Il velo di segreto sulle attività della Cia in Iraq e in Afghanistan si solleva per un attimo e fa trapelare due nomi. Sono Abid Hamid Mohush e Manadel al Jamadi. Il primo era un generale della Guardia Repubblicana di Saddam Hussein, il secondo un prigioniero di guerra comune. Accomunati da un tragico destino: quello di essere morti, forse a causa delle sevizie subite, durante gli interrogatori degli uomini dell'agenzia di Langley. Il generale Mohush e il prigioniero di guerra Jamadi sono i due morti in seguito a interrogatori della Cia su cui il Dipartimento della Gisutizia ha aperto un'inchiesta. Una terza persona è stata invece interrogata ed è morta in Afghanistan. La lista nera dei morti della Cia è stata resa nota da fonti di intelligence e del Dipartimento della Giustizia nell'ambito dello scandalo sulle torture a Abu Ghraib.
Due morti sospette in Iraq in novembre
Il generale è morto nel novembre 2003 alcuni giorni dopo esser stato
messo sotto il torchio in un centro per interrogatori nell'Iraq occidentale.
All'epoca le forze armate Usa attribuirono il decesso a cause naturali ma l'orrore
delle sevizie a Abu Ghraib ha indotto il Dipartimento della Giustizia a riaprire
il dossier. Anche l'altro episodio avvenuto in Iraq risale a novembre, il mese
durante il quale, secondo il rapporto del generale Antonio Taguba, gli abusi
a Abu Ghraib avrebbero raggiunto l'apice. L'iracheno era in buona salute quando
il 4 novembre è stato messo nelle mani della Cia per essere interrogato.
Secondo fonti di intelligence, è morto un quarto d'ora dopo l'inizio
dell'interrogatorio.
"Si è accasciato durante l'interrogatorio"
Nella cella, secondo fonti del Dipartimento della Giustizia, c'erano solo tre
persone: il detenuto, un agente della Cia e un linguista assunto a contratto
dall'agenzia di Langley come traduttore. Jamadi era stato consegnato alla Cia
dai Navy Seals, le forze speciali della Marina Usa un cui portavoce ha negato
oggi maltrattamenti del prigioniero. "Jamadi non è stato toccato.
Si è accasciato durante l'interrogatorio", è stata la linea
difensiva adottata dalla Cia. Il corpo dell'uomo è stato quindi 'impacchettato'
nel ghiaccio: una procedura comune, come dimostra una fotografia scattata a
Abu Ghraib che riprende un altro cadavere - non quello di Jamadi - e che è
stata pubblicata sull'ultimo numero del 'New Yorker'. Le vittime della Cia sono
state al centro di un'audizione ieri in Congresso. "Finora non sono emerse
prove che elementi dei servizi segreti abbiano ordinato gli abusi. Però
l'inchiesta continua", ha detto al termine del briefing il presidente della
commissione Pat Roberts.
Detenuti fantasma per sfuggire a Croce Rossa
L'inchiesta del Dipartimento della Giustizia implica che, se ragionevolmente
sospettati di abusi, agenti della Cia e contrattisti dell'agenzia potrebbero
essere processati in tribunali civili rischiando la pena di morte se, in seguito
alle sevizie, il detenuto torturato è morto. Ma non è il solo
abuso nel trattamento dei prigionieri di guerra di cui la Cia potrebbe essersi
resa colpevole in Iraq. Secondo un passo finora trascurato del rappoorto del
generale Taguba, la Cia avrebbe chiesto alle autorità militari di Abu
Ghraib di tenere sotto chiave un gruppetto di prigionieri senza che il loro
nome figurasse nel registro della prigione. Erano i cosiddetti "prigionieri
fantasma": i prigionieri che la Cia spostava di cella in cella per "nasconderli
agli ispettori della Croce Rossa in visita nel carcere".
Intanto, ben prima che scoppiasse lo scandalo delle sevizie subite dai detenuti iracheni, il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha esortato le forze statunitensi ad adottare "misure correttive" nel carcere di Abu Ghraib, ha affermato oggi a Ginevra la portavoce del Cicr Antonella Notari. In base alle informazioni raccolte dai delegati del Cicr nel corso delle visite ai prigionieri detenuti a Abu Ghraib, la Croce rossa internazionale ha "ripetutamente chiesto alle autorità americane di prendere le misure che si imponevano per cambiare la situazione", ha affermato la portavoce. "L'effetto non è forse stato immediato, ma sappiamo che misure sono state prese dalle forze statunitensi e che ulteriori misure sono previste per migliorare la situazione", ha detto la Notari all'Ansa. Dall'anno scorso, i delegati del Cicr hanno visitato regolarmente la prigione Abu Ghraib, il penitenziario nei pressi di Baghdad luogo di sevizie ed umiliazioni di prigionieri detenuti dalle forze statunitensi in Iraq. Al termine di ogni visita, al ritmo di una ogni cinque-sei settimane, è stato redatto un rapporto destinato alle autorità di detenzione sulla situazione dei prigionieri. "Siamo convinti che i nostri rapporti sono stati presi sul serio", ha detto la portavoce che nei giorni scorsi aveva definito "scioccanti" le foto sui maltrattamenti subiti dai prigionieri. "Pensiamo di aver avuto un accesso illimitato ai detenuti della prigione di Abu Ghraib e a tutte le sezioni del penitenziario. Abbiamo potuto parlare in privato con i detenuti e farci un'idea molto precisa della situazione. Non posso tuttavia fornire dettagli in proposito. Come tutti i detenuti visitati dai delegati dell'organizzazione umanitaria - ha precisato Notari - anche i prigionieri di Abu Ghraib hanno avuto modo di inviare messaggi del tipo 'Croce rossa' alle loro famiglie". Adesso "continueremo a compiere visite, a parlare con i detenuti per vedere se le raccomandazioni sono applicate e a fare rapporti agli americani. Il nostro criterio sarà sempre il trattamento umano dei prigionieri", ha detto. Oltre al penitenziario di Abu Ghraib, il Cicr - garante delle Convenzioni di Ginevra - ha accesso in Iraq "a tutte le persone detenute dalla coalizione". Ma lo stesso, forse, non può essere detto per l'insieme dei luoghi di detenzione statunitensi nel mondo, alcuni dei quali potrebbero essere segreti. "Ci sono informazioni pubbliche di arresto di persone nell'ambito della lotta al terrorismo che noi non abbiamo mai visto in nessun luogo", ha detto la portavoce in un'intervista alla Radio svizzera. Sulla mancata denuncia pubblica dei maltrattamenti subiti dai prigionieri nella prigione degli orrori, già utilizzata in passato dall'ex dittatore Saddam Hussein per le sevizie ai nemici del regime, il Cicr difende la propria condotta. "Non siamo Amnesty International il cui ruolo è di denunciare le violazioni dei diritti umani facendo leva sull'opinione pubblica. La missione del Cicr - ha detto Notari in un'intervista pubblicata oggi dal quotidiano svizzero 'Le Temps' - mira a fare in modo di poter visitare tutte le prigioni e vegliare affinché i detenuti siano trattati umanamente. Questo implica discrezione, elemento necessario per poter stabilire rapporti di fiducia con le autorità detentrici. La differenza con Amnesty è enorme, ma le nostre attività sono complementari", ha affermato la portavoce insistendo sull'ammirazione nutrita per l'opera svolta da Amnesty. In cambio della riservatezza, il Cicr esige però il rispetto di alcune condizioni inderogabili per procedere alla visita dei detenuti: le visite devono svolgersi senza testimoni, in modo ripetuto ed eventualmente senza preavviso. Inoltre i delegati devono poter aver accesso a tutte le sezioni del penitenziario e alla lista dei prigionieri. Il principale obiettivo delle visite del Cicr in Iraq e nel mondo (nel 2003 l'organizzazione ha visitato oltre 460.000 prigionieri in più di 1.900 luoghi di detenzione in 73 Paesi) è proprio di prevenire gli abusi, le condotte umilianti e degradanti nei confronti dei detenuti. Pratiche che costituiscono una "violazione del diritto internazionale". Le visite ai prigionieri iracheni e di altre nazionalità detenuti in Iraq sono cominciate nel marzo 2003. In un anno, il Cicr ha registrato un totale di 13.000 detenuti, tra i quali Saddam Hussein. Molti prigionieri sono stati già liberati.