La nuova legge sul socio lavoratore di cooperative

di Amos Andreoni

E’ stata approvata dal Parlamento, mercoledì 7 marzo 2001, la legge sul socio lavoratore. Essa corrisponde in larga misura a quanto licenziato dalla Commissione lavoro del Senato il 7 luglio 1999, dopo un lungo dibattito tra le forze politiche e sociali interessate alla riforma.

La legge doveva, negli intendimenti originari del legislatore, seguire rispetto al testo Smuraglia sui lavori atipici , di cui costituiva una sorta di completamento. Il progetto Smuraglia , viceversa , non è stato approvato per dissensi all’interno della coalizione di governo e per l’atteggiamento ostile manifestato da buona parte del mondo imprenditoriale.

E’ dunque tramontata l’idea, invero ambiziosa, di creare una disciplina di base per ogni tipo di rapporto di lavoro, a partire dalle collaborazioni coordinate e continuative; una disciplina tale da ridurre il differenziale di tutela che attualmente esiste tra le diverse figure di lavoro. Da questo punto di vista la legge sul socio d’opera esce orfana ma è comunque autosufficiente; anzi merita di essere segnalata per il suo intendimento di porre fine ai sempre più numerosi casi di cooperative spurie e comunque prive di ogni coordinata minima sui compensi erogati, sull’organizzazione del lavoro, sul costo contributivo.

Se ne propone dunque un commento, distintamente per ciascuna disposizione.

 

Art.1

(Soci lavoratori di cooperativa)

La norma , in via innovativa, applica quanto da tempo richiesto dal movimento sindacale sul carattere lavoristico della prestazione del socio, smentendo l’orientamento consolidato della giurisprudenza sulla unicità ed omnicomprensività del rapporto associativo.

La legge infatti ammette che in capo al socio, oltre ad un primo rapporto, di tipo associativo (definito dalle lettere a-d del comma 2), ed in conseguenza di esso, si attivi un secondo rapporto, di lavoro – che può essere alternativamente di tipo subordinato, ovvero parasubordinato o autonomo – che resta disciplinato dall’ordinamento, legislativo e collettivo, proprio di ciascun tipo, fatte salve le norme specifiche della presente legge.

Non sono mancate voci di dissenso rispetto alla possibilità di attivare una parasubordinazione accanto al rapporto associativo: si è detto infatti che l’autogestione individuale del lavoro e dunque l’auto-organizzazione, tipica del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, non può sussistere nelle cooperative, ove l’autogestione sussiste solo in forma collettiva, mediante l’attività degli organi sociali.

Per altro verso si è sottolineata la pericolosità di ammettere la parasubordinazione in alternativa alla subordinazione: potrebbe infatti sussistere il rischio di avere cooperative a maggioranza di soci lavoratori parasubordinati.

Dette cooperative, oltre ad evadere la normativa vincolistica sul lavoro subordinato, porrebbe in essere una concorrenza sleale rispetto ad altre imprese a maggioranza di lavoratori subordinati, con un più elevato costo del lavoro.

Quest’ultima possibilità, per vero, sembra poter essere evitata dall’obbligo dei regolamenti delle cooperative (v. infra sub art.6) di prevedere la tipologia dei rapporti attivabili e le relative condizioni "in relazione all’organizzazione del lavoro e ai profili professionali dei soci stessi , anche nei casi di tipologie diverse da quella del lavoro subordinato"; regolamenti da depositare tempestivamente presso la DPL che dovrà controllare "la correttezza dei rapporti instaurati con i soci lavoratori e l’effettiva rispondenza di tali rapporti rispetto al regolamento ed alla contrattazione collettiva di settore", secondo quanto ora disposto dalla lett. f, punto 6.

Si può anzi affermare che la tipizzazione dei rapporti di lavoro per via regolamentare ed il successivo controllo pubblico costituiscono un possibile ed interessante precedente , da proporre per gli altri modelli societari.

Resta inteso che la previsione astratta , per via regolamentare , del tipo di rapporto da attivare caso per caso serve a consentire un più agevole controllo pubblico da parte della DPL ma non determina in concreto il tipo negoziale volta per volta attivato.

Un conto è prevedere nel regolamento che l’attività ad es. di progettista sia resa in forma parasubordinata; altra cosa è affermare che tutte le attività di progettista concretamente svolte siano state necessariamente rese in quella forma .

La previsione regolamentare serve ad approvare in sede societaria il migliore assetto dell’organizzazione del lavoro e serve eventualmente ad attivare i controlli su quell’assetto ( che dire infatti di un regolamento che prevedesse per tutti i call center un rapporto di parasubordinazione?) ovvero serve a censurare i comportamenti difformi da quell’assetto. Insomma determina un vincolo di condotta per gli organi societari

Altra cosa è la verifica in concreto del tipo negoziale riferito ad un determinato socio d’opera. Qui varranno le regole generali sul controllo giudiziale del tipo negoziale così come si è conformato nel concreto suo esplicarsi.

Non può infatti condividersi l’opinione di chi ritiene sufficiente la volontà manifestata nel regolamento e poi riprodotta nel contratto di lavoro. Se infatti questa volontà negoziale contrasta con la dinamica del rapporto è a quest’ultima che deve farsi riferimento per la imputazione del tipo.

L’art. 1 infatti , nel comma 3 , consente al socio di stabilire " un ulteriore e distinto rapporto di lavoro" che , evidentemente è cosa diversa dalla locuzione che ipoteticamente avrebbe potuto usare il legislatore (ma che non ha usato) "stipula un ulteriore e distinto contratto di lavoro" .

Tanto è confermato dal successivo art. 4 , che , al comma 2, fa riferimento ai "soci lavoratori con i quali si è instaurato un rapporto di lavoro subordinato".. Una volta di più conta la dinamica del rapporto e non già il nomen juris.

 

Art.2

(Libertà sindacale)

In virtù di questa norma si dettano norme speciali in materia di Statuto dei lavoratori, di igiene e sicurezza del lavoro, e precisamente :

Per i soci lavoratori subordinati

A.- Si estende l’intera disciplina dello Statuto dei lavoratori (il ddl governativo prevedeva l’applicazione dei soli articoli 1, 8, 14, 15, 36).

Forme specifiche di esercizio dei diritti sindacali potranno essere individuate in sede di accordi nazionali del settore cooperativo, intervenuti con le organizzazioni comparativamente più rappresentative, eventualmente anche in deroga - a quanto sembra - a disposizioni di legge.

  • Tuttavia quando il licenziamento sia disposto contestualmente alla (ed a causa della) perdita della qualifica di socio, non si applica l’art. 18 dello Statuto, dettante norme sulla reintegrazione nel posto di lavoro. La legge ritiene infatti che il licenziamento sia "figlio" dell’esclusione dal rapporto associativo, sicché per decidere della legittimità del licenziamento sia necessario e sufficiente decidere sulla legittimità della esclusione come socio. Questa relazione conseguenziale tra i due rapporti esclude il rischio politico-giuridico di subire il pressing della Confindustria, teso ad estendere l’esenzione dall’art. 18 per altri rapporti di lavoro. Per questi ultimi, infatti, manca comunque il presupposto del rapporto associativo e dunque l’effetto di trascinamento ipotizzato dalla legge.
  • In caso di esclusione da socio e - conseguenzialmente - in caso di licenziamento, le garanzie, per il lavoratore, sono quelle associative. Il giudice civile ordinario (e non il giudice del lavoro: v. art. 5, co.2, ultimo inciso), quindi, dovrà verificare il rispetto dell’art 2527 cod. civ. Il che significa:
  • da un punto di vista sostanziale che l’esclusione è legittima se:
  • a1.-il socio non ha pagato le quote associative, malgrado la diffida (art.2524);
  • a2.- il socio è fallito (art. 2288,co.1);
  • a3.- il socio sia stato interdetto dai pubblici uffici o inabilitato (art. 2286);
  • a4.- il socio sia divenuto inidoneo a svolgere il lavoro (art.2286);
  • a5.- il socio sia responsabile di gravi inadempienze agli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale (art.2286). La giurisprudenza ha ritenuto sussistere un’ipotesi di grave inadempienza in caso di mancata esecuzione del lavoro;
  • a6.- il socio abbia tenuto un comportamento per il quale l’atto costitutivo commini espressamente l’esclusione.
  • I controlli del giudice sui casi in a4 e a5 non sono dissimili da quelli abitualmente esercitati dal giudice in una normale controversia di lavoro subordinato.
  • Viceversa il caso in a6 è l’elemento vero che differenzia il socio dagli altri lavoratori, sia perché l’atto costitutivo prevale sulle diverse disposizioni della contrattazione collettiva, sia perché il giudice fa una valutazione di legittimità e non di merito (cioè non può valutare la giustificatezza dell’ipotesi prevista dall’atto costitutivo). Tuttavia da un lato l’atto costitutivo deve prevedere ipotesi specifiche di violazioni (e non limitarsi a rinviare alla volontà sovrana dell’assemblea dei soci); dall’altro l’atto costitutivo non deve violare disposizioni imperative di legge (non può discriminare il lavoratore in ragione delle sue opinioni, della militanza, del sesso, delle opzioni religiose; non può licenziare la lavoratrice per matrimonio o per gravidanza, ecc..).
  • Da un punto di vista formale l’esclusione è legittima se:
  • b1.- l’avviso di convocazione, ritualmente notificato, contiene l’indicazione nominativa del socio da escludere e l’enunciazione specifica dei fatti addebitati;
  • b2.- l’assemblea dei soci (o il consiglio di amministrazione o il collegio dei probiviri, se ciò è consentito dall’atto costitutivo) decide a maggioranza numerica;
  • b3.- la deliberazione di esclusione contiene l’enunciazione delle ragioni che la giustificano in modo tale da consentire all’interessato di individuare gli addebiti e di articolare le proprie difese con l’opposizione.

B.- Si applicano tutte le vigenti disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro

 

Per i soci lavoratori parasubordinati e autonomi

A.- Si applicano gli artt.1 (libertà di opinione), 8 (divieto di indagini sulle opinioni), 14 (diritto di associazione e di attività sindacale) e 15 (divieto di atti discriminatori) dello Statuto dei lavoratori; ma gli articoli 2 (guardie giurate), 4 (impianti audiovisivi) e 6 (visite personali di controllo), sembrano di generale applicazione perché riguardano l’organizzazione del lavoro in quanto tale.

B.- Si applicano le norme in materia di igiene e sicurezza limitatamente ai d.lgs. n. 626/1994 e n. 494/1996 ed alle sole norme dei medesimi "compatibili con le modalità della prestazione lavorativa" (e di qui un possibile contenzioso).

 

Art.3

(Trattamento economico)

A.- Minimi economici

A1.- per i soci lavoratori dipendenti

La norma, ferma restando l’applicazione dell’art. 36 Stat. lav. (trattamento economico e normativo collettivo durante i periodi di appalto lavori o di agevolazioni finanziarie), dà una applicazione estensiva dell’art. 36 Cost.: la retribuzione del socio lavoratore subordinato deve essere pari ai minimi contrattuali (del settore cooperativo o, in mancanza, del settore affine dal punto di vista produttivo) non solo per la retribuzione di livello (o tabellare o di qualifica), bensì per il trattamento "complessivo", ivi comprese le voci retributive diverse (straordinario, festivo ecc.) e le retribuzioni differite.

D’altra parte questa nozione più larga può essere spesa in via interpretativa per tutti gli altri casi di lavoratori non soci, dipendenti o meno di cooperative, mediante una interpretazione estensiva di questa norma, in combinato disposto con l’art. 36 Cost.


A2.- per i soci lavoratori parasubordinati o autonomi

Si rinvia ai compensi previsti dai "contratti o accordi collettivi specifici" (il riferimento è chiaramente al testo del d.d.l. c.d. "Smuraglia" sulle collaborazioni non occasionali, il quale tuttavia non è potuto diventare realtà nella XIII legislatura) e, in assenza di questi, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese nello stesso ramo di attività lavorativa. Poiché non esiste alcuna statistica in materia, sarebbe opportuno facoltizzare il Ministero del lavoro o il Cnel ad attingere alle denunce Irpef , presso il Ministero delle Finanze, dei committenti e dei lavoratori, onde poter emanare delle tabelle standard.


B.- Trattamenti economici ulteriori

Sono di due tipi:

B1.- di fonte collettiva, a livello nazionale del settore cooperativo.

B2.- di fonte unilaterale, a titolo di ristorno (deducibile ai fini fiscali come costo del lavoro ma esente da contribuzione: v. artt.3 e 4), in sede di approvazione del bilancio di esercizio. In questo caso c’è un limite massimo (non più del 30% della somma di A e di B1).

Entro tale limite l’assemblea può optare per:

  • una integrazione della retribuzione;
  • un aumento del capitale sociale;
  • una distribuzione gratuita dei titoli.

 

Art.4

(Norme contributive)

I trattamenti economici minimi e supplementari di fonte collettiva costituiscono la base di calcolo per il pagamento dei contributi previdenziali e per l’erogazione delle relative prestazioni in favore dei soci lavoratori dipendenti o parasubordinati.

Non rientrano invece nella base di calcolo i trattamenti supplementari, deliberati dall’assemblea dei soci in sede di bilancio (art.3, comma 2, lett. b), anche se erogati in forma di integrazione della retribuzione.

E’ previsto il superamento, entro un quinquennio (il testo originario prevedeva un triennio), del sistema delle retribuzioni convenzionali previsto dal dpr.n. 602/1970, come richiesto da tempo dal sindacato.

 

Art.5

(Norme varie)

Comma 1

Hanno privilegio generale sui mobili, ai sensi dell’art. 2751 bis, numero 1, cod. civ., anche le retribuzioni del socio lavoratore, subordinato o parasubordinato, esclusa la parte deliberata dall’assemblea in sede di bilancio.

Comma 2

  • E’ stato soppressa la norma che estendeva ai trattamenti economici dei soci lavoratori gli istituti del trattamento di fine rapporto, del fondo di garanzia del tfr e delle tre mensilità così come quelli sul mantenimento dell’occupazione (l. n.223 e dintorni), per la garanzia del salario (cig-o e cig-s), per la promozione dell’impiego (indennità di mobilità, trattamenti di disoccupazione, collocamento privilegiato.
  • La soppressione non pregiudica la condizione dei soci lavoratori dipendenti, per i quali l’estensione è comunque operante ai sensi dell’art.1, comma 3. Può invece pregiudicare la posizione dei soci parasubordinati, ove si ritenga abrogato, con l’entrata in vigore di questa legge, l’art.24 della l. n.196/1997 (c.d. "Pacchetto Treu"). Il che paradossalmente potrebbe disincentivare il ricorso massiccio alla parasubordinazione nel settore cooperativo.

L’attuale versione del comma 2 afferma la competenza del giudice del lavoro (e non più del giudice ordinario) per tutte le controversie tra socio (anche parasubordinato o autonomo) e cooperativa, riguardanti comunque questioni di lavoro, esclusi i licenziamenti conseguenti alla perdita della qualità di socio. Infatti permangono nella competenza del giudice ordinario le questioni associative.

Per i medesimi soci (anche parasubordinati o autonomi) si applicano le procedure di conciliazione e arbitrato, previste dai d.lgs. nn.80/1998 e 387/1998. Il che significa condizionare l’arbitrato ad una espressa previsione da parte del CCNL del settore cooperativo.

In passato erano state ritenute valide le clausole statutarie che deferivano a collegi arbitrali le questioni relative ai soci lavoratori.

 

Art.6

(Regolamento interno)

1.- La cooperativa ha l’obbligo di adottare un regolamento, previa delibera assembleare, "sulla tipologia dei rapporti che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori"

In sostanza per ogni mansione il regolamento deve prevedere se possano accendersi rapporti di lavoro subordinato ovvero parasubordinato ovvero autonomo. L’inciso della norma sulla circostanza che tale previsione debba essere introdotta "in forma alternativa" potrebbe far supporre che per ogni mansione debba essere previsto un solo tipo di rapporto attivabile (così la mansione di dattilografo non potrebbe in ipotesi che essere di lavoro dipendente; viceversa la mansione di revisore di sistema informatico non potrebbe che essere di lavoro parasubordinato o autonomo). Se può ammettersi la prima conclusione (per la dattilografia) non altrettanto vale per la seconda, posto che anche le mansioni più elevate possono essere rese in forma subordinata. Meglio allora attribuire all’inciso un significato diverso: se, ad es., per la mansione di revisore dei sistemi informatici è prevista sia la figura di lavoro subordinato sia altra figura, la diversa previsione deve essere dettata in forma alternativa, dovendo essere specificate le modalità concrete che giustificano, volta per volta, l’una o l’altra forma: ne è conferma la lett. b) che fa riferimento alle modalità di svolgimento delle prestazioni, in relazione all’organizzazione aziendale e ai profili professionali, anche per le singole tipologie di lavoro.

La previsione attuale elimina la certificazione del regolamento e dei singoli rapporti di lavoro, prevista dal d.d.l. governativo e avversata da più parti per le pesantezze burocratiche, per la difficoltà della certificazione, per la scarsa professionalità e indipendenza dei certificatori, per l’effetto di spiazzamento nei confronti dell’eventuale accertamento giudiziale.

Ora, invece, spetta alla DPL, presso cui è depositato il regolamento (v. infra), controllare "la correttezza dei rapporti instaurati con i soci lavoratori e l’effettiva rispondenza di tali rapporti rispetto al regolamento ed alla contrattazione collettiva"(art. 7, lett. f, p.to 6).

2.- Il regolamento deve essere depositato presso la DPL e deve contenere :

  • il richiamo ai contratti collettivi applicabili ai soci dipendenti, in relazione al settore produttivo e alla iscrizione sindacale della cooperativa;
  • le modalità di svolgimento del lavoro (es.: orario, ferie e le altre materie rimesse alle determinazioni del datore), e, per ogni mansione, il corrispondente tipo di rapporto di lavoro (subordinato o autonomo);
  • il richiamo espresso alle normative di legge per i lavori atipici (con disposizione a futura memoria, dato che - come già ricordato - non è stata approvata, nella legislatura appena conclusa, la legge in materia di "lavori atipici");
  • l’attribuzione all’assemblea del potere di deliberare il piano di crisi, con la riduzione del trattamento economico dei soci, mediante l’eliminazione della sola quota di ristorno (la disposizione sembra inutile perché il ristorno è erogabile solo in presenza di avanzi di gestione, in sede di approvazione del bilancio. Ed è ovvio che durante un periodo di crisi non ci siano avanzi di gestione. La norma ha una spiegazione "storica" perché il d.d.l. governativo prevedeva la riduzione anche dei minimi del CCNL, con disposizione poi eliminata. Prevedeva la medesima riduzione anche nei periodi di avviamento della cooperativa. Anche questa seconda previsione è stata eliminata dal testo attuale, salvo quanto ora previsto dalla nuova lett. f).
  • l’attuale testo prevede innovativamente che durante il periodo di crisi, oltre alla eliminazione del ristorno e degli utili ci possa essere un contributo economico a carico dei soci. Tale contributo, a differenza del d.d.l. governativo, non grava più a carico del salario bensì a carico del reddito di ogni componente della cooperativa; esso dunque pertiene alla dimensione associativa e non a quella lavorativa del socio. E in tal senso non costituisce un precedente passibile di espansione oltre la sfera della cooperazione.

Con norma di chiusura si esclude che il regolamento possa introdurre norme peggiorative rispetto al CCNL del settore cooperativo. La disposizione è ovvia per le cooperative sindacalizzate; sarebbe rivoluzionaria se riferita anche alle cooperative non sindacalizzate, per le quali opera il principio di libertà sindacale negativa, ai sensi dell’art. 39 Cost. Per esse finora si riteneva applicabile la sola parte economica del CCNL, in virtù dell’art. 36 Cost..

 

Art.7

(Vigilanza)

Si conferisce delega al Governo per la revisione della disciplina sui controlli delle cooperative e si affidano alle Centrali cooperative i compiti di vigilanza, oltreché sui requisiti mutualistici, anche sul rispetto delle norme in materia di rapporti di lavoro (lett. c) finora di competenza esclusiva degli enti pubblici. L’innovazione sembra inopportuna sia perché le Centrali non sono attrezzate, sia perché alcune di queste non sono affidabili, sia perché appare di dubbia costituzionalità la delega di funzioni pubbliche, anche su diritti derivanti da norme imperative di legge, ad enti privati finanziati dagli stessi enti controllati.

 

 

Roma, marzo 2001