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Torture, nuove foto dal carcere degli orrori

Corriere della Sera, 20 maggio 2004

Nelle ultime immagini soldati in posa davanti a un prigioniero morto. Gli scatti pubblicati dalla Abc, la televisione che per prima mostrò le fotografie dello scandalo.

Le fotografie dal carcere degli orrori sembrano non finire mai. Non si è ancora spenta l'eco della sentenza di condanna per il primo dei soldati giudicati per le torture ai prigionieri iracheni nella prigione di Abu Ghraib, che la Abc, la televisione che aveva pubblicato per prima gli scatti dello scandalo, mostra due nuove immagini scattate nelle stanze della prigione-lager. Si tratta di due soldati, un uomo e una donna, che si fanno immortalare accanto a un prigioniero morto. Il pollice è alzato in segno di «ok» e la faccia soddisfatta e sorridente di chi è soddisfatto dell'opera appena svolta.
Si è saputo ufficialmente in queste ultime ore che sono in tutto quattro i cd pieni zeppi di immagini degli abusi commessi nel carcere di Abu Ghraib. Ed è proprio da questo quarto che sono tratte le ultime immagini. I protagonisti sono due volti già noti allo scandalo, Sabrina Harmon e Charles Graner, due dei sei militari incriminati mentre il cadavere - secondo la televisione Usa Abc - è quello di Manadel al-Jamadi, un iracheno morto mentre era rinchiuso nel carcere. Nel suo sito Web, la tv americana spiega che le foto furono scattate dal sergente Charles Frederick, il quale nelle e-mail inviata alla famiglia si chiese perché i responsabili della morte del prigioniero non siano stati incriminati come è accaduto a lui e ad altri cinque militari Usa (il primo apparso dinanzi a una corte marziale, ieri, è stato condannato a un anno di carcere).

Torture, altre foto choc: in posa con il morto

Paola Coppola

Corriere della Sera, 21 maggio 2004

Le immagini su Abc: i militari ritratti erano già sotto accusa. Un sergente punta l'indice contro l'intelligence: "Sapevano".

Due militari in posa davanti a un cadavere conservato nel ghiaccio. Indossano guanti verdi in lattice e hanno il pollice alzato in segno di vittoria. Sorridono. Sono queste le nuove immagini che arricchiscono la galleria delle violenze sui detenuti iracheni compiute dai soldati americani nel carcere-gulag di Abu Ghraib. Provengono da un cd rom con 24 foto, trovato dagli inquirenti del Pentagono e, fino a due giorni fa, erano tra le 11 immagini ancora inedite. Poi sono state mostrate dalla tv americana Abc e ieri sono rimbalzate anche sulla tv panaraba Al Arabiya. Nuove le foto, ma non i volti che ritraggono: il caporale Charles Graner e la soldatessa Sabrina Harmon, della 372ma brigata della Polizia militare, sono due dei sette accusati per le torture inflitte ai prigionieri di Abu Ghraib. Tutti e due compaiono anche nella foto della piramide di corpi nudi, fatta dai detenuti.

Per quell'immagine il trentacinquenne Graner, di Uniontown (in Pennsylvania) deve rispondere di sette capi d'imputazione davanti alla Corte marziale di Bagdad. Come il soldato Jeremy Sivits, l'unico finora condannato, anche Graner si è presentato in tribunale, due giorni fa, ma il suo avvocato, Guy Womack, gli ha suggerito di non rispondere. Womack, che ha definito le foto il frutto di "umorismo da galera", ha chiesto ai giudici più tempo per preparare la linea difensiva e così l'udienza preliminare per Graner è stata rinviata al 21 giugno. Deve ancora decidersi il destino della Harmon, la soldatessa dai capelli rossi, di 26 anni, originaria della Virginia.

Un'altra inchiesta oggi si sta preoccupando di verificare l'identità dell'uomo morto "conservato" nel ghiaccio. Il sospetto è che si tratti del detenuto iracheno Manadel al Jamadi, considerato al momento dell'arresto, il 4 novembre, un prigioniero di "alto valore" per i suoi rapporti con l'insurrezione irachena. Il servizio della Abc ha riferito la ricostruzione fatta dal soldato Jason Kernner, un testimone, secondo cui al Jamadi sarebbe giunto in buone condizioni nel carcere e sarebbe poi morto nelle docce della prigione. Un'altra versione dei fatti invece vorrebbe che al Jamadi sia arrivato già moribondo ad Abu Ghraib.

Intanto un'intervista pubblicata ieri sul Washington Post fa vacillare la tesi delle "mele marce", che sostiene che la responsabilità delle violenze è di pochi soldati e che non sia stato invece un ordine arrivato dall'alto. Il quotidiano ha raccolto la prima testimonianza di un militare disposto a coinvolgere negli abusi gli ufficiali dell'intelligence militare.

Raggiunto al telefono, Samuel Provance, un sergente della 302ma compagnia dell'intelligence militare che lavorava ad Abu Ghraib lo scorso autunno e ora è di stanza in Germania, ha detto: "Le condizioni per gli interrogatori erano dettate in modo rigoroso dall'intelligence militare. Erano loro a dire ai soldati che i detenuti dovevano essere svegliati ogni ora".

Non solo: Provance ha anche accusato l'esercito di tentare di sviare l'attenzione sul ruolo avuto dall'intelligence. Parole che sono una doccia fredda per la versione dei fatti finora sostenuta dal Pentagono e ieri ribadita dal generale Geoffrey Miller, nuovo capo delle prigioni irachene. Dopo l'audizione, due giorni fa, davanti alla Commissione forze armate del Senato, insieme al comandante del Centom John Abizaid e al generale Ricardo Sanchez, Miller ha fatto il giro delle principali tv Usa, per ripetere ai microfoni di Abc, Cbs e Nbc, che: "Le foto sono il frutto dell'azione di un piccolo numero di soldati e di leader".
Per quell'immagine il trentacinquenne Graner, di Uniontown (in Pennsylvania) deve rispondere di sette capi d'imputazione davanti alla Corte marziale di Bagdad. Come il soldato Jeremy Sivits, l'unico finora condannato, anche Graner si è presentato in tribunale, due giorni fa, ma il suo avvocato, Guy Womack, gli ha suggerito di non rispondere. Womack, che ha definito le foto il frutto di "umorismo da galera", ha chiesto ai giudici più tempo per preparare la linea difensiva e così l'udienza preliminare per Graner è stata rinviata al 21 giugno. Deve ancora decidersi il destino della Harmon, la soldatessa dai capelli rossi, di 26 anni, originaria della Virginia.

Un'altra inchiesta oggi si sta preoccupando di verificare l'identità dell'uomo morto "conservato" nel ghiaccio. Il sospetto è che si tratti del detenuto iracheno Manadel al Jamadi, considerato al momento dell'arresto, il 4 novembre, un prigioniero di "alto valore" per i suoi rapporti con l'insurrezione irachena. Il servizio della Abc ha riferito la ricostruzione fatta dal soldato Jason Kernner, un testimone, secondo cui al Jamadi sarebbe giunto in buone condizioni nel carcere e sarebbe poi morto nelle docce della prigione. Un'altra versione dei fatti invece vorrebbe che al Jamadi sia arrivato già moribondo ad Abu Ghraib.

Intanto un'intervista pubblicata ieri sul Washington Post fa vacillare la tesi delle "mele marce", che sostiene che la responsabilità delle violenze è di pochi soldati e che non sia stato invece un ordine arrivato dall'alto. Il quotidiano ha raccolto la prima testimonianza di un militare disposto a coinvolgere negli abusi gli ufficiali dell'intelligence militare.

Raggiunto al telefono, Samuel Provance, un sergente della 302ma compagnia dell'intelligence militare che lavorava ad Abu Ghraib lo scorso autunno e ora è di stanza in Germania, ha detto: "Le condizioni per gli interrogatori erano dettate in modo rigoroso dall'intelligence militare. Erano loro a dire ai soldati che i detenuti dovevano essere svegliati ogni ora".

Non solo: Provance ha anche anche accusato l'esercito di tentare di sviare l'attenzione sul ruolo avuto dall'intelligence. Parole che sono una doccia fredda per la versione dei fatti finora sostenuta dal Pentagono e ieri ribadita dal generale Geoffrey Miller, nuovo capo delle prigioni irachene. Dopo l'audizione, due giorni fa, davanti alla Commissione forze armate del Senato, insieme al comandante del Centom John Abizaid e al generale Ricardo Sanchez, Miller ha fatto il giro delle principali tv Usa, per ripetere ai microfoni di Abc, Cbs e Nbc, che: "Le foto sono il frutto dell'azione di un piccolo numero di soldati e di leader".