Intervista a una soldatessa incriminata sul Washington Post. Il rapporto di Taguba svelerebbe il ruolo dei servizi segreti: creare nei detenuti le «condizioni migliori» per gli interrogatori.
I servizi segreti del Pentagono chiesero alla Polizia Militare di «cambiare le procedure» vigenti nel carcere di Abu Ghraib per ottenere dai detenuti «maggiore cooperazione» negli interrogatori. È scritto in un rapporto dell'esercito Usa, firmato dal generale Antonio Taguba, e ancora coperto da segreto militare, riportato dall'agenzia France Presse, che ne ha ottenuto una copia poco dopo la testimonianza resa dal segretario alla Difesa Rumsfeld davanti alla commissione forze armate del senato Usa. Il rapporto descrive gli atti di brutalità che, secondo quanto ammesso dallo stesso Rumsfeld, sono testimoniate da migliaia di foto e da alcuni video, non ancora resi pubblici.
LE PAROLE DI TAGUBA - «Ho potuto accertare che gli agenti dell'intelligence militare che dovevano condurre gli interrogatori e altri di altre agenzie governative hanno insistentemente chiesto che gli agenti della Polizia Militare creassero le condizioni fisiche e psicologiche migliori per favorire gli interrogatori», si legge nel rapporto di Taguba. «Ho potuto accertare che il personale della 372esima compagnia di Polizia militare, e dell'800esima brigata di Polizia Militare ha ricevuto l'ordine di cambiare le procedure del carcere per "creare le condizioni" per gli interrogatori da parte agenti dell'intelligence», conclude Taguba.
ATROCITÀ - Gli agenti statunitensi, a quanto si legge, avrebbero scattato fotografie non solo ai detenuti maschi nudi, ma anche alle donne. Alcuni iracheni sarebbero stati costretti a indossare biancheria intima femminile e a masturbarsi davanti alle macchine fotografiche e alle videocamere. Il detenuto incappucciato costretto a stare in piedi su una scatola di cartone, con elettrodi sulle mani e i piedi, che compare nella foto ormai tristemente famosa, avrebbe avuto fili elettrici attaccati anche al pene. Sempre secondo il rapporto, un agente della polizia militare avrebbe avuto rapporti sessuali con una detenuta. Cani senza museruola sarebbero stati utilizzati per intimidire i detenuti e un detenuto avrebbe ricevuto gravi ferite dall'animale.
«VEDERE L'INFERNO» - Proprio oggi, in un'intervista rilasciata via e-mail e pubblicata sul «Washington Post», uno dei sette soldati statunitensi incriminati per le torture nel carcere iracheno di Abu Ghraib ha accusato i servizi di intelligence. Sabrina D. Harman, agente della Polizia Militare nel carcere alle porte di Baghdad, ha afferma che i maltrattamenti sui prigionieri avvenivano in base a istruzioni fornite loro dagli ufficiali dei servizi, che volevano «ammorbidire» i detenuti prima degli interrogatori. «Far vedere ai detenuti l'inferno»: era questo il compito che era stato impartito alla Harman. Regole zero, preparazione ridotta, ma una missione chiara: fiaccare i detenuti per l’interrogatorio. «Ci portavano da uno a diversi prigionieri a volta già incappucciati e ammanettati», ha scritto al Washington Post. «Il lavoro della polizia militare era di tenerli svegli, rendergli la detenzione un inferno in modo così da farli parlare».
PRIVATI DI TUTTO - Sabrina Harman, riservista di 26 anni di Alexandria (Virginia), ha precisato che i membri della sua unità di polizia militare prendevano ordini dagli ufficiali dell’intelligence militare, dagli uomini della Cia e dai contractors civili che conducevano gli interrogatori. «La persona che ce li consegnava fissava gli standard, se essere o meno ’gentili’ - scrive Harman - Se il prigioniero cooperava, allora poteva tenere la sua tuta, il materasso, le sigarette o persino del cibo caldo. Ma se il prigioniero non forniva quello che volevano, venivano privati di tutto fino a quando lo decideva (l’intelligence militare).Sonno, cibo, vestiti, materassi, sigarette erano tutti privilegi e venivano dati in cambio di informazioni».
NIENTE CORSI - «Nessuno di noi ricorda di aver mai partecipato a corsi sulla Convenzione di Ginevra - ha aggiunto l’agente - La prima volta che l’ho letta è stato due mesi dopo aver ricevuto l’incarico. L’ho letta tutta, sottolineando tutto quello che veniva violato in prigione. Un mucchio di cose». I prigionieri era denudati, perquisiti e «fatti stare in piedi o in ginocchio per ore», ha raccontato. «Qualche volta erano forzati a stare su scatole o a tenere con le braccia alzate scatole fino allo stremo». Il volto della giovane è diventato tristemente noto per le foto che la ritraggono dietro a un mucchio di prigionieri nudi.
TESTIMONE IN GRAN BRETAGNA - Intanto, in Gran Bretagna, un altro soldato ha contattato il «Daily Mirror» per denunciare gli abusi fatti regolarmente subire ai detenuti iracheni e le fotografie dei pestaggi, considerate da chi le scattava veri e propri trofei. Il «soldato D.», così lo ha identificato il quotidiano che pubblica oggi la nuova testimonianza sulle torture, ha ammesso - dicendo ai suoi interlocutori di «non essere un angelo» - di aver preso parte ai maltrattamenti per paura di opporsi ai suoi commilitoni e sempre per paura non ha raccontato quanto accadeva alla polizia militare. Nel riferirne, il giornale pubblica una foto a piena pagina che sostiene di aver ricevuto dal 'soldato D' e che ritrae un commilitone che fotografa un prigioniero legato e sanguinante all'interno di un veicolo militare.
UCCISO A COLPI DI KARATE - Altre rivelazioni sulle torture in Iraq, riportate dal sito Abc News, riguardano la base White Horse nei pressi di Nassiriya, dove un funzionario del partito baathista sarebbe stato colpito a calci di karate da un Marine degli Usa e lasciato morire in agonia nelle sue feci. Nedem Sadoon Hatab, morto a 52 anni lo scorso giugno dopo tre giorni di torture, sarebbe stato preso di mira dai militari Usa perché accusato di essere coinvolto nel rapimento di Jessica Lynch. Le accuse rivolte all’ufficiale sono state archiviate, ma in agosto due marines coinvolti nelle violenze dovrebbero comparire davanti a un tribunale militare. Il riservista Willam Scott Roy, oggi impiegato come vice sceriffo nella contea di Rensselaer, nello stato di New York, ha ammesso di aver colpito la vittima e si è offerto di testimoniare contro l’altro riservista, Gary Pittman, accusato di aver inferto i colpi di karate. Secondo il referto medico legale, la morte di Hatab è stata classificata come un omicidio causato da uno strangolamento provocato dalla frattura di un osso del collo. Il medico militare ha certificato che ci sono volute diverse ore prima che morisse. L’avvocato di uno dei marines messi sotto accusa, Don Rehkopf, ha dichiarato di voler allargare il cerchio della responsabilità per quanto è accaduto, puntando il dito contro il dipartimento della Difesa presieduto da Rumsfeld.
«Trattamento brutale dei prigionieri. Sette morti». «Informati da un anno gli Usa e i partner della coalizione».
Aumentano i dossier sullo scandalo iracheno. L'ultimo è della Croce rossa internazionale, risale allo scorso febbraio ed era destinato, dichiara Chris Girod, il suo rappresentante a Washington - che tuttavia non sa se sia arrivato anche all'Italia - «agli Usa e ai partner della coalizione». È un compendio di 24 pagine di casi di torture segnalati in precedenza tra maggio e novembre del 2003, e pertanto noti all'amministrazione Bush da un anno. Un «j'accuse» bruciante, dove si denuncia «un trattamento brutale sistematico dei prigionieri, una prassi tollerata dai comandi». Il rapporto parla di numerosi morti, di cui sette nel corso di una rivolta nelle famigerate carceri di Abu Ghraib, già luogo di tortura sotto Saddam Hussein. E critica oltre agli Usa anche la Gran Bretagna, che avrebbe almeno un cadavere sulla coscienza, oltre a vari feriti.
Pubblicato dal Wall Street Journal, un giornale che appoggia il presidente Bush, il rapporto viene avallato da Pierre Krähenbühl, il direttore operativo della Croce rossa. A Ginevra, dove risiede, il funzionario spiega che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna «furono informati ripetutamente, in incontri e con lettere, degli atti disumani e degradanti inflitti ai detenuti». Li equipara a tutti gli effetti a torture, precisa che «non si trattò di azioni individuali ma di un tipo diffuso di comportamento». Lamenta che «solo in alcuni casi siano stati presi provvedimenti».
A Londra «il soldato C», l'informatore del Daily Mirror, il giornale
che pubblicò le foto di prigionieri iracheni seviziati da soldati di
Sua Maestà, conferma i pestaggi «che riducevano il volto dei prigionieri
in poltiglia» da parte delle truppe britanniche.
È un quadro raccapricciante, che suscita interrogativi sul silenzio degli altri
membri della coalizione, Italia inclusa. Raffigura uomini costretti a indossare
indumenti intimi femminili; o completamente nudi chiusi per giorni e giorni
in una cella senza luce e senza acqua; o legati, incappucciati e seviziati.
Parla di percosse col calcio del fucile, di calci alla testa e ai reni, di finte
esecuzioni. Cita una rivolta ad Abu Ghraib stroncata con una sparatoria che
fece sette morti e 20 feriti «quando sarebbero bastati maggiori sicurezza
e rispetto della vita dei detenuti». E cita l'uccisione di Daud Salim
di 28 anni a Bassora, città sotto controllo inglese, poi attribuita a
un infarto. A gennaio, il rapporto sarebbe pervenuto anche al governatore americano
a Bagdad Paul Bremer.
L'intervento della Croce rossa internazionale ha indotto due associazioni,
Amnesty International e Human Rights Watch, a scrivere al presidente Bush chiedendo
di potere partecipare a un'inchiesta indipendente «sui crimini di guerra»
della coalizione.
«L’amministrazione - protesta Amnesty International - ha creato
un clima in cui i suoi soldati si sentono liberi di agire impunemente. Ha mostrato
un palese disprezzo della convenzione di Ginevra e dei principi fondamentali
del diritto». Una condanna condivisa dal New York Times , che ieri ha
pubblicato la foto di un detenuto ucciso, senza nome, con un numero, 153399,
in una sacca di plastica trasparente, sollevando implicitamente il problema
di eventuali desaparecidos in Iraq.