Era accusato di un reato gravissimo, ha trascorso cinque anni al 41 bis girando
per le carceri italiane, poi è stato assolto, in primo e secondo grado:
ora vuole solo dimenticare. È palermitano, parla, ma solo con la garanzia
dell'anonimato. «Arrivai all'Asinara nel '94, e fu il periodo migliore
- esordisce - due ore d'aria di mattina, dopo la perquisizione corporale, dalle
otto alle dieci, in un cortile di 150 metri quadri, su e giù a passeggiare
in dieci detenuti.
Poi di nuovo in cella, sino all’indomani, a guardare le pareti. Niente
socialità, niente ping pong, niente carte. Mai visto un educatore o un
cappellano. I familiari a colloquio per un’ora una volta al mese, stessa
periodicità per le perquisizioni della cella, la doccia durava tre minuti,
poi ci tiravano fuori, anche se eravamo ancora insaponati. Pranzo alle 12, quasi
sempre pasta con il sugo, cena alle 19, ceci o fagioli. Di tanto in tanto il
pesce fritto'. «A Pianosa cambiò tutto - prosegue - dalla nave
alla sezione dovevamo camminare a testa bassa, non si poteva guardare l’isola.
Arrivammo alla sezione Agrippa, ho girato tutti e tre i bracci. Stavamo in una
cella con tre brande, ogni giorno erano 24 ore di alta tensione. Era obbligatorio
parlare a voce bassa, tenere basso il volume della televisione, la spesa era
custodita in armadietti fuori dalla cella e per prendere qualcosa bisognava
ogni volta chiamare la guardia. Eravamo continuamente controllati, gli agenti
passeggiavano su e giù nei corridoi fuori dalle celle. Le perquisizioni
in cella si accentuarono, in quelle corporali prima dell'aria gli agenti usavano
il metal detector che, a contatto con le parti intime, emette energia e non
è piacevole. La tensione era continua: a notificare la proroga del 41
bis arrivano la sera, a mezzanotte. Quando si andava a fare una visita dal medico
non dicevano mai prima dove si stava andando: arrivavano un comandante e sette
agenti e bisognava solo seguirli in silenzio». Il presunto mafioso poi
assolto lamenta perfino il «controllo» delle proprie opinioni: «una
volta espressi giudizi sul carcere parlando con un altro recluso e mi chiamò
il direttore: confermai tutto e gli dissi che mi sembrava di stare ad Alcatraz».
Punizioni? «Una volta - risponde - negai, ed era vero, di avere parlato
con un altro detenuto ad alta voce, attraverso la finestra. Mi spostarono di
cella in continuazione, facendomi saltare il turno delle docce per una settimana».
«A Viterbo - racconta ancora - le bocche di lupo alle finestre impedivano
alla luce del giorno di entrare in cella ed ogni giorno dovevamo stare con la
luce accesa, a Caltanissetta le perquisizioni della cella diventarono giornaliere:
scarpe, pane, vestiti gettati quotidianamente nel lavandino dalle guardie a
caccia di armi o altro». Nell'ultimo periodo il 41 bis venne 'ammorbidito',
alcune rigidità attenuate, fu concesso l’invio mensile di due pacchi
di cibo e vestiti invece di uno, e aumentato di un'ora il periodo di aria. «A
Roma - ricorda l’ex detenuto - spuntarono i libri, ne potevamo tenere
tre o quattro, e li potevamo chiedere anche in biblioteca, anche se arrivavano
con molto ritardo. Ogni domenica veniva un sacerdote a dire la messa, ma solo
per dieci minuti. Educatori? Nessuno. Volevo imparare ad usare il computer,
ma non è stato possibile. So che è concesso a detenuti comuni,
ma io ho fatto cinque anni di 41 bis e poi sono stato assolto. Perché
ero innocente. E ora voglio solo dimenticare».