Perché nessuno possa dire: "io non sapevo!"
No all'art. 41 bis!
Amici e parenti dei rivoluzionari prigionieri
15 giugno 2002
Il governo si accinge, con l'assenso delle opposizioni, ad estendere l'art.
41 bis ai prigionieri politici.
Questo non è che uno degli attacchi che il governo sta portando alla
classe: dal libro bianco sul lavoro all'abolizione dell'art. 18, dalla sanità
alle pensioni, dalla riforma Moratti sulla scuola alla legge Bossi-Fini sull'immigrazione.
Alla crisi economica in atto, alle mobilitazioni dei lavoratori, alla ripresa
dell'attività combattente, lo stato risponde attuando una controrivoluzione
preventiva tesa a reprimere ogni forma di resistenza ed è in questo
contesto che si inserisce l'estensione dell'art. 41 bis ai prigionieri politici.
L'art. 41 bis, prevede un notevole peggioramento delle attuali condizioni
carcerarie: abolizione delle telefonate, colloqui ridotti a una sola ora al
mese con i soli familiari e con vetri-citofoni-microfoni-telecamere, un solo
pacco al mese di 5 kg. aria ridotta al massimo di 2 ore al giorno, isolamento
in cella singola, partecipazione ai processi soltanto in video-conferenza,
etc. In sintesi, si torna ai "braccetti della morte", al vecchio
art. 90 riveduto e peggiorato.
L'intento dello Stato è duplice: da una parte aumentare la pressione
su quei compagni delle organizzazioni combattenti che ancora resistono e difendono
la loro identità politica per spingerli alla resa, unico modo per uscire
dal carcere di massima sicurezza, e dall'altra, sottoporre a questo trattamento
le avanguardie di lotta che vengono arrestate per presunti reati con finalità
di terrorismo (art. 270 bis), nel tentativo di dividere e desolidarizzare,
usando i prigionieri più deboli come strumento di propaganda contro
le lotte e gli stessi compagni.
L'art. 41 bis sarà poi esteso anche ai prigionieri islamici arrestati
per presunta appartenenza ad organizzazioni come Al Qaeda, o simili. La situazione
di questi prigionieri, che sono prigionieri politici a tutti gli effetti,
è particolarmente difficile, sia per la mancanza di collegamento con
i familiari, trattandosi di cittadini immigrati, sia perché, nella
maggior parte dei casi, difesi soltanto da avvocati d'ufficio. Mancano quindi,
notizie precise al loro riguardo; si stima però, che possano essere
in un numero che va dagli ottanta ai cento.
Per quanto riguarda i tre prigionieri accusati di appartenenza ad una cellula
di Al Qaeda e processati di recente a Milano, sappiamo che per più
di un anno, sono stati detenuti nel carcere di Opera, in completo isolamento
e senza usufruire nemmeno di due ore d'aria. Ma la cosa più grave,
è che la sentenza di primo grado dispone l'espulsione nei paesi d'origine,
in questo caso la Tunisia, dove sono stati condannati alla pena capitale.
Se la sentenza diverrà definitiva, sarà come condannarli a morte.
Occorre vigilare, visto che l'Italia non è nuova a condanne del genere
(vedi caso Ocalan)! È necessario quindi, al più presto, approfondire
la situazione di questi detenuti e verificare le condizioni in cui si trovano.
Se la situazione dei prigionieri politici sta peggiorando, nemmeno ai detenuti
per reati comuni vengono garantite condizioni dignitose. Il sovraffollamento,
i numerosi casi di autolesionismo, i pestaggi e il continuo aumento dei casi
di suicidio, la dicono lunga sulle condizioni nelle carceri italiane.
Lo Stato, a partire dalla sua collocazione sul piano internazionale, in quanto
Stato imperialista, accentua il suo ruolo repressivo ogni qualvolta le contraddizioni
interne e internazionali si acuiscono.
Proprio perché nasce da un contesto internazionale, questa non è
una caratteristica del governo di centrodestra, ma una tendenza comune di
tutti gli Stati imperialisti
basti pensare al trattamento riservato dagli
U.S.A ai prigionieri afgani.
Dopo aver bombardato e ucciso centinaia di prigionieri nelle carceri afgane,
alcuni gruppi sono stati prelevati e portati nella base militare di Guantanamo
imbavagliati, legati e sedati. A Guantanamo i prigionieri vengono tenuti,
con occhiali e paraorecchie, in gabbie metalliche aperte di un metro per due,
con il tetto di lamiera, una stufa e un secchio di plastica. Nessuna imputazione
precisa, nessun diritto! Il governo americano li considera "combattenti
illegali" e in quanto tali, non rientrano nella categoria dei prigionieri
di guerra quindi, non sono garantiti dalla convenzione di Ginevra né
da altri diritti internazionali.
"Combattenti illegali" dunque, rei di essersi opposti alla penetrazione
imperialista nel loro paese. La guerra in corso è molto chiara, non
ha più bisogno di camuffarsi dietro presunte "emergenze umanitarie".
È una guerra contro tutti quelli che osano opporsi al nuovo ordine
mondiale: quello delle potenze occidentali. Il nemico sono tutti coloro che
resistono: lo provano le liste delle organizzazioni, cosiddette "terroristiche",
che includono praticamente tutte le organizzazioni combattenti.
Ma Guantanamo non è un'eccezione. Prendiamo Israele, solitamente definito:
"unico Stato democratico del Medio Oriente". Con il rastrellamento
nei territori occupati durante la seconda Intifada, ha portato il numero dei
prigionieri palestinesi all' enorme cifra di 15.000. Possiamo dire che l'intera
popolazione palestinese è prigioniera a cielo aperto, impossibilitata
ad uscire dalle città sotto coprifuoco e assediata dai carri armati,
sottoposta a continue incursioni e uccisioni.
Altra situazione drammatica che vogliamo ricordare, è quella dei prigionieri
politici turchi dal 20-10-01 in sciopero della fame fino alla morte, che finora
è costato 93 morti. Le ragioni che hanno portato i compagni a questa
lotta estrema sono il trasferimento in carceri di nuova costruzione, dette
anche di tipo F, che prevedono un continuo isolamento in celle singole, consentendo
così di sottoporre i compagni a pestaggi e torture senza che questi
possano opporre una efficace resistenza. Quello che succede in Turchia non
è dovuto solo, alla natura fascista dello Stato turco, come sostiene
certa "sinistra", bensì allo sforzo della Turchia di adeguarsi
agli standard di detenzione della "democratica" Europa, di cui lo
Stato turco vorrebbe far parte.
Ricordiamo infatti, che condizioni simili di detenzione, sono in vigore in
tutti gli Stati europei fin dagli anni '70
dall'Italia, con le carceri
speciali e l'art. 90. all' ex-Germania occidentale, dove i compagni della
R.A.F. venivano sottoposti in isolamento, alla totale deprivazione sensoriale,
in un tentativo di annientamento che è arrivato fino all'uccisione
di alcuni di loro
per continuare con i blocchi H, delle carceri in nord-Irlanda,
dove gli inglesi hanno cercato di stroncare la secolare resistenza del popolo
irlandese,
fino alla Spagna e ai paesi baschi, dove tuttora viene praticata
la tortura.
Sappiamo quindi molto bene quello che vogliono ottenere con l'applicazione
dell'art. 41 bis: mancanza di dibattito e confronto politico, mancanza di
interrelazioni, desocializzazione, isolamento dal mondo esterno.
Appoggiamo la lotta di tutti i prigionieri rivoluzionari nel mondo. Difendiamo
la loro identità politica. Lottiamo contro l'art. 41 bis, consapevoli
che gli unici diritti a cui avremo diritto, saranno quelli che sapremo conquistarci
con la lotta.
Fonte: pubblicato sul sito http://www.autprol.org