Da Guantanamo a Abu Ghraib la missione delle Squadre Tigre
Carlo Bonini
La Repubblica, 7 maggio 2004
Nelle pieghe delle sadiche routine di Abu Ghraib, la prigione delle torture,.
si nasconde la storia di un uomo che racconta un metodo battezzato matrix. Disciplinary
incentive matrix, matrice di incentivazione disciplinare. È la storia
di un maggiore dell’esercito degli Stati Uniti dal cognome che suona italiano,
ma italiano non è, John R. Van Natta. Un corpulento ufficiale sulla cinquantina
che Repubblica conosce alla metà di luglio del 2003, nel “blocco
1” di quel sarcofago di acciaio e cemento per "combattenti nemici"
che è Camp Delta, Guantanamo, isola di Cuba. Che, cinque settimane dopo
quell'incontro, ai primi di settembre del 2003, sbarca con 29 dei suoi "specialisti"
in «tecniche di detenzione e interrogatorio» sulla pista dell'ex
aeroporto internazionale di Bagdad.
Sull'aereo che trasferisce il maggiore dai Caraibi al deserto iracheno è
anche il generale texano Geoffrey Miller, che di Guantanamo è allora
il comandante e di Abu Ghraib diventerà, il 22 marzo scorso, il normalizzato
re. Miller ha proposto Van Natta al Pentagono per quella che è una missione
classificata.
L'ordine è raggiungere il carcere di Abu Ghraib e altri 16 centri di
detenzione iracheni. Istruirne e riorganizzarne il personale, affidargli nuove
tecniche di detenzione e interrogatorio.
È una scelta che matura in settimane cruciali. Saddam è un fantasma
in fuga, l'intelligence militare non riesce ad afferrare un solo bandolo utile
all'individuazione del suo rifugio. C'è bisogno di informazioni e a Washington
sono convinti che ne siano custodi i prigionieri di Abu Ghraib. Che, in un modo
o in un altro, se ne debba venire a capo. Di quei giorni, di quegli “ospiti"
arrivati da Guantanamo, la generalessa Janis Karpinsky, oggi destituita e allora
al comando del CTJF 7 (la task force responsabile delle operazioni di detenzione)
conserva un ricordo nitido. «Ci chiesero - ha raccontato al quotidiano
Washington Times - di guantanamizzare gli interrogatori e le condizioni di detenzione».
Van Natta e i suoi “specialisti” lavorano in Iraq per due settimane.
Nella seconda metà di settembre, sono di ritorno a Guantanamo. In ottobre,
Abu Ghraib si trasforma in un inferno. Perché? Cosa è accaduto?
E che cosa ha improvvisamente liberato il demone della violenza?
Van Natta è un riservista arrivato a Guantanamo nel novembre del 2002.
Per lui si è trattato solo di un cambio d'abito. Spogliarsi del doppiopetto
di sovrintendente del Miami County correctional Facility, il più capiente
dei penitenziari dello Stato dell'Indiana, per infilare la mimetica di responsabile
delle operazioni di detenzione di Camp Delta. La truppa lo chiama "il professore"
per via di un dottorato in "scienza della carcerazione", della natura
aritmetica delle regole con cui ridisegna le operazioni all'interno dei blocchi
di detenzione. Disciplinary incentive matrix, "matrice di incentivazione
disciplinare", il nome della trovata che mutua gli standard di organizzazione
delle prigioni federali di massima sicurezza. Nient’altro che un ascensore
di diritti, ora negati ora concessi, che, secondo uno schema "premiale"
ora blandisce, ora castiga le necessità prime dei detenuti: il cibo,
il passeggio, l'igiene personale, la possibilità di leggere.
Van Natta "sterilizza" l'identità degli addetti alle celle.
Ordina che sulla mimetica dei secondini una stringa copra il nome che li identifica,
così che i prigionieri ignorino il nome dei loro carcerieri, e questi
ultimi operino con la certezza di essere solo una faccia. Affida all'interlocutore
brandelli di vita nelle gabbie con il sorriso di chi descrive l’ordine
banale di un collegio inglese. Racconta dei suoi antenati olandesi, confida
una passione per gli uccelli esotici che si diletta a collezionare in voliere.
Illustra la chiave con cui, a Camp Delta, raccoglie informazioni dai prigionieri
in tuta arancio. "Un prigioniero che non conosce il giorno in cui tornerà
libero – dice - soffre di una terribile ansia. L'ansia produce disperazione
e depressione. Disperazione e depressione spingono a parlare. È quello
che vogliamo».
Nell'ingranaggio brevettato a Guantanamo, le tecniche di detenzione e quelle
di interrogatorio sono ruote dentate di una sincronia. Ai "senza nome"
che ingrassano disperazione e depressione nelle gabbie, si affianca il lavoro
delle «squadre tigre». È gente - spiega Van Natta - addestrata
in Arizona. Riservisti, per lo più, formati dal Pentagono alle tecniche
di interrogatorio. Ogni squadra è composta da tre uomini: un "interrogante",
un analista, un interprete. Conducono interrogatori senza distinzione tra la
notte e il giorno, in sessioni che possono arrivare anche a dieci ore perché
-annota Van Natta con un qualche orgoglio - «come recita il motto delle
squadre, "le tigri non dormono mai"». Il prigioniero viene introdotto
in un disadorno parallelepipedo di cemento armato senza finestre. Incatenato
ad un pesante anello murato al pavimento, rimane in piedi di fronte ad una scrivania
dove l’”interrogante" lo lavora in due fasi. Prima una serie
di filmati che mostrano immagini serene dei luoghi in cui il prigioniero è
cresciuto, utili a provocarne il pianto, l'ansia. Quindi, domande dirette.
«Un lavoro eccellente», annota il generale Miller con Repubblica
già nel luglio 2003. Che «normalmente esclude il contatto fisico
tra interrogante e prigioniero», ma, «se necessario», può
ricorrere a tecniche che «aumentino nel detenuto la sensazione di ansia,
ne aumentino lo stress psicofisico». Su tutte, la privarione del sonno.
Nel settembre 2003, al lavoro nella galera di Abu Ghraib, Van Natta e Miller
tirano linee di uno spartito che conoscono. Soprattutto lavorano su materiale
umano fertile. Ordinano di concentrare i 200 "detenuti di massima sicurezza"
e di "interesse informativo" in due nuovi bracci di isolamento, l’1A
e l’1B. Sollecitano e istruiscono la truppa a esercitare su di loro le
tecniche delle «squadre tigre». Ad ingrassare ansia e paura dei
prigionieri. Tra ottobre e dicembre, a missione ormai conclusa, liberata dal
suo alambicco, la Guantanamo matrix viene declinata a mano libera dai suoi nuovi
interpreti di Abu Ghraib. Negli interrogatori, che assumono cadenza giornaliera,
vengono coinvolti ufficiali della 250esima brigata di intelligence militare,
della quarta divisione di fanteria di stanza a Tikrit, della prima divisione
corazzata acquartierata a Baghdad. Racconta oggi il tenente Michael Drayton,
comandante fino al marzo scorso della 870esima compagnia di polizia militare
in servizio nel carcere degli orrori: «Gli iracheni capiscono una sola
lingua: la forza... Durante il mio comando, abbiamo avuto due rivolte. Ho dovuto
ordinare il fuoco. Ne abbiamo ammazzati due o forse tre...». Ricorda ancora
la generalessa Janis Karpinsky: «La Croce rossa scoprì un prigioniero
completamente nudo. Riferii ad un ufficiale anziano delle unità di intelligence.
Mi rispose ridendo che "era il caso di non consentire più ai prigionieri
di ordinare articoli di biancheria intima dal catalogo di Victoria Secret"...».
Forse era lo stesso che si complimentò con il sergente Javal Davis: «Ricevemmo
le congratulazioni per l’ottimo lavoro svolto. “I prigionieri stanno
crollando rapidamente” ci dissero. “Assicuratevi che continuino
a passare delle notti orribili”... ».