Sadeq, un commerciante iracheno imprigionato per 8 mesi
"Fui portato, con un'altra ventina di persone, incappucciato in quello
che era stato il palazzo presidenziale di Saddam Hussein. A 30 metri c'era la
gabbia con i leoni di Uday. I soldati ci portarono a turno lì sulla porta
della gabbia e ci sporsero dentro. Io fui il quarto, ero terrorizzato".
A raccontare i suoi 8 mesi di calvario a le Monde è il rampollo di una
famiglia di commercianti iracheni cui è stato dato il nome di "Sadeq".
"Ma alla fine non ci spinsero dentro, volevano solo farci prendere paura".
Più tardi fu trasferito in vari carceri iracheni. "Eravamo sistematicamente
denudati e percossi, spesso fino a perdere conoscenza. Dovevamo stare in piedi,
anche uno o due giorni di fila".
Kifah Talan ha problemi renali per le botte ricevute
"Un gioco terribile aveva a che fare con il kick-boxing. I soldati ci
circondavano e facevano a gara per chi ci avrebbe colpito di più, in
ogni parte. Lo scopo era quello di cercare di farci schiantare, a calci, contro
il muro". A parlare è Kifah Talah, ingegnere di 44 anni.
"Sono stato incappucciato, picchiato sul collo, il petto e i genitali per
ben tre giorni, prima che mi obbligassero anche a danzare di fronte a loro:
"Balla come Michael Jackson" gridavano". Le violenze furono compiute
da soldati inglesi. "Oltre ai sacchi in testa, ci versavano addosso acqua
gelata dopo averci dato da mangiare cibo immangiabile. Per le botte e tutto
il resto ho poi sofferto di gravi problemi renali" ha raccontato all'Independent.
Ivan Frederick, detto "Chip" ha tenuto un diario delle torture
"Succedeva che i prigionieri morissero durante la tortura - ha scritto
nel suo diario Ivan "Chip" Frederick, il sergente che comandava i
torturatori - . Un cadavere lo misero in sacco e lo impacchettarono nel ghiaccio
per 24 ore nella doccia del blocco 1B. Il giorno dopo vennero gli infermieri
e lo portarono via in barella mettendogli al braccio una falsa endovena.
Questo prigioniero non è mai stato incluso nel registro ufficiale del
carcere perciò non ha mai avuto una identità. I prigionieri -
scrive ancora il sergente - erano costretti a rimanere senza indumenti o con
mutandine da donna, ammanettati alla porta della cella. L'unico obiettivo era
quello di pressarli il più possibile in modo da farli parlare. Dissi
al comandante delle condizioni dei detenuti ma mi rispose che dovevo solo obbedire
ai suoi ordini".