Non è che l'inizio. Altri abusi verranno presto a galla
il manifesto, 6 maggio 2004

Un giornalista arabo americano alla Radio nazionale Usa non esclude il coinvolgimento delle truppe italiane. Riportiamo la trascrizione di un'intervista rilasciata alla trasmissione radiofonica To the point di Yussef Ibrahim, ex corrispondente del New York Times per il Medio oriente. In uno scambio di battute con l'intervistatore a proposito della foto che ritraggono i soldati americani torturare prigionieri iracheni, il giornalista afferma che anche truppe italiane hanno commesso abusi.

Come è stata ricevuta la notizia di queste foto nel mondo arabo?

Come hai accennato in precedenza è stata percepita come uno shock causato da un'amministrazione vista dal mondo arabo come nemica. Un'amministrazione che impone le proprie scelte e senza consultare nessuno e per nulla interessata ai sentimenti della popolazione. Bisogna inoltre bisogna tenere presente le caratteristiche culturali di una società in cui la figura maschile ha un determinato peso e dove l'uomo non può essere trattato nelle maniera in cui alcune foto mostravano. Vedere uomini oggetto di scherno di donne soldato, ritratti come in atteggiamenti omossessuali è decisamente devastante per l'opinione pubblica araba. Credo che questo episodio segni cambiamenti profondi nelle relazioni con gli Stati uniti.

Girano su internet foto che i media hanno ritenuto probabilmente troppo forti e non hanno ancora mostrato. Queste immagini sono state trasmesse dai media arabi?

Non ancora, ma penso che presto sarà fatto. Le immagini ormai sono su molti siti, esistono delle copie su cd di computer, quindi presto saranno rese pubbliche. E lo shock che produrranno sarà ancora più forte. L'intera vicenda non è ancora finita. L'altro giorno il generale Ricardo Sanchez, intervistato dalla radio pubblica, ha sottolineato come pratiche di quel tipo sono state perpetrate sistematicamente. Esse hanno preso piede per la prima volta a Guantanamo, per finire in Iraq. Sono convinto che tali violazioni dei diritti umani e del codice di guerra sono andate avanti per molto tempo. Anche le truppe italiane hanno commesso abusi e le foto possono uscire da un momento all'altro. Insomma, si tratta di una vera e propria macchina che oggi appare come doppia: la società americana ha dei valori, ma ritiene che essi siano adatti solo per noi americani e non siano invece applicabili agli arabi. Teniamo presente anche l'intero contesto in cui tale vicenda si colloca. Non dimentichiamo, ad esempio, il via libera dato da Bush alla politica di Sharon senza aver mai interpellato la voce palestinese: è in atto un deterioramento dei rapporti e la vicenda delle foto rappresenta un vero e proprio shock dalla violenza inaudita.

In più non va dimenticato che il carcere di Abu Ghraib è stato per tutto il periodo del regime di Saddam Hussein il simbolo del terrore. La notizia data a un padre, a una madre, a un fratello, a una sorella, a un cugino, a una moglie o a un marito che il loro caro poteva essere finito rinchiuso in quelle celle equivaleva alla fine della vita. Di quella persona rinchiusa non si sarebbe saputo più nulla, nessuno avrebbe potuto averne notizie, conoscere le sue condizioni, sapere se era vivo o morto. Oggi migliaia di iracheni sono finiti in quel carcere e di quelle persone le famiglie non sanno più nulla da tempo. Poi all'improvviso vedono quelle immagini sui media, in televisione. Cominciano a temere il peggio per i loro cari, non sanno cosa fare. Vanno davanti alle prigioni per sapere, per avere notizie. In sostanza, con un unico evento, in una sola settimana, si è fatto rinascere un incubo che il popolo iracheno ha vissuto per anni.