Malgrado la
giustizia ufficiale abbia progressivamente soppiantato la giustizia
tradizionale, i Cabili regolavano le loro questioni senza lo Stato, che fosse
francese o algerino, privilegiando la transazione riparatrice discreta (in
natura o in denaro) tra le parti coinvolte. Se non si giungeva ad un accordo
si faceva appello alla Djemaa (l'assemblea
del villaggio, dominata dai Saggi e dalla quale sono esclusi le donne e i
bambini). Ciascuna delle parti veniva ascoltata, poi si annunciava il verdetto.
Esistevano
diversi tipi di pene: per esempio assegnare al ruolo inferiore del
mestiere di macellaio, esiliare provvisoriamente, confiscare o distruggere i
beni per i casi gravi, o anche bandire per i casi di parricidio. Ma quasi
sempre si trattava di un'ammenda. [1]
L'assemblea, grazie ai Saggi, cercherà di comprendere il comportamento
reprensibile e discuterà a lungo della pena, non per assolvere il colpevole, ma
per far sì che l'esito del processo non lasci degli strascichi tra le parti
[...]. Il villaggio, che vi sia o no una condanna, riconcilia sempre le parti
che devono reciprocamente e pubblicamente domandarsi perdono e baciarsi l'un
l'altro la testa in segno di pace e di rispetto reciproco.
La giurisprudenza non crea il diritto che a livello dei princìpi: le sanzioni,
per quanto riguarda la loro gravità, variano nel tempo e nello spazio e da una
regione all'altra per le stesse infrazioni poiché, se si tiene conto del
livello di gravità di un atto reprensibile, non si dimentica tuttavia il
livello generale e medio della ricchezza dei villaggi. [...] La forza della
legge risiede nel consenso preliminare dei suoi destinatari che sono liberi di
provocarne la modifica o labrogazione. Questo consenso è sia la forza che il
limite del potere. Senza dubbio questo spiega l'assenza di un potere di
polizia strutturata con un personale preposto alla repressione che non avrebbe
ragion d'essere.[2]
Note:
[1] Au pied du mur - 765 raisons d'en finir avec toutes les prisons (Ouvrage
collectif), L'insomniaque, Paris, 2000.
[2] Mohand Khellil, La Kabylie ou l'Ancêtre
sacrifié, Paris, 1984.