«Diritti legali ai detenuti di Guantanamo»
Ennio Caretto
Corriere della Sera, 19 dicembre 2003
Due sentenze rovesciano la linea Bush. Chiesto il rilascio del sospetto della «bomba sporca»
Washington - Dopo due anni di polemiche sui talebani e i membri di Al Qaeda
detenuti a Guantanamo, a Cuba, e sui sospetti di terrorismo imprigionati negli
Stati Uniti, la magistratura americana si schiera con l'opinione pubblica
mondiale e infligge due sconfitte all'amministrazione Bush. Per la prima volta
una Corte d'appello federale, quella di San Francisco, una delle più
liberal del Paese, decreta che i detenuti di Guantanamo hanno pieno diritto
all'assistenza legale prevista dal diritto Usa, rovesciando una precedente
sentenza del tribunale di Washington. E la Corte d'appello di New York decreta
che il presidente non può classificare come «nemico combattente»
un cittadino americano sospetto di terrorismo arrestato negli Stati Uniti,
ordinando il rilascio o la consegna alle autorità civile entro 30 giorni
di José Padilla, «il terrorista della bomba sporca», da
18 mesi rinchiuso in una prigione militare. Le sentenze, di circa 65 pagine
l'una, non sono unanimi, due giudici a uno in entrambi i casi, ma mettono
la Casa Bianca con le spalle al muro.
Scott McClellan, il portavoce di Bush, annuncia che il ministero della Giustizia
ne chiederà subito la sospensione: «Sono sentenze inquietanti
ed errate - afferma - che incidono sui poteri del presidente e la guerra contro
il terrorismo».
Il linguaggio della Corte d'appello di San Francisco è particolarmente
duro. «Anche nelle emergenze nazionali, anzi soprattutto in esse - scrive
il giudice Stephen Reinhardt - la magistratura è obbligata a preservare
gli ideali della Costituzione e impedire al potere esecutivo di calpestare
i diritti dei cittadini e degli stranieri. Non può accettare la posizione
del governo che ha il potere di imporre agli individui la detenzione a tempo
indeterminato e di vietare loro qualsiasi ricorso». I detenuti di Guantanamo,
prosegue Reinhardt, devono avere accesso ai legali e ai tribunali americani.
Il linguaggio della Corte d'appello di New York è più morbido
ma altrettanto fermo. «L'esercizio dei poteri del presidente come comandante
in capo delle forze armate - dichiara la sentenza - non ha luogo in un vuoto
giuridico. Dove si intersecano con il diritto, essi richiedono una chiara
autorizzazione del Parlamento». Se Bush vuole tenere Padilla in carcere,
deve chiedere il placet del Congresso, «l'unico che può legittimare
la sua azione». Sono forti riaffermazioni delle libertà civili
minacciate dal «Patriot act», la legge speciale contro il terrorismo.
Per una singolare coincidenza, le sentenze vengono rese pubbliche mentre in
vista dei primi processi nei Tribunali speciali militari il Pentagono annuncia
di aver concesso un difensore d'ufficio, il tenente Charles Swift, e un legale
civile a un detenuto a Guantanamo, lo yemenita Salim Ahmed Hamdan, come aveva
già fatto per l'australiano David Hicks, e come farà per due
detenuti britannici. La misura è dovuta ai negoziati condotti dall'amministrazione
con gli alleati, e fa seguito a una analoga nei confronti di un americano
di origine saudita, Yaser Esam Hamdi, in prigione negli Stati Uniti. Commenta
William Schultz, un dirigente di Amnesty International: «Bush ha avvertito
il peso delle pressioni interne ed esterne. Ma le sue sono concessioni limitate.
Cercherà di demolire il principio, rivendicato dalle Corti d'appello,
che non possiede poteri straordinari nella lotta al terrorismo». Secondo
Schultz, il presidente ha due altri assi nella manica: il ricorso al Congresso
che approvò il «Patriot act» a grande maggioranza, forte
del consenso di due terzi degli americani; e il ricorso alla Corte suprema,
che ha già deciso di esaminare il caso dei detenuti a Guantanamo.
Il caso Padilla potrebbe essere la cartina di tornasole della strategia di
Bush contro il terrorismo. Padilla, che nessuno ha potuto visitare per 18
mesi, fu arrestato a Chicago nel maggio del 2002 al ritorno dal Pakistan.
È accusato di avere frequentato i campi di addestramento di Al Qaeda
e di avere preparato un attentato con una «bomba sporca», cioè
radioattiva. Ex capo di una banda di delinquenti giovanili, Padilla, un ispano-americano
già fermato per porto abusivo di armi da fuoco, si era convertito all’Islam
prendendo il nome di Abdullah al Mujahir. La Corte di appello di New York
si è pronunciata su di lui il giorno dopo che Glenn Fine, l'ispettore
generale del ministero della Giustizia, ha denunciato i maltrattamenti inflitti
ad altri sospetti terroristi nella prigione di Brooklyn, invocando misure
disciplinari contro dieci carcerieri. Sono tutti segni che una parte dell'America
teme che in nome della sicurezza nazionale il governo Bush stia andando troppo
oltre.