«Le truppe britanniche resteranno in Iraq per almeno tre o quattro anni». L'annuncio è arrivato ieri da Jack Straw, il ministro degli esteri britannico, nel corso di un'intervista alla Bbc. Tony Blair, il premier laburista, domenica ha fatto una breve visita alle truppe di stanza nella città di Bassora nell'Iraq meridionale. Rivolgendosi alle truppe Blair ha detto che l'Iraq ha «creato un precedente» nella lotta contro i regimi brutali e repressivi.
Al momento sono impegnati in Iraq circa 10.000 soldati britannici e dal marzo
scorso ne sono morti 54. «Voi sapete con quanta passione io creda nel
proposito di ridare stabilità all'Iraq» ha proseguito il primo
ministro. Ed ha aggiunto che nessun regime democratico spenderebbe miliardi
di sterline per acquistare armi chimiche e biologiche mentre la sua gente soffre.
Blair, il principale alleato degli Stati Uniti nella guerra per rovesciare il
regime di Saddam Hussein, ha poi ribadito la pericolosità di quei regimi
brutali e repressivi che sviluppando armi di distruzione di massa diventano
«un enorme ostacolo per l'intera sicurezza del mondo». «Nel
caso dell'Iraq - ha concluso il premier - se ci fossimo tirati indietro... non
saremmo stati in grado di far fronte a questo pericolo nei paesi dove esso sussiste».
Tuttavia, le rivelazione pubblicate domenica scorsa dal The Independent on Sunday
fanno sorgere dubbi inquietanti sull'operato dall'esercito di Sua Maestà.
Secondo quanto scrive l'autorevole giornalista britannico Robert Fisk - che
avrebbe preso visione dei relativi documenti medici e militari - otto giovani
iracheni arrestati a Bassora sarebbero stati presi a calci e picchiati dai soldati
britannici fino a causare la morte di uno di essi. Baha Mousa, il figlio di
un colonnello della polizia irachena, è morto dopo aver passato tre giorni
in custodia dei militari britannici. Un testimone oculare ha descritto come
Mousa sia stato legato ed incappucciato prima di essere malmenato dai soldati
britannici. «Mousa chiedeva che gli togliessero il cappuccio perché
non riusciva più a respirare» ha detto il testimone. Il certificato
di morte rilasciato dall'esercito dichiara che Mousa è morte «per
asfissia». Il corpo senza vita del giovane iracheno è stato riconsegnato
alla famiglia coperto di lividi e con il setto nasale fratturato. Le forze armate
hanno offerto ai familiari della vittima circa 8000 dollari come risarcimento,
a patto che l'esercito sia esonerato da ogni responsabilità per la morte
del loro caro. Tuttavia, sembra che la famiglia di Mousa sia intenzionata ad
adire le vie legali. «Non vogliamo i soldi, vogliamo che sia fatta giustizia.
Vogliamo che i soldati implicati siano puniti» ha detto Alaa, il fratello
di Mousa.
I sopravvissuti alle torture per mano dei soldati hanno riportato lesioni che vanno dall'ematosi multipla all'insufficienza renale acuta. «Noi non diciamo che i britannici siano degli "occupanti". Pensiamo che - ha proseguito Alaa sulle colonne del settimanale britannico - voi siete venuti a Bassora per salvarci da Saddam. Ma se continuate così il vostro benvenuto finirà».
Amnesty International ha esortato i propri iscritti ad indirizzare le proteste direttamente a Blair.
Una settimana fa tre militari statunitensi sono stati espulsi dalle forze armate e rimpatriati per maltrattamenti e percosse inflitti durante il conflitto dell'anno scorso a prigionieri di guerra iracheni nell'Iraq meridionale. E' probabile che la visita a sorpresa del premier britannico abbia dato morale alle truppe, ma chi sembra aver più bisogno di un'iniezione di fiducia è proprio Blair. I dubbi che aleggiano sul premier da quando decise di affiancare «spalla a spalla» gli Stati Uniti nella guerra all'Iraq si fanno sempre più fitti. Tra tre settimane Lord Hutton pubblicherà i risultati della sua inchiesta sul presunto suicidio del Dr. Kelly. Sia i conservatori che i liberal-democratici spareranno a zero su Blair ed il governo per il modo in cui il nome dello scienziato esperto di armi di sterminio fu dato in pasto alla stampa.
Sebbene la guerra, in termini militari, sia stata un successo, Blair rifiuta ancora l'inconfutabile: in Iraq non ci sono armi di distruzione di massa. La guerra non ha ridotto il pericolo terrorismo. L'aver rimosso Saddam non ha reso il mondo più sicuro. La rimozione forzata di un despota non può essere considerato «un precedente» per il futuro. Se Blair continuerà a preferire le iperboli ad un atteggiamento più umile, non farà altro che indebolire la sua autorità.