I pregiudizi e la conoscenza critica alla psichiatria
  di Giorgio Antonucci 
Dal reparto n. 6 di A. Cechov ai reparti di Imola
Antòn Pavlovic Cechov, medico e scrittore, era già morto a Badenweiler 
  nel 1904.
    Il termine schizofrenia viene introdotto in psichiatria e in psicologia 
    dell'anormalità da Eugen Bleuler nel 1911.
    Il reparto n. 6, di Cechov fa parte dei racconti e novelle scritti 
    probabilmente tra il 1888 e il 1903.
  Cechov racconta la storia di un piccolo padiglione psichiatrico in un ospedale 
  civile della Russia zarista, dove sono internate e rinchiuse cinque persone.
  Tra queste un giovane uomo:
  
Ivàn Dmìric Gròmov, sui trentatré anni, nobile, ex usciere giudiziario e segretario al governatorato, soffre di mania di persecuzione. Egli o giace sul letto raggomitolato su se stesso, o cammina da un angolo all'altro, come per fare del moto; seduto ci sta assai di rado. È sempre eccitato, inquieto e in uno stato di tensione, in attesa di qualcosa di confuso, d'indefinito. Basta il più piccolo fruscio nel vestibolo o un grido nel cortile perché egli sollevi la testa e tenda l'orecchio: vengono a chiamare lui? Non cercano lui? E il suo viso esprime inquietudine e ripugnanza.Si vede dunque in Cechov (come del resto in Cervantes, Shakespeare, Dostoevskij, Maupassant) che la vita di un uomo è complicata e contraddittoria che non sempre è facile stabilire un confine tra il reale e l'immaginario, che le passioni sono sconfinate e le vicende di ogni giorno troppo ristrette, che la paura consuma e confonde.
Mi piace il suo viso largo, con grandi zigomi, sempre pallido e addolorato, che riflette come in uno specchio, l'anima tormentata dalla lotta e dal persistente terrore. Le sue smorfie sono strane e morbose, ma i tratti delicati, impressi al suo viso da una profonda e sincera sofferenza, sono ragionevoli e intelligenti, e gli occhi hanno un riflesso caldo e sano. Mi piace anche lui come persona, così affabile, servizievole e oltremodo delicato nei suoi rapporti con tutti eccetto che con Nikita. Se qualcuno lascia cadere un bottone o il cucchiaio, egli salta in fretta giù dal letto e lo raccatta. Ogni mattina dà il buon giorno ai compagni; andando a dormire augura loro la buona notte.
Oltre che nel continuo stato di tensione e nel fare smorfie, la sua follia si manifesta anche in qualche altra cosa. A volte di sera egli si avvolge nella sua veste da camera e, tremando in tutto il corpo e battendo i denti, comincia a camminare in fretta da un angolo all'altro e fra i letti. Sembra che abbia la febbre forte. Da come si ferma all'improvviso e lancia sguardi ai compagni, si vede che vorrebbe dire qualche cosa di molto importante, ma evidentemente, considerando che non lo ascolterebbero o non lo capirebbero scuote con impazienza la testa e continua a camminare. Ma presto il desiderio di parlare prende il sopravvento su qualsiasi considerazione ed egli si abbandona e parla con calore e passione.
Il suo discorso è disordinato, febbrile, come un delirio, a scatti e non sempre comprensibile, ma vi si sente, e nelle parole e nella voce, qualcosa di straordinariamente buono. Quando parla, riconoscete in lui il pazzo e l'uomo. È difficile riprodurre sulla carta il suo folle discorso. Parla egli della bassezza umana, della violenza che calpesta il diritto della vita bellissima che col tempo ci sarà sulla terra, delle inferriate alle finestre che gli ricordano ad ogni minuto la stupidità e la crudeltà degli oppressori. Ne vien fuori un disordinato, sconnesso guazzabuglio di motivi vecchi sì, ma non ancora cantati fino in fondo.
Come furono felici Budda e Maometto e Shakespeare, che i loro buoni parenti e i dottori non curarono delle loro estasi o delle loro ispirazioni. Se Maometto avesse preso del bromuro contro i nervi, avesse lavorato soltanto due ore al giorno e bevuto del latte, di questo uomo eminente sarebbe rimasto tanto poco quanto del suo cane. I dottori e i buoni parenti alla fine fanno si che l'umanità diventi ottusa, la mediocrità si consideri genio e la civiltà vada in rovina.
Occorre dire a questo punto che Schumann e Van Gogh non furono fortunati come Budda, Maometto e Shakespeare.
La cultura attuale della medicina è più vicina alla morte che alla vita. Sembra che i medici nelle Università si formino essenzialmente nelle sale anatomiche dimenticando poi di fare le dovute necessarie distinzioni tra i cadaveri da dissezione e gli organismi viventi. Inoltre l'impostazione autoritaria e l'abitudine a manipolare preparano il clinico delle cavie umane, piuttosto che il medico al servizio dei cittadini.Così Eugen Bleuler, psichiatra svizzero (1857-1939) direttore dell'ospedale psichiatrico di Rheinau e poi di quello di Zurigo, considera i suoi reclusi in manicomio con un meccanicismo rozzo e semplicistico, degno delle tradizioni più mediocri del positivismo.
E così io, ancora nel 1973, cominciando a lavorare all'Istituto psichiatrico 
    "Osservanza" di Imola, dopo avere per molti anni e in modi e in 
    luoghi differenti, da Cividale del Friuli a Castelvetrano, lavorato per evitare 
    gli internamenti, mi ritrovai nel reparto 14 delle agitate schizofreniche 
    pericolose irrecuperabili.
    Fui io a decidere di prendere la direzione del reparto considerato dagli psichiatri 
    dell'istituto come il più difficile e pericoloso. Era l'ultimo in fondo, 
    vicino alla chiesa, di fronte al corrispondente reparto agitati degli 
    uomini.
  L'istituto era costruito a strati successivi dall'osservazione ai reparti da 
  cui non si esce più, se non in casi del tutto rari ed eccezionali.
    Riporto dal libro Medicina disumana dal documento del "Processo 
    dei medici" di Norimberga a cura di Alexander Mitscherlich e Fred Mielke, 
    sui programmi di eutanasia dei nazisti:
  
"Nella sua deposizione, l'imputato principale, il Dottor Karl Brandt, ha fatto presente che al congresso del partito nazista del 1935 l'allora Reichsarztefuhrer Gerhardt Wagner sollevò il problema dell'eutanasia e fece proiettare una pellicola che mostrava quale vita erano condannati a condurre gli internati in manicomio".I nazisti con il loro pragmatismo traevano le conseguenze logiche del pensiero kraepeliniano e bleuleriano davanti a situazioni simili a quelle da me ritrovate a Imola.
Il reparto 14 "delle agitate" conteneva al mio ingresso 44 donne 
    segregate con periodi più o meno lunghi di detenzione, ma più 
    che altro senza prospettive di uscita.
    I muri alti, le inferriate alle finestre, le porte di ferro, i vari settori 
    dell'abitato separati e controllati, le celle con lo spioncino, i letti inchiodati 
    al pavimento, erano le principali caratteristiche della struttura.
    Le 44 donne internate, tutte con diagnosi di schizofrenia, vivevano rinchiuse 
    isolate legate sorvegliate di continuo e costantemente sottoposte a tutti 
    i trattamenti caratteristici della psichiatria.
    Situazioni simili le avevo già direttamente vedute dappertutto ma ora 
    mi trovavo nella condizione particolare di doverle affrontare personalmente 
    e praticamente da solo.
    L'unica esperienza di lavoro in manicomio l'avevo avuta a Gorizia nel '69 
    in un istituto già trasformato da Basaglia.
    Nel reparto 14, a parte la lobectomia e la lobotomia, erano in atto su ogni 
    singola persona, in modo per così dire concentrato, tutti gli interventi 
    teorizzati dagli psichiatri.
    Esistevano mezzi di contenzione fisica di ogni genere, dalla camicia di forza 
    alla maschera di plastica per impedire alle pazienti di sputare; venivano 
    usati i tre fondamentali tipi di shock, vale a dire le iniezioni endovenose 
    di acetilcolina secondo il metodo di Fiamberti, le applicazioni di elettroshock 
    secondo il metodo di Cerletti, la provocazione di comi insulinici secondo 
    il metodo di Sakel; si usavano tutti i tipi di psicofarmaci; si praticava 
    l'alimentazione forzata; si tenevano le degenti e le infermiere continuamente 
    soggiogate dalla paura con metodi gerarchici.
    C'è da dire che le terapie psichiatriche sono definite nel loro vero 
    significato dagli stessi specialisti che le praticano. Esse si possono distinguere 
    tra loro in tre gruppi: contenzione fisica, contenzione chimica, contenzione 
    psicologica.
    I mezzi di contenzione fisica sono chiaramente definibili nelle loro funzioni 
    e non hanno bisogno di commento.
    Gli psicofarmaci sono definiti neurolettici, cioè sostanze chimiche 
    che hanno la proprietà di abbassare il tono intellettivo e emozionale 
    di chi li prende, o neuroplegici che significa - letteralmente - paralizzanti 
    delle funzioni nervose.
    Il coma, di qualunque origine o comunque provocato, è come noto un 
    grave stato organico pre-mortale.
    Per quanto riguarda gli shock scrive Edoardo Balduzzi, che ne è un 
    sostenitore, nel suo libro "Le terapie di shock" a pag. 8 della 
    parte generale: "Oggi infatti, se nella letteratura si torna a parlare 
    di shock, lo si fa solo per lumeggiarne genericamente gli aspetti negativi; 
    per elencarne i pericoli assoluti e relativi, premendo soprattutto sul concetto 
    della progressiva invalidazione dell'efficienza psichica da parte di chi li 
    subisce; per denunziare infine l'irrazionalità empirica di coloro che 
    li proposero e - peggio ancora - di coloro che insistono nell'applicarli".
    D'altro lato si assiste a una discussione, alquanto umoristica in cui gli 
    specialisti che usano gli shock denunciano l'inefficacia e i danni degli psicofarmaci, 
    e gli specialisti che prescrivono gli psicofarmaci denunciano l'inefficacia 
    e i danni degli shock.
    Per quanto riguarda poi il concetto stesso di terapia, esso è legato 
    come è logico come scrive Don D. Jackson nella sua opera "Eziologia 
    della schizofrenia", alla definizione del concetto di malattia mentale.
    "La stessa definizione della schizofrenia come "malattia", 
    - osserva l'autore - presuppone che essa sia analoga alle "malattie" 
    e pertanto riconducibile ad una spiegazione fisiologica". Più 
    in seguito Jackson nella stessa opera scrive: "Al tempo della definizione 
    della "demenza precoce" verso la fine del 1800, la medicina e, in 
    genere, la cultura europea erano intensamente interessate alle teorie della 
    degenerazione sociale, basate sul concetto di "inferiorità protoplasmatica". 
    Ciò non sorprende se si tiene presente che questa società aveva 
    una struttura sociale piuttosto rigida, fondata sulla teoria dei ceppi ereditari 
    ed era al vertice dell'illusione della "superiorità naturale" 
    della "razza bianca". Gli studi antropometrici del Lombroso si fondavano 
    sulla teoria che, quanto più un uomo rassomiglia ad una scimmia, tanto 
    più pensa come una scimmia e tanto meno anima possiede". Conclude 
    al riguardo Jackson argutamente: "È un campo pieno di folklore 
    e di profezie facili ad avverarsi, poiché, se gli individui dai capelli 
    rossi non hanno un temperamento più caldo degli altri, possono acquistarlo 
    in breve tempo se qualcuno li tratta come se l'avessero". 
  
Così nel reparto 14 all'inizio del mio lavoro di smantellamento mi trovavo 
  di fronte non solo a persone prigioniere e fisicamente provate da efficaci trattamenti 
  di demolizione, ma, quello che è più difficile, davanti a singoli 
  individui classificati da anni come esseri biologicamente inferiori che dovevano 
  essere messi in condizione di riacquistare la loro parità con gli altri.
  Infatti a livello di rapporto psicologico e a livello di cultura le teorie psichiatriche 
  come quelle della razza propongono relazioni sociali tra esseri superiori che 
  capiscono di più, e esseri inferiori che capiscono di meno.
La distinzione sviluppata dalla cultura europea e americana tra gruppi etnici 
  superiori e gruppi etnici inferiori, tra culture che contano di più e 
  culture che contano di meno, ha avuto durante la seconda guerra mondiale gli 
  effetti che tutti conosciamo. Get seeds for commercial growing from weed seeds usa .
  Per quanto riguarda gli individui in conflitto con la società, il medico 
  franco-americano Alexis Carrel del Rockefeller Institute di New York, premio 
  Nobel per la fisiologia nel 1912, precursore degli studi sui trapianti di organi, 
  scriveva nel suo libro "L'uomo questo sconosciuto" pubblicato nel 
  1939 con un cinismo apparentemente più accentuato di quello del Dottor 
  Wagner al congresso nazista del 1935:
"Abbiamo già parlato delle forti somme di danaro che vengono attualmente spese per mantenere le prigioni e i manicomi, istituti che esistono per proteggere il pubblico dai soggetti antisociali e dai pazzi. Ma perché manteniamo in vita queste creature inutili e pericolose? ... in Germania il governo (di Hitler) ha preso energiche misure contro il diffondersi dei tipi inferiori, dei pazzi e dei criminali.Per quanto riguarda la non conoscenza dell'uomo e dei suoi problemi a noi ci sembra che l'autore abbia scelto per la sua opera il titolo più appropriato.
La soluzione ideale sarebbe l'eliminazione di questi individui appena si rivelano pericolosi... La filosofia ed i pregiudizi sentimentali non hanno diritto di interferire in questo problema".