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Il campo delle sberle

Enrico Piovesana

PeaceReporter, 10 marzo 2004

Con questo cinico eufemismo i soldati Usa si riferiscono al centro di detenzione allestito dalle forze americane nella base dell’aeroporto internazionale di Kandahar, nell’Afghanistan occidentale, famosa per i pestaggi inflitti ai detenuti e per la brutalità dei militari. È lo spauracchio, o meglio il terrore, di ogni prigioniero afgano: “Se non fai il bravo ti portiamo a Camp Slappy”, dicono di essersi sentiti dire molti ex detenuti. Dai loro racconti, raccolti nell'ultimo rapporto di Human Rights Watch, emerge che qui la violenza è la regola, fin da prima di mettere piede nella base.

M.S.N. è un pachistano che combatteva con i talebani. È stato arrestato nella primavera del 2002 e trasportato in aereo nel campo di prigionia americano allestito nella base militare Usa di Kandahar, nell’Afghanistan occidentale. “Dopo la cattura ci hanno caricati tutti su un grosso aereo militare da trasporto. Ci hanno messo delle catene ai piedi e ci hanno bendati e incappucciati. Ci hanno fatto sedere per terra, con le gambe distese e le mani legate dietro la schiena con delle stringhe di plastica. Una posizione molto scomoda e instabile. Chi si muoveva o cadeva su un lato, scosso dai sussulti dell’aereo, veniva picchiato senza pietà dei soldati che ci sorvegliavano: forti calci sulla schiena e sui reni dati con i pesanti scarponi militari. Ognuno, nessuno escluso, ha avuto la sua razione”.

“Una volta arrivati a Kandahar – ha raccontato M.S.N. – ci hanno portati in un edificio, sempre bendati e con le catene ai piedi. Ci hanno scaraventati giù da una rampa di scale. Poi ci hanno portato in una stanza seminterrata e ci hanno sbattuto per terra. Non ci dovevamo muovere: chi lo faceva veniva picchiato. Poi siamo stati portati nelle celle. Un traduttore ci ha detto che non avevamo il diritto di parlare tra di noi e di notte non dovevamo addormentarci, altrimenti saremmo stati puniti. Chi trasgrediva veniva preso a calci e pugni. Un mio compagno di cella sorpreso a dormire, dopo essere stato selvaggiamente picchiato è stato portato fuori dai soldati e costretto a stendersi sul terreno gelato per tutta la notte.

A.Z., un altro pachistano catturato insieme a M.S.N., ha confermato il suo racconto, aggiungendo dei particolari riguardo a un interrogatorio. “Mi hanno legato le mani dietro la schiena e mi hanno fatto stendere su un tavolo a pancia sotto. Due soldati mi immobilizzavano, tenendomi uno per il collo e uno per i piedi. Mi schiacciavano con tutta la loro forza contro il tavolo. Altri due militari a quel punto hanno cominciato a picchiarmi sulla schiena, sulle braccia e sulle gambe con pugni e gomitate. Sono andati avanti per cinque o sei minuti. Poi mi hanno fatto alzare, ordinandomi di rimanere in piedi immobile, e hanno cominciato l’interrogatorio. Appena barcollavo, ancora calci e pugni.

Altri ex detenuti rilasciati dalla prigione della base di Kandahar, hanno confermato a Human Rights Watch di essere stati duramente e ripetutamente malmenati dai soldati americani. Alcuni hanno raccontato di essere stati picchiati fino a perdere la coscienza dopo essere stati presi a calci sulla testa. Molti hanno riportato fratture, soprattutto costole rotte, e hanno ancora i segni delle percosse.