La storia dei Seminole

La storia della colonizzazione europea dell'America presenta una grossa anomalia. Mentre il continente cade via via nella mani dei conquistatori, c'è una zona che resta inespugnabile: la Florida. 
Lungo la valle del Mississipi si era insediata una civiltà di agricoltori che coltivava mais, fagioli e zucche, combattevano con archi lunghi circa due metri e spessi quanto un braccio in grado di tirare fino a 200 metri; andavano in giro nudi e gli spagnoli li descrissero come "dotati di possenti corporature", "sembravano giganti" (citazione da Alvar Nunez Cabeza de Vaca, Naufragi, a cura e traduzione di Luisa Pranzetti - Ed. Einaudi - pag. 26. Bisogna tener conto che per l'epoca una persona che raggiungeva un metro e sessanta era già considerata alta. La statura media dell'europeo è infatti cresciuta notevolmente solo in epoca moderna. Basta guardare le armature di una volta per rendersene conto).
Questi indiani all'inizio accolgono fraternamente gli europei che però iniziano subito a derubarli, violentarli e ucciderli in tutti i modi più crudeli.
A questo punto i selvaggi cominciano ad arrabbiarsi e iniziano una lotta senza quartiere contro gli invasori.
Questi nativi americani hanno un'organizzazione sociale ben diversa da altre popolazioni del nuovo continente; non sono sudditi di grandi imperi schiavisti e sanguinari (come gli Incas) e non sono neppure espressione di civiltà di cacciatori-guerrieri nomadi, come i Cheyenne delle praterie del Texas.
Si tratta di una società pacifica di contadini liberi che tengono in grande considerazione le donne.
Gente concreta che non perde tempo a costruire piramidi o strade ciclopiche, però dotata di una scienza medica che non ha nulla da invidiare a quella europea dello stesso periodo.
Gli spagnoli non si trovano davanti a eserciti imperiali enormi ma inefficienti che li affrontano in campo aperto, come nel caso degli Incas.
Questi indiani non perdono neppure tempo in ritualità guerriere come gli Cheyenne, che in combattimento si fanno abbattere a fucilate perché, per loro, la cosa più  importante non è uccidere il nemico ma umiliare la sua anima toccandolo con il sacro bastone di guerra.
I popoli del Mississipi dimostrano di avere fin dall'inizio una concezione concreta della guerra e della forza dell'uomo bianco, così adottano le tattiche della guerriglia. Capiscono anche che gli europei sono imbroglioni e pertanto raramente cascano nelle trappole delle finte tregue, dei regali riappacificatori e delle alleanze con le quali i bianchi conquistano l'intero Messico e buona parte della costa nord-orientale del continente.
Essi hanno inoltre la saggezza di non diventare razzisti a loro volta e di capire che non tutti gli europei sono carogne. Accettano nella loro tribù molti bianchi e alcuni, disgustati dalla violenza del colonialismo, diventano loro capi militari.
Da questi bianchi buoni imparano l'uso del cavallo e delle armi da fuoco. Riescono inoltre a capire, grazie a questi stranieri, la psicologia dell'uomo bianco. Così oppongono agli invasori una resistenza feroce riuscendo a sbaragliare tutti i tentativi di invasione per ben due secoli.
Nel 1513 Juan Ponce de Leon scopre la Florida. Nel 1521 tenta di stabilirvi una colonia ma viene massacrato con tutti i suoi uomini. Dopo di lui viene distrutta la spedizione di Luca Vasquez de Avillon e poi quella di suo figlio. Nel 1527 è la volta di Panfilo de Narvaez (di questa sconfitta ci dà notizia il libro di Cabeza de Vaca). Subito dopo Hernando de Soto tenterà di nuovo rimettendoci la pelle e 650 uomini su un totale di 950.
Il re di Spagna Carlo I d'Asburgo dopo tanti disastri decide di vietare con un editto ogni altro tentativo di conquistare la Florida.
Si prova così con le buone, cioè mandando avanti i missionari ma anch'essi vengono uccisi. Si deve aspettare fino al 1560 circa perché Tristan de Luna y Arellano ci riprovi: nessuno farà ritorno. Tentano allora i francesi e poi ancora gli spagnoli comandati da Pedro Menendez de Aviles (1564 e 1568).
Nel 1600 i tentativi si diradano (si cimentarono nell'impresa comunque in molti, tra i quali  Francis Drake)  e soltanto i francesi riescono a stabilire piccoli porti che arrivano a essere veri e propri possedimenti solo nel 1700. Ma la reale conquista della maggioranza della Florida avviene solo nel 1800 quando ormai la colonizzazione del nord America è diventato un fatto massiccio e i coloni da poche migliaia sono diventati milioni.
Ma ancora nel 1823 gli indiani Seminole, discendenti degli indios incontrati dagli spagnoli nel 1500, controllano con altre tribù la valle del Mississipi mentre i bianchi sono confinati sulle coste. In quell'anno alcuni capi Seminole vendono al governo di Washington tutto il nord della Florida per 6mila dollari in merci e una rendita annuale di altri 5mila dollari.
Nel 1832 un altro gruppo di capi Seminole cede, per 15mila dollari, ancora una metà del loro territorio. Così buona parte di essi fu deportata nel West dove già erano stati trasferiti cherokee, creek, choctaw e chickasaw. Questi ripetuti trasferimenti forzati (prima in Georgia nel 1830 e poi, con una nuova deportazione, in Oklahoma nel 1835) costarono agli indiani migliaia di morti per stenti. Questo gruppo di capi Seminole traditori firmò con la vendita anche una clausola segreta che prevedeva che tutti gli schiavi neri che si erano rifugiati presso le loro tribù fossero restituiti "insieme ai loro figli" ai loro "legittimi proprietari".
I Seminole avevano accolto da sempre gli schiavi neri che fuggivano.
Al contrario delle tribù dei nomadi guerrieri del nord (come i Creek) che catturavano questi uomini e li tenevano nuovamente come schiavi, i Seminole li accettavano gradualmente come membri del loro popolo e celebravano matrimoni misti.  Dare in schiavitù una parte del popolo era un'idea che i Seminole non potevano concepire. Così scoppiò la prima guerra contro Washington. Il capo Osceda, figlio di uno svedese e di una seminole, guidò una guerra spaventosa che scoppiò nel 1835. Presso Fort Brook, Osceda attacca 112 uomini dotati di un cannone. I 180 guerrieri riportano 3 morti e 5 feriti lasciando sul campo 108 nemici morti e 4 feriti.
Il generale Clinch con 200 regolari e 500 volontari parte per vendicare la strage. Osceda e Alligator con 250 guerrieri (tra i quali 30 neri) lo affrontano il 31 dicembre, mentre tenta di attraversare il fiume Withlacoochee, avendo a disposizione un'unica barca. I bianchi ci rimettono 63 uomini tra morti e feriti e si devono ritirare.
Nel 1836 ci riprova il generale Scott con 4.800 uomini ma la guerriglia Seminole e un'epidemia decimano la spedizione.
Il comando passa allora al generale Call che tenta con quasi 2mila uomini, tra i quali 776 creek, di penetrare nella palude di Wahoo subendo gravi perdite. Gasati dal successo dei Seminole, i Creek della Georgia insorgono approfittando del fatto che le truppe erano in gran parte corse in aiuto dei soldati impegnati in Florida.
La forza anti-Seminole arriva a contare 10.000 uomini e ancora questi indiani riescono a vincere qualche scontro, forti di un totale di 2mila guerrieri. Soltanto con una finta proposta di armistizio e trattativa il generale Jesup riesce a catturare Osceda e altri 108 indiani (Osceda morirà in prigione pochi mesi dopo). Alcuni Seminole abbandonano la lotta e accettano un premio per emigrare nel West.
Ma la guerra continua. 400 guerrieri sono ancora vivi e in armi sotto il comando di Wild Cat (Gatto Selvaggio), uno che c'aveva le palle d'acciaio. Vengono attaccati da 600 cani rognosi e li fanno a pezzi (88 morti tra i quali un colonnello). Ci riprova Taylor che ci rimette 26 morti e 112 feriti. Poi il generale Armistead. Nel 1841 il generale Worth scatena una guerra della terra bruciata cercando di prenderli per fame.
Così un'altra metà dei Seminole superstiti è costretta a emigrare nel West.
La guerra è durata 7 anni e ha impegnato 40mila bianchi, è costata al governo di Washington 19 milioni di dollari (di allora) e la morte di circa 3.400 uomini tra soldati e volontari. Gli indiani persero, tra uomini, donne e bambini, circa 2mila persone.
I Seminole accettano la deportazione ma rifiutano comunque di firmare l'atto di resa al governo di Washington.
Restano nella paludi della Florida ancora 360 irriducibili guerrieri con le loro famiglie. Questi non mollano. Con loro ci sono tutti i negri e i loro figli.
La guerra continua impegnando quasi 2mila soldati. Si arriva a offrire 800 dollari a ogni Seminole e 10mila dollari al capo Bowlegs a patto che abbandonino le paludi.
Più di metà dei guerrieri vengono uccisi, catturati, oppure cedono all'offerta.
Nel 1859 si dichiara finita la terza guerra contro i Seminole durante la quale 3.900 indiani vennero trasferiti. Restano però asserragliati nelle paludi, senza null'altro che le armi per difendersi, ancora 150 Seminole che mai cederanno alla forza dei 17 milioni di europei che abitavano allora il Nord America.
Nel 1906, incapace di annientarli, il governo U.S.A. riconosce ai discendenti dei Seminole delle paludi la cittadinanza americana e la proprietà di quelle terre che nessuno è mai riuscito a togliere loro.
I Seminole della Florida oggi sono circa 1.500, si considerano una nazione indipendente, usano un loro particolare alfabeto e in quelle paludi è stato trovato il petrolio. Recentemente hanno anche aperto alcuni casinò nei quali spennano i bianchi. Augh!

Beh, già questa storia dei Seminole è incredibile. Ma non è la sola. C'è qualcun altro che non fu mai piegato dagli europei. Nel 1700 iniziò lo sfruttamento massiccio delle miniere d'argento del Brasile. I portoghesi deportarono centinaia di migliaia di neri dalle loro colonie africane. Gli schiavi riuscirono a più riprese a organizzare fughe di massa. Scapparono in zone inesplorate dell'interno e qui costituirono piccoli stati indipendenti. Alcuni di questi nel 1700 raggiunsero una popolazione di 20mila persone.
I portoghesi scatenarono campagne militari per distruggere queste comunità massacrando migliaia di ex-schiavi. Ma la repressione non riuscì a piegare la resistenza dei ribelli.
Sulle colline della regione di Palmares, stato di Cojas, Brasile, queste comunità nere hanno continuato a prosperare protette dalla vegetazione quasi impenetrabile.
Per 250 anni il popolo Karunka ha vissuto nei suoi kilombos, dove la terra è di proprietà pubblica e la si coltiva tutti insieme dividendone i frutti. Il denaro era, fino a pochi decenni fa, sconosciuto.
Essi hanno elaborato una religione molto particolare, un misto di culti africani e adorazione di San Giovanni. Ancora oggi questi kilombos sono in guerra con l'uomo bianco che cerca di sterminarli con l'uso di veri e propri "cacciatori di neri"; quelle terre fanno gola a molti. Tra l'altro vogliono trasformare parte delle loro valli in un immenso bacino idrico con relativa centrale idroelettrica.
Ci riusciranno?

Jacopo Fo, Simone Canova, Gabriella Canova, Maria Cristina Dalbosco e
Manuela Spacca
www.alcatraz.it

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