La FDA americana dà il via libera alla sperimentazione clinica del
chip neurale che potrebbe offrire nuove possibilità a chi soffre una
lunga serie di patologie.
Non può che provocare rumore la notizia secondo cui la Food and Drug
Administration, il severo organismo americano che supervisiona il mercato dell'alimentazione
e della sanità, ha dato il via libera alla sperimentazione clinica di
impianti elettronici nel cervello.
Come riportato dal New York Times, gli impianti di cui si parla sono quelli sviluppati dalla Cyberkinetics Inc., società che ha puntato sulla realizzazione di chip capaci di creare una connessione tra il cervello umano e dispositivi elettronici esterni.
L'interfaccia neurale, come viene definita dall'azienda, verrà sperimentata inizialmente su un gruppo di cinque persone che soffrono di diverse forme di paralisi. L'idea è quella di consentire loro di comunicare ed operare con un computer imparando a formulare ordini con il proprio pensiero. Ordini che sarebbero captati dagli impianti e trasmessi alla macchina.
Per quanto possa sembrare fantascientifico un cavo che esca dalla testa di un uomo e si agganci ad un computer che questi può manovrare, sono già molte le sperimentazioni condotte in questo campo. Come ha sottolineato uno dei fondatori della Cyberkinetics nonché preside del Dipartimento di Scienze neurologiche della Brown University, John P. Donoghue, "il controllo cerebrale può sostituire quello manuale".
Prima che un sistema del genere possa davvero dirsi operativo, però, sono numerosissimi i test che dovranno essere portati avanti e nessuno, né alla Cyberkinetics né negli altri laboratori che si occupano di questo nuovo genere di interfaccia, si nasconde i molti ostacoli che sono destinati a frapporsi nel corso delle sperimentazioni. Ciò che si teme di più è un fallimento clamoroso, un evento che potrebbe spingere altrove i fondi che in questi anni hanno consentito di spingere su questo fronte della ricerca scientifica.
L'interfaccia BrainGate, termine che si potrebbe tradurre come "porta cerebrale", è pensata per "ascoltare" e tenere traccia dei segnali elettrici provocati dai neuroni. Si tratta di un dispositivo composto da un array di un centinaio di elettrodi capaci di monitorare un alto numero di neuroni. Per impiantarli, viene praticato un piccolo foro nella scatola cranica al di sopra dell'orecchio e in quella sede viene piazzato il "sensore" da 2 millimetri, a diretto contatto con la parte della corteccia cerebrale che controlla il movimento. L'array verrà spinto nella corteccia fino ad una profondità non superiore al millimetro.
"L'impianto - afferma l'azienda - consentirà la raccolta dei segnali dalla corteccia, affinché vengano elaborati e analizzati, producendo in questo modo una interfaccia con un personal computer. In questo modo, BrainGate dovrebbe consentire a questi pazienti di utilizzare il computer come mezzo per comunicare e controllare semplici dispositivi che si trovano nel loro ambiente".
La speranza dell'azienda è di anticipare i numerosi competitor che stanno emergendo in questo settore ed arrivare con un prodotto funzionante sul mercato già entro il 2007 o il 2008.
La Food and Drug Administration, il severo organismo americano che supervisiona il mercato dell'alimentazione e della sanità, ha dato il via libera alla sperimentazione clinica di impianti elettronici nel cervello.
La notizia, pubblicata dal New York Times, è destinata a fare rumore. L'"interfaccia neurale", chiamata "BrainGate", è di proprietà della Cyberkinetics, un'azienda del Massachusetts, che aveva chiesto alla FDA il permesso di poterla sperimentare sugli esseri umani già nel gennaio scorso.
Ma di che si tratta?
Di un vero e proprio "neuro-chip" da impiantare sulla corteccia cerebrale,
giusto sopra l'orecchio destro, nel tentativo di interpretare i segnali provenienti
dai neuroni ed elaborarli tramite un computer. Si tratta di un dispositivo composto
da un array di un centinaio di elettrodi capaci di monitorare un alto numero
di neuroni. Per impiantarli, viene praticato un piccolo foro nella scatola cranica
al di sopra dell'orecchio e in quella sede viene piazzato il "sensore"
da 2 millimetri, a diretto contatto con la parte della corteccia cerebrale che
controlla il movimento. L'array verrà spinto nella corteccia fino ad
una profondità non superiore al millimetro.
"L'impianto - afferma l'azienda - consentirà la raccolta dei segnali dalla corteccia, affinché vengano elaborati e analizzati, producendo in questo modo una interfaccia con un personal computer. In questo modo, BrainGate dovrebbe consentire a questi pazienti di utilizzare il computer come mezzo per comunicare e controllare semplici dispositivi che si trovano nel loro ambiente".
Alla Cyberkinetics dicono che il dispositivo - già testato con successo sulle scimmie - potrebbe essere sul mercato per il 2007. La sperimentazione appare giustificata in vista dell'uso del BrainGate per ridare autonomia ai cerebrolesi. Come ha sottolineato uno dei fondatori della Cyberkinetics, nonché preside del Dipartimento di Scienze Neurologiche della Brown University, John P. Donoghue, "il controllo cerebrale può sostituire quello manuale".
Ma possiamo facilmente immaginare a quali altri scopi, ovviamente non dichiarati, sia destinata una tale tecnologia.
NEURAL PROSTHESIS PROGRAM
Alan Rudolph della DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), ad esempio, tempo fa dichiarava che il Neural Prosthesis Program produrrà una nuova generazione di elettrodi, chip e software per computer che potranno consentire ai soldati di controllare arti artificiali superveloci, di pilotare veicoli a distanza e di guidare robot mobili in ambienti pericolosi, usando solo la forza del loro pensiero. Apparecchi che velocizzeranno i processi decisori, miglioreranno le capacità cognitive e la memoria e renderanno possibile comunicare senza fili tra cervelli di persone diverse.
THE TURING OPTION
Fantascienza o fantarealtà? Sempre più difficile dirlo.
Di certo, lo scopo non dichiarato di queste sperimentazioni è quello
di giungere alla riprogrammazione neurale e a tecniche neuro-informatiche di
lavaggio del cervello proprio come quelle immaginate da Harry Harrison e Marvin
Minsky (The Turing Option), Philip Dick e da tutto il cyberpunk. Anzi, si ha
quasi la sensazione che i moderni neuro-scienziati siano figli proprio di questo
immaginario distopico, che invece di produrre degli anticorpi memetici ha generato
proprio quel mondo a cui cercava di opporsi.
Da anti-utopia a realtà distopica.
Di fatto, ci troviamo immersi in un metaverso da incubo proprio come immaginato
dagli scrittori di fantascienza, gli ultimi profeti. Nessuno, e dico nessuno,
è stato capace di immaginare, e di conseguenza creare, un mondo parallelo
anti-distopico. Un altro mondo possibile per il momento rimane solo uno slogan
privo di significato. Nella guerra tra memi ha trionfato il meme egoista.
Da anni i futurologi sognavano macchine capaci di leggere nella mente e di agire sulla base di istruzioni appena pensate. Finalmente, sembra stiano per iniziare le prime sperimentazioni umane su un'interfaccia informatica cerebrale tramite impianti. La Cyberkinetics di Foxboro, Masschusetts, ha ottenuto dalla Food and Drug Administration americana l'autorizzazione ad avviare i test clinici della sua nuova tecnologia, basata sull'inserimento - nella scatola cranica di pazienti paralizzati - di chip di quattro millimetri. Tali microprocessori, se funzionano, dovrebbero consentire di gestire un computer semplicemente pensando alle istruzioni desiderate.
È un primo piccolo passo nel tentativo di migliorare la qualità della vita delle vittime di infarti o di altre patologie invalidanti, come la paralisi cerebrale o il morbo di Lou Gehrig. Chi viene colpito da malattie del genere oggi, grazie al progresso scientifico, può sopravvivere a lungo ma senza la possibilità di continuare a svolgere svariate attività. «Il computer sarà per questi individui la chiave d'accesso a qualsiasi cosa vogliano fare, inclusa la stimolazione elettrica della muscolatura», spiega il direttore esecutivo di Cyberkinetics, Tim Surgenor. «L'informatica sarà una fase di attuazione di vari processi». L'azienda non è l'unico istituto di ricerca attivo nel settore. Una società di Atlanta, la Neural Signals, ha già adottato impianti del genere e ne progetta di nuovi, ma per il momento la sua tecnologia si basa solo sull'uso di elettrodi relativamente semplici. Secondo gli esperti, la Cyberkinetics sarà la prima azienda ad avviare una sperimentazione a lungo termine con impianti più sofisticati inseriti direttamente nel cranio dei pazienti. Secondo le previsioni, il nuovo prodotto dovrebbe essere commercialmente disponibile nel giro di tre, al massimo cinque anni.
Allenare la mente
Negli ultimi anni, molti gruppi di ricerca si sono interessati alla questione del possibile rapporto tra informatica e mente. Nel 1998, un impianto cerebrale progettato dagli scienziati della Neural Signals ha permesso a un paziente rimasto paralizzato in seguito a un infarto di muovere un cursore per formare su uno schermo la frase "Ci vediamo dopo. È stato un piacere parlare con te". L'anno dopo, anche due malati di Gerigh hanno potuto sillabare messaggi analoghi grazie a degli elettrodi applicati sulla nuca. Nel 2002, poi, il fondatore di Cyberkinetics - il dottor John Donoghue, neuroscienziato della Brown University - ha pubblicato alcune interessantissime ricerche sulle scimmie sulla rivista Nature. Nei suoi esperimenti, aveva applicato degli impianti cerebrali a tre macachi per registrare i segnali emessi dalla loro corteccia motoria - l'area del cervello che controlla i movimenti - durante la manipolazione di un joystick. I dati raccolti erano stati poi utilizzati nell'elaborazione di un programma per consentire a una delle scimmie di muovere un cursore con la sola forza del pensiero.
L'idea alla base delle varie ricerche non è tanto quella di stimolare la mente quanto quella di mappare l'attività neuronale per capire quando e come il cervello segnala il desiderio di compiere un particolare movimento. «Come primo passo, inviteremo il paziente paralizzato a immaginare di spostare la mano a destra, per esempio», spiega Surgenor. Poi, continua, i ricercatori tenteranno di isolare l'attività cerebrale collegata a tale impulso. Scopo finale: attibuire la stessa capacità ad appositi dispositivi - per esempio un braccio robotico - in grado di aiutare il paziente a compiere davvero quel movimento. Dire che queste tecnologie "leggono nel pensiero" è fuorviante, commenta Jonathan Wolpaw, del New York State Department of Health, attualmente impegnato in studi analoghi. Piuttosto, si tratta di allenare la mente a riconoscere nuovi schemi causa-effetto e ad adattarvisi. «In sostanza, si offre al cervello la possibilità di sviluppare una facoltà nuova», conclude l'esperto.
Dagli animali all'uomo
Trasferire la nuova tecnica dalle scimmie all'uomo non è facile. Il cosiddetto "Brain Gate" della Cyberkinetics contiene dei minuscoli ganci che, una volta impiantati nel cranio, penetrano di un millimetro all'interno della massa cerebrale, monitorando l'attività di un ristretto gruppo di neuroni. I segnali vengono registrati da cavi che fuoriescono dalla scatola cranica, il che presenta qualche rischio di infezione. L'azienda sta pertanto lavorando a un'eventuale nuova versione wireless. Secondo Richard Andersen, esperto del Caltech anche lui impegnato in ricerche simili, il settore è però abbastanza avanzato da garantire la sicurezza della nuova tecnologia. «È il momento giusto per iniziare i test sull'uomo», sostiene, sottolineando come si stia già da tempo diffondendo in chirurgia la pratica degli impianti cerebrali - a volte anche in profondità - per la cura della sordità e del Parkinson. «Ovviamente i rischi restano, ma non bisogna sottovalutare i possibili benefici».
A detta di Wolpaw, non sarà per forza di cose necessario impiantare i chip nel cervello. Altre tecnologie - esterne - di monitoraggio dell'attività cerebrale potrebbero rivelarsi altrettanto efficaci. Eppure, nota l'esperto, l'idea degli impianti interni sembra attrarre maggiore interesse. «Il controllo attraverso il pensiero, dall'interno della mente, è di per sé affascinante», spiega. E per Andersen, i dispositivi interni al momento funzionerebbero meglio. «Sarebbe bello, in futuro, arrivare a una tecnologia che produca gli stessi risultati in maniera non invasiva», commenta. «La risonanza magnetica, per esempio, ci riesce. Purtroppo, però, è molto cara e fastidiosa, e la ricezione del segnale è prevalentemente indiretta e lenta».