L'America scopre che le torture hanno ucciso
Ennio Caretto
Corriere della Sera, 5 maggio 2004

Un generale: tra Afghanistan e Iraq indaghiamo su 25 morti. Rumsfeld: «Atti contrari alla nostra storia». Il Congresso convoca alti ufficiali delle forze armate in vista di un'indagine parlamentare. Human Rights Watch scrive alla Rice: «Soldati sospettati di crimini di guerra». Detenuto ucciso a colpi di pietra, un altro mentre tentava la fuga.

Il Pentagono ha indagato o sta indagando su 35 casi di torture di prigionieri di guerra in Afghanistan e in Iraq, e su 25 morti avvenute in seguito a esse o per altre cause imprecisate. Lo ha annunciato al termine di una conferenza stampa, dopo che il ministro della difesa Donald Rumsfeld aveva definito «inaccettabili e non americane» le sevizie e le umiliazioni inflitte ai detenuti, il generale Donald Ryder, uno dei responsabili del sistema carcerario. Ryder ha precisato che uno dei prigionieri è stato ucciso da un soldato, un secondo da un «contractor» o agente privato al servizio della Cia, un terzo da una sentinella che gli ha sparato mentre fuggiva. «Indagini sono in corso su altri dieci casi», ha aggiunto. «Non sappiamo se i restanti dieci decessi siano da attribuire a cause naturali». Visibilmente scosso, Rumsfeld ha promesso «una approfondita inchiesta» su tutte le carceri militari, compresa Guantanamo a Cuba. In visita all'Onu, il segretario di stato Colin Powell, ex capo di stato maggiore delle forze armate, ha assicurato che «giustizia sarà fatta». In un'intervista alle tv arabe, Condoleezza Rice, consigliere della sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha ricordato che «l'America è una democrazia in cui la gente deve rispondere del proprio comportamento». E il portavoce Scott McClellan ha garantito che il presidente Bush «andrà a fondo della vicenda». Ma lo scandalo rischia di causare un danno irreparabile alla Superpotenza proprio mentre il Pentagono proclama che terrà 135 mila soldati in Iraq fino alla fine dell'anno. Ryder ha fornito particolari raccapriccianti sulla morte del primo prigioniero: il soldato lo avrebbe ucciso a colpi di pietra, e sarebbe stato cacciato dall'esercito ma non incriminato né imprigionato. L'autore del secondo omicidio, il «contractor» della Cia, non sarebbe ancora stato punito, né si sa se mai lo sarà. L'uccisione del prigioniero in fuga passerebbe per un caso di legittima difesa. I 35 casi di torture e i 25 decessi, ha anche precisato il generale, sono stati portati alla luce dal dicembre del 2002 in poi. Secondo Seymour Hersh, il giornalista che ha svelato lo scandalo sulla rivista New Yorker, è solo la punta dell'iceberg. «Esistono foto, filmati, cd di computer su maltrattamenti inflitti a centinaia di persone. E il 60 per cento circa dei detenuti a Abu Ghraib non avevano nulla a che fare con il terrorismo o con l'insurrezione in Iraq. Tra di essi, vi erano anche donne e minori». La tragedia ha spinto il Congresso a convocare alti ufficiali delle forze armate in vista di un'inchiesta. Il senatore repubblicano John Warner ha ammonito di «volere vedere chiaro nelle mostruose violazioni del codice di condotta militare». Il collega repubblicano John Hagel, un eroe della guerra del Vietnam, ha parlato di «una cultura che incoraggia questa disumanità». Il senatore democratico John Bingaman si è chiesto «che cosa sapessero il capo di stato maggiore, generale Richard Myers, Rumsfeld e lo stesso presidente Bush, se ci siano responsabilità ai vertici in questi orrendi fatti». Human Rights Watch ha scritto alla Rice protestando che i soldati «potrebbero essersi macchiati di crimini di guerra». Anche l'Onu vuole intervenire: Bertrand Raucharaman, l'alto commissario ai diritti umani, preme per indagini autonome. Tra i critici dell'amministrazione affiora il sospetto che il Pentagono abbia tentato di insabbiare lo scandalo. Larry de Rita, il suo portavoce, ha ammesso che già lo scorso autunno il trattamento dei prigionieri era stato oggetto di «un accurato esame». Ma solo a marzo, ha aggiunto, con il rapporto del generale Antonio Taguba, era emerso un quadro preciso della situazione, e una équipe di esperti era partita per Bagdad per porvi rimedio. Autore dell'«accurato esame» fu il generale Geoffrey Miller, il capo delle carceri di Guantanamo, oggi accusato di non avere stroncato gli abusi. L'America si chiede perché in oltre sei mesi non siano stati presi provvedimenti, perché nessuno sia stato processato, perché solo sette ufficiali siano stati «censurati» e solo sei soldati, esecutori di ordini superiori, rischino la corte marziale.