L'abolizione
del Codice penale è un'idea folle oppure un''utopia concreta'?
A prima
vista è la prima ipotesi quella buona. Nell'opera così ben documentata
di Vincenzo Guagliardo, per esempio, tenderebbe a provarlo il programma
minimo che egli propone a pagina 237, la riduzione delle attuali pene e
l'abolizione dell'ergastolo, o ancora un'inversione di tendenza
all'aumento della popolazione carceraria.
Questo
programma provvisorio non significa affatto un'attenuazione del progetto
abolizionista.
Tenta
semplicemente di prendere in considerazione le resistenze molto forti
nell'immaginario sociale e nella società civile.
Come nota
Guagliardo, l'attuale ideologia dominante, postmoderna, caga felicemente (chie
de bon coeur) sulle idee dei Lumi, e presenta aspetti reattivi e
reazionari: degli 'ecologisti', delle 'femministe', dei 'rivoluzionari'
che reclamano l'aumento di sanzioni penali contro i loro avversari. I
recenti fatti di pedofilia assassina in Belgio riattivano i fantasmi della
pena di morte e l'indignazione morale contro ogni forma di erotismo
pedofilo (anche quello relativo al solo possesso di cassette video),
mentre nella più completa impunità gli adulti sfruttano il lavoro di
decine di milioni di bambini in tutto il mondo ed i loro coetanei africani
o albanesi possono pavoneggiarsi davanti alle telecamere di tutto il mondo
armati di pesanti fucili d'assalto.
Sono
possibili altri esempi: l'interminabile dibattito sulla depenalizzazione
delle droghe leggere e l'inevitabile alternativa tra penalizzazione e
medicalizzazione (all'occorrenza psichiatrizzazione).
Ed è
infatti nell'ambiente psichiatrico che si è manifestata negli anni '60
una forma di abolizionismo in correnti di pensiero europee ed americane,
di cui le più radicali furono l'anti-psichiatria britannica e la
psichiatria democratica italiana. Relativamente a quest'ultima tracce
delle lotte per l'abolizione del manicomio sono rinvenibili in una legge -
quella detta Basaglia - le cui modalità d'applicazione hanno sofferto
senz'altro della morte del suo propugnatore. Resta così qualche lavoro a
rappresentare altrettanti manifesti abolizionisti, come L'Institution
niée (1) di Basaglia e della sua équipe oppure Crimini
di pace (2), una specie di tribunale internazionale, libro tradotto in
numerose lingue ma che non ha beneficiato dell'eco che avrebbe meritato.
Più
recentemente, il dottor Giorgio Antonucci, direttore di un reparto
psichiatrico del manicomio di Imola descrive Il
pregiudizio psichiatrico (3), ricordando al capitolo 12 'Il caso
Sabatini', internato nel 1985 nel manicomio giudiziario di Castiglione
delle Stiviere. Ed eccoci informati che non è solo nell'URSS di Stalin o
di Breznev che il codice penale accetta temibili interferenze con la
nosografia psichiatrica.
Dall'istituzione
carceraria a quella psichiatrica, il pregiudizio
prodotto dalla stigmatizzazione
(Goffman) o dalla semplice reclusione
(Foucault) è di natura simile. O piuttosto, così come disse Hegel il
giorno in cui tentò di definire la dialettica, vi sono una serie di slittamenti, i differenti momenti
d'un concetto (qui l'istituzione totale) slittano gli uni negli altri.
Lo
slittamento dall'istituzione totale
(prigione o manicomio, eccetera) all'istituzione totalitaria non è un
effetto retorico. Nei loro scritti teorici sullo Stato totale, Mussolini ed i suoi pensatori non esitarono per niente
di fronte a questo pattinaggio artistico. Gli ideologi di Hitler (questi
ultimi non avevano la cultura di Mussolini) si precipitarono ad applicare
al Partito (e non più allo Stato) questa filosofia della totalità. Con uno sguardo retrospettivo si può dire che
l'istituzione concentrazionaria, la manifestazione più perfetta del
totalitarismo secondo Hanna Arendt, 'realizza' una tale filosofia.
Questa
logica statalista, questa filosofia non possiede solo la particolarità, tra le altre, di spingere all'estremo, al
parossismo, la logica classificatoria (aristotelica) che si vede all'opera
nelle forme sociali d'esclusione, come la prigione o il manicomio. In nome
dell'universalità d'una forma
unica, totale (lo Stato o il Partito-Stato come nella Germania nazista o
in URSS), questa logica produce molto naturalmente (!), la forma
"singolare" del campo di concentramento.
La
singolarità risiede nel fatto che questo tipo d'istituzione viola...
totalmente il Codice penale che resta ufficialmente in vigore negli Stati
in questione.
In questo
senso, che non ha nulla di metaforico, si può parlare di Stato
abolizionista del suo proprio codice. Questa violazione, per
autodissoluzione del Codice penale, sembra essere stata ben sostenuta non
solo negli stati totalitari, ma allo stesso modo, anche oggi, da Stati la
cui organizzazione non può essere assimilata a quella del nazismo o dello
stalinismo. I campi di rifugiati, compresi i campi speciali per bambini,
per esempio, fioriscono negli Stati limitrofi del Ruanda.
L'UNESCO,
l'UNICEF possono sicuramente entrarvi a determinate condizioni. Questi
organismi internazionali, così come le ONG, possono tranquillamente
partecipare, in nome dell'aiuto umanitario,
"all'istituzionalizzazione" di questi campi della sofferenza e
della morte lenta. L'istituzione del campo di concentramento, e dello
stesso campo d'annientamento (Vernichttunslager) non va ricercata in un passato remoto. Essa
diventa naturale e legittima proprio oggi.
Se lo
Stato (e le organizzazioni sovranazionali) possono accettare l'abolizione
del Codice penale nel senso dell'inumano,
noi non dobbiamo temere di considerare l'ipotesi simmetrica ed inversa:
cioè a dire che lo Stato e le organizzazioni sovranazionali accettino
d'abolire la brutalità della sanzione penale, della stigmatizzazione,
della reclusione e gli altri deliri giuridici.
Un
abolizionismo in direzione dell'umano.
NOTE
(1) AUTORI
VARI, L'istituzione negata, a
cura di Franco Basaglia, Einaudi, Torino 1970.
(2) AUTORI
VARI, Crimini di pace, a cura di
F. e F. Basaglia, (saggi di V. Dejider, M. Foucault, R. Castel, R. Lourau,
N. Chomsky, R. Laing, E. Goffman, T. Szasz), Einaudi, Torino 1968.
(3)
ANTONUCCI G., Il pregiudizio
psichiatrico, Elèuthera, Milano 1989.