Dopo l’Iraq, l’Afghanistan. Lo scandalo dei prigionieri di guerra torturati dai soldati statunitensi sta scoppiando anche sul fronte orientale della guerra globale di Bush al terrorismo. O che almeno così era nata, dato che ormai sta prendendo la piega di una spedizione punitiva verso i popoli musulmani, che nulla ha a che vedere con l’esportazione della democrazia e dei diritti umani. Una realtà che, qui in Afghanistan, non costituisce certo una novità eclatante. Basta parlare con la gente che abita intorno alle basi militari americane per capire che tutti sanno.
Il dottor Nur Ahmad Nurani dirige una clinica medica a Grishk, due ore di jeep a ovest di Kandahar, ai margini del grande deserto del Registan. Terre pashtun, patria dei talebani, che qui, nelle aree rurali, fuori dalle città controllate dal governo centrale, sono ancora i padroni della situazione. Per questo, qui a Grishk gli americani hanno installato una loro piccola base, poco fuori dal centro abitato. Nell’annessa prigione vengono rinchiusi gli afgani catturati per sospetti legami con i talebani o con al-Qaeda.
A Grishk, il dottor Nurani è un uomo rispettato e che, per questo e per il lavoro che fa, viene a sapere tutto quello che succede nei paraggi. Tra i suoi amici e pazienti ci sono alti ufficiali afgani che lavorano nella base Usa e persone che sono andate a curarsi da lui dopo la scarcerazione. Appoggiato ai cuscini stesi lungo le pareti della sala da pranzo di casa sua, nel centro della cittadina, Nurani inizia il suo racconto, parlando un inglese lento ma deciso.
“Molta gente di qui, una volta rilasciata dagli americani, viene da me. Per le ecchimosi che hanno sul corpo, causate da calci e pugni ricevuti dai soldati americani durante la detenzione. Mi dicono che i maltrattamenti fisici sono la normalità. Non riescono a dormire per il dolore. Io prescrivo loro degli analgesici. Ma quello che più li segna sono le torture psicologiche. Mi raccontano che appena arrivano in prigione, vengono completamente spogliati, incappucciati, ammanettati e lasciati per due giorni così, in recinti all’aperto, esposti al caldo torrido di questa stagione, o al freddo rigido dei mesi invernali, senza cibo e senza acqua”.
“Sono sconvolti, agitati, mi chiedono dei calmanti”, dice il dottor Nurani con l’espressione di chi sa che non bastano le medicine per curare certe ferite. “Questi racconti mi sono stati confermati da un mio caro amico – afferma Nurani –, il responsabile locale della sicurezza, un alto ufficiale della polizia afgana che lavora nella base americana. Mi ha detto che i prigionieri vengono picchiati, maltrattati e umiliati. Trattati come bestie”.
“E quel che è peggio – si infervora Nurani – è che questa gente non ha niente a che fare con i talebani o con al-Qaeda. Io li conosco: lo so. Vengono indicati dalle spie afgane che collaborano con i militari Usa, spesso ex prigionieri che si sono guadagnati così la libertà. Li denunciano per semplici motivi di antipatia personale, dicendo che sono terroristi. O peggio ancora perché si tratta di persone abbastanza benestanti. Perché il vero scopo di questi arresti è l’estorsione. Il mio amico che lavora con gli americani nella base mi ha detto di aver visto con i suoi occhi gli ufficiali Usa mettersi in tasca i soldi pagati dai parenti dei detenuti in cambio del rilascio. Chi viene riscattato esce. Chi non se lo può permettere viene schedato come terrorista e trasferito in altre prigioni”.
“Questa pratica, che nulla ha a che fare con la guerra al terrorismo, è dimostrata anche da tanti racconti di persone. Un locale comandante dei talebani è stato arrestato dagli americani e portato alla base di Grishk. Ma la sua famiglia, molto ricca, ha pagato il prezzo stabilito dagli ufficiali Usa per la sua liberazione: 25 mila dollari. E non solo: i militari americani rubano anche i soldi durante le perquisizioni nelle case di sospetti. Mio cugino, quattro o cinque mesi fa, ha ricevuto una notte la visita dei soldati Usa. Sono entrati in casa sua, l’hanno messa tutta sotto sopra e, alla fine, se ne sono andati. Dai cassetti erano spariti l’equivalente di 20 mila dollari. La stessa notte un suo vicino ha subito la stessa visita, ma evidentemente non hanno trovato soldi e se lo sono portati nella prigione di Girshk. Dato che nessuno ha pagato il riscatto lo hanno trasferito prima a Ghazni, poi a Bagram, infine a Guantanamo”.