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Abu Ghraib la città del male

Renato Caprile

la Repubblica, 1 maggio 2004

Nella ex prigione di Saddam ci sono diecimila detenuti in condizioni "inumane". Chi è passato in quelle celle racconta: "Le immagini che ho visto dei marines mi ricordano gli aguzzini del raìs".

Nel gergo dei criminali iracheni era semplicemente Madinat al ro’ub. La città del Male. Definizione fin troppo calzante per dare l’idea di cosa sia stato Abu Ghraib, il carcere di Saddam. L’immensa prigione color della sabbia dove sono stati torturati ed uccisi migliaia di oppositori del regime.

Costruito nei primi anni Settanta a una ventina di chilometri scarsi da Bagdad sulla strada che porta a Falluja, Abu Ghraib anche oggi che il rais non c’è più continua a essere un inferno. Diecimila detenuti. Troppi. Il doppio di quelli che potrebbero starci. Uomini e donne. Ladri, assassini e terroristi. E violenze di ogni tipo, stupri ed anche torture.

Ma stavolta gli aguzzini non sono iracheni. Vestono la divisa dei marines che controllano da oltre un anno il penitenziario. Un pugno di soldati che si sono macchiati di crimini orrendi. Hasina, ventidue anni, sorella e complice di un presunto guerrigliero ha denunciato di essere stata insieme alle sue compagne di cella ripetutamente stuprata.

Un grido d’aiuto sotto forma di messaggio fatto uscire all’esterno. Poche righe affisse sui muri del suo quartiere e distribuite all’esterno della moschea. «Attaccate il carcere, venite a liberarmi, se dovessi restare incinta mi uccido». Il carcere non l’hanno attaccato ma un effetto quella denuncia lo ha comunque prodotto. Sei soldati sono finiti sotto inchiesta con l’accusa di violenza sessuale ai danni di alcune detenute.

Il generale americano Mark Kimmit ha assicurato che subiranno un processo. Poi la storia delle torture denunciata ieri l’altro dai media Usa che ha inorridito Tony Blair.

«Non è cambiato niente», dice Raad Abdullah che ad Abu Ghraib c’è stato sette lunghissini anni. «Erano delle canaglie i nostri secondini, ma non mi pare che siano migliori gli americani. Non tutti è vero ma quelle immagini che ha diffuso ieri al Jazeera mi hanno ricordato gli aguzzini del presidente. Più o meno gli stessi metodi». Raad non è né un ladro né un assassino. Aveva disertato, l’hanno acciuffato e si è beccato dieci anni.

Ma ha beneficiato insieme ad altri tremila detenuti dell’amnistia regalata da Saddam poco prima dell’inizio della guerra. Negli ultimi giorni aveva bisogno di tutti il raìs, anche della feccia della società, degli psicopatici, dei serial killer, liberati così da un giorno all’altro. Raad quel carcere quindi lo conosce bene. «Non ho mai sentito di uno che sia riuscito ad evadere.

Impossibile. Tra il muro di cinta e il corpo della prigione c’è più di un chilometro allo scoperto. Dalle torrette avevano l’ordine di sparare su qualunque cosa si muovesse in quell’area. E lo facevano».

I più poveri, quelli senza alcuna protezione, finivano in camerate con cinquanta brande. «Chi non c’è stato non può capire cosa sia. Ci si accoltellava per un niente. Eravamo come degli animali, peggio che animali. Chi aveva un po’ di soldi riusciva a strappare una sistemazione migliore, con soltanto cinque o dieci compagni di sventura. Anche lì i soldi avevano il potere di farti soffrire di meno. Ma questo soltanto per quelli che si erano macchiati come me di reati comuni, perché i politici avevano un trattamento a parte.

Non li vedevamo, di notte li sentivamo urlare. Sapevamo che c’era una camera per le torture, ma io non l’ho mai vista. Mercoledì era il giorno delle esecuzioni. Chi voleva poteva assistere. E così una volta ho visto qualcosa che non dimenticherò. Il condannato era un tipo piccolino, magro come un chiodo, avrà pesato sì e no una quarantina di chili. Non ho idea di che cosa fosse accusato. Lo dovevano impiccare.

Il boia gli ha passato la corda intorno alla testa, poi ha aperto la botola, ma quel poveraccio non moriva. Troppo leggero. E lui, occhi negli occhi, gli si è avvicinato, lo ha preso per le spalle e lo spinto giù fino a spezzargli il collo».
Dopo la caduta di Bagdad, il penitenziario di Abu Ghraib è stata assaltato diverse volte. A colpi di mortaio nell’agosto dello scorso anno (sei morti e 59 feriti). Sempre a colpi di mortaio poco più di una settimana fa con un bilancio da strage: venti morti e oltre cento feriti.

I tentativi di rivolta non si contano e spesso sedarli non è stato facile. Davanti a quel carcere nel quale hanno perso la vita anche molti soldati americani è stato ucciso un cameraman della Reuter’s, il palestinese Mazen Dama. E non lontano da quella prigione, che è in una zona tra le più degradate del paese, sono stati sequestrati anche i quattro italiani.