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Ex detenuto, per 5 anni sottoposto a regime carcere duro

Corriere della Sera, 18 ottobre 2002

Era accusato di un reato gravissimo, ha trascorso cinque anni al 41 bis girando per le carceri italiane, poi è stato assolto, in primo e secondo grado: ora vuole solo dimenticare. È palermitano, parla, ma solo con la garanzia dell'anonimato. «Arrivai all'Asinara nel '94, e fu il periodo migliore - esordisce - due ore d'aria di mattina, dopo la perquisizione corporale, dalle otto alle dieci, in un cortile di 150 metri quadri, su e giù a passeggiare in dieci detenuti.
Poi di nuovo in cella, sino all’indomani, a guardare le pareti. Niente socialità, niente ping pong, niente carte. Mai visto un educatore o un cappellano. I familiari a colloquio per un’ora una volta al mese, stessa periodicità per le perquisizioni della cella, la doccia durava tre minuti, poi ci tiravano fuori, anche se eravamo ancora insaponati. Pranzo alle 12, quasi sempre pasta con il sugo, cena alle 19, ceci o fagioli. Di tanto in tanto il pesce fritto'. «A Pianosa cambiò tutto - prosegue - dalla nave alla sezione dovevamo camminare a testa bassa, non si poteva guardare l’isola. Arrivammo alla sezione Agrippa, ho girato tutti e tre i bracci. Stavamo in una cella con tre brande, ogni giorno erano 24 ore di alta tensione. Era obbligatorio parlare a voce bassa, tenere basso il volume della televisione, la spesa era custodita in armadietti fuori dalla cella e per prendere qualcosa bisognava ogni volta chiamare la guardia. Eravamo continuamente controllati, gli agenti passeggiavano su e giù nei corridoi fuori dalle celle. Le perquisizioni in cella si accentuarono, in quelle corporali prima dell'aria gli agenti usavano il metal detector che, a contatto con le parti intime, emette energia e non è piacevole. La tensione era continua: a notificare la proroga del 41 bis arrivano la sera, a mezzanotte. Quando si andava a fare una visita dal medico non dicevano mai prima dove si stava andando: arrivavano un comandante e sette agenti e bisognava solo seguirli in silenzio». Il presunto mafioso poi assolto lamenta perfino il «controllo» delle proprie opinioni: «una volta espressi giudizi sul carcere parlando con un altro recluso e mi chiamò il direttore: confermai tutto e gli dissi che mi sembrava di stare ad Alcatraz». Punizioni? «Una volta - risponde - negai, ed era vero, di avere parlato con un altro detenuto ad alta voce, attraverso la finestra. Mi spostarono di cella in continuazione, facendomi saltare il turno delle docce per una settimana». «A Viterbo - racconta ancora - le bocche di lupo alle finestre impedivano alla luce del giorno di entrare in cella ed ogni giorno dovevamo stare con la luce accesa, a Caltanissetta le perquisizioni della cella diventarono giornaliere: scarpe, pane, vestiti gettati quotidianamente nel lavandino dalle guardie a caccia di armi o altro». Nell'ultimo periodo il 41 bis venne 'ammorbidito', alcune rigidità attenuate, fu concesso l’invio mensile di due pacchi di cibo e vestiti invece di uno, e aumentato di un'ora il periodo di aria. «A Roma - ricorda l’ex detenuto - spuntarono i libri, ne potevamo tenere tre o quattro, e li potevamo chiedere anche in biblioteca, anche se arrivavano con molto ritardo. Ogni domenica veniva un sacerdote a dire la messa, ma solo per dieci minuti. Educatori? Nessuno. Volevo imparare ad usare il computer, ma non è stato possibile. So che è concesso a detenuti comuni, ma io ho fatto cinque anni di 41 bis e poi sono stato assolto. Perché ero innocente. E ora voglio solo dimenticare».