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Tunisia, ronde nel porto dei disperati. «Caccia ai barconi pronti a partire»

Marco Imarisio

Corriere della Sera, 19 luglio 2004

Il governo teme una nuova emergenza, scatta la linea dura. Sabato fermati due scafi. «Quando arriverà la notizia dello stop agli arresti nel vostro Paese sarà ancora più dura».

Hanène ha undici anni, riccioli neri, una felpa lacera da adulto che le arriva fino ai piedi come unico vestito. Adesso piange. Vede sua madre strattonata dagli agenti, e strilla ancora più forte. Il poliziotto alto con i baffi le si avvicina senza dire una parola e le tira una manganellata sulle gambe, all'altezza delle ginocchia. Poi la trascina per le mani e la ributta dentro il gabbiotto con pareti di lamiera. In Tunisia dicono di essere pronti. Il mare calmo di luglio e agosto è lo scenario della solita estate di emergenza, i barconi dei disperati che tentano di arrivare sulle coste della Sicilia. Questa volta sono cambiate le regole, così garantisce il governo. C'è una nuova legge entrata in vigore ad aprile. Almeno sulla carta, pene pesantissime per gli scafisti, non importa se in proprio o parte delle grandi organizzazioni che gestiscono il traffico di disperati. Hamza Oussama, capo della neonata squadra anti-immigrazione di pattuglia nell'entroterra del golfo di Boughrara, spiega che anche le botte e le intimidazioni dei suoi uomini ad Hanène e agli altri maghrebini fanno parte della «nuova strategia». Un cambio di linea deciso dopo le tragedie della scorsa estate e (soprattutto) dopo le critiche pesantissime al lassismo tunisino che arrivarono da tutta Europa: «Ci hanno detto che dobbiamo essere più severi, che dobbiamo fargli passare la voglia di riprovarci». Loro eseguono, zelanti. Hanène ci era quasi arrivata. Era per domani notte. Lei, la sua famiglia, altri quindici disperati del Maghreb. Mancavano trenta chilometri a Boughrara, al mare e all'appuntamento con i trafficanti che li avrebbero messi su una barca diretta in Italia. Soltanto trenta chilometri dopo un viaggio durato sette giorni. Li hanno fermati vicino a Sidi Makhlouf, sulla strada che porta alla costa. Dalla scorsa notte sono in questa baracca delimitata da una doppia recinzione di filo spinato che la polizia chiama «centro di detenzione». In mezzo alla terra brulla, con il sole che picchia sulle lamiere anche adesso che sono le cinque di sera. Gli uomini che escono rassegnati dalla casupola bollente per sgranchirsi le gambe hanno quasi tutti la faccia segnata dai lividi. I disperati che raggiungono la Tunisia dal deserto sub sahariano adesso finiscono qui il loro viaggio attraverso l'Africa. A Boughrara, una piccola città di mare a sud del golfo di Gabes, famosa per le acque termali, che dista appena novanta chilometri dal confine con la Libia. Il loro appuntamento con gli scafisti non è nella strada principale, fatta di palazzine bianche e decorose, ma nei piccoli porti dei villaggi vicini. Meno sorvegliati dei santuari dell'immigrazione clandestina come Sfax e Gabes. È soltanto una correzione. Un'ora di viaggio in più. Aggirare da sud l'isola di Djerba, uno dei fiori all'occhiello della Tunisia turistica, e poi puntare verso il lato meridionale del canale di Sicilia. Il traffico di immigrati clandestini viene gestito ancora a Sfax. È questa città di 340 mila abitanti il crocevia dei disperati, è nei bar davanti alla stazione che i trafficanti decidono dei destini altrui. «Da questa primavera, le imbarcazioni dirette in Italia hanno ricominciato a partire da centri meno in vista», dice Mohamed Ben Khelifa. È un ufficiale di quarant'anni con volto da ragazzo. All'inizio di luglio è arrivato da Tunisi per «commissariare» la Guardia Nazionale di Sfax. Si è portato dietro cinque nuove motovedette, la dimostrazione, dice, che il governo di Tunisi ha «serie intenzioni di cooperazione». Accavalla le gambe sulla scrivania del suo ufficio pieno di gagliardetti al secondo piano del porto commerciale e prosegue: «In questi due mesi ci giochiamo la faccia. È per questo che dobbiamo applicare la linea dura». Legge i numeri appena pubblicati dal ministero dell'Interno. Duecentosessanta clandestini arrestati a marzo, una lieve flessione in aprile, «operazioni trionfali» a maggio e giugno. Nell'ultima settimana il mare ha restituito i resti di cinque persone a Madia, su a nord, al largo di Sfax è stata intercettata un'imbarcazione con 160 immigrati africani, ieri notte a Nagfa sono stati bloccati due scafi che stavano entrando in acqua. «Questi eventi ci fanno pensare che stiamo entrando nel periodo più delicato». Come ogni estate. L'ufficiale tunisino si tiene aggiornato, e dice che quando si spargerà la voce dei «problemi» (così li definisce) della legge italiana sui clandestini, «il nostro compito diventerà sicuramente più difficile». Per il resto, tutto pronto, da mesi. Pattuglie nell'entroterra munite di manganello, più motovedette in mare, il governo che ha rafforzato la sorveglianza su tredicimila chilometri di costa. La novità di questi improvvisati «centri di detenzione» attivi da giugno, che per gli immigrati faranno da cuscino tra la cattura e il carcere. Le denunce delle poche associazioni umanitarie di Tunisi per i maltrattamenti ai clandestini, sempre più frequenti? Mohammed Ben Khelifa fa l'occhiolino: «Quest'estate voi italiani avrete meno problemi», garantisce. Alle otto di sera se ne va, smontano anche le altre guardie. Le navi da rottamare sono all'asciutto, issate su un molo all'estremità del porto. Da marzo c'è una guardia che le sorveglia per impedire ai trafficanti di rubare questi scafi malridotti e di usarli. Il suo turno però finisce alle cinque. E stasera il mare è piatto.