Senza diritti a Guantanamo
di Olivier Audeoud *
Le Monde diplomatique - aprile 2002
La situazione giuridica dei prigionieri catturati in Afghanistan dalle truppe
statunitensi è al centro di un dibattito complicato dalle dichiarazioni
di Washington e da una certa compiacenza internazionale in nome della lotta
al terrorismo. In effetti, secondo gli Stati uniti, i detenuti trasferiti
nella base militare di Guantanamo, sull'isola di Cuba, sono «combattenti
illegali che non hanno nessun diritto nell'ambito della Convenzione di Ginevra».
In realtà, non ci sono dubbi sul fatto che la Convenzione di Ginevra
del 27 luglio 1929, rivista nel 1949, relativa al trattamento a cui sono sottoposti
i prigionieri di guerra, dovrebbe essere applicata ai detenuti di Guantanamo.
La Convenzione, accettata dagli Stati uniti, è valida «in caso
di guerra dichiarata o in qualunque conflitto armato insorto tra due o più
parti contraenti, anche se lo stato di guerra non è stato riconosciuto
da una di esse». La parola «guerra» è stata esplicitamente
sostituita dall'espressione «conflitto armato»; questa espressione
più generale si applica evidentemente all'intervento statunitense in
Afghanistan: secondo i lavori preparatori della Convenzione di Ginevra, qualunque
scontro tra stati che provochi l'intervento delle forze armate è un
conflitto armato nel senso inteso dalla Convenzione.
Gli Stati uniti, incontestabilmente, hanno intrapreso un'azione armata contro
l'autorità di fatto in Afghanistan.
La Convenzione deve essere applicata, qualunque sia la durata del conflitto,
il suo carattere più o meno sanguinoso, l'importanza delle forze sul
campo e la loro posizione giuridica. Concerne «i membri delle forze
armate di una parte in conflitto, come i membri delle milizie e dei corpi
di volontari che facciano parte di queste forze armate» catturati da
uno dei belligeranti.
Questa ampia terminologia è stata scelta per evitare le ambiguità
dovute alla diversa provenienza dei combattenti. I taliban e i volontari dell'Afghanistan
appartengono quindi chiaramente alla categoria dei prigionieri di guerra.
La definizione di terroristi, invocata da Washington per qualificare alcuni
detenuti, in particolare i membri di al Qaeda, non è applicabile e
la nozione di «combattente illegale» è sconosciuta al diritto
internazionale. Il principio è quello della presunzione che ogni individuo
preso con le armi in mano è prigioniero di guerra, salvo prova contraria.
Ma solo una giurisdizione ufficiale potrebbe stabilire la posizione dell'accusato
(1).
Il trasferimento di prigionieri a Guantanamo aumenta la confusione giuridica
sulla posizione dei detenuti. Secondo la Convenzione di Ginevra, «i
prigionieri di guerra devono essere sempre trattati con umanità»,
e «devono anche essere sempre protetti, in particolare contro qualsiasi
atto di violenza o di intimidazione, contro gli insulti e la curiosità
pubblica» (art. 13) I trasferimenti sono sottoposti ad eguali condizioni:
«il trasferimento dei prigionieri di guerra si effettuerà sempre
con umanità e in condizioni che non dovranno essere meno favorevoli
di quelle di cui godono nei loro spostamenti le truppe della Potenza detentrice»
(art. 46). Arbitrio e confusione È d'obbligo constatare che il trattamento
dei detenuti non corrisponde a queste esigenze. Il rifiuto di applicare la
Convenzione conduce a una logica di assenza di diritto che permette, in particolare,
alle autorità statunitensi di interrogare i prigionieri senza rispettare
nessuna regola. In effetti, i prigionieri di guerra sono soltanto tenuti a
declinare il loro nome, grado e reparto militare. Devono poi essere rilasciati
e rimpatriati alla fine delle ostilità. La scelta del luogo di detenzione
non è unicamente legata alla prossimità con il territorio degli
Stati uniti, ma anche, a quanto pare, al fatto che la base in questione non
si trova sul suolo statunitense.
Secondo Washington, la Costituzione degli Stati uniti non si applicherebbe
qui. In questo modo vengono messe da parte le giurisdizioni di diritto comune,
a vantaggio dei tribunali militari. La scelta di corti marziali permette così
di evitare l'applicazione dei diritti di difesa garantiti dalla Costituzione
statunitense. Secondo la Convenzione di Ginevra, i prigionieri hanno diritto
a un processo giusto e leale, alla difesa e alla possibilità di fare
appello (2). Ma il tribunale militare previsto dall'amministrazione statunitense
non ottempera a tali condizioni. Il dipartimento di stato - ed è un
segno di confusione e di imbarazzo - ha dichiarato che, oltre che da avvocati
militari, gli accusati potranno essere difesi da avvocati civili, che le udienze
potranno essere pubbliche se il top secret della difesa non è in causa,
che la pena di morte potrà essere comminata soltanto all'unanimità
e che, infine, potrebbe essere istituita una commissione d'appello. Al di
là di queste ambiguità, è facile constatare che gli Stati
uniti non rispettano il diritto internazionale, né gli impegni presi
nei confronti della Convenzione di Ginevra.
Note:
*Professore di diritto, Parigi X-Nanterre.
(1) Paradossalmente, gli Stati uniti avrebbero potuto far riferimento al
protocollo addizionale del 1977, che rifiuta ai «mercenari» lo
status di prigionieri di guerra. Ma non hanno accettato questo protocollo.
Inoltre, la definizione di mercenario è legata all'ottenimento di un
vantaggio personale, cosa che non sembra pertinente in questo caso. Lo status
di mercenario darebbe comunque ai detenuti i diritti degli imputati di diritto
comune.
(2) Gli stati che hanno loro cittadini in detenzione a Guantanamo hanno il
diritto di esercitare la protezione diplomatica e di esigere il rispetto delle
norme del diritto comune da parte degli Stati uniti.
In funzione delle accuse, che sono ancora indefinite, possono chiederne l'estradizione
per giudicarli sul proprio territorio.
(Traduzione di A. M. M.)