Siamo entrati in un periodo cruciale per la scuola. Sciopero generale del 7 dicembre ed elezioni delle RSU del 13 dicembre.
L'intreccio fra queste due scadenze è inevitabile; tuttavia è forte il rischio che le elezioni delle RSU finiscano per oscurare i contenuti della vertenza in corso e che, simmetricamente, la vertenza sia condotta in funzione della scadenza elettorale.
Da questo punto di vista è preoccupante che, nonostante l'ampiezza dello schieramento che si è mobilitato, le grandi organizzazioni si presentino a questo appuntamento in ordine sparso, divise tra chi è più attento ai risvolti politici del confronto che non a quelli vertenziali, chi non ha rinunciato alla differenziazione salariale e professionale e chi ha necessità di ricollocarsi per tenere a bada le proprie contraddizioni interne. Si comprende quindi perché, dopo un mese e mezzo di "tavolo tecnico", la parola d'ordine del salario europeo non sia stata ancora tradotta in rivendicazioni puntuali. D'altra parte, se si prendono a riferimento le dichiarazioni dei leader delle grandi organizzazioni o le indiscrezioni che filtrano sulla legge finanziaria, non sembra esserci corrispondenza tra la durezza della mobilitazione e lo stato dei rapporti con il governo.
Si potrebbe spiegare così lo scarso rilievo che viene dato da alcuni allo sciopero del 7 dicembre, al punto che i sindacati confederali e lo Snals non hanno nemmeno previsto una manifestazione nazionale a sostegno della vertenza.
Diventa quindi necessario rendere espliciti fino in fondo gli obiettivi di questa fase di mobilitazione e le prospettive in cui si collocano, rompendo il velo di silenzio che è calato sulla trattativa.
A partire da una constatazione elementare: questa vertenza esiste perché la straordinaria mobilitazione del 17 febbraio ha determinato il fallimento dell'art. 29 del contratto scuola ed ha posto come centrale la questione salariale.
La tenuta dimostrata dai lavoratori della scuola negli scioperi di ottobre dà il segno di una crescita della coscienza sindacale e di una capacità di rapportarsi alle nuove contraddizioni indotte dalle trasformazioni in atto nel settore. Qualunque ipotesi di chiusura della trattativa deve fare i conti con questi fatti. Per i sindacati, in particolare per quelli confederali, è quindi un dovere politico dare risposte alle aspettative dei lavoratori evitando che tutto si risolva in poche risorse aggiuntive nella finanziaria.
Per raggiungere questo risultato la strada è obbligata: dare a tutti tutte le risorse attualmente a disposizione e prevedere un piano triennale di finanziamento necessario a completare una operazione di reinquadramento economico di tutto il personale. In questo quadro non può quindi essere riproposta una ipotesi di differenziazione, ma vanno affrontati seriamente i nodi dell'organizzazione del lavoro e dell'orario del personale docente e ATA.
L'importanza della riuscita dello sciopero del 7 e dei risultati che ne conseguiranno va oltre la scadenza immediata e può rendere politicamente forte una categoria e un settore che saranno al centro di uno scontro le cui avvisaglie già si vedono: privatizzazione e regionalizzazione, distruzione del sistema nazionale di istruzione.