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Il dente

Ivano Longo

Il Due, Net magazine di San Vittore, maggio 2004

Definizione di rispetto: il sentimento e il comportamento che nascono dalla considerazione verso persone, principi o istituzioni ritenute superiori o preminenti, sono dette rispetto.

Ci sono luoghi dove questa definizione non attecchisce perché chi dovrebbe far valere questo diritto, non ha la capacità e la forza intelligentemente adoperate per risvegliare negli altri i sentimenti verso se stesso.
Se è pur vero, che dentro di noi c'è un'anima, è altrettanto vero che questa si mette a tacere con la stessa velocità con cui la si sente.
In questo posto, S. Vittore, (un carcere) concretamente noi abbiamo pochissimi diritti, ma certamente abbiamo tantissimi doveri.
Il dovere di tornare in cella appena hai terminato quello che stavi facendo, hai il dovere di rispondere educatamente, hai il dovere di chiamare le guardie (agenti), hai il dovere di non lamentarti più di tanto, hai il dovere di accettare tutto passivamente, anche le cose assurde.

Hai il dovere di farti la galera e di non rompere… hai l'obbligo di abbassare la testa e di tornare in cella.
Tutto questo, e non solo, implica un rapporto informativo, un trasferimento, oppure in casi estremi le botte.
Io sono pienamente convinto che, questa situazione è voluta, (anche se inconsciamente) da noi.

Prendiamo un esempio a caso, di un fatto realmente accaduto: dopo le ore 20.30 i piani dei "raggi" sono deserti, cioè privi di agenti, e nelle celle può succedere di tutto; prendo un solo episodio di un giorno qualsiasi, di un mese qualsiasi, di un anno qualsiasi.

Il mio compagno di cella una sera soffriva di mal di denti, (questa è la disgrazia più tremenda che ti possa capitare in un posto come questo) lo sfortunato, ha chiamato, urlato, sbattuto pentole e padelle contro il cancello, (con l'intento di attirare l'attenzione degli agenti di custodia, che erano letteralmente assenti, invisibili)

mentre tra un urlo e l'altro questi passeggiava nervosamente avanti e indietro per i quattro metri della cella, ad un certo punto, forse per il trambusto causato, o per bontà sua, l'agente di custodia si è presentato al nostro cancello, chiedendo cosa fosse successo di così tremendo e urgente da non poter aspettare la mattina dopo.

L'uomo a questo punto, facendosi violenza per non sfogarsi sull'agente, ha spiegato educatamente e con calma forzata il suo dramma del momento.
Dopo averlo ascoltato, l'agente lo ha rassicurato che da lì a poco sarebbe tornato per aprirlo consentendogli così di recarsi al pronto soccorso, perché in quel momento non aveva con se le chiavi della cella (premetto che dopo la mezzanotte le chiavi delle celle di tutti i raggi sono tenute alla " rotonda").

Il compagno a questo punto non ha più chiamato, urlato, sbattuto pentole e padelle contro il cancello, con la sicurezza che il suddetto agente sarebbe tornato ad aprirlo. Ma, dopo circa un'ora, l'agente non era ancora tornato, e il mal di denti del mio compagno non era sparito, così ha dovuto rassegnarsi non dormendo per tutta la notte, tra dolori e incazzature d'ogni genere.
Aggiungo che il malcapitato detenuto, ha poi provato a chiamare l'agente, ma inutilmente. A questo punto mi sono chiesto: dov'è il rispetto per una persona che soffre? e ancora, cosa dobbiamo fare per essere ascoltati, visto che questa situazione si ripete ogni giorno?