Il Superuomo di Arcore
di CURZIO MALTESEAl coro di voci allarmate che si
leva dall'Europa liberale ("Financial Times", "El Pais", governo belga
e Commissione europea) contro la Casa della Libertà, Silvio Berlusconi ha risposto come
il sovrano del Belli. "Non c'è nessuno sulla scena mondiale che può pretendere di
confrontarsi con me, nessuno che ha il mio passato, la stessa storia". "Da un
punto di vista personale c'è qualcuno che ha una posizione di vantaggio e questo sono
io... La mia bravura è fuori discussione, la mia sostanza umana, la mia storia, gli altri
se la sognano". Prima era soltanto "Unto dal Signore". Ora è anche il
"migliore del mondo".
E' evidente che se frasi come queste le avesse dette chiunque altro l'opinione pubblica lo
avrebbe dichiarato pazzo.
Questo compresi i premi Nobel e il presidente degli Usa, il Papa o Bill Gates (che forse
è un po' più importante nell'economia mondiale dell'inventore di Milano 2, Canale 5 e
Forza Italia).
Ed è probabile che, di fronte al delirio d'onnipotenza di Berlusconi, i suoi critici
stranieri trovino altre ragioni d'allarme (o d'ironia). Ma è altrettanto sicuro che in
Italia il proclamarsi "migliore nel mondo" porterà a Berlusconi nuovi e più
euforici consensi. Ed è questa la ragione per cui il padrone di Mediaset parla così,
sfidando le leggi della logica e del ridicolo.
Metà degli italiani, e forse qualcuno di più, è davvero convinta che Silvio Berlusconi
sia «il migliore del mondo». O almeno del mondo che conosce. Poca roba, se vogliamo. Ma
per molti è tutto il mondo e addirittura il migliore dei mondi possibili. In questo
universo Berlusconi è il migliore dei leader possibili proprio per le ragioni che
allarmano gli osservatori stranieri, perché somma in sé il massimo potere politico,
economico e culturale. Questi italiani pensano che se George Bush avesse anche i capitali
di Bill Gates e le catene televisive e i giornali, l'America e il mondo avrebbero
finalmente un grande leader, che è meglio di una grande democrazia. Noi in Italia abbiamo
questa fortuna e finora non l'abbiamo sfruttata al meglio, per colpa dei
"comunisti". Il resto non conta e non conterà finché questa illusione è
potente.
Non contano destra e sinistra, perché se non si sa più bene che cosa sia la sinistra,
tantomeno s'è capito in questi anni che cosa sia la destra italiana, se non uno specchio
del suo padrone. Il giorno che muore si chiude baracca, Casa delle Libertà e Forza
Italia, e toccherà ricominciare da zero. Non contano i programmi, perché il programma è
"ci pensa lui". Non contano le leggi e le regole, perché per "lui"
non valgono. Non conta insomma la politica. La politica, come arte della ragione, è
temporaneamente sospesa, da anni, in attesa del miracolo del super uomo.
Da Tangentopoli in poi la maggioranza degli italiani non ha smesso di cullare la fantasia
dell'uomo forte che ci porti fuori dalla crisi. Rispetto a Segni, Bossi o Di Pietro, certo
Berlusconi ha qualche numero in più, e anche rispetto al teatrino di venti leader che ha
sostituito sempre temporaneamente partiti e istituzioni con movimenti personalizzati.
Dev'essere anzi questo confrontarsi da anni con Castagnetti e Casini, Fini e Storace,
Occhetto e D'Alema, ad aver fatto esplodere la megalomania da dottor Stranamore (quello di
Kubrick, non di Canale 5). Chissà se Berlusconi ci crede davvero. Forse no, altrimenti
non avrebbe tanta paura di un misero confronto tv con Rutelli. Ma l'importante è che ci
creda la metà più uno degli italiani.
E quelli ci credono eccome, aspettano il miracolo. Questo è il macigno che da otto anni
grava sulla vita pubblica italiana, ne condiziona ogni aspetto, fa impazzire i discorsi e
impedisce di guardare avanti, alla nuova Europa. Che invece guarda all'Italia, perplessa.
Ma non vi sarà modo forse di rimuoverlo se non provando e, come tutto lascia prevedere,
fallendo. La disperazione nella democrazia ha voglia d'aggrapparsi a una fede, a un eroe.
Così come l'antica sfiducia nella scienza trovarono pochi anni fa risposta nel caso Di
Bella. Mezzo mondo si chiese allora come mai un paese avanzato nella ricerca oncologica
come l'Italia potesse credere che un anziano medico, nella penombra del suo studio di
provincia, avesse potuto scovare la ricetta magica contro il cancro invano perseguita da
decine di Nobel. Era in effetti un'idea assurda. Ma non ci fu modo di frenare i cortei
della fede e, a furor di popolo, la cura Di Bella fu somministrata a spese dello Stato a
centinaia di pazienti, tutti morti.
Eppure, ancora oggi, milioni d'italiani rimangono convinti che la cura Di Bella sia stata
boicottata, dai "comunisti", si capisce. Si può sperare che la cura Berlusconi
sarà meno disastrosa. Ma l'impressione è che soltanto quando sarà finita l'illusione
nel superuomo di Arcore, questa bizzarra parentesi della storia patria, si potrà tornare
tutti a ragionare di politica e a prendere coscienza di quanto fosse fragile ed elitaria
la democrazia italiana sotto la maschera della prima repubblica. Come si sarebbe dovuto
fare dieci anni fa, alla vigilia dello show della "discesa in campo".
da "la repubblica" 8/3/01