Non solo Guantanamo
il manifesto, 29 dicembre 2003
Con l’entrata in vigore dei vari "Patriot act", gli Usa hanno allestito un vero sistema carcerario occulto, sovrannazionale, alle dirette dipendenze di Cia e Pentagono
Dopo l’entrata in vigore dell’Usa Patriot Act "uno"
e "due", e dei decreti con cui dopo l’11 settembre, George
Bush si è attribuita la potestà insindacabile di indire la caccia
al terrorista su tutto il pianeta, si è formato un inedito sistema
carcerario mondiale, sovrannazionale, segreto o segretissimo, alle dirette
dipendenze della Cia, del Pentagono, dell’agenzia per la sicurezza nazionale,
del ministro della giustizia degli Stati uniti. Quest’ultimo ha ora,
tra l’altro, anche la potestà di emanare personalmente ordini
di perquisizione nelle case dei cittadini americani, che possono essere effettuate
all’insaputa dei destinatari e senza sanzione alcuna della magistratura.
In questo sistema carcerario segreto, dislocato in numerose località
del mondo, su territori sotto sovranità diversa da quella statunitense,
vigono regole segrete, mentre i detenuti non possono fruire di nessuno dei
diritti umani e civili riconosciuti normalmente nei paesi dove vige lo stato
di diritto. Guantanamo Bay e soltanto uno di questi luoghi, in una base americana
sul territorio di Cuba. Si tratta di veri e propri "buchi neri"
legali, dove si pratica normalmente la tortura e dove si sprofonda senza che
nessuno sappia nemmeno i nomi (salvo eccezioni) degli sprofondati.
Naturalmente i giornali non ne parlano e fingono di ignorare ciò che
vi accade, ma di molti di questi luoghi si sa soltanto astrattamente che esistono,
e null’altro. Quando qualcosa trapela viene descritto in termini molto
soft. Recentemente due giornalisti americani - James Risen e Tom Shanker,
su International Herald Tribune (19 dicembre 2003) - hanno raccontato che
"i carcerieri hanno raffinato l’arte dell’interrogatorio
al fine di drenare informazioni critiche dai detenuti". La tortura viene
definita "arte", mediante la quale si "drenano" informazioni.
Le fonti, sempre anonime, dei dicasteri interessati, si limitano ad assicurare
che "ben definite limitazioni" sono imposte a coloro che interrogano.
Ma poi sfuggono ammissioni (evidentemente chi se le lascia sfuggire lo fa
perché non si rende nemmeno conto della gravità di ciò
che rivela) da cui risulta che, per esempio, la privazione del sonno dev’essere
"autorizzata" dagli ufficiali superiori. E tutti capiscono che questa
è la norma o, in ogni caso, che forme di tortura sono autorizzate.
Delle altre non sappiamo nulla, ma da come i grandi e grossi carcerieri di
Guantanamo trattano i minuscoli prigionieri in tute arancione, incatenati
e a capo chino, dal numero dei suicidi tentati (ventotto in due anni) s’intuisce
lo stato dei detenuti. Nessuno di loro ha ricevuto formale capo d’imputazione
(riferiscono i pochi che hanno avuto assistenza dai loro governi).
Quasi nessuno, salvo pochi occidentali detenuti, ha potuto comunicare con
l’esterno, con i familiari. Nessuno ha potuto incontrare un avvocato,
impostare una difesa. La detenzione è senza limiti. Di cose analoghe,
assai meno visibili di Guantanamo Bay, ce ne sono in Afghanistan (base di
Bagram e Kandahar), in Pakistan, in Egitto e in diverse altre località
mai rivelate nel terzo mondo e nel mondo arabo. Il più possibile lontane
da occhi e orecchie indiscrete e da possibili interferenze di giornalisti
curiosi, del resto sempre più rari.
Quanti siano i prigionieri non si sa. Probabilmente lo sanno non più
di cinque o sei persone, tutte a Washington. Nemmeno sul numero esatto dei
detenuti di Guantanamo Bay c’è una cifra sicura. Quella che ricorre
più frequentemente dice 660, ma nemmeno quella è ufficiale.
Una notizia recente, pubblicata dall’Economist (20 dicembre 2003) ha
fatto cenno di 3800 detenuti, in Iraq, del gruppo dei Mujaheddin e-Khalk (Mko)
anti-iraniani.
Quello che trapela è che esistono due network di detenzione: quello
del Pentagono, che include svariate migliaia di prigionieri, molti dei quali
catturati anche - ma non soltanto - sui teatri delle guerre non dichiarate
degli ultimi tempi (ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Yemen del Sud, Indonesia,
Filippine eccetera); e quello della Cia, le cui dimensioni sono dell’ordine
di qualche migliaio, in segretezza assoluta. Le "carte del mazzo"
iracheno, Saddam Hussein incluso, sono in questo secondo gruppo di campi,
insieme a quella parte dei gruppi dirigenti di Al Qaeda e affiliati che è
stata catturata.
Parte di questi centri di detenzione sembra si trovi anche sul territorio
degli Stati uniti, e racchiude i catturati ai valichi di frontiera, negli
aeroporti e nei porti, gli arrestati dell’Fbi e delle altre agenzie
di sicurezza, ciascuna delle quali ha una propria rete minore di detenzione.
I catturati all’estero rimangono sempre, in una prima fase, sotto detenzione
statunitense, anche se i luoghi di detenzione sono su territori sovrani. Ciò
permette agli agenti segreti Usa di violare le stesse leggi americane e, al
tempo stesso, di far credere agli stessi prigionieri che essi si trovano sotto
custodia dei servizi di sicurezza arabi, che usano torture e mezzi "non
convenzionali" senza remore di sorta. In tal modo si ottiene un effetto
terrorizzante addizionale.
Inoltre, facendo effettuare gli interrogatori dai "locali", gli
agenti americani possono evitare di sporcarsi direttamente le mani, limitandosi
a dare suggerimenti e a registrare le "confessioni". Se il prigioniero
non si rivela interessante, lo si consegna alle autorità locali, che
applicano nei suoi confronti le leggi del paese. Si sono registrati, in tal
senso alcuni casi di esecuzioni, particolarmente in Egitto. Ma trapela soltanto
la punta dell’iceberg.
Cosa sia accaduto nelle prigioni dell’Arabia saudita, degli Emirati
arabi, dell’Egitto, del Pakistan, si può solo immaginare. Se
invece i prigionieri si rivelano interessanti, allora compagnie aeree fantasma,
con velivoli senza insegne, atterrano negli aeroporti (in genere militari),
senza essere menzionati nei documenti aeroportuali, e prelevano i prigionieri
per trasportarli negli Stati uniti, dove continueranno gli interrogatori.
Quando verranno - se verranno - i processi deciderà l’Imperatore
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Se il prigioniero sarà interessante se ne potrà dare informazione.
Altrimenti è previsto (ci sono state proteste, anche negli Stati uniti,
ma la faccenda è rimasta aperta) che i tribunali militari segreti agiscano,
appunto, segretamente. E il mondo non saprà nulla della nuova serie
di desaparecidos, o per meglio dire disappeared, che è già cominciata
e promette di essere molto lunga. Così si capisce anche meglio perché
gli Stati uniti non solo rifiutano di sottostare al Tribunale penale internazionale,
ma costringono decine di paesi a definire un regime speciale per i cittadini
americani, inclusi i militari e i politici americani, che li solleva perennemente
dal rischio futuro di essere perseguiti.