circoli di qualità vengono pertanto considerati lo strumento operativo per eccellenza per realizzare progetti di qualità totale . Come si possono attivare i circoli di qualità a scuola? Tenendo presenti i principi elaborati da Collard , un programma di qualità totale interessa tre livelli organizzativi :

- livello strategico;

- livello di coordinamento;

- livello operativo. (Collard, 1991)

- Livello strategico Ogni programma di qualità deve sapersi adattare all’ambiente e al tipo di organizzazione. L’elaborazione della strategia spetta ad un comitato guida, cioè ad un gruppo di lavoro che nella scuola potrebbe essere omologato allo staff che affianca il Capo di istituto. Questo gruppo di lavoro dovrebbe innanzitutto capire quali sono gli atteggiamenti prevalenti all’interno della scuola, quali i punti di forza e quali gli ostacoli per partire con un progetto di qualità. Un progetto di qualità può realizzarsi solo se, vede impegnati in prima persona i quadri manageriali.

- Livello di coordinamento Un programma di qualità non procede da solo, ma ha bisogno di una continua supervisione e di un continuo coordinamento. Questo livello di coordinamento può essere gestito dal Capo di istituto con lo staff di progetto. La funzione dello staff di progetto, a questo livello, è quella di coordinare i vari gruppi di lavoro che operano, come circoli di qualità. E’ una funzione estremamente importante perché indirizza il lavoro e fa diventare produttive le proposte di miglioramento.

1- identifica e definisce il problema (didattico, organizzativo, educativo) da risolvere nella propria attività quotidiana;

  1. raccoglie tutte le informazioni possibili riguardo al problema per avere una conoscenza approfondita del contesto;

3- ipotizza delle soluzioni viste in termini di miglioramento dell’offerta formativa secondo le dimensioni della qualità;

  1. propone al dirigente scolastico le soluzioni perché vengano realizzate operativamente;

5- si impegna a realizzare concretamente le soluzioni proposte .

3.3. INFORMARE E COMUNICARE In una struttura organizzativa caratterizzata dalla complessità, come quella scolastica, quale ruolo assume il problema della gestione della comunicazione? Secondo una prospettiva di ricerca ampiamente condivisa da molti studiosi non solo il sistema scolastico, ma anche le singole istituzioni scolastiche possono essere analizzate secondo il modello della organizzazione complessa a legame debole: con questa definizione si vuole significare che "nelle strutture educative le singole parti che compongono l’insieme sono in qualche rapporto fra di loro, ma il raccordo è limitato, incerto e di minor peso rispetto al vincolo gerarchico" . Sostengono coloro che si occupano di teoria dell’organizzazione, che "in un sistema a legame lasco diventa di prioritaria importanza la padronanza della rete di comunicazione sia formale, sia e soprattutto, informale. La debolezza del legame gerarchico e la presenza di aree in cui esso è del tutto irrilevante rende, infatti, necessario l’inserimento nella ‘trama conversazionale’ per poter garantire il coordinamento tra le unità ma anche per la gestione del cambiamento" Da un altro punto di vista la scuola può essere analizzata anche come organizzazione che eroga un servizio e, in quanto tale, risponde alle leggi che regolano le "aziende di servizio" le quali, a loro volta, hanno a che fare principalmente con le cosiddette strategie della "customer satisfaction" (soddisfazione del cliente). "Uno dei problemi principali diviene in quest’ottica quello della comunicazione: comunicazione verso l’esterno degli aspetti intangibili ed immateriali del servizio, al fine di ridurre l’incertezza da parte dei potenziali utilizzatori, di limitare l’inquietudine che precede o accompagna la scelta, di fornire elementi tangibili e percepibili relativi all’idea del servizio...Comunicazione all’interno, al fine di costruire una cultura condivisa del servizio. " In questo senso un’adeguata rete di comunicazione/informazione rappresenta assai di più che un semplice supporto tecnico: la rete diventa essa stessa parte integrante dell’organizzazione. Una rete di comunicazione nella scuola potrebbe assolvere alla funzione di "collante" per contribuire alla costruzione di un’immagine unitaria del servizio condivisa dagli operatori e dagli utenti.

§.1. La documentazione In questo contesto si inquadra anche il problema della documentazione. Documentare quanto di significativo viene prodotto all’interno della scuola è un’esigenza fortemente sentita . Il problema è presente anche, in varia misura, in due importanti testi normativi: la legge 241/90 sulla "trasparenza amministrativa" e la "Carta dei servizi scolastici" del giugno 1995 sottolineano l’esigenza di fornire agli utenti ogni informazione necessaria per una corretta fruizione dei servizi scolastici. Ogni circolo didattico dovrebbe avere un proprio "progetto" per la documentazione/informazione/comunicazione allo scopo di :

- garantire la massima informazione possibile agli utenti;

- favorire la circolazione delle informazioni all’interno della scuola;

- documentare l’attività didattica e non, svolta nel corso degli anni;

- rendere visibile all’esterno il "prodotto scolastico" (agenzie culturali, Enti pubblici),

- dotarsi di strumenti per ottenere informazioni dall’esterno e, in particolare, dagli utenti. La Documentazione: MAPPA CONCETTUALE DOCUMENTAZIONE La scuola è un "sistema aperto" che presenta alcune peculiari connotazioni tali da distinguerlo da altri sistemi; fra queste:

- una pluralità di soggetti concorrenti alla realizzazione di un prodotto in grado di fornire una risposta formativa congruente con interessi, attese, bisogni espressi dall’utenza;

- una molteplicità di reti di relazioni fra i costituenti, che si svolgono in un contesto dinamico;

- una decisionalità diffusa che favorisce la gestione dei problemi. L’informazione costituisce elemento intrinseco del sistema, ne garantisce la vitalità, la stabilità, il funzionamento. Essa, come sostiene Capitani, riveste un "ruolo di primo piano nella ricerca, nello sviluppo, nella pianificazione, nel processo decisionale, nella soluzione dei problemi" . Informazione e comunicazione sono complementari: fondano il processo di documentazione attraverso il quale l’informazione viene prodotta, elaborata, comunicata, utilizzando "supporti fisici" che prendono il nome di "documenti". L’identità della documentazione si può definire su due piani: uno operativo ed uno teorico. Il primo esalta la dimensione procedurale, ossia le fasi del processo documentaristico; il secondo evidenzia, invece, l’aspetto cognitivo, vale a dire l‘attività di analisi e di concettualizzazione. Integrando i due aspetti, la documentazione può considerarsi "l’attività di rilevamento, elaborazione, comunicazione, ricerca e diffusione di documenti" , ma anche "l’azione mentale che analizza ed interpreta il contenuto concettuale del documento al fine di individuare le unità informative e diffonderle con apposite procedure" . "Il rapporto con l’utenza" costituisce, quindi, uno degli aspetti qualificanti della documentazione, la quale assume il compito di "mediare" il rapporto tra dato e utente realizzando il passaggio tra dato e informazione . La documentazione, in quanto operazione complessa, richiede uno sviluppo scandito da fasi, ciascuna delle quali costituisce un’operazione auto noma e specifica per i processi che attiva e per le attività che comporta, ma al tempo stesso, collegata alle altre. Non è sufficiente raccogliere e "accantonare in una scuola materiali documentari per averne una effettiva memoria"; è necessario, invece, che essi siano "raccolti e ordinati in forma accessibile" e che "sia prevista e valorizzata la loro utilizzazione" . Ma la documentazione svolge anche diverse funzioni. Romei rileva che "senza la necessaria attenzione dedicata a sviluppare e a strumentare la capacità di produrre ed utilizzare dati e informazioni sul proprio funzionamento, gli istituti scolastici tendono ad essere organizzazioni immemori, cioè senza storia: incapaci di imparare dall’esperienza, che non capitalizzano...non pronte per l’autonomia" . La documentazione, in una scuola, svolge dunque l’importante ruolo di utilizzare la "memoria storica" per costruire, definire, ridefinire la propria identità. I destinatari/fruitori dell’informazione possono essere rinvenuti sia all’interno, sia all’esterno dell’istituzione scuola. Essi sono: gli alunni, i docenti, il dirigente scolastico, altri soggetti della comunità educativa, l’extrascuola, l’amministrazione, le scuole comprese nel sistema scolastico di base. L’impegno della scuola a ricercare forme, modalità e strumenti di informazione/comunicazione interna ed esterna, viene affermato nella Carta dei servizi della scuola (D.P.C.M. 7 giugno 1995). Al punto 5.3 viene enunciato un principio di carattere generale: "Le istituzioni scolastiche, al fine di promuovere ogni forma di partecipazione, garantiscono la massima semplificazione delle procedure ed un’informazione trasparente e completa". E’ logico dedurne che, per garantire l’informazione, è necessario disporre di strumenti di comunicazione. La "Carta" prevede che tale comunicazione/informazione riguardi almeno:

- il Progetto Educativo di Istituto/circolo (P.E.I.);

- il regolamento interno;

- la programmazione educativa;

- la programmazione didattica;

- gli standard dei fattori di qualità.

- Alunni Per gli alunni una rilettura ed una analisi dei prodotti realizzati consentono di rievocare l’esperienza, di percepire e percepirsi in maniera più critica, di rendersi conto delle proprie conquiste, di definire la propria identità, di consolidare il proprio quadro di competenze.

- Docenti Per i docenti la documentazione si pone come strumento di formazione continua per le riflessioni ed i processi che attiva, per le decisioni che motiva, per le operazioni che sollecita, per i risultati che consente di conseguire.

- Dirigente Scolastico L’analisi critica dei materiali informativi prodotti consente anche al dirigente scolastico di ripercorrere gli itinerari di elaborazione di ipotesi progettuali e organizzative nonché la loro traduzione operativa; permette anche di controllare i processi che hanno condotto al prodotto formativo - raffrontando i livelli di uscita con quelli di ingresso - e quindi di apportare tempestivamente gli opportuni correttivi.

- Extrascuola

- Famiglia Verso la famiglia la documentazione svolge un ruolo importante di informazione ma anche di rendicontazione e di sollecitazione partecipativa. Tutto ciò concretizza il diritto dei genitori di conoscere obiettivi, modalità organizzative e operative, percorsi ed esiti rendendo così praticabile l’idea della "trasparenza" gestionale.

- Enti e strutture territoriali Anche qui la circolazione di informazioni può sollecitare una maggiore "attenzione" verso la scuola e verso gli allievi, utenti "deboli" di un servizio che non sempre viene erogato in condizioni soddisfacenti. Ed allora, l’intervento delle formazioni sociali, istituzionali e non, coinvolte nella gestione del fatto educativo, potrebbe essere più tempestivo, incisivo, qualificato.

- Altre scuole L’attivazione di un canale attraverso il quale far passare dati e informazioni alla scuola successiva, diviene un autentico strumento di raccordo. Proprio in questa direzione vanno alcune recenti disposizioni fra cui il D.M. 16 novembre 1992, che propone, fra l’altro, l’istituzione di un Fascicolo personale dell’alunno, il quale, si qualifica come strumento di dialogo istituzionale, pedagogico e professionale fra i diversi gradi scolastici . 3.4. LA DECISIONE Per campo decisionale si intende l’ambito sociale - relazionale - organizzativo in cui la decisione è assunta e su cui la decisione primariamente influisce. Nel caso che ci interessa, il campo decisionale coincide con l’ambito organizzativo dell’unità scolastica. C’è da aggiungere che la decisione presa può avere influenza oltre il circoscritto ambito dell’unità scolastica per raggiungere effetti nel più ampio contesto sociale. Ogni campo decisionale ha una sua strutturazione interna, che è data sia dalle modalità di coordinamento e di controllo in esso esercitate, che dall’insieme di relazioni relativamente stabili fra individui occupanti ruoli interrelati e interagenti tra di loro . Il processo decisionale è lo snodarsi del percorso che porta all’assunzione della decisione. Il problema del prendere decisioni (decision making) assume un rilievo notevole nella prospettiva dell’autonomia e della gestione della complessità. Affrontare e sviluppare il tema obbliga a un passaggio culturale e concettuale per chi, a diversi livelli e responsabilità, sarà chiamato a gestire l’autonomia. Se c’è una dimensione da sottolineare nell’analisi di "decision making", questa è sicuramente la sua complessità. La complessità come pluralità di componenti è una connotazione essenziale, costitutiva di tale processo . La considerazione della complessità del processo decisionale sollecita a prendere atto di tre condizioni che accompagnano ogni processo decisionale.

- Correzione del contenuto della decisione: ogni decisione porta con sé la possibilità di un correttivo, se non in tempi immediati, entro tempi brevi o medi. A livello di organizzazione scolastica ciò deve essere tenuto in evidenza, perché il miglioramento del servizio passa attraverso la graduale, ma puntuale correzione di effetti negativi dovuti a precedenti decisioni ( criteri formazione - classi, chi e come, assegnazione dei docenti, modalità di rapporti con le componenti ecc...).

- La ponderazione: dovrebbe essere un momento freddo del processo decisionale in cui si soppesano nel loro valore gli aspetti a favore e contro l’assunzione di una decisione.

La complessità del soggetto decisionale: è questo il cuore, il nucleo centrale irriducibile della complessità. Si tratti di decisore unico o di decisore collettivo, l’atto di assunzione di una decisione non solo è l’esito finale di un processo articolato, disteso nel tempo, ma è un’operazione che in sé concentra motivazioni e funzioni mentali. E’ attraverso la sintesi integrata di queste molteplici funzioni mentali che la decisione viene assunta . La scuola può essere considerata una "impresa" pubblica con lo scopo di creare le condizioni per il raggiungimento dei fini istituzionali. Questo è il risultato di una capacità di gestione e "controllo" sull’ambiente esterno e quindi di un esercizio del processo di autonomia. In questa prospettiva prende significato la necessità di una forte dimensione data all’organizzazione che deve creare le condizioni per la realizzazione degli scopi e dei progetti in una logica di coerenza ed integrazione. Ogni progettazione richiede l’attivazione di un processo di decisione che consenta di "ritagliare", tra diverse ipotesi, le soluzioni giudicate più opportune. Resta comunque difficile prefigurare con sufficiente precisione gli ambiti e i modi del decidere del Dirigente Scolastico nella scuola dell’autonomia, quando ancora il disegno di quest’ultima è soggetto a una pluralità di sollecitazioni e interpretazioni. Resta comunque utile riferirsi alle modifiche introdotte dal C.C.N.L. o ricavabili dallo schema generale di riferimento della Carta dei Servizi. La situazione attuale forse solo in apparenza si presenta contraddittoria: da un lato, il C.C.N.L. ne arricchisce e rafforza il profilo istituzionale e professionale (promozione e gestione del Progetto di Istituto, titolarità di relazioni sindacali di esame del Progetto di Istituto, titolarità di relazioni sindacali di esame e informazione, ecc.), dall’altro ne limita e restringe la discrezionalità; col Contratto e con la Carta alcune decisioni del tipo - decide da solo - scompaiono sostituite da altre del tipo - decide sulla base di criteri, pareri, proposte - e addirittura - decide in esecuzione di specifiche deliberazioni di un organo collegiale -. Questo fatto è forse meritevole di più approfondite valutazioni alla luce di altre due circostanze: la Carta dei Servizi, con le sue sovrabbondanti doverosità, porta in primo piano la figura del Dirigente Scolastico in quanto promotore delle procedure di elaborazione responsabile degli adempimenti e dei risultati. Il fatto, poi, che questi adempimenti non riguardino solo lui, che i risultati dipendano soprattutto da altri e che egli si scopra titolare di molte responsabilità e di pochi poteri tende ad alimentare vissuti di ansia e di disagio . CAPITOLO IV LA SCUOLA DEGLI ALTRI 4.0 Premessa E’ ormai opinione diffusa che il successo o il fallimento nella gestione della scuola, nell’iniziativa di cambiamento e innovazione, nel controllo dell’efficienza ed efficacia del sistema dipenda in gran parte dal ruolo centrale del dirigente scolastico. E’ il dirigente scolastico l’uomo chiave, il perno, il mediatore tra le richieste dell’utenza e le esigenze della comunità sociale, tra la conservazione del patrimonio del passato e l’urgenza del nuovo che avanza: il nuovo della società postindustriale, post - moderna caratterizzata da automazione, robotizzazione, informatica, telematica che aprono sconfinati orizzonti al mondo del 2000 prossimo venturo. Dirigente dunque di un sistema complesso in una società avanzata dovrà essere corredato di conoscenze e abilità di sapore culturale cosmopolita e di competenze che gli consentano di assumere un ruolo efficiente di stimolatore, conduttore, verificatore dei processi innovativi nel campo educativo - didattico. Da alcuni anni si parla con insistenza del dirigente leader e del dirigente manager. Delineare un profilo di leader - manager significa affrontare le conseguenze di ristrutturazione dell’intero sistema scolastico, significa revisione del sistema organizzativo e graduale superamento dell’elefantiaco modello burocratico per realizzare una ragionevole autonomia delle unità scolastiche in cui una dirigenza scolastica preparata professionalmente e altamente responsabilizzata si rende garante del servizio formativo cui è preposta. In molti paesi europei i compiti ed i poteri dei dirigenti scolastici sono radicalmente cambiati per effetto di una aumentata complessità sia interna che esterna alla scuola. Ciò ha condotto i vari paesi europei a differenti scelte in materia di formazione rivolta ai propri dirigenti scolastici. Ma al di là delle differenze riscontrate da paese a paese si può ritenere che la professionalizzazione dei dirigenti scolastici sia ancora alla sua infanzia in molti paesi anche se, specie nel Nord e Centro Europa, sono state istituzionalizzate attività volte a questo scopo.

4.1 IL CONTESTO EUROPEO E LE SFIDE DEL CAMBIAMENTO Sia l’Atto Unico del 1986, come già il Trattato di Roma 1957, non avevano dato alcuno spazio all’educazione. E’ stato necessario attendere il Vertice di Maastricht 1991, perché si parlasse di educazione e formazione. Ciò permette di comprendere come l’unità culturale dell’Europa occidentale è, oggi, legata ad un obiettivo di politica economica e non trae le sue origini da valori religiosi o da ideologie, come nei secoli passati . Nel Trattato sull’Unione Europea firmato a Maastricht nel 1991 il settore dell’istruzione ha assunto un nuovo ruolo, benché vi sia stata l’opposizione di alcuni Stati e la dissociazione da parte della Gran Bretagna, all’VIII capitolo, si dedica un apposito articolo all’istruzione, formazione professionale e gioventù (art.126), a sostituzione degli artt. 126-127-128 del Trattato di Roma. Vengono precisate le direzioni dell’azione comunitaria: lo sviluppo della dimensione europea nell’educazione; la mobilità di studenti e insegnanti; la cooperazione tra istituti scolastici; lo scambio di informazioni; lo sviluppo dell’istruzione a distanza. "Il Trattato di Maastricht ha delineato il cammino per la creazione della moneta unica europea...i paesi europei devono costruire, accanto alla comunità delle economie integrate, l’Europa delle competenze e della cultura...appare chiara la consapevolezza dell’importanza attribuita alle politiche dell’istruzione e della cultura" . Il problema centrale dell’Europa di oggi non è più quello di assicurare la stabilità, ma l’innovazione continua, e i paesi europei sono consapevoli di questa sfida: è necessario aumentare la capacità di innovazione e di gestione strategica delle strutture e della politica educativa proprio a causa delle trasformazioni che si sono verificate nei sistemi educativi nelle società dei paesi industrializzati . La crescita del benessere, lo sviluppo della vita democratica hanno prodotto una evoluzione del comportamento delle scelte educative. Vi sono dei fattori che spingono ad incentivare i processi di armonizzazione di tutti i sistemi scolastici dell’Unione Europea: una sottoccupazione pesante, il declino della grande industria, le trasformazioni tecnologiche . Si fa strada nell’opinione pubblica la percezione che l’ingresso in una comunità comporti la vera formazione culturale dei cittadini europei, con un impegno costante da parte della scuola e dell’università e degli organismi centrali e periferici, sia dell’amministrazione pubblica che degli enti locali . Come evidenzia O. Bombardelli, è urgente uno sforzo che si ponga come traguardo per tutti i cittadini europei uno stadio soddisfacente di istruzione e di educazione, tenendo sempre conto dell’autonomia dei singoli sistemi scolastici: guidare gli alunni verso conoscenze, abilità e attitudini affinché non si verifichino svantaggi nella vita di adulti, su scala locale, nazionale ed internazionale . Il Consiglio d’Europa ha intrapreso nel 1990 un progetto sull’istruzione secondaria, per permettere di evidenziare sia le difficoltà comuni sia le convergenze e le differenze delle strutture, dei metodi e dei programmi nei diversi stati membri. Un nuovo orientamento, giunto dai paesi anglosassoni e dai paesi in cui maggiore è il decentramento, mira a rendere gli istituti capaci di risolvere i loro problemi e a far si che realizzino un’autoanalisi. In diversi paesi dell’ OCSE sono stati condotti studi su questo problema; Hopkins, autore della sintesi dei lavori, così conclude "...in una prospettiva sociale più ampia, la scuola capace di risolvere i suoi problemi si ispira a quei principi della democrazia, dell’indipendenza e della cooperazione che non si inquadrano nella funzione che la scuola assume abitualmente nell’inserimento sociale" .

4.2. IL RUOLO STRATEGICO DEI CAPI DI ISTITUTO Oggi si conferisce maggiore importanza ai capi di istituto, la loro responsabilità appare sempre più determinante, poiché possono favorire o impedire l’apertura della scuola verso l’ambiente e favorire l’adozione dei metodi didattici più appropriati: ciò richiede al capo di istituto capacità che vanno molto al di là di quelle di un semplice esecutore delle norme burocratiche e amministrative. Per il capo di istituto, possedere capacità relazionali e "politiche", sono indispensabili proprio per il contatto quotidiano con una molteplicità di interlocutori dai bisogni diversi: insegnanti, famiglie, alunni, politici e burocrazia. Si sente la necessità di un cambiamento delle modalità di reclutamento, di selezione di formazione e di valutazione per il capo di istituto . In una azienda multinazionale è possibile progettare la formazione per dirigenti su scala internazionale. Questo risulta più difficile nel settore educativo. Le circostanze in cui si trovano i singoli paesi sono molto differenti tra loro, tuttavia le capacità richieste ad un dirigente industriale sono altresì necessarie ad un dirigente scolastico. Il Progetto ISIP, negli anni tra il 1981 e il 1987, ha dimostrato i diversi modi in cui i politici e formatori devono ampliare le loro attività, per fornire un’adeguata formazione ai dirigenti scolastici. La ricerca dell’ISIP ha sottolineato le seguenti sfide:

- le organizzazioni scolastiche dovrebbero elaborare politiche globali per la selezione e lo sviluppo dei dirigenti scolastici.

- Le linee di sviluppo per i dirigenti scolastici dovrebbero includere un adeguato periodo di apprendimento, un interesse focalizzato su situazioni concrete e la sperimentazione di quanto acquisito, in collaborazione con i colleghi di lavoro.

- All’interno della scuola sono da favorire tutti quei metodi basati sull’esperienza, come per esempio quello dello scambio fra colleghi, quello dei progetti che si fondano sulla ricerca della scuola, l’interscambio delle mansioni e lo sviluppo del lavoro di gruppo.

4.3 FORMAZIONE E SELEZIONE DEI CAPI DI ISTITUTO Le iniziative europee di formazione riflettono, a livello di programmi e di metodologie, i modelli americani. I primi corsi si incentravano sulla formazione a livello amministrativo. In seguito vi fu uno sviluppo verso una formazione più generalmente indirizzata alla leadership, al lavoro di gruppo e alle relazioni interpersonali. Più viene dato potere decisionale alla scuola e più c’è la necessità di dare una formazione che vada oltre l’aspetto amministrativo. Le teorie sullo sviluppo organizzativo hanno influenzato i corsi di formazione europei. Un esempio è riscontrabile nello Hordaland in Norvegia, dove il programma di formazione di questo Paese deriva da idee e modelli americani e di altre nazioni europee. Qui la formazione dei dirigenti scolastici è vista come parte integrante di un programma di sviluppo organizzato che coinvolge la scuola nel suo complesso, e al quale tutto lo staff dell’istituto è subordinato. A Hordaland c’è stato un mutamento di priorità: da una formazione che puntava alla "cooperazione fra gli insegnanti e programmazione del lavoro" ad una "cooperazione nelle classi e sviluppo educativo". In ogni paese vi sono differenze rispetto al ruolo esercitato, ai vari livelli, dagli organismi istituzionali. In molti paesi è il governo centrale che gioca un ruolo primario: avvia nuove iniziative e mobilita il potenziale residente in istituti di formazione, quali l’università, attraverso una varietà di mezzi. L’iniziativa governativa, comunque, varia da Stato a Stato: in Svizzera ed in Germania il governo centrale non ha responsabilità la quale è, invece, nelle mani delle autorità cantonali o federali. In Olanda l’autorità centrale offre sussidi agli istituti di formazione senza avere altre forme di responsabilità. Per contro, nel Lussemburgo il governo centrale riassume in sé tutti i poteri e le responsabilità. In Norvegia il governo ha abbandonato ogni iniziativa centrale di formazione(in servizio) per dirigenti scolastici. Lo "School Leadership Training Program" è interamente gestito dalle università. In Finlandia la situazione è in mutazione essendo state varate nuove leggi che conferiscono consistenti poteri alle autorità locali e alle scuole stesse. Tutti i capi di istituto europei sono reclutati tra gli insegnanti, dove la sola variante è il livello di anzianità richiesto per accedere alla funzione: tre anni in Spagna, cinque in Danimarca, sette in Italia, nessun limite in Gran Bretagna. Solo la Francia sta sperimentando nuove vie per il reclutamento, attraverso stage presso aziende pubbliche e private. Le modalità di nomina in Europa sono varie e possono andare dalla elezione da parte del consiglio scolastico locale per un periodo limitato come in Portogallo e Grecia, alla nomina del Ministero dopo aver superato un concorso come in Belgio o in Italia, fino alla lista di idoneità o la selezione per titoli culturali e professionali da parte delle autorità locali o dai consigli di amministrazione delle scuole, come in Gran Bretagna o in Olanda.

4.4.AUTONOMIA E SISTEMI EDUCATIVI DEI PAESI EUROPEI Connotazione generale dei sistemi educativi dei paesi comunitari pare essere, ormai ovunque, la estensione partecipata dei livelli decisionali, in un quadro di rafforzamento delle autonomie locali delle istituzioni scolastiche. Si assiste, da un lato, al mantenimento a livello statale del controllo su aspetti chiave dei sistemi scolastici, quali:

- l’indicazione delle finalità globali;

- l’individuazione dei curricoli e dei programmi;

- la valutazione complessiva del sistema; dall’altro alla estensione della partecipazione di insegnanti, genitori, studenti, comunità locale nei momenti significativi dei processi formativi, quali:

- la realizzazione degli obiettivi educativi;

- la contestualizzazione dei programmi di insegnamento;

AUTONOMIA DELLE SCUOLE AUTONOMIA ORGANIZZATIVA E FINANZIARIA "L’Education Reform Act" del 1988 ha conferito ai governing bodies delle singole scuole maggiori responsabilità, soprattutto in ambito finanziario, sviluppando una tendenza in tale direzione osservabile già da alcuni anni. Più in particolare, tutte le scuole secondarie e primarie sono divenute direttamente responsabili della gestione dei propri bilanci. Benché l’Autorità educativa locale rimanga formalmente l’ente datore di lavoro degli insegnanti, il governing body è responsabile del reclutamento e della selezione dei docenti e del personale non docente. Il governing body della scuola può decidere di impiegare personale docente od amministrativo aggiuntivo, se ritiene di poter sostenere i maggiori costi che ne conseguono. Il governing body gestisce anche spese derivanti, ad esempio, dalla pulizia e dall’acquisto dei servizi - mensa. Nello svolgimento di tutte le loro funzioni, i governing bodies ricevono assistenza e consulenza da parte delle Autorità educative locali, che rimangono gli interlocutori primari. II genitori degli studenti possono anche richiedere che la scuola dove è iscritto il proprio figlio assuma lo stato di Grant-maintained school e, come già indicato, il Governo appoggia decisamente le richieste in tal senso. Le scuole divenute GM ricevono i finanziamenti pubblici direttamente da un organismo centrale (il Founding Agency for Schools-FAS) senza la mediazione dell’Autorità educativa locale. Gli istituti scolastici che assumono tale status sono, in virtù della loro autonomia, liberi di scegliere se acquistare i servizi scolastici ausiliari (es. refezioni, trasporti, ecc.) dalle Autorità Educative Locali, oppure, rivolgersi ad altre agenzie e/o ditte private promuovendo, in questo ambito, una tensione concorrenziale. In ogni modo, ricevono dal FAS una somma annuale aggiuntiva, che compensa loro della perdita dei servizi centrali, ad esempio, offerti dall’Autorità Educativa Locale. Tutte le scuole che diventano GM sono soggette al rispetto della normativa nazionale relativa al curriculum ed alle modalità valutative standardizzate e devono sottostare all’ispezione. AUTONOMIA DIDATTICA La recente introduzione nel sistema scolastico inglese di un curriculum nazionale e di modalità valutative standardizzate, implica l’obbligo per le scuole pubbliche di offrire ai propri studenti gli insegnamenti delle materie incluse nel curriculum nazionale. L’esistenza di un curriculum nazionale obbligatorio riduce, in qualche misura, l’autonomia didattica di cui, tradizionalmente, godevano le scuole inglesi benché, anche nella situazione precedente all’approvazione della normativa del 1988, la dipendenza delle singole scuole dalle Autorità Locali, sul piano della definizione dei programmi di insegnamento, fosse piuttosto consistente, La legge stabilisce, però, soltanto gli obiettivi ed il contenuto complessivo di ciò che gli studenti inglesi devono studiare, senza indicare quanto tempo deve essere scuole rimangono perciò libere di decidere cime organizzare il proprio orario, quali metodi di insegnamento adottare, quali libri di testo scegliere e possono decidere, quali discipline aggiungere a quelle previste dal curriculum. Infine, le scuole private che non ricevono finanziamenti statali (indipendent schools) non sono vincolate al rispetto delle indicazioni curricolari nazionali, ma il Segretario di Stato al momento di riconoscere e registrare una nuova indipendent school, controlla che la prassi didattica della scuola sia in linea con gli obiettivi espressi nella normativa relativa al curriculum nazionale. Le indipendent schools sono inoltre soggette all’ispezione da parte degli ispettori di Sua Maestà che, anche dopo la revisione recente del sistema ispettivo, hanno mantenuto poteri in tal senso. VALUTAZIONE Al termine di ogni K.S.(*) gli obiettivi previsti per le discipline fondamentali (matematica; scienze; inglese) e per alcune discipline obbligatorie (tecnologia; storia; geografia) sono misurati con test nazionali. II progressi di ogni alunno sono comparati con gli standard nazionali.. La valutazione degli alunni è strettamente connessa con la valutazione del sistema educativo della scuola. Infatti il sistema di valutazione adottato consente la comparazione dei dati locali e nazionali con i dati della valutazione di ogni alunno, la comparazione fra le diverse scuole e nel tempo. Gli alunni della scuola primaria sono inseriti in classi della stesa età e, al termine dell’anno scolastico, essi passano normalmente alla classe successiva. In casi eccezionali, per gravi malattie, per esempio, genitori e scuola decidono che l’alunno trascorra un anno scolastico in una classe speciale. Certe scuole primarie sono organizzate a gruppi misti per età e nel 2° K.S.(7-11) le materie fondamentali possono essere insegnate in classi di livello (diversificate per abilità di apprendimento). Gli insegnanti rimangono nella stessa classe per un anno, nelle piccole scuole essi possono avere la medesima classe per più anni. Alla fine della scuola primaria non ci sono esami finali o certificati. RAPPORTO ANNUALE Al termine dell’anno scolastico è prevista la consegna ai genitori di un Rapporto annuale scritto (Report on individual pupils’ achievement) contenente: il nome del docente con cui discutere i risultati dell’alunno, i progressi dell’alunno sui curricoli, il comportamento, il contributo alla vita della scuola, i progressi su ogni singola disciplina (impegno, eventuali lacune, eccellenza), la frequenza a scuola. Per gli esiti di ogni K.S. il Report fornisce: il livello conseguito nelle prove standardizzate utilizzando la scala 1-10 con riferimento di contenuti-obiettivi specifici di ogni disciplina del N.C.(*) $ ANOT =%.’ RG ; le informazioni comparative sui risultati dei coetanei nella stessa scuola e a livello nazionale (queste ultime sono relative all’anno scolastico precedente). Paesi Bassi

IL FUTURO NEGLI SCHOOL MANAGER FONDAMENTI

LEGISLAZIONE I riferimenti sono: la legge sull’educazione obbligatoria (legge del 1981 in vigore dal 1985); la legge sulla social regeneration (’91), che intende contrastare gli effetti negativi prodotti dalle disuguaglianze sociali, razziali ecc. sui bambini e favorire l’uguaglianza delle opportunità.

AMMINISTRAZIONE La legislazione regola gli standard formativi: strutture dei corsi, durata dei corsi, curricoli, criteri di ammissione degli alunni, esami, requisiti dei docenti. Le scuole primarie sono pubbliche e private. L’educazione privata è fornita al 70% degli alunni di scuola elementare. Le scuole primarie pubbliche sono gestite dai Comuni. Le autorità municipali hanno un doppio ruolo: sono le autorità locali per tutte le scuole del territorio comunale e nello stesso tempo sono le " autorità competenti " ( il consiglio scolastico ) per la gestione pubblica delle scuole. A livello della scuola primaria i compiti delle " autorità competenti " includono: la progettazione, il coordinamento, l’approvvigionamento di attrezzature e materiali, la nomina degli staff scolastici. "L’autorità competente" assume la responsabilità del funzionamento della scuola. La gestione scolastica giornaliera può essere delegata al direttore, tranne le responsabilità ultime che restano della "autorità competente". Dunque l’autorità municipale agisce come "autorità competente" per l’educazione primaria pubblica. Le "autorità competenti" per le scuole private sono i consigli di amministrazione responsabili delle scuole. In Olanda ci sono circa 6300 "autorità competenti" (consigli scolastici ) delle scuole pubbliche e private sono simili. Includono decisioni riguardo a: curricolo; scelta dei materiali per insegnare; progetto educativo; tempi delle lezioni; nomina e licenziamento del direttore, degli insegnanti e dei non - docenti; ammissione ed espulsione degli alunni; uso degli edifici scolastici; tempo - scuola; amministrazione delle risorse finanziarie; apertura delle scuole. Le "autorità competenti" sono responsabili verso il Consiglio comunale.

GESTIONE FINANZIARIA Dal 1983 i finanziamenti sono devoluti alle scuole dalle "autorità competenti" in base a precisi criteri: volume dell’edificio scolastico e sue caratteristiche; numero degli alunni e degli insegnanti; costi di funzionamento. Sono previsti finanziamenti aggiuntivi per progetti didattici particolari ( ad es. tendenti a superare le disuguaglianze sociali, razziali ecc.). I fondi arrivano dunque dal Governo centrale; sono forniti alle scuole pubbliche e private secondo gli stessi criteri. Le scuole primarie ricevono i fondi per coprire i costi degli insegnanti, per la gestione e per il mantenimento delle attività. La maggiore autonomia finanziaria delle scuole implica l’attuazione di una preparazione manageriale per i capi d’istituto e per il personale amministrativo. La prospettiva è quella di pervenire a nuove figure professionali, non derivate dall’insegnamento, gli school manager. All’interno della proposta di legge che promuove il principio della social regeneration ( che si esprime nella volontà di annullare gli effetti negativi delle disuguaglianze di partenza sullo sviluppo dei singoli e sulle scelte formative ) viene recepita la creazione di "fondi locali ad hoc" per interventi che favoriscano il "rinnovamento sociale" da gestire autonomamente da parte delle amministrazioni scolastiche locali e delle scuole stesse.

IL DIRETTORE Il direttore coordina il funzionamento generale della scuola. Ha larga autonomia in materia pedagogica, nella definizione dei programmi, delle metodologie e dell’organizzazione scolastica. Può essere delegato dall’autorità competente per la gestione scolastica. Nelle scuole private insegna, nelle scuole pubbliche oltre i 300 alunni, non insegna.

AUTONOMIA DELLE SCUOLE AUTONOMIA ORGANIZZATIVA E FINANZIARIA Il capo di istituto conduce le singole scuole, primarie e secondarie, pubbliche e private in collaborazione con l’autorità competente. Il capo di istituto ha l’obbligo di coinvolgere insegnanti e genitori nelle decisioni e nell’organizzazione scolastica. All’interno di ogni scuola esiste infatti un Consiglio di cogestione a cui partecipano genitori, studenti e rappresentanti del personale docente e non docente. Le autorità competenti delle scuole pubbliche e private ricevono annualmente dal Comune i finanziamenti statali necessari al funzionamento delle scuole di loro competenza. Negli ultimi anni sta emergendo inoltre la tendenza ad attribuire agli istituti scolastici maggiori responsabilità nella gestione dei propri bilanci; ciò implica che il personale direttivo ed amministrativo riceva una preparazione in qualche misura più orientata in senso manageriale. Come obiettivo a lungo termine e intorno al quale è vivo il dibattito, si prospetta la creazione di nuove figure professionali: gli school manager che non farebbero più parte del personale docente, ma avrebbero capacità gestionali specifiche. Come obiettivo a medio termine si delinea la possibilità di offrire ai capi d’istituto, che attualmente devono possedere la qualifica di insegnante, occasioni di formazione manageriale condotte da esperti del settore. Gli stipendi degli insegnanti, sia di scuola primaria che secondaria, pubblica o privata, sono pagati dallo Stato. Ma in materia di reclutamento, nomina e condizioni di lavoro degli insegnanti sono le autorità competenti che decidono in base alle proposte della scuola. Nonostante l’autorità competente della scuola sia responsabile di nominare il personale docente, di fatto sono gli insegnanti stessi che scelgono i nuovi colleghi. I corsi di formazione per gli insegnanti di tutti gli istituti scolastici, pubblici e privati, sono comunque regolamentati a livello nazionale. AUTONOMIA DIDATTICA Le leggi che regolano l’istruzione primaria e secondaria forniscono indicazioni sul contenuto dei programmi scolastici e stabiliscono un minimo curricolare, che indica le materie che tutte le scuole devono prevedere come obbligatorie (circa 8 per le scuole primarie e 15 per le scuole secondarie ). La normativa non entra però nella definizione dei contenuti specifici delle diverse materie. Le scuole primarie e secondarie preparano annualmente, per l’autorità competente, dei piani di lavoro molto dettagliati che indicano quali contenuti e metodi l scuola propone al fine di realizzare le indicazioni ministeriali. In tali piani di lavoro le scuole hanno il dovere di indicare: metodi didattici, libri di testo, contenuti specifici delle materie obbligatorie e delle materie che le singole scuole scelgono di insegnare a completamento delle discipline previste a livello centrale, organizzazione delle lezioni, misure per gli alunni emigranti ( per es. l’insegnamento nella lingua materna), compiti degli insegnanti, ferie e giorni festivi, sistema di valutazione, ecc. Il piano di lavoro deve essere approvato da un ispettore statale; se emergono problemi o divergenze tra l’ispettore e la scuola, viene coinvolto il Ministero dell’Educazione e Scienza. La produzione di testi scolastici e materiali didattici non è soggetta al controllo statale; spetta all’autorità competente di scegliere i manuali scolastici e i materiali didattici, ma nella pratica, sono gli insegnanti stessi che decidono quali testi e materiali adottare. Inoltre, il personale docente è libero di utilizzare i metodi di insegnamento che ritiene più adeguati. E’ invece il Ministero dell’Educazione e Scienza che stabilisce il programma degli esami di fine studi secondari e che ha, recentemente, introdotto test nazionali per valutare il profitto degli alunni durante la fase terminale dell’istruzione primaria. Gli esami sono gestiti sia dal Ministero dell’Educazione e Scienza che dagli istituti scolastici stessi. Le singole scuole sono infatti responsabili della parte orale dell’esame e della valutazione dei risultati scolastici annuali che, insieme, influiscono sul risultato finale nella misura del 50%. L a parte scritta dell’esame è invece decisa, per tutte le scuole del paese, dal Ministero dell’Educazione e Scienza. Poiché la rilevante autonomia didattica di cui godono le singole scuole, sia primarie che secondarie, può talvolta creare qualche disorientamento e insicurezza da parte delle scuole stesse, queste possono rivolgersi a diversi Istituti con funzioni di consulenza. Tra questi, l’Istituto per lo sviluppo del curricolo (SLO) prepara modelli di programmi scolastici ai quali le scuole, se lo desiderano, possono ispirarsi. Tutte le scuole pubbliche e private primarie e secondarie devono accettare la supervisione dell’Ispettorato dell’Educazione. VALUTAZIONE Ogni scuola è obbligata a produrre un piano di lavoro ogni anno o almeno ogni due anni. Il piano di lavoro viene passato dall’ "autorità competente" all’ispettorato per l’approvazione. In caso di conflitto con l’ispettorato decide il Ministero. Il piano consente di valutare l’insegnamento, gli obiettivi di sviluppo della scuola, l’organizzazione scolastica, il progresso degli alunni. Per la valutazione degli alunni ci sono vari strumenti di controllo di qualità. L’Istituto nazionale per la valutazione e misurazione educativa (CITO ) ha sviluppato un sistema che include l’uso di scale per la valutazione a lungo termine e un sistema manuale e computerizzato per la registrazione dei progressi in lingua, matematica, studi ambientali. I progressi degli alunni possono essere registrati una o due volte l’anno. I punteggi della classe provocano la riconsiderazione dei metodi impiegati dalla scuola nell’ambito dell’autovalutazione della scuola. L’uso del sistema di monitoraggio degli alunni non è obbligatorio per la scuola, ma opzionale. Dal 1970 una nuova versione delle prove di monitoraggio (Primary school leaving examination) è stata pubblicata . Contiene 180 domande relative a lingua, aritmetica, informazioni ambientali. Circa il 60% delle scuole primarie olandesi ha usato nel 1992 questo sistema di monitoraggio. Ogni scuola decide le misure da adottare per favorire gli alunni più deboli (gruppi differenziati; insegnanti di appoggio). Benché sia possibile la ripetenza delle classi, è raro che un alunno ripeta una classe. Nessun certificato o diploma è assegnato al termine della scuola primaria, ma viene consegnato agli alunni un rapporto scolastico, che il direttore compila in accordo con gli insegnanti. Esso descrive il livello individuale dei progressi nell’apprendimento, le capacità potenziali; include i consigli per proseguimento degli studi (consigli non obbliganti per i genitori ).

DANIMARCA VERSO L’AUTONOMIA ATTRAVERSO UN’AMPIA PARTECIPAZIONE FONDAMENTI LEGISLAZIONE Nel 1992 il Governo ha avviato una riforma della Folkeskole che tende a rafforzare la formazione di base degli alunni dai 7 ai 16 anni. Nel 1994 la legge sulla Folkeskole aumenta l’influenza degli Organi scolastici sulla gestione della scuola. ISTITUZIONI Le scuole private sono il 10% di tutte le scuole. Le Folkeskole sono scuole pubbliche comunali frequentate dal 90% degli alunni.

AMMINISTRAZIONE La supervisione e l’amministrazione delle Folkeskole compete al Consiglio comunale. Insieme alla singola Folkeskole il Consiglio comunale decide sull’effettuazione degli obiettivi generali e dei percorsi curricolari stabiliti dal Parlamento e dal Ministero della Educazione. Il Consiglio comunale in particolare provvede a : stabilire il budget di ogni scuola, nominare e licenziare direttore e docenti, decidere sul numero delle scuole e sul numero delle classi di ogni scuola, stabilire il numero delle lezioni; approvare i curricoli proposti dalle singole scuole, decidere il numero dei genitori eletti nel Consiglio scolastico, i membri votanti, la procedura dell’elezione dei rappresentanti nel Consiglio scolastico. Il Consiglio scolastico conduce le attività in conformità con gli obiettivi stabiliti dal Consiglio comunale. In particolare: approva il budget della scuola e i materiali per insegnare; definisce le regole della scuola; traccia proposte per i curricoli delle materie d’insegnamento da sottoporre al Consiglio comunale; decide sull’organizzazione dell’insegnamento, sul numero delle lezioni nelle classi di ogni livello scolastico, sulle materie opzionali, l’educazione speciale nella scuola, la distribuzione degli alunni nelle classi; cura i rapporti scuola - genitori; informa i genitori sui progressi a scuola degli alunni. Il Consiglio scolastico è composto al massimo da 13 membri: 2 insegnanti; 2 studenti (eletti dai più grandi); 1 rappresentante del Comune; il direttore; 7 genitori. Altro organo è il Consiglio pedagogico, composto dagli insegnanti in servizio nella scuola, organo consultivo nei riguardi del direttore. IL DIRETTORE Il direttore è responsabile delle attività amministrative e pedagogiche della scuola nei riguardi del Consiglio scolastico e del Consiglio municipale; supervisiona i carichi di lavoro e la loro distribuzione tra il personale scolastico; prende le decisioni da presentare al Consiglio scolastico e sulla portata del budget da assegnare alla scuola da parte del Consiglio comunale. Dirige la gestione economica. Il direttore si avvale della collaborazione del Consiglio pedagogico. GESTIONE FINANZIARIA Lo Stato sovvenziona tutti gli istituti di educazione e di formazione di contea, municipali e privati. Il parlamento decide come distribuire i fondi pubblici tra i vari tipi di istituzioni educative. Le istituzioni educative gestite dalle Contee o dalle associazioni private ricevono notevoli fondi direttamente dallo Stato: le prime ricevono il 100% del budget previsto per le singole istituzioni; le seconde l’85%. Le scuole comunali hanno il 100% dei fondi statali, ma non li ricevono direttamente dallo Stato. I Comuni ricevono dallo Stato il denaro destinato all’educazione in blocco unico. I Consigli comunali decidono il budget da assegnare ad ogni scuola. Il Consiglio scolastico approva il budget così come proposto dal direttore. AUTONOMIA DELLE SCUOLE Nonostante la presenza dei Dipartimenti comunali nella gestione delle singole scuole pubbliche, queste ultime godono di autonomia, amministrativo/finanziaria e, soprattutto, didattica. Tale autonomia si esprime nel diritto/dovere che le scuole hanno di proporre iniziative sul piano organizzativo e didattico ai propri Dipartimenti comunali ( spesso indirettamente tramite i Comitati educativi ). AUTONOMIA ORGANIZZATIVA I Comuni sono gli enti principalmente responsabili della gestione finanziaria delle Folkeskole in quanto ricevono dallo Stato finanziamenti annuali che, a loro volta, distribuiscono agli istituti scolastici. Lo Stato finanzia completamente l’istruzione obbligatoria pubblica. Compete agli school boards l’approvazione del budget della scuola, proposto dal Capo d’Istituto. Benchè l’utilizzazione da parte delle scuole dei fondi pubblici sia vincolata al rispetto delle indicazioni espresse dai Comuni, per legge gli school boards che lo desiderano, hanno il diritto di richiedere al proprio Comune una quota di finanziamento da gestire autonomamente. Gli insegnanti sono nominati dal Comune su proposta del Comitato educativo; i loro requisiti professionali, così come i criteri pensionistici, sono stabiliti a livello centrale/ministeriale. AUTONOMIA DIDATTICA In ambito didattico, la presenza ministeriale si esprime nella definizione delle materie di base che le singole scuole devono offrire (da 6 a 10 a seconda degli anni scolastici). Il Ministero dell’Educazione fornisce inoltre un elenco delle discipline che possono essere insegnate dalle scuole. Nel rispetto delle indicazioni espresse dal Ministero dell’Educazione, gli istituti scolastici sono autonomi nel decidere i contenuti delle materie di insegnamento (questa autonomia è più ridotta relativamente alle materie oggetto di esame), quali discipline proporre come opzionali, quali mezzi didattici e libri di testo adottare. I protagonisti di tale autonomia sono l’organo gestionale della scuola, gli studenti ed il proprio organo rappresentativo, i genitori e gli insegnanti. Questi ultimi, insieme agli studenti, hanno inoltre l’obbligo di partecipare alla progettazione curricolare; a tale scopo ogni settimana viene dedicata un’ora alla discussione in classe di ipotesi didattiche, temi di interesse curricolare, ecc. Al Comune spetta il compito di approvare il "piano didattico" proposto dalla singola scuola e di trasmetterlo, per conoscenza, alla Contea. VALUTAZIONE Per gli esami vale il principio della promozione automatica da una classe all’altra della Folkeskole. L’esame conclusivo dell’istruzione obbligatoria, al termine della Folkeskole,è facoltativo; l’alunno decide il numero delle discipline del suo esame .in ogni caso, al termine della Folkeskole, ci si può iscrivere liberamente alle scuole secondarie superiori. Non vengono dati voti dalla 1° alla 7° classe (dai 7 ai 114 anni), ma le scuole sono tenute ad informare regolarmente (almeno due volte l’anno) alunni e genitori sui progressi degli alunni in base al lavoro scritto e orale effettuato durante l’anno. In 8°, 9°, 10° classe sono assegnati voti da 0 a 13 in quelle materie nelle quali è stato sostenuto un esame. Non ci sono tuttavia esami obbligatori. Possono essere dati voti da 0 a 13, ma non esiste un voto minimo per passare. Dal 1988 il Ministero ha attivato il "Progetto di sviluppo in contenuto e qualità", che partecipa alla ricerca OCSE sugli indicatori di qualità nell’istruzione. Nell’ambito di tale progetto di sviluppo, vi sono: guide per la valutazione consistenti in libretti informali pubblicati dal Ministero e relativi all’amministrazione scolastica, alla valutazione dei processi di apprendimento, alla collaborazione scuola-famiglia; esami orali con esaminatori esterni, iniziati dal 1990; valutazione della scuola con partecipazione esterna: nel 1991 il Ministero ha avviato un progetto pilota con lo scopo di sviluppare metodi e procedure per la valutazione esterna delle scuole. La valutazione ministeriale copre tutte le attività scolastiche ed è stata vista come la base per lo sviluppo della scuola. Belgio LA DIFFICILE AUTONOMIA FONDAMENTI LEGISLAZIONE La legge - base dell’istruzione è detta "Pact scolaire" (1959); le sue principali disposizioni sono state riprese nella "Revisione Costituzione" (anno 1988). Dal 1989 le tre Comunità dello Stato federale belga (francese, fiamminga e tedesca) sono pienamente responsabili dei loro sistemi scolastici nel rispetto dei principi costituzionali. Il trasferimento dei poteri in materia di educazione dallo Stato alle Comunità è avvenuto tra l’80 e il ’90. ISTITUZIONI Nell’anno scolastico 90/91 nella Comunità fiamminga il 70% degli alunni frequentava la scuola privata; nella Comunità francese, il 50%; nella Comunità tedesca, il 25%. La scuola privata è organizzata dai privati e sovvenzionata dalla Comunità (è scuola privata sovvenzionata). Oltre alle scuole private sovvenzionate esistono due reti di scuole pubbliche: la rete delle scuole istituite dalle Comunità e la rete delle scuole provinciali e comunali sovvenzionate. AMMINISTRAZIONE Nelle scuole sovvenzionate pubbliche e private l’amministrazione è tenuta dai "poteri organizzatori" (detti pouvoirs organizateurs, organizing bodies ecc.). Nella rete di educazione pubblica sovvenzionata i "poteri organizzatori" godono di ampia autonomia nelle scelte di politica scolastica. Nella rete di educazione privata sovvenzionata l’autonomia à uguale a quella della rete di educazione pubblica. Entrambi i tipi di scuola hanno un organo di partecipazione, il Consiglio di partecipazione, composto da rappresentanti del "potere organizzatore", dei genitori, degli insegnanti e della comunità locale. E’ un organo consultivo che fornisce avvisi e informazioni sull’organizzazione generale della scuola, sulla programmazione scolastica, sui criteri di valutazione degli alunni, sui criteri con i quali viene applicato il sistema detto di "capital - periodes" (la cui nozione è stata definita dalla legge 30.8.84). Sul sistema di "capital - periodes" sono fondati gli standard di rapporto numerico insegnanti - alunni nella scuola materna e primaria. Gli standard dei "capital -periodes" fissano un certo numero di "periodi" a disposizione della scuola in rapporto col numero totale degli alunni. Ogni unità di 24 "periodi" dà diritto ad un insegnante ad orario completo. Il sistema permette alla scuola di adattare la sua struttura al numero degli alunni. Sono previste integrazioni al capital periodes della scuola in base a progetti specifici (ad es. recupero in lingua). I "poteri organizzatori" dell’educazione pubblica sovvenzionata sono le Province e i Comuni. Ciascuno di essi dirige una o più scuole "in rete". I "poteri organizzatori" dell’educazione privata sono i legali rappresentanti delle scuole interessate. GESTIONE FINANZIARIA La Comunità francese copre tutti i costi dell’educazione comunitaria; sovvenziona l’educazione pubblica e privata in base al livello scolastico (primario, secondario ecc.), al numero degli alunni ecc. I sussidi coprono in tutto o in parte gli stipendi degli insegnanti, le spese di funzionamento, le spese di costruzione e sviluppo nei limiti stabiliti. La Comunità Germanofona provvede a tutte le spese scolastiche per l’educazione pubblica e privata. I sussidi coprono in tutto o in parte: gli stipendi; le spese di funzionamento; le spese di costruzione e sviluppo. Il finanziamento in parte si basa sul rapporto alunni - insegnanti, così come regolato dal sistema del "capital - periodes". Nella Comunità fiamminga l’educazione è materia comunitaria. Nelle Fiandre infatti la Comunità e la Regione coincidono politicamente e quindi tutte le materie comunitarie e regionali sono finanziate in toto dalla Regione e dalla Comunità. In aggiunta alle erogazioni comunitarie sono forniti contributi rispettivamente dalle Provincie e dai Comuni, per l’educazione pubblica sovvenzionata, dalle persone private e dalla organizzazioni per l’educazione privata sovvenzionata. AUTONOMIA NELLE SCUOLE Nelle scuole comunitarie della Comunità fiamminga la presenza dell’amministrazione pubblica è a livello locale. Nelle scuole delle Comunità francese e tedesca la presenza dell’amministrazione centrale è molto consistente; nelle scuole sovvenzionate tale presenza è invece molto ridotta, ma tale minor presenza non si traduce in spazi di maggiore autonomia per le singole scuole. Queste ultime dipendono infatti fortemente dalla proprio autorità responsabile (pouvoirs organisateurs) che occupa gli spazi nei quali la Comunità non è intervenuta. AUTONOMIA ORGANIZZATIVA E FINANZIARIA Sia per le scuole statali, cioè comunitarie, che per le scuole sovvenzionate, la Comunità stabilisce annualmente una quota di finanziamento che copre tutte le spese di gestione e di funzionamento delle singole scuole. L’entità economica dei fondi statali dipende in massima parte dal numero di studenti iscritti. Le scuole statali hanno margini di autonomia finanziaria ridotti in quanto la ripartizione delle spese è regolata a livello centrale. Negli ultimi anni ai Capi di Istituto delle scuole secondarie statali sono stati attribuiti maggiori poteri nella gestione della quota annuale di finanziamento pubblico: è perciò possibile riconvertire soldi risparmiati, ad esempio, nelle spese di funzionamento, nell’acquisto di attrezzature o materiale didattico. Le diverse autorità responsabili (pouvoirs organisateurs) delle scuole sovvenzionate godono di maggiore autonomia finanziaria in quanto possono decidere come utilizzare la somma di finanziamento statale annualmente concessa alle scuole di loro competenza (previo il rispetto di alcune condizioni generali stabilite dalla legge). I pouvoirs organisateurs sono infatti liberi di acquistare il materiale didattico che preferiscono, ma nell’effettuare spese relative alle attrezzature, mobilio, ecc., le autorità responsabili devono adeguarsi alle procedure definite dal Ministero dell’Educazione indicendo, ad esempio, gare di appalto. Qualora la quota di finanziamento statale non fosse sufficiente, l’autorità della scuola può cercare altri sponsor. In materia di nomina e reclutamento del personale docente ed amministrativo, le scuole statali primarie e secondarie dipendono interamente dal potere centrale che regolamenta e gestisce tali aspetti. Nelle scuole sovvenzionate, le rispettive autorità responsabili mettono in atto le disposizioni legislative che regolano la materia a livello comunitario; in pratica, i diversi pouvoirs organisateurs si occupano di reclutare e nominare il personale docente e amministrativo, ma nello svolgimento di entrambe queste funzioni, sono soggetti al controllo statale. Gli insegnanti sia delle scuole comunitarie, sia di quelle sovvenzionate sono direttamente retribuiti dalla Comunità; anche il personale non docente delle scuole statali è stipendiato dallo Stato, mentre quello impiegato nelle scuole sovvenzionate è retribuito dall’autorità responsabile della scuola che a tal fine, utilizza i fondi comunitari. La possibilità di stipulare contratti con personale esterno o con organizzazioni particolari non è regolata da nessuna legge o disposizione; qualsiasi rapporto con enti o persone esterne alla scuola si realizza su base volontaria senza contributi statali. IL DIRETTORE Il direttore nella Comunità francese è responsabile dell’amministrazione e della gestione della scuola nel rispetto della direttiva ministeriale. Assume il budget assegnato alla scuola con un margine di autonomia. Coordina e anima gli insegnanti con autonomia abbastanza grande. Non insegna, salvo che nelle scuole con meno di 180 alunni. Valuta i suoi colleghi insegnanti. Nella Comunità fiamminga è responsabile dell’amministrazione. Decide insieme al "Potere organizzatore" l’uso del budget assegnato. Alla fine dell’anno scolastico invia al "Potere organizzatore" la situazione finanziaria e la proposta di budget per l’anno successivo. Coordina e anima gli insegnati con un certo margine di autonomia. Valuta i suoi colleghi insegnanti. Non insegna, salvo che nelle scuole con meno di 180 alunni. VALUTAZIONE Per seguire i progressi degli alunni, i maestri praticano regolarmente la valutazione formativa, che permette di superare le difficoltà eventuali di apprendimento. Alla fine dell’anno scolastico l’insegnante procede alla valutazione sommativa, che permette di fare il punto sulle competenze acquisite da tutti gli alunni della classe e di valutare in tal modo l’efficacia dell’insegnamento. E’ possibile che un alunno ripeta una classe, ma è raro che ripeta più di un anno durante la scuola primaria. Alunno e genitori sono informati regolarmente dei risultati periodici, del comportamento e dello sviluppo personale dell’alunno. Gli alunni che hanno difficoltà di apprendimento possono ricevere assistenza speciale e individualizzata da un insegnante di sostegno. Al termine dei sei anni di scuola primaria gli alunni ricevono il certificato di educazione primaria. Spagna DECENTRAMENTO E PARTECIPAZIONE FONDAMENTI LEGISLAZIONE I riferimenti sono: la legge organica (LODE) del 1985; la legge organica (LOGSE) del 1990 che ha ridisegnato la struttura dell’istruzione. La legge sarà applicata in 10 anni. ISTITUZIONI Nell’anno scolastico 1991-1992 le scuole private materne ed elementari sono state frequentate dal 50% degli alunni. Le scuole private sono divise in : sovvenzionate e non sovvenzionate. Le scuole sovvenzionate soddisfano i requisiti previsti dalla legge per accedere e mantenere il regime di sovvenzione. AMMINISTRAZIONE I Comuni sono gli enti proprietari delle scuole pubbliche che forniscono l’educazione di base; essi sostengono le spese di mantenimento e funzionamento. Le scuole pubbliche e le scuole private sovvenzionate hanno organi collegiali come: il Consiglio scolastico formato dal direttore e dai rappresentanti dei genitori, degli insegnanti, del personale amministrativo. Nel Consiglio scolastico delle scuole pubbliche è presente inoltre un amministratore del Comune; in quello delle scuole private sovvenzionate il rappresentante dell’ente proprietario della scuola. Il Consiglio scolastico ha queste funzioni: eleggere il direttore; approvare il Regolamento interno; approvare il piano annuale della programmazione didattica; approvare il bilancio scolastico; il Collegio pedagogico, che è il responsabile dell’azione didattica ed è composto dagli insegnanti. IL DIRETTORE Il direttore è il responsabile finale delle decisioni amministrative, economiche, pedagogiche, prese nella scuola. Ha tuttavia più aspetti di animatore che di amministratore. Esegue le decisioni degli Organi Collegiali. E’ responsabile della gestione finanziaria. Presiede il Consiglio scolastico. Gestione finanziaria All’interno del Consiglio scolastico una Commissione economica, composta dal direttore, da un insegnante, da un genitore e da un rappresentante del Comune, approva il preventivo di spesa. Anche nelle scuole private sovvenzionate il Consiglio scolastico risponde del budget annuale ricevuto dall’autorità pubblica. AUTONOMIA DELLE SCUOLE AUTONOMIA ORGANIZZATIVA E FINANZIARIA In base alla Legge organica all’educazione del 1985, alla successiva normativa integrativa ed alla Legge organica per il riordino generale del sistema educativo del 1990, ogni scuola spagnola primaria e secondaria pubblica (centros publicos) o privata che riceve finanziamenti pubblici (centros concertodos), deve avere organi così articolati:

- organi uni - personali (Direttore, Segretario/Amministratore, Coordinatore degli studi);

- organi collegiali (il consejo escolar ed il cosiddetto Claustro de Professores) Il consejo escolar viene eletto ogni due anni, è presieduto dal Capo di istituto e composto da rappresentanti dei genitori, degli insegnanti, degli studenti e del personale amministrativo operante nella scuola. Inoltre, mentre un amministratore municipale è presente nell’organo gestionale degli istituti scolastici pubblici, nel consejo escolar delle scuole private sovvenzionate è rappresentata la persona o l’ente proprietario della scuola. Il personale docente è organizzato in un consiglio, il Claustro de Professores, che elegge i propri partecipanti all’organo gestionale. Le funzioni attribuite al consejo escolar sono le seguenti:

- eleggere il capo di istituto (la scelta avviene tra docenti di ruolo);

- approvare il regolamento scolastico interno;

- risolvere problemi disciplinari;

- definire le attività didattiche extrascolastiche che prevedono la collaborazione con altre scuole;

- supervisionare il funzionamento della scuola;

- valutare e dare il proprio assenso al piano annuale di programmazione didattica;

- approvare il bilancio della scuola. In materia di gestione finanziaria, all’interno del consejo escolar delle scuole pubbliche è presente una Comision Economica, composta dal Capo di Istituto, da un insegnante, da un genitore e da un rappresentante dell’autorità municipale. Tale Commissione discute ed approva il preventivo di spesa annuale, precedentemente preparato dal segretario della scuola. Il Capo di Istituto è responsabile delle spese effettuate e della loro compatibilità con il budget della scuola. Anche nelle scuole private che ricevono finanziamenti pubblici, l’organo di gestione deve approvare un budget annuale e rispondere presso l’autorità pubblica che concede i fondi. Le scuole private che non ricevono danaro pubblico e che si finanziano soprattutto tramite tasse scolastiche a carico delle famiglie, godono di completa autonomia finanziaria. Le scuole pubbliche, primarie e secondarie, non hanno nessun potere relativo al reclutamento ed alla determinazione degli stipendi del personale docente e non docente, in quanto tali aspetti competono all’amministrazione centrale o alle Comunità Autonome con poteri amministrativi trasferiti. Nelle scuole private sovvenzionate, l’organo di governo è invece coinvolto nella selezione del personale insegnante. La nomina del nuovo docente è fatta da un comitato composto dal Capo di istituto, da alcuni insegnanti ed alcuni genitori. L’organo gestionale è inoltre responsabile del licenziamento del personale operante presso la propria scuola. AUTONOMIA DIDATTICA Il Ministro dell’Educazione e Scienza come garante dell’unitarietà di base del sistema educativo, definisce dei percorsi minimi curricolari (ed i relativi orari di insegnamento) che tutte le scuole primarie e secondarie devono seguire. Le Comunità autonome con poteri trasferiti completano, rispettandole, le indicazioni curricolari ministeriali: preparano infatti i programmi di insegnamento per le scuole del proprio territorio, dettagliandone i contenuti ed adeguandoli ai diversi contesti regionali. Gli istituti scolastici che invece non fanno parte di tali Comunità adottano i programmi completi elaborati a livello ministeriale/centrale. L’autonomia didattica di cui godono le singole scuole riguarda per lo più la definizione delle materie facoltative e l’organizzazione di attività culturali scolastiche ed extrascolastiche. Responsabile del lavoro didattico svolto dalle singole scuole è il Claustro de Professores, composto dagli insegnanti. I genitori degli studenti, oltre ad essere rappresentati nel consiglio scolastico, partecipano, attraverso le proprie associazioni all’organizzazione di attività culturali, extrascolastiche, ricreative e sportive. Talvolta, le associazioni dei genitori decidono di assumere, retribuendolo con fondi propri, personale specializzato (ad esempio psicologi, igienisti...) per svolgere fuori dall’orario scolastico, attività particolari. Recentemente, nel settore relativo alla formazione professionale, accordi tra il Ministero dell’Educazione e Scienza e il Ministero del Lavoro hanno concesso ai singoli istituti professionali il potere di decidere, insieme con le aziende, quali corsi di formazione offrire ai propri studenti. VALUTAZIONE La valutazione degli alunni è continua. In linea di principio gli alunni sono promossi automaticamente da un ciclo all’altro. Se i risultati sono soddisfacenti è tuttavia prevista la permanenza in un ciclo per uno o più anni; la ripetenza è comunque eccezionale. E’ previsto l’adattamento del curricolo ai bisogni formativi individuali e un insegnamento aggiuntivo nei casi di alunni con difficoltà a seguire gli obiettivi programmati. Il Real Decreto 18 giugno 1993 ha disposto la creazione dell’Istituto nazionale per la qualità e la valutazione, preposto alla valutazione del sistema scolastico. Portogallo VERSO IL RINNOVAMENTO E L’AUTONOMIA FONDAMENTI LEGISLAZIONE I riferimenti sono: la Lei de bases che informa il sistema scolastico-1986; la Legge organica che promuove la ristrutturazione decentrata dell’amministrazione scolastica-1987. Viene varato il Programma di sviluppo educativo del Portogallo nel 1990. AMMINISTRAZIONE Il Consiglio scolastico nomina il direttore, approva il Progetto educativo della scuola e il suo Regolamento interno; approva la bozza di budget annuale ecc. E’ composto dal direttore e dai rappresentanti dei docenti e non - docenti, dei genitori, del Consiglio comunale. Il Consiglio pedagogico prepara tutti i documenti relativi alle attività educative della scuola: il Progetto educativo; le proposte di tutte le attività curricolari ed extra - curricolari; le attività di sostegno e di valutazione degli alunni. E’ composto dai rappresentanti di insegnanti e genitori, dal direttore e dai servizi psicologici. Il Consiglio di amministrazione provvede all’amministrazione finanziaria. IL DIRETTORE Il "direttore esecutivo"(come si chiama) esegue le decisioni collegiali. Prepara il budget previsionale che dovrà essere approvato. Coordina l’attività del consiglio pedagogico e provvede all’esecuzione delle sue decisioni. Il "direttore esecutivo" non insegna. GESTIONE FINANZIARIA L’educazione è essenzialmente finanziata dal Ministero dell’educazione, il quale assegna i fondi ai servizi centrali e regionali. I Comuni sono in parte responsabili per le spese scolastiche e di costruzione di base, per trasporti ed attività extra-curriculari. AUTONOMIA DELLE SCUOLE AUTONOMIA ORGANIZZATIVA E FINANZIARIA La Legge di base ha stabilito che ogni scuola pubblica sia gestita da un proprio organismo, al cui interno i rappresentanti degli insegnanti, del personale non docente e (limitatamente alle scuole secondarie) degli studenti, siano eletti democraticamente. In attesa di realizzare il contenuto della nuova normativa, le scuole primarie sono oggi gestite dal Direttore e dal Consiglio scolastico, composto unicamente dai docenti della scuola. Il Consiglio elegge il Direttore, si esprime su questioni a carattere didattico - pedagogico (stabilisce, tra l’altro i criteri da seguire nel valutare il rendimento degli alunni) e collabora con il servizi educativi regionali e municipali. I compiti del Direttore consistono nel presiedere le riunioni del Consiglio scolastico, mantenere la disciplina esercitando il controllo sugli alunni e sul personale docente e ausiliario, applicare le leggi ed i regolamenti nazionali e collaborare con il servizi educativi locali. Nelle scuole secondarie non esiste un organo di gestione unico, al suo posto operano tre organismi distinti, gli organi responsabili del funzionamento degli istituti scolastici sono: il Consiglio direttivo, il Consiglio pedagogico, ed il Consiglio amministrativo. Al Consiglio pedagogico partecipano, oltre ai docenti, il personale incaricato di svolgere attività di orientamento, alcuni rappresentanti degli studenti ed i membri che presiedono il Consiglio direttivo. Le competenze sono di tipo didattico/formativo (ad esempio: valutare il rendimento scolastico degli studenti e definire il piano annuale di formazione in servizio degli insegnanti). Il Consiglio direttivo rappresenta l’organo decisionale ed è composto da 3 o 5 insegnanti, da un rappresentante del personale amministrativo e da due rappresentanti degli studenti. Questi eleggono un presidente, un vice ed un segretario, tra i membri del personale docente. Il Consiglio direttivo si occupa dell’organizzazione scolastica e dalla gestione amministrativa (risorse umane, risorse economiche, servizi di supporto, ecc.). Collabora inoltre con i servizi educativi locali e centrali e fa il preventivo delle spese annuali della scuola. Al Consiglio di Amministrazione spettano esclusivamente compiti di tipo economico - finanziario: composto dai dirigenti del Consiglio direttivo e dal funzionario amministrativo di massimo grado presente nella scuola, deve infatti assicurare che la gestione finanziaria dell’istituto sia conforme alle direttive centrali in materia di spesa pubblica. Nel maggio 1988, cento scuole primarie e secondarie hanno partecipato ad un progetto sperimentale che ha permesso loro di gestire autonomamente una somma distribuita in modo forfettario dall’amministrazione centrale. Obiettivo della sperimentazione, è stato quello di accertare se ed in quale misura, da una maggiore autonomia finanziaria attribuita alle scuole consegua un’utilizzazione più razionale ed efficace delle risorse disponibili, nonché un contenimento della spesa pubblica per l’istruzione. AUTONOMIA DIDATTICA Nell’attuale fase di profondo rinnovamento, attraversata dal sistema educativo portoghese, non è possibile conoscere nel dettaglio i margini di autonomia didattica oggettiva di cui, nel sistema rinnovato e messo a regime, godranno le scuole che offrono educazione di base ed istruzione secondaria. La Legge del 1986 stabilisce che i curricoli dell’educazione di base siano definiti a livello ministeriale ma abbiano carattere di flessibilità e possano essere perciò in qualche misura adattati, dalle singole scuole, ai diversi contesti e bisogni locali. Gli interventi ministeriali in materia di programmazione, organizzazione delle lezioni e metodi di insegnamento si prevede abbiano carattere indicativo e orientativo. VALUTAZIONE La valutazione degli alunni è formativa e sommativa. La valutazione formativa è descrittiva ed è basata sulle relazioni degli insegnanti. Tende ad informare alunni e genitori sulla qualità dell’insegnamento e dei processi di apprendimento. La valutazione sommativa nel 1° ciclo è descrittiva; nel 2° e nel 3° ciclo è espressa con una scala a 5 punti ( da 1 a 5 ) ed è accompagnata da una sintesi dei commenti descrittivi inseriti nei documenti scolastici come risultati del processo di valutazione formativa. Gli alunni possono ripetere l’anno o seguire un piano specifico di recupero. Al termine dell’educazione di base viene rilasciato il relativo certificato (diploma do ensino basico). Francia AUTONOMIA E PROPOSITIVITA’ FONDAMENTI LEGISLAZIONE Risalgono al 1982-1983 le leggi fondamentali sulla decentralizzazione (trasferimento di competenze amministrative in materia dalla Stato a Regioni, Dipartimenti, Comuni). E’ del 1989 la Loi d’orientation: la legge quadro che pone l’educazione come assoluta priorità per lo Stato. AMMINISTRAZIONE Le scuole primarie sono organizzate e amministrate dai Comuni; non hanno personalità giuridica. I Comuni sono proprietari degli edifici e provvedono al loro arredo e alla manutenzione. ORGANI COLLEGIALI Consiglio della scuola, formato da: il direttore, un rappresentante del Comune; insegnanti, maestri di sostegno, genitori, un rappresentante dell’ispettorato dipartimentale. Su proposta del direttore, il Consiglio della scuola si occupa di :approvare il Regolamento interno, l’orario scolastico e il Progetto della scuola ecc.; Consiglio degli insegnanti composto dagli insegnanti della scuola. Le scuole private non sono sovvenzionate e sono frequentate dal 17% di tutti gli alunni, dalla prescuola alla scuola secondaria. GESTIONE FINANZIARIA Le scuole primarie sono poste sotto il diretto controllo dei Comuni che stabiliscono ed amministrano il loro budget. Le decisioni finanziarie che toccano queste scuole sono prese dai Consigli Comunali locali. Lo Stato è responsabile dell’impiego degli insegnanti. La decisione di creare una nuova scuola o una nuova classe non può avere effetto senza l’approvazione del rappresentante dello Stato. Questo potere è pertanto diviso in realtà tra lo Stato e il Comune. IL DIRETTORE Sul piano amministrativo il direttore assicura l’esecuzione delle direttive ministeriali; prepara i lavori di Consiglio scolastico. E’ un organo esecutivo. Prende cura dell’esecuzione del progetto educativo elaborato dagli insegnanti e approvato dal consiglio della scuola. Coordina l’attività degli insegnanti senza intervento reale sul loro lavoro. Non insegna. AUTONOMIA DELLE SCUOLE AUTONOMIA ORGANIZZATIVA E FINANZIARIA Le scuole primarie che, a differenza delle scuole secondarie non hanno personalità giuridica, non godono di alcuna autonomia finanziaria. Sul piano amministrativo, le scuole primarie dipendono dall’Ispettore Dipartimentale dell’Educazione Nazionale, il quale insieme all’Ispettore d’Academie esercita le funzioni di controllo. Il Comune è l’Ente locale proprietario degli edifici che ospitano le scuole primarie e contribuisce al loro allestimento, manutenzione, ecc. La direzione compete ad un direttore, nominato dall’Ispettore d’Academie, il quale ha responsabilità relative per lo più ad aspetti organizzativi (ad esempio: definisce sono presenti un Consiglio dei Maestri che rappresenta il personale docente, ed un Consiglio della scuola composto da soggetti diversi: il Direttore, il Sindaco, i genitori, gli insegnanti, Ispettori Dipartimentali, personale del servizio socio - sanitario. Il personale docente ed amministrativo impiegato nelle scuole è reclutato, nominato e stipendiato dallo Stato. La Loi d’orientement del 1989 ha inoltre promosso la fondazione degli Istituti Universitari per la formazione dei docenti (IUFM) volti a migliorare la preparazione e il reclutamento degli insegnanti. La gestione delle scuole secondarie inferiori e superiori da parte, rispettivamente, di dipartimenti e regioni, ne ha modificato lo stato giuridico. Ad ogni istituto di istruzione secondaria (inferiore e superiore)è stata inoltre attribuita personalità giuridica. Il Governo delle scuole secondarie inferiori e superiori spetta al Capo di Istituto ed al Consiglio di Amministrazione. Il Capo di Istituto, sia dei Collèges che dei Lycèes, è nominato dal Ministro dell’Educazione Nazionale, esprime la Presenza dello Stato all’interno della scuola ed è la persona delegata ad applicare le sue direttive. Egli svolge infatti una serie di compiti chiave nel funzionamento della scuola, nell’esercizio dei quali è assistito da personale aggiunto nominato dal Ministro; presiede inoltre le riunioni del Consiglio d’Amministrazione e ne rende esecutive le decisioni. In materia di gestione finanziaria (ad esclusione della remunerazione degli insegnanti che compete allo Stato) i Capi di Istituto delle scuole secondarie inferiori e superiori preparano annualmente un progetto di spesa che tiene conto delle indicazioni espresse in sede di Consiglio dall’Ente Locale responsabile. Tale progetto di spesa viene discusso ed approvato dal Consiglio di Amministrazione. Il budget finale, con l’indicazione dei capitoli di spesa è poi notificato all’Ente Locale nonché a rappresentanti dell’autorità statale. Relativamente agli aspetti organizzativi il Capo di Istituto e il Consiglio d’Amministrazione delle singole scuole hanno margini di autonomia che riguardano:

- modalità di ripartizione degli studenti (in classi, gruppi, od altro) e modalità di organizzazione della scuola;

- modalità di utilizzazione delle ore che gli insegnanti mettono a disposizione della scuola;

- organizzazione del tempo scolastico;

- definizione, tenuto conto dei contesti locali, di attività di formazione complementari e di formazione continua destinate a giovani e adulti;

apertura dell’Istituto all’ambiente sociale, culturale, economico nel quale è collocato. AUTONOMIA DIDATTICA I programmi di insegnamento delle scuole primarie e secondarie (inferiori e superiori) sono definiti a livello ministeriale ed i direttori e i capi di istituto sono responsabili della loro attuazione. Mentre le scuole primarie sono autonome soltanto nella scelta dei metodi didattici i Collegèes e i Lycèes godono di una autonomia didattica che, oltre alle metodologie di insegnamento riguarda l’introduzione nei programmi scolastici di materie di studio particolari, complementari a quelle stabilite a livello ministeriale e l’organizzazione di attività educative facoltative. Al fine di promuovere una maggiore diversificazione nei contenuti e metodi di insegnamento ed introdurvi elementi di modernità, la Legge quadro del 1989 ha promosso lo sviluppo dei cosiddetti "Progetti d’Istituto" (Projets d’établissement): ciascuna scuola ha cioè la possibilità di definire la propria via per raggiungere gli obiettivi proposti al livello nazionale. VALUTAZIONE Un sistema di test nazionale per la valutazione degli alunni è stato organizzato nell’anno 1989 per valutare il leggere, lo scrivere e le abilità matematiche per il ciclo dagli 8 agli 11 anni (ciclo di consolidamento). Lo scopo principale dei test è quello di fornire agli insegnanti uno strumento per misurare i progressi degli alunni in queste tre aree di base. La permanenza degli alunni nel ciclo durante la scuola primaria può essere allungata o ridotta di un anno su valutazioni degli insegnanti del ciclo sentiti i genitori. I genitori possono opporsi alla decisione negativa degli insegnanti ed appellarsi ad una autorità superiore, a cui spetta la decisione finale. Ogni scuola redige un libretto dell’alunno che è mostrato ai genitori. In esso sono indicati i risultati delle valutazioni periodiche dell’alunno, le proposte dei docenti del ciclo concernenti la promozione dell’alunno alla classe successiva o al ciclo successivo e le decisioni finali da loro prese. Gli alunni che completano la frequenza di una scuola normale o presentano difficoltà che non sono tale da essere trattate nella scuola speciale, sono promossi automaticamente dalla scuola primaria alla prima classe della scuola secondaria. Germania GERARCHIA E AUTONOMIA FONDAMENTI LEGISLAZIONE In base alla legge sui Lander del luglio 1990 la Repubblica federale di Germania è formata da 16 Lander, compresi i 5 Lander della ex - Repubblica democratica tedesca. A seguito della riunificazione della Germania in un solo Stato, dal 3 ottobre 1990 la politica educativa nella Repubblica federale è finalizzata a portare i governi degli undici vecchi Lander e di cinque nuovi Lander a cooperare nel campo comune dell’educazione, scienza, cultura e sport. La responsabilità per la politica e la programmazione educativa è affidata agli organi di governo federale. L’organizzazione dei sistemi educativi spetta ai Lander, che collaborano e stipulano accordi interfederali. ISTITUZIONI Le scuole private accolgono meno del 10% degli alunni nei vecchi Lander della Repubblica federale. Le scuole private sono di due tipi: sostitutive e complementari. Le scuole sostitutive hanno status equivalenti alle scuole pubbliche; le scuole complementari effettuano corsi non presenti nelle scuole pubbliche. Tutte le scuole private sono soggette alla supervisione statale e sono vincolate al rispetto dei criteri d’insegnamento previsti dalla normativa. AMMINISTRAZIONE La più alta autorità incaricata della supervisione delle scuole primarie è il Ministro dell’educazione del Land; la più bassa è il direttore responsabile della scuola. I Comuni sono obbligati a istituire e mantenere le scuole primarie (grundschulen) dove gli alunni possono ricevere l’istruzione obbligatoria. Disposizione per la collaborazione nella scuola e per decidere insieme con gli insegnanti e le famiglie sono contenute in leggi e decreti amministrativi. Il Consiglio degli insegnanti prende decisioni in materia di istruzione ed educazione, senza sconfinare nella libertà del singolo insegnante. Decide i libri di testo da adottare, scegliendoli nella lista approvata dal Ministro. Decide le misure disciplinari per gli alunni. In qualche Land rappresentanti dei genitori partecipano alle riunioni del Consiglio, tranne quando si discute di valutazioni degli alunni e di promozione o ripetenza. Il Consiglio della scuola è un organo consultivo composto da insegnanti e genitori. E’ convocato dal direttore. La composizione varia tra i diversi Lander e variano anche le funzioni. In generale i compiti sono: organizzazione della vita della scuola; protezione degli alunni in scuola e per strada, visite, escursioni scolastiche. Si occupa anche di libri di testo e di standard di rendimento scolastico e di valutazione dei compiti scolastici. Il Consiglio ha il potere vincolante per: la supervisione dei compiti a casa; i lavori di gruppo; la scelta dei progetti pilota. IL DIRETTORE Il direttore è responsabile di tutte le questioni educative in collaborazione col Consiglio degli insegnanti e col Consiglio della scuola. Si occupa dell’applicazione delle decisioni del Consiglio della scuola. Non ha autonomia finanziaria, se non la minima che gli è consentita dai limiti imposti dal Comune e dallo Stato. Il direttore insegna in rapporto alla grandezza della scuola. GESTIONE FINANZIARIA I finanziamenti competono al Ministero dell’Educazione del Lander. I Comuni istituiscono e mantengono le scuole primarie. AUTONOMIA DELLE SCUOLE AUTONOMIA ORGANIZZATIVA E FINANZIARIA Pur nella diversità fra i sistemi scolastici dei diversi Lander, è possibile individuare alcune realtà generalizzabili. Alle singole scuole tedesche primarie e secondarie pubbliche non è attribuita dalla normativa, autonomia finanziaria ed organizzativa. Nell’ambito della struttura gerarchica della amministrazione scolastica, il Capo di istituto, in quanto dirigente, agisce come delegato ministeriale nell’applicazione delle direttive centrali. I requisiti professionali degli insegnanti sono stabiliti a livello statale e la loro retribuzione compete allo Stato. Negli ultimi anni sta emergendo la tendenza a concedere in ogni scuola, uno spazio partecipativo più consistente sia ai genitori che agli insegnanti. L’incremento della partecipazione degli insegnanti alla vita scolastica, trova una conferma del ruolo sempre più importante, svolto all’interno delle scuole dalla "Conferenza degli insegnanti" (Lehrerkonferenz). La Costituzione nazionale individua tra i principi base del sistema scolastico tedesco il diritto dei genitori alla partecipazione scolastica ma, nella realtà, il livello di coinvolgimento dei genitori è molto diverso da Stato a Stato. Come esempio più avanzato si può citare il Land di Baden - Wurttenberg, dove il Consiglio dei Genitori gode di un effettivo diritto di partecipazione alla elaborazione dei programmi scolastici e alla scelta dei libri di testo. In generale negli altri Lander, le associazioni dei genitori svolgono attività consultive ed esprimono pareri circa ipotesi di modifiche curriculari. AUTONOMIA DIDATTICA I programmi didattici (Lehrplane) delle scuole primarie e secondarie pubbliche sono definiti dai Ministeri dell’Educazione dei singoli Stati sulla base di lavori preparatori svolti da Commissioni particolari composte da insegnanti ed esperti. I programmi didattici emessi da ogni ministero dell’Educazione devono comunque essere coerenti alle direttive concordate a livello nazionale nell’ambito della "Conferenza permanente dei Ministeri dell’Educazione e degli Affari Culturali degli Stati nella Repubblica Federale Tedesca". I margini di autonomia didattica di cui godono le singole scuole varia da Stato a Stato ma si traduce, per lo più, nella definizione delle materie di insegnamento opzionali e nella scelta di mezzi e metodo didattici. Recentemente si sta verificando una maggiore cooperazione tra docenti e personale esterno alla scuola al fine di offrire agli studenti occasioni formative più qualificate in settori specifici ( ad esempio: attività sportive, attività espressive/musicali). I sistemi di valutazione e d’esame sono definiti a livello statale e non prevedono spazi di intervento autonomo da parte delle scuole. Il calendario scolastico annuale e gli orari di insegnamento per i diversi gradi di istruzione sono precisati a livello statale. VALUTAZIONE Gli apprendimenti degli alunni sono continuamente monitorati con l’uso di test e la valutazione delle performance. Un momento per la valutazione degli apprendimenti si colloca a metà e un altro al termine dell’anno scolastico. Prima di essere promosso all’anno successivo, l’alunno deve mostrare di aver raggiunto certi minimi livelli di apprendimento in tutte le materie importanti. Per la valutazione è usato un sistema di votazioni. La Conferenza dei Ministri dell’Educazione dei Lander ha definito una scala a sei punti (da molto a mediocre a molto bravo). Al 2° anno della Grundschule si accede in base ad una relazione sui progressi compiuti, i rinforzi ricevuti, i punti deboli. Dal 3° anno gli alunni ricevono certificati con voti che misurano il rendimento degli alunni in confronto alla media dei rendimenti della classe e permettono una valutazione comparativa. Dal 2° anno gli alunni sono collocati nelle classi adatte al loro livello di conoscenze per essere di seguito promossi alla classe successiva o essere invitati a ripetere l’anno. Al termine della Grundschule non ci sono esami. Per accedere alle scuole superiori i genitori devono rispettare il parere sull’indirizzo da scegliere espresso dalla scuola di provenienza. Lussemburgo SENZA DIRETTORI FONDAMENTI LEGISLAZIONE Sono in atto dal 1989 i nuovi Orientamenti (Plans d’études) relativamente a: obiettivi, programmi, lingue d’insegnamento, nella scuola primaria. AMMINISTRAZIONE Stanti le piccole dimensioni dello Stato, l’Amministrazione scolastica è molto centralizzata. Al Comune tuttavia compete la gestione del settore pre - scolare e primario. Le scuole private sono sovvenzionate se adottano i programmi delle scuole pubbliche. GESTIONE FINANZIARIA Alle scuole pubbliche primarie e secondarie non è riconosciuta alcuna libertà in ambito amministrativo e finanziario. IL DIRETTORE La supervisione delle scuole primarie pubbliche e private è competenza degli ispettori ministeriali, che la esercitano effettuando ispezioni regolari alle scuole. Non esistono pertanto i direttori nelle scuole primarie. AUTONOMIA DIDATTICA Le scuole primarie pubbliche godono di autonomia didattica maggiore rispetto alle scuole secondarie, in quanto possono proporre al Comune progetti didattici particolari con la partecipazione di esperti esterni. VALUTAZIONE Gli alunni sono valutati dai docenti ogni trimestre. E’ in uso una scala di valutazione a 5 punti (da molto bene a scadente). Il passaggio di classe avviene se l’alunno ha raggiunto la sufficienza in due delle tre materie fondamentali (tedesco, francese, calcolo). Non esistono esami di passaggio nei sei anni di scuola primaria. Esiste invece l’esame di ammissione alla scuola secondaria. Chi non accede alla scuola secondaria, frequenta fino a 15 anni le "classi complementari" della scuola primaria. Non esistono né l’esame né il certificato finale di scuola primaria. Per gli alunni deboli in una o due materie fondamentali sono istituite in certi Comuni "classi d’appoggio" durante l’anno scolastico. Un’organizzazione parallela alle classi normali di scuola primaria costituiscono le "classi speciali" e le "classi di attesa" per gli alunni che presentano difficoltà di apprendimento. Irlanda EDUCAZIONE PER UN MONDO CHE CAMBIA FONDAMENTI LEGISLAZIONE Il periodo di istruzione obbligatoria è governato in base alla legge sulla scuola del 1926. Il Governo ha pubblicato un Green Paper (carta verde) a giugno 1992,intitolato "Educazione per un mondo che cambia". Il documento definisce a grandi linee le proposte del Governo ed è inteso a generare un’ampia discussione per pervenire a punti di consenso fra i diversi interessi coinvolti nell’educazione irlandese. Intanto il Dipartimento dell’Educazione ha preparato un Libro bianco sull’educazione che, fra l’altro, apre la strada ad una nuova legge sull’educazione. Il Green Paper del ’92 si pone sei obiettivi fondamentali: realizzare l’eguaglianza dell’educazione; sviluppare curricoli ricchi e flessibili; decentrare l’amministrazione scolastica; concedere alle scuole maggiore autonomia amministrativa; riqualificare gli insegnanti; coinvolgere i genitori nella gestione della scuola e controllare la qualità della scuola attraverso metodi standardizzati di valutazione, più efficaci interventi ispettivi, maggiore trasparenza dell’amministrazione. AMMINISTRAZIONE Il Consiglio di Amministrazione è responsabile dell’amministrazione giornaliera delle scuole primarie sottoposte ai Regolamenti formulati dal Dipartimento dell’Educazione. Le scuole primarie sono prevalentemente private e quasi tutte aiutate dallo Stato. Le scuole private non aiutate sono state nel ‘92-93 l’1,5% del totale. Il responsabile della scuola (per es. vescovo, rabbino capo, comitato multi-nominale ecc.) deve iniziare la procedura per costituire il Consiglio di amministrazione, nominare i rappresentanti eletti e il Presidente del Consiglio di Amministrazione. Il Presidente ha funzioni specifiche per assicurare il rispetto delle Regole delle Scuole Nazionali. Il Consiglio comprende membri nominati dal Responsabile della Scuola, i genitori e il direttore. Sono compresi anche insegnanti della scuola. GESTIONE FINANZIARIA La libera iniziativa per istituire le scuole è assai diffusa. I finanziamenti statali coprono l’85%, o più ancora, dei costi; il resto proviene da contributi vari. Questi finanziamenti servono per coprire i costi di gestione; lo Stato invece paga direttamente gli stipendi degli insegnanti. Le scuole private aiutate dallo Stato (che sono, la quasi totalità delle scuole primarie) sono autonome in fatto di proprietà della scuola e di amministrazione. La gestione è assicurata dal Consiglio di Amministrazione. IL DIRETTORE Il direttore è un primo insegnante. E’ responsabile della disciplina generale della scuola, coordina e supervisiona il lavoro degli altri insegnanti. Si occupa dell’organizzazione della scuola, del rispetto degli orari, della promozione degli alunni. Assicura inoltre agli alunni bisognosi mediante l’erogazione di libri gratuiti, la gestione dei trasporti degli alunni ecc.. Non insegna nelle scuole con più di 7 insegnanti. AUTONOMIA DELLE SCUOLE AUTONOMIA ORGANIZZATIVA E FINANZIARIA Il Dipartimento dell’Educazione finanzia le scuole primarie e secondarie con contributi che ne coprono quasi completamente le spese. Ogni board of management amministra poi la quota di finanziamento pubblico; il suo uso è vincolato al rispetto delle indicazioni ministeriali. Gli organi di gestione sono liberi nella nomina del personale docente e non docente, in quanto non esiste un sistema nazionale di reclutamento. L’atto di nomina deve però essere approvato a livello ministeriale. I requisiti professionali e le condizioni di servizio degli insegnanti sono decisi dal Dipartimento dell’Educazione e gli ispettori controllano le prestazioni e la qualità professionale. I docenti delle scuole primarie e secondarie sono stipendiati dal Dipartimento dell’Educazione. Le decisioni relative all’organizzazione dell’orario scolastico competono al board of management della scuola, sia primaria che secondaria, nel rispetto delle precisazioni ministeriali che indicano l’orario settimanale minimo e la durata di una giornata di scuola. AUTONOMIA DIDATTICA Gli organi gestionali delle singole scuole sono autonomi nella formulazione dei programmi di insegnamento, nei limiti espressi dal Dipartimento dell’Educazione. Per quanto concerne gli aspetti didattici, il Dipartimento dell’Educazione ha più carattere orientativo che vincolante: i curricoli sia per la scuola primaria che secondaria sono descritti in manuali ad uso degli insegnanti, che specificano le materie obbligatorie di insegnamento ma lasciano alle scuole molta libertà. Più in particolare, il curriculum nazionale delle scuole primarie, introdotto nel 1971, indica otto aree curricolari che tutte le scuole devono obbligatoriamente prevedere. L’intervento ministeriale si limita però alla definizione delle aree curricolari e degli obiettivi educativi generali da raggiungere, senza dettagliare nei contenuti specifici delle materie né la distribuzione delle discipline durante i sei anni di istruzione primaria, né la quantità di tempo da dedicare all’insegnamento delle singole materie. In questi ambiti, oltre che nella scelta dei metodi didattici, la scuola e spesso il singolo insegnante sono autonomi. Gli insegnanti possono infatti adattare i programmi alle caratteristiche specifiche della scuola e dei singoli alunni e decidere autonomamente quanto tempo dedicare all’insegnamento di una determinata materia. Negli ultimi tempi è divenuta pratica comune fissare all’inizio dell’anno scolastico gli obiettivi da raggiungere, elaborando un "piano" scolastico. Nel febbraio 1998 il review Body on the Primary School Curriculum, commissione creata dal Dipartimento dell’Educazione, ha iniziato ad analizzare ed esplicitare gli obiettivi educativi dei curricoli di insegnamento delle scuole primarie al fine di studiare metodi più idonei di valutazione e modalità didattiche che assicurino il raggiungimento degli obiettivi da parte di tutti gli alunni. Attualmente, il National Council for Curriculum and Assessment, organismo creato dal Dipartimento dell’Educazione nel 1987, sta mettendo a punto una riforma curricolare dell’istruzione primaria di cui si attende l’implementazione. Questa maggiore attenzione dell’autorità centrale sta alla specificazione degli obiettivi educativi che al controllo della loro realizzazione, implica, in qualche misura, una riduzione una riduzione della libertà didattica delle scuole irlandesi. Fino ad oggi, a livello di istruzione secondaria, i quattro tipi di scuole esistenti si sono differenziati per programmi di insegnamento, durata dei propri corsi e titoli di studio rilasciati. Nel 1988, il Dipartimento dell’Educazione ha introdotto in tutte le scuole secondarie un nuovo programma di studi unificato per gli studenti tra i 12 e 15 anni. Nella rinnovata situazione ogni scuola deve insegnare come minimo sei discipline (due delle quali liberamente scelte da un elenco ministeriale di oltre 20 materie) e preparare i propri studenti a sostenere lo stesso esame nazionale. Nel rispetto di queste indicazioni, gli organi di gestione sono liberi di ampliare la gamma delle materie insegnate, di definire i contenuti delle sei discipline obbligatorie e la quantità di tempo da dedicarvi ed infine di scegliere i metodi didattici da adottare. Segnaliamo inoltre che a livello centrale vengono elaborati dei programmi di insegnamento per le discipline obbligatorie che le scuole, se lo desiderano, possono adottare; il numero di scuole che si orientano in tal senso è in aumento. Dal 1967 sono stati aboliti gli esami di Stato che esistevano al termine della scuola primaria; la valutazione degli alunni compete adesso all’insegnante il quale rilascia, almeno una volta all’anno, per informare i genitori, una pagella con un giudizio sul profitto dei singoli bambini. Si sta però cercando di incoraggiare l’utilizzazione, ai fini valutativi, dei test standardizzati elaborati a livello nazionale dall’Education Research Centre per le seguenti materie: irlandese, inglese e matematica. Al fine di calibrare meglio il contenuto della riforma del curricolo della scuola primaria, negli ultimi anni, sono stati organizzati su determinate materie dei test nazionali, che hanno coinvolto una larga parte della popolazione studentesca. Invece a conclusione dell’istruzione secondaria gli studenti sostengono un esame, in forma prevalentemente scritta, organizzato dal Dipartimento dell’Educazione che, attraverso il National Council for Curriculum and Assessment (NCCA) prepara i programmi di esame e mette a punto gli standard valutativi. VALUTAZIONE Non c’è un esame formale alla fine della scuola primaria. Gli insegnanti svolgono le loro valutazioni sul rendimento scolastico degli alunni per mezzo di test standardizzati o di test proposti dagli insegnanti. Alla fine dell’anno i test sono diffusi in molte scuole. Sono normalmente redatte per i genitori relazioni sul profitto in "scrittura" degli alunni. Al termine della scuola primaria è redatta da ogni insegnante una pagella formale su ogni alunno. Queste pagelle (cards) sono inviate alle scuole secondarie dove si iscrivono gli alunni e non sono date ai genitori. Molti alunni sono promossi al termine dell’anno scolastico. Raramente alcuni alunni ripetono un anno; ciò è dunque eccezionale. Per i ragazzi svantaggiati è prevista un’educazione compensatoria. Ci sono 160 scuole speciali tra le Scuole Nazionali. Grecia AUTONOMIA E DELEGA FONDAMENTI LEGISLAZIONE La legge-quadro del 1985 stabilisce i criteri organizzativi e amministrativi delle scuole primarie e secondarie. ISTITUZIONI Nell’anno scolastico 1989-90 il 5,8% degli alunni frequentava le scuole elementari private. AMMINISTRAZIONE L’amministrazione scolastica è fondata sul principio della delega dal Ministro alla periferia. Le scuole pubbliche di una Prefettura sono gestite da un direttore amministrativo. In ogni Prefettura esiste un Comitato consultivo composto dal Prefetto, da rappresentanti dei Consigli scolastici e dei genitori, da esperti e rappresentanti del mondo del lavoro. A livello di Comune esiste un Comitato educativo, che sorveglia la organizzazione ed il buon funzionamento della scuola. Ne fanno parte funzionari del Comune, i capi d’istituto delle scuole del territorio comunale, rappresentanti dei genitori e del mondo imprenditoriale. La singola scuola primaria è amministrata dal direttore, dal Comitato di gestione e dal Consiglio della scuola. Il Comitato di gestione è composto da un rappresentante del comune, da un rappresentante dell’associazione dei genitori, dal direttore. Si occupa della gestione finanziaria della scuola. Il Consiglio della scuola è composto dagli insegnanti, da rappresentanti dell’associazione dei genitori e del Comune. Il suo compito è quello di assicurare l’andamento ordinato della scuola, di facilitare i buoni rapporti scuola - famiglia, di garantire lo stato di buona salute dell’ambiente-scuola. GESTIONE FINANZIARIA E’ di competenza del Comitato di gestione. Il budget della scuola è attribuito alla scuola dal Comune. IL DIRETTORE Il direttore coordina le attività dei docenti, ma senza potere di gestione. Esegue le direttive ministeriali. Dedica da 3 a 7 ore ai compiti propri del direttore. Per tutto il restante tempo insegna. AUTONOMIA DIDATTICA Un margine di autonomia delle scuole primarie, introdotto dal 1992, consente che ogni scuola pubblica o privata partecipi con altre scuole od istituzioni, a realizzare attività educative concernenti l’educazione artistica, ambientale, sanitaria. A tali attività le scuole possono dedicare due ore settimanali o quattro ore quindicinali. I costi relativi sono sostenuti dalla Prefettura, da finanziamenti autonomi, da sponsor. VALUTAZIONE In tutte le classi elementari esiste la valutazione descrittiva, che permette di fornire informazioni dettagliate agli alunni e ai loro genitori sull’impegno, sulle abilità, sui bisogni particolari degli alunni. Dalla 3° alla 5° classe, in seguito alla valutazione descrittiva, è usata una scala a 4 voti (da abbastanza buono a eccellente). I risultati degli alunni sono discussi in riunioni con i genitori. Gli alunni sono promossi automaticamente alla classe successiva. Un alunno deve ripetere una classe quando ha frequentato per meno della metà dell’anno scolastico. Al termine del 6° anno è rilasciato il certificato di studi per l’iscrizione al Ginnasio. Al termine delle classi dalla 1° alla 5° gli alunni ricevono un "certificato progressivo". OSSERVAZIONI CONCLUSIVE "Siamo alle prese con una condizione costitutivamente mutevole, mentre le generazioni precedenti avevano a che fare con una condizione complessivamente stabile...la dinamica è il marchio della modernità; essa non è un accidente ma una qualità immanente dell’epoca, e fino a prova contraria costituisce il nostro destino" . Il mutamento sociale è in sostanza più veloce della elaborazione normativa, lasciando in mezzo un grande spazio di autonomia all’agire della persona . Afferma ancora Jonas:" Il punto centrale in tutto ciò resta (è) che la natura dell’agire umano si è modificata a tal punto da determinare nell’ambito politico e quindi nella morale politica, l’ingresso della responsabilità in un senso finora inusitato, con contenuti del tutto nuovi e con un’apertura temporale senza precedenti" . L’autonomia come responsabilità è pertanto, la condizione umana del nostro tempo, un vincolo alla responsabilità nei confronti del futuro delle nuove generazioni . Mentre anche gli insegnanti sono chiamati a misurarsi con una trasformazione della natura del proprio lavoro, essi non possono non chiedersi dove sta andando la società, per orientare, i propri comportamenti e le proprie scelte. "L’autonomia è una conquista culturale e ideale che muove i suoi primi passi dalla consapevolezza della falsa neutralità e immutabilità delle attuali forme del lavoro nella scuola, per orientare i comportamenti delle persone verso progressive conquiste di autodeterminazione del lavoro, finalizzate alla qualificazione della scuola pubblica" . Il fatto è che i mutamenti profondi del rapporto tra modi di produzione e società stanno ridisegnando in profondità il ruolo della scuola e della formazione nella società. Avanza infatti una rivoluzione tecnologica che sta già mutando le forme del lavoro pubblico e privato. Culture, Paesi, equilibri antichi sono sconvolti, si vanno disegnando nuove disuguaglianze e nuovi privilegi. A tal punto che un pensatore come Ralf Dahrendorf intuisce i germi di un nuovo autoritarismo segnato proprio dalla rottura della coesione sociale, dalla distruzione e abbandono dei servizi pubblici e dei valori che essi comportano, da una esclusione sociale senza alcuna opportunità per coloro che non riusciranno ad entrare nella ristretta élite dei privilegiati. Ed è partendo da questa previsione che egli lancia l’appello a "far quadrare il cerchio fra creazione di ricchezza, coesione sociale e libertà politica" . Mentre dunque la rivoluzione tecnologica produce una dilatazione dei saperi, un modello di sviluppo sempre più trionfante rischia di produrre nuove forme di povertà e oppressione. Nasce da qui una nuova domanda di intervento dello Stato, in termini completamente diversi dal passato. E’ la nuova frontiera dello Stato sociale: di un Welfare non più assistenziale ma di un Welfare delle responsabilità, capace di promuovere le opportunità di vita di tutti. Un Welfare al cui centro non c’è un sistema ma le persone con i loro diritti, le loro attese di vita, le loro differenze: in una parola un Welfare per la cittadinanza . Bisogna interrogarsi in quale direzione e come trasformare la scuola pubblica, per realizzare quel diritto fondamentale della persona che è il diritto alla conoscenza. C’è bisogno di una qualità forte del sistema e dei suoi risultati. Bisogna assicurare a tutti opportunità di accesso senza discriminazione di religione, genere, etnia; assicurare a tutti pari opportunità dei risultati. E’ quindi necessario che la scuola sia davvero di tutti:"...si tratta di rinnovare l’organizzazione del lavoro all’interno dei servizi pubblici, con la partecipazione diretta delle organizzazioni dei lavoratori e delle rappresentanze riconosciute dell’utenza..." . Così come è indispensabile la riforma dell’autonomia:"...strumento indispensabile per rendere visibili diritti, poteri e competenze dei diversi soggetti; per introdurre l’etica della responsabilità in un sistema caotico e invalutabile dove le procedure e le norme disegnano coerenze astratte e condannano alla routine e a scarsi risultati" . L’incertezza, come afferma Jonas, va vista come una dimensione inevitabile del nostro tempo. Nelle scienze questo processo è già in atto e sta sviluppando un dibattito straordinario intorno ai caratteri della complessità sociale. Nel campo sociale e politico, la complessità può essere vista come un rischio, ma può anche diventare una nuova risorsa per la crescita della qualità della vita e delle persone, per una maggiore consapevolezza dei diritti e delle relazioni sociali tra le persone. Per chi opera nel mondo dell’educazione è importante dare corpo a un movimento di cittadinanza attiva, carico di valori etici e sociali, dare senso, con la forza della cultura e della formazione al dialogo e al confronto con le nuove generazioni, fare in modo che si possa apprendere la democrazia anche sui banchi di scuola.

BIBLIOGRAFIA

Introduzione

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