clicca qui per andare al sito Filiarmonici, per un mondo senza galere

Il carcere della vergogna

Alessandro Ursic

PeaceReporter, 8 maggio 2004

Abu Ghraib era la prigione-lager del regime di Saddam Hussein. Ma dopo la destituzione del dittatore, con la gestione del carcere in mano agli Usa, le torture sui detenuti sono continuate.

Armi col colpo in canna puntate contro i detenuti. Docce forzate di acqua gelida. Prigionieri sodomizzati con un manico di scopa. Minacciati con degli elettrodi attaccati ai genitali. Costretti, completamente nudi, a formare piramidi umane e a masturbarsi a vicenda. Attaccati da cani aizzati dai carcerieri. È l’elenco degli abusi perpetrati nella prigione-lager irachena di Abu Ghraib, ma non ai tempi di Saddam: sono "violenze sadiche e gratuite" successe nell’ultimo anno, sotto la gestione delle truppe statunitensi, come riferito nel rapporto scritto dal generale Antonio Taguba, e come ha potuto vedere il mondo intero grazie alle fotografie pubblicate nell’ultima settimana dai media.

Sono episodi isolati, frutto delle perversioni di alcuni carcerieri? Oppure questi abusi venivano ordinati direttamente dalle alte gerarchie dell’esercito? Lo scandalo è appena scoppiato, i fatti devono ancora essere chiariti, queste e altre domande attendono una risposta. Ma l’effetto di queste immagini è stato dirompente, e giorno dopo giorno sta assumendo le proporzioni di una valanga, come se fosse stato scoperchiato un verminaio. Il mondo è scioccato, gli Usa sono sgomenti perché scoprono di non essere puri come credevano, gli arabi sono infuriati e l’amministrazione di Washington vacilla sotto i colpi ricevuti, cercando di limitare i danni di una battaglia già persa. Dovunque sia in questo momento, Osama bin Laden probabilmente gongola. Nessuno poteva fargli un favore più grande.

È successo tutto all’improvviso. Fino a qualche settimana fa, il Pentagono era riuscito a tenere sotto controllo i media, impedendo la pubblicazione di fotografie troppo cruente, che potessero in qualche maniera ricordare al pubblico che in guerra si muore. Ma la diga ha ceduto. Prima con le immagini delle bare dei soldati Usa caduti avvolte nella bandiera, poi con quelle sulle torture ad Abu Ghraib, trasmesse in esclusiva dalla Cbs, e da lì è stato un diluvio. New Yorker, Daily Mirror, Washington Post: ogni giorno saltano fuori prove fotografiche che fanno aumentare la vergogna, lo sdegno, la rabbia a seconda di chi le vede. E le violenze sistematiche sono state confermate anche da un rapporto della Croce Rossa internazionale.

Per l’amministrazione di George W. Bush il colpo di immagine è stato terribile. Ed è subito cominciato lo scaricabarile: il responsabile del carcere di Abu Ghraib, il generale Janis Karpinski – l’unica donna ad occupare questa posizione nell’esercito Usa – ha spiegato che era la Cia a ordinare interrogatori duri ai detenuti, e che i soldati eseguivano semplicemente le direttive dell’intelligence. Poi si è puntato il dito contro i contractors – le guardie private, gli uomini della sicurezza che non fanno parte delle forze armate – di due compagnie, la CACI e la Titan, accusando questi “torturatori in affitto” di portare avanti il lavoro sporco nei centri di detenzione.

Se possibile, l’effetto è stato ancora peggiore quando il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, ha ammesso di non avere ancora letto il rapporto sulle violenze redatto dal generale Taguba due mesi prima. Bush, che a quanto sembra ha saputo di questa relazione guardando la tv, non ha gradito. Ha fatto capire ai media di aver avuto un diverbio piuttosto aspro col numero uno del Pentagono per questo, ma lo ha comunque difeso. Il presidente si è detto “inorridito” dalle fotografie in un’intervista concessa alle tv arabe al-Hurra e al-Arabiya, senza però scusarsi direttamente. L’ha fatto il giorno dopo con il re giordano Abdullah, quasi per rispondere alle critiche dei media, che avevano notato questa mancanza. Ma non sembra che i suoi tentativi abbiano avuto un grande effetto sul pubblico arabo. E il "profondo dispiacere" di Rumsfeld - che ieri si è assunto tutta la responsabilità dei fatti davanti al Congresso - non cambierà di molto le cose.

Da Abu Ghraib, intanto, sono stati rilasciati circa duecento prigionieri, che hanno raccontato ai media di tutte le violenze subite dietro le sbarre. Nel carcere alla periferia di Baghdad non si incappucciano più i detenuti. I soldati con il sorriso da aguzzini che compaiono nelle foto degli abusi sono stati rimandati in patria e saranno processati. Ma nessuno può cambiare il passato, e col tempo emergeranno nuove rivelazioni sulle quello che è successo ad Abu Ghraib in questi mesi.

Come ha scritto qualcuno su uno dei tanti blog che in questi giorni ospitano discussioni sulla vicenda, “dopo aver abbattuto il regime iracheno, gli americani hanno voluto dare l’impressione che sarebbe cominciata una nuova epoca, fatta di democrazia e libertà, cambiando anche i nomi dei simboli della dittatura. Il Saddam International Airport è diventato Baghdad International Airport. Saddam City ora si chiama Sadr City. Ma Abu Ghraib è rimasto Abu Ghraib”. E far dimenticare questo agli iracheni e al resto del mondo arabo sarà molto più difficile che liberare Baghdad.