Abu Ghraib, anche contractors responsabili delle torture
Repubblica 3 maggio 2004

Agenti di sicurezza privati coinvolti nello scandalo della prigione. Un esercito parallelo assoldato per "facilitare gli interrogatori". Bush a Rumsfeld: "Punire immediatamente i responsabili". La Cia apre un'inchiesta sui mercenari che operano in Iraq

Anche alcuni contractors civili, gli agenti di sicurezza privati, avrebbero partecipato alle torture sui prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib. Lo scandalo si allarga: un rapporto dell'esercito cita due società appaltatrici del Pentagono, La Caci di Arlington, Virginia, e la Titan di San Diego, California. Ai loro dipendenti era stato affidato il compito di "facilitare gli interrogatori" dell'intelligence militare, lavorando con i riservisti che compaiono nelle foto rese pubbliche dalla tv americana Cbs. Due i nomi che compaiono nel rapporto del generale Antonio Taguba (entrato in possesso ieri del New Yorker e oggi di New York Times e Los Angeles Times): John Israel e Steven Stephanowicz, entrambi dipendenti della Caci.

John Israel era un interprete, mentre Steven Stephanowicz sapeva chiaramente, scrive Taguba nel dossier, che "le sue istruzioni equivalevano all'uso di violenze fisiche". Nei loro confronti, il generale aveva raccomandato azioni disciplinari, perché sospettati di essere "direttamente o indirettamente responsabili per gli abusi a Abu Ghraib".

Intanto cresce negli Stati Uniti l'indignazione politica. Per la seconda volta in tre giorni il presidente George W. Bush ha sollecitato il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, affinché i responsabili siano puniti come si deve. E il segretario di Stato Colin Powell ha parlato di "atti esacrabili", che "non devono avere riflessi sul lavoro che la maggior parte delle truppe sta facendo per la ricostruzione dell'Iraq".

Ma è significativo che il generale Taguba, nel suo dossier, non parli di casi isolati ma di "atti di sadismo criminale sistematici". E stabilisca, fra l'altro, un filo rosso che parte dall'Afghanistan, passa per Guantanamo e approda ad Abu Ghraib. Sangue, umiliazioni, violazione dei più basilari diritti umani ad opera di agenti di polizia militare ma anche di mercenari, per fiaccare la resistenza dei detenuti.

Tutto sarebbe iniziato alla fine dell'estate 2003. Fra agosto e settembre, una delegazione ad alto livello parte da Guantanamo, guidata dal comandante della base-prigione Geoffrey Miller, si reca in visita in Iraq e raccomanda che elementi di polizia militare siano utilizzati come "facilitatori degli interrogatori".

Tuttavia, ai primi di novembre, un rapporto sul sistema delle prigioni irachene redatto per conto dell'esercito riferisce di non aver constatato "pratiche illegali di detenzione da parte della polizia militare di Abu Ghraib". Invece, secondo il generale Taguba, il grosso degli abusi si era consumato proprio tra ottobre e dicembre: "Ufficiali dell'intelligence dell'esercito, agenti della Cia e contractors chiesero esplicitamente che i poliziotti militari creassero le condizioni fisiche e mentali favorevoli agli interrogatori", si legge nel dossier che reca sulla copertina l'etichetta "Segreto. Da non diffondere all'estero".

La Cia ha aperto un'inchiesta, così come la Caci ad Arlington. "Siamo sotto shock - ha detto un portavoce della società -, non tolleriamo né condoniamo condotte illegali da parte dei nostri 7.600 dipendenti". Quella stessa società che ricava il 64 per cento dei suoi proventi dal Pentagono e che, nelle offerte di lavoro pubblicate su Internet a febbraio, proponeva "eccitanti opportunità di intelligence in Iraq" per individui disposti a "condurre per uno o due anni interrogatori strategici e tattici".

Già nei giorni scorsi la presenza di mercenari nelle prigioni irachene aveva suscitato perplessità, così come il vasto numero di dipendenti civili utilizzati in ruoli militari. Un esercito di ventura che, secondo la stima della Brookings Intitution, conterebbe 15-20 mila uomini, in ruoli anche critici, come la conduzione, appunto, degli interrogatori, e il coordinamento della logistica.

Al Pentagono si avvertono le prime ripercussioni. L'esercito ha inviato una censura scritta a sei ufficiali della catena di comando di Abu Ghraib. Un settimo ufficiale ha ricevuto un ammonimento minore. Per loro, l'azione disciplinare potrebbe significare la fine della carriera. Altri sei riservisti coinvolti nello scandalo (gli uomini e le donne delle foto) sono finiti davanti al gran giurì militare con accuse di natura penale.