Lettera di A. D. - Manicomio giudiziario
Napoli, 27 luglio 1972

Carissima, trovomi dal giorno 4 c. m. ospite dell'istituto sopra indicato che dietro le apparenze nasconde un inferno di cui sono stato, e lo sono tuttora, oggetto, e non potrai mai immaginare le ore di profonda angoscia ed amarezza che sto trascorrendo. È la seconda volta che vengo a trovarmi in questa sede, e sempre fui oggetto di strane attenzioni da parte del direttore G. R., e come tu sai nel '69 mi sequestrò il mio manoscritto e che poi in seguito ne scrissi un altro. Ora trovomi assegnato come minorato psichico, una minorazione fatta per il loro utile. Trovomi isolato dal giorno in cui giunsi in questa sede: mi si dà una sola ora di aria con sorveglianza esagerata, mi provocano in tutti i sensi; giorni fa per aver rifiutato di cambiare cella per un'altra, fui preso da circa venti guardie e legato sul letto di contenzione, ove vissi nello spurgo del proprio corpo e nei suoi nauseanti miasmi, stretto allo spasimo per ben nove giorni; tutto ciò per aver disubbidito ad un cambiamento di cella onde evitare di andare nell'altra che era in uno stato abominevole. Durante il periodo di coercizione, con la carne straziata da fasce, con la mente lucida, dovevo anche assistere alla abietta opera di un piantone che andava a masturbare gli ammalati che trovansi legati, e ciò non basta, ti dovevi accontentare di essere imboccato, cioè dato da mangiare, da questi ributtanti figuri, che davano anche degli schiaffi a poveri dementi legati. Tutto ciò lontano dall'occhio dell'agente di servizio, che in fede affida tutto a quel piantone detenuto.
     Il vitto è immangiabile, e di quel poco che di diritto dovrebbero dare non se ne riceve che l'infinitesima parte.
     Il sopravvitto che l'impresa vende ha i prezzi elevati che superano quel tasso che il ministero impone. In più portano i generi più scadenti e tutto a distanza di giorni dal giorno in cui si segnano tali generi. Ogni reclamo è inutile, poiché si vien presi e legati. Tutto ciò perché in questo istituto la corruzione giunge al suo massimo superando tutti gli altri istituti manicomiali. Il professore titolare G. R. è il capostipite di questa macchina interna tanto divoratrice ed essendo che l'impresa gli fornisce ogni genere senza nulla richiederne, di conseguenza ci si deve assoggettare ad ogni abuso che l'impresa fa sul povero ricoverato.
     Ed ogni reclamo che l'ingenuo ricoverato pone al G. R. viene soffocato con minacce di sospensione di pena, se condannato; se giudicabile, sospensione di giudizio (e quindi prolungamento a tempo indeterminato), e se tutto ciò non basta a renderlo passivo, allora si giunge alla conclusione materiale, cioè lo si lega.
     Questo direttore psichiatra è un mostro dal volto umano, un individuo che conobbe la frustrazione ed il fallimento e lontano dall'occhio della società su povere carni inermi egli sfoga i suoi istinti e gusta cosi quel potere che non ha per sentirsi uomo mentre non lo è. Forse la causa del suo odio per me è che egli mi attribuisce l'origine di una lettera che io feci la prima volta che fui ospite di questo istituto nel '69 sotto la sua direzione ed in quella lettera gli descrissi come era e come l'ho descritto anche a voi. Ed ecco che oggi dà sfogo ai suoi risentimenti facendosi arma del mio passato burrascoso, ed avvalendosi del potere ed in più del titolo di psichiatra, vorrebbe annullare la mia personalità, con ordini repressivi e disumani. Ieri fui condotto a colloquio con mio fratello e mia madre, ben circondato da secondini: una quindicina di minuti di colloquio ove neanche potevo abbracciare quella mia povera mamma che da molto tempo non vedevo come anche mio fratello, poiché ero diviso da una rete metallica.
     Potete immaginare quanto profondo sia stato il dolore e gridando inveii contro questo bastardo che con quest'ultimo suo ordine raggiunse il massimo della sua mostruosità umana e dell'abuso di potere. E vedere mia madre piangere e disperarsi accese in me un odio profondo. Perché? mi domandavo, cosa gli ho fatto per essere trattato così? Pensa ai tanti ammalati che vivono fuori dallo spazio e dal tempo; ma credo che essi siano più felici, poiché vivere in coscienza in così triste realtà diventa un incubo. Ora è doveroso descriverti il locale e i ricoverati di cui una parte sono delatori e l'altra raccomandati; gli altri sono ridotti ad automi per il ricatto di poter stare vicino alla famiglia e anche questi rappresentano la roccaforte del direttore G. R. che nelle passate inchieste ministeriali hanno smentito le voci dei propri compagni portando al settimo cielo "l'umanità del direttore" e di conseguenza, ora egli non teme più nessuno. Solo questi particolari detenuti vivono bene.
     Stanno cercando di convincere i miei familiari, dicendogli che io a causa del passato devo dimostrare buona volontà, ma come potrei mai? Venendo trattato da persona incivile?
     Aiutatemi, vi prego, sto trascorrendo giorni infernali privato di ogni giustizia. Aspettano da me una reazione violenta per poi potersene fare un movente per i loro delitti legali ma io cercherò di far prevalere la mia intelligenza, ma fino a quando? Sono sottoposto ad uno stress disumano. Starò chiuso giorno dopo giorno con una sola ora d'aria, con la continua minaccia che di me possono fare quel che vogliono, cioè legarmi, fermarmi la condanna; è vile approfittarsi o farsi scudo di un passato di violenza generata da questi trattamenti.
     Mi affido a voi tutti, non mi abbandonate, date subito atto tramite la stampa di questa denuncia. Vorrei dirti ancora tante cose; purtroppo l'animo è troppo sconvolto da questi ultimi eventi. Termino, aiutatemi, questo solo vi ripeto ancora, io non posso più scrivere...

Seguono quattro firme

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Lettera di B. E.
Barcellona Pozzo di Gotto, 7 gennaio 1972

...Tutto scarseggia, vitto, alloggio, aria e medicinali, per cui uno dopo un certo periodo se non ha l'aiuto della famiglia si ammala di certo. Marescialli, direttori, medici ed imprese, nonché gli aguzzini, fanno man bassa di tutto. Qui a Barcellona vengono rubati perfino gli indumenti personali che all'entrata vengono dati in custodia ad un agente del magazzino.
     Parlando di disciplina, tutto deve essere accuratamente osservato ed accettato, mentre guai per chi sbaglia, perché non mancano mai celle d'isolamento, letto di contenzione ed altre torture, fino alle percosse. Dove vanno a finire i medicinali, il vitto e le altre cose che dà il superiore ministero? Tutto sparisce misteriosamente. Dovrebbero dare le lenzuola per il bagno e quando vengono chieste non ci sono mai. Ho visto gente accanto a me, malati e sani, che facendo il bagno e dovendosi asciugare e non avendo famiglia prendevano le stesse lenzuola su cui dormivano. Come non ammalarsi? Il vitto, che ti posso dire, addirittura o quasi marcio tanto che emana un fetore insopportabile. Gli alloggi, umidi, freddi e soprattutto sporchi. Ricordo una volta, e ciò accadde al carcere di Avellino, tre detenuti, un certo A. V., un certo R. ed un altro che non ricordo, sol perché reclamarono che il vitto non era adeguato (erano di commissione) furono impacchettati e spediti al carcere di punizione di Lecce. Insomma, per loro le cose devono procedere tutto a scapito del detenuto, altrimenti il ribelle a certi sistemi antiquati e borbonici è un pessimo elemento. Credimi, tra luogo e luogo non vi è differenza. Se ti danno un po' di libertà, ti tolgono il vitto e viceversa. Poggioreale, Avellino, Barcellona, Noto, e l'isola di Favignana, ecc... tutti si eguagliano tra loro. Ho visto diversa gente ingoiare chiodi, autolesionarsi e cercare di impiccarsi per i troppi soprusi.
     C'è il medico qui che quando fa le perizie si basa su quello che gli dicono i suoi confidenti, detenuti e guardie. Per loro non esiste valore umano. Per i colloqui poi non ne parliamo, ho visto gente pagare stecche di sigarette americane per avere un po' di conforto da qualcuno, non avendo famiglia. In taluni carceri, ti cestinano perfino la posta. Gli stabilimenti carcerari differenziano solo nel male, per esempio nella casa penale di Favignana ove sono stato due mesi circa, vi è un maresciallo che è un tipico dittatore, tanto che non esita a picchiare i detenuti sul letto di contenzione. Spesso in questi luoghi capitano casi di morte e per le percosse e perché vengono legati sul letto di contenzione senza essere visitati. Eppure è prevista una visita dal medico per accertare eventuali malattie che possono portare alla tomba. Di solito in questi luoghi succede che prima vengono legati e poi quando è comodo, il medico viene, ma per una visita frettolosa. Sono cose orribili che fanno impietrire dall'orrore. A Poggioreale come qui ci sono stati casi di morte, ma sono stati subito soffocati e arrestate le denunce, insomma non hanno avuto alcun corso, perché tutto questo?
     Ora voglio dirti la ragione per cui mi trovo qui, e comincio dal carcere di Avellino, ove ero fino al 25 luglio. Lì, per la verità, me la passavo benino, dato che i miei familiari erano vicini e non mi facevano mancare niente... Ma con l'andare del tempo notai un sacco di cose che non andavano, poi una sera nacque la scintilla che fece traboccare il vaso. Chiesi infatti all'agente di servizio cortesemente se mi mandasse ad assistere ad una trasmissione televisiva, e questi non volle accontentarmi. Sì, non volle, perché in genere per questi piccoli favori si faceva ricambiare o con spiate o magari dandogli delle sigarette americane, e siccome allora non gli davo né l'uno né l'altro, gli dissi: va bene, grazie lo stesso. Dopo pochi attimi, però ci fu un altro che passò davanti a me e fu fatto entrare nella stanza dove era la televisione. La cosa mi indispose, anche perché precedentemente in più di una occasione avevo contribuito con le sigarette. Quella sera non ne avevo e cosi fui denunciato, perché nacque una discussione che degenerò in alterco violento. Ad un certo punto questo mi gettò le chiavi dei cancelli, fui colpito in più parti e risposi coi pugni. Totale: lesioni da ambo le parti, con la differenza che io fui denunciato e inviato alla casa penale di Favignana, a 1200 chilometri di distanza dai miei mentre egli, perché era un agente, non patì niente e continua a fare traffici di tutti i generi sfruttando tanti poveri derelitti, con la quasi consapevolezza dei suoi superiori che spesso non possono parlare, perché essendo in difetto, vengono ricattati. Dovendo andare alla Favignana fui aggregato al carcere di Poggioreale per pochi giorni, ma giunto lì e trovando il vitto in pessime condizioni, reclamai, senonché fui preso, percosso ed assicurato sul letto di contenzione per tre giorni. Dopo di che rimasi ancora per undici giorni alle celle di punizione, senza poter andare al passeggio per prendere una boccata d'aria.
     Finalmente fui trasferito all'isola di Favignana, un antico castello in mezzo al mare, ove non ci abiterebbero nemmeno i gufi. Purtroppo, tanti poveri derelitti han dovuto trovare la forza di adeguarsi in luride catapecchie piene di umidità. Figurati che cadevano dal soffitto e dalle pareti strisce di intonaco, inabitabile al cento per cento. Eppure erano abitate. Riuscii a stare lì meno di due mesi, facendo la fila dal maresciallo e dal medico, dal direttore no, perché questi veniva solo quando c'era bel tempo da Trapani. Fatto sta che un giorno non ne potei più sia per il vitto che non era buono, sia per un'abbondanza di topi abbastanza grandi che ti facevano passare la voglia di mangiare, sia per l'aria umida, sia per il regime tirannico, un bel giorno salii su un tetto ed iniziai ad autolesionarmi, cosi che fui subito inviato al manicomio giudiziario di Barcellona per perizia.


Fonte: Il carcere come scuola di rivoluzione di Irene Invernizzi, Einaudi 1973