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Riina, super-recluso ad Opera dopo 5 anni ad Ascoli

Ansa, 27 dicembre 2003

Telecamera accesa 24 ore su 24, fargli compagnia 'un incubo' per detenuti.

Con il trasferimento di Totò Riina nel carcere di Opera per motivi di salute il penitenziario di Marino del Tronto cede a Milano il testimone del detenuto più sorvegliato d'Italia. L'uomo che per cinque anni e nove mesi ha tenuto in stand by un dispositivo di sicurezza mai visto, militarizzato la città ad ogni ricovero ospedaliero, trasformato in un incubo (parole loro) la socializzazione dei pochi detenuti ammessi a trascorrere l'ora d'aria con il boss di Cosa nostra. Una «pena nella pena» o un «82 bis» raccontò dopo la scarcerazione Salvatore Savarese. Un cammorrista di secondo piano, che per tre anni fu compagno delle passeggiate di Riina nel cortile lungo otto metri al piano terra del carcere dove il boss scontava dieci o forse 12 ergastoli (nemmeno l'avvocato Luca Cianferoni li ricorda con precisione). Rinchiuso in un cella larga due metri per due, sorvegliata notte e giorno da una telecamera sempre accesa, anche in bagno. Riina, l'uomo che ordinò le stragi dei magistrati Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, e le bombe di Roma, Firenze e Milano nel 1993, era arrivato nel supercarcere ascolano di Marino del Tronto il 5 marzo 1998, trasferito dall'Ucciardone, dove era stato portato dopo l'arresto, avvenuto il 15 gennaio. Non il primo detenuto 'eccellente' per Marino, dove il boss della Camorra Giuseppe Cutolo aveva trattato la liberazione di Ciro Cirillo, e Alì Agca, l'attentatore del Papa era stato rinchiuso in una cella non lontana da quella dell'ideologo delle Br Giovanni Senzani. Ma sicuramente il detenuto più a rischio sul piano della sicurezza, tanto che per Riina il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e il ministero della Giustizia disposero misure eccezionali. Venne creata una sezione speciale, al pianoterra, dell'ala in cui sono reclusi i detenuti in regime di 41 bis (oggi 35, sui 70 abituali, per via di lavori di ristrutturazione del carcere, che ospita fino a 150 condannati e conta 170 agenti di custodia) proprio per poter sorvegliare meglio il boss. La tv, per seguire tg e appuntamenti sportivi (il calcio, le gare di Formula uno, le imprese motociclistiche di Valentino Rossi) e un paio di quotidiani più la 'Gazzetta' dello sport sono state fino all'estate del 1999 l'unica distrazione nella vita carceraria di Riina, interrogato in videoconferenza nei suoi innumerevoli processi, raggiunto qualche volta dalla moglie Ninetta Bagarella e dai figli per colloqui filmati e registrati, intrecciati al di là di un vetro divisorio. Quando la Corte d'Assise di Palermo pose fine all'isolamento del boss (periodicamente ripristinato da sentenze successive) il più sanguinario dei protagonisti di Cosa Nostra divenne una fisionomia accessibile - di una psicologia rimasta ermetica - prima per un extracomunitario che non sapeva nemmeno chi fosse l'uomo delle stragi, poi, nel 2001, per Salvatore Savarese, selezionato con altri due detenuti dal Dap, per pranzare e parlare con il boss. «Io sono il parafulmine d'Italia - si sarebbe lasciato scappare con lui una volta il capo dei capi - ma io, mischino, ho sempre travagliato, la vera mafia sta a Roma...». Confidenze nate da una frequentazione di cui anche il compagno d'aria successivo, Achille Piccolo, pure lui camorrista, avrebbe fatto volentieri a meno; tanto che nel settembre 2002 scrisse una lettera ai radicali chiedendo di aiutarlo ad uscire da quella situazione da 'Grande fratello'. Ma a parte qualche sfogo sporadico, e un'indefessa offensiva legale affidata ai difensori perché lo portassero fuori di lì (con una sospensione della pena causa cardiopatia, o con il trasferimento in un centro clinico) il comportamento carcerario di Riina non avrebbe mai suscitato, almeno ufficialmente, motivi di censura. Il boss non ha mai aderito alle proteste per il sovraffollamento degli istituti di pena o la stabilizzazione del 41 bis, e il 20 settembre del 2002 l'amministrazione carceraria regionale arrivò a diffondere un comunicato per smentire che Riina avesse minacciato un agente di custodia. Confermando che non partecipava allo sciopero della fame degli altri detenuti. Riina del resto è sempre stato attento alla sua salute, su cui fino al 24 dicembre scorso hanno vigilato l'infermeria e la guardia medica del carcere, e anche in occasione dei suoi ricoveri ospedalieri i medici l'hanno sempre trovato molto collaborativo. Fino a quando è stato possibile, è stato curato in cella (anche con macchinari diagnostici esterni) o nell'ospedale civile 'Mazzoni' di Ascoli, dove i ricoveri, sotto falso nome, sono stati numerosi. Solo quattro dei quali noti, il 22 settembre e il 12 ottobre 2002, il 16 maggio 2003, dopo l'infarto e prima del trasferimento nell'ospedale di Teramo per un intervento di angioplastica coronarica, e infine il 27 ottobre scorso, prima di una coronografia eseguita poi ad Ancona. L'ultimo scortatissimo viaggio con poliziotti e carabinieri in gran numero Riina l'ha fatto alle 4 del mattino della vigilia di Natale, diretto prima a Varese (con un volo da Falconara), e poi in una cella del centro clinico carcerario per cardiopatici di Opera. Una decisione giusta, ha commentato la moglie Ninetta. How about trying your luck? Best rated online casinos with easy filtering by country will help you do that.

Riina, giusto avere trattamento più dignitoso

Ansa, 1 gennaio 2004

Boss denuncia ai radicali, non posso ricevere cibo da casa.

Un trattamento carcerario «più dignitoso». È quel che ha chiesto il boss Totò Riina, pluriergastolano, e dalla vigilia di Natale nel carcere milanese di Opera in regime di 41 bis, a Maurizio Turco, il presidente dei deputati radicali al Parlamento Europeo che oggi, accompagnato dall'ex consigliere regionale Giorgio Inzani, gli ha fatto visita nella prigione alle porte di Milano. Riina, in una delle cinque celle del reparto speciale creato per i detenuti sottoposti al carcere duro, si è lamentato delle condizioni in cui è detenuto. Il boss, nel breve colloquio avuto attraverso lo spioncino della sua cella, come ha riferito Turco, ha spiegato che «il mondo deve sapere» delle sue condizioni. «Ha fatto presente - ha spiegato l'europarlamentare - che ha tre by-pass e che nell'ultimo anno è stato colpito da due infarti e che, quindi, trova assurdo che una persona di 74 anni come lui, in quello stato di salute, dopo 11 anni in isolamento, non debba avere condizioni di detenzione più dignitose». Turco, che è anche relatore al parlamento europeo sui diritti dei detenuti nell'Unione, ha sottolineato che il boss dei boss ha denunciato di non poter nemmeno ricevere il cibo da casa: «Che senso ha una cosa del genere? - avrebbe chiesto - Qual è la ragione per cui non posso ricevere viveri da casa?» Riina però, come aveva chiesto, riceve tutti i giorni la Gazzetta dello Sport. E sempre su sua richiesta, presto avrà una cyclette che verrà sistemata nella sala allestita per le due ore di socialità al giorno alle quali i detenuti sottoposti al regime del 41 bis hanno diritto. La visita di oggi di Turco e Inzani a Totò Riina è avvenuta in seguito a una polemica con la direzione della Casa circondariale: il 30 si erano recati nel carcere per visitare i detenuti al centro clinico ed anche il boss, ma l'agente che li accompagnava escludeva che Riina fosse lì e che ci fosse un reparto per i detenuti sottoposti al 41 bis. «Quello che non sapevamo e che due giorni fa non ci è stato detto ufficialmente, nonostante le notizie apparse sulla stampa - hanno affermato -, oggi l'abbiamo scoperto e appurato di persona». «C'è una politica sulla detenzione speciale - ha continuato Maurizio Turco - sottratta alla conoscenza pubblica e soprattutto a coloro che hanno poteri ispettivi, come i deputati». L'europarlamentare radicale ha poi sottolineato che Riina è il detenuto più noto con una vicenda giudiziaria molto complessa: «ma la vicenda di Riina - ha precisato - è la vicenda di tutti i detenuti sottoposti al regime del carcere duro. Sono sottoposti al 41 bis senza avere le garanzie di legge. Una legge che, per esempio, non prevede che il colloquio mensile con i familiari avvenga attraverso un vetro». Secondo il relatore per il parlamento Europeo sullo stato dei diritti dei detenuti «lo stato italiano non può e non deve comportarsi in modo vendicativo, usando gli stessi strumenti della mafia, la vendetta, per combatterla».«Per questo - ha ribadito Turco - chiediamo di nuovo al ministro della Giustizia Castelli il rispetto della legge sul 41 bis e non misure di tipo punitivo. Inoltre che venga fatta un'inchiesta per verificare quanti di questi detenuti rispondono in realtà ai requisiti previsti dalla legge stessa». Inzani ha anche parlato di come il taglio dei fondi dedicati al settore penitenziario a Opera abbia toccato in particolare il reparto femminile, dove soprattutto manca il personale.