La pace è
la fatica di non fare la guerra. Dentro di noi c'è la
guerra: c'è un bambino egocentrico, sordo alle ragioni
degli altri, che vuole la piena soddisfazione dei suoi bisogni,
che non vuole limiti alla sua libertà, che non cede i
suoi giocattoli, che pesta i piedi e cerca di sottomettere chi
gli sta accanto.
Poi c'è il nostro genitore interno che giudica il bambino,
gli vieta di fare tutto questo e gli impone le sue regole.
Da qui nascono le paure, l'angoscia di non esserci o di non essere
importante, che è lo stesso. è per tenere a bada
questa angoscia che spostiamo il giudizio sugli altri; questo
ci rassicura: l'esito di una guerra interna si muta nella nostra
personale guerra contro la realtà esterna.
Come si esce da questo meccanismo di conflitto costante? Con
pazienza, ascoltando le ragioni del bambino e del genitore che
sono i noi, mediando tra i tanti voglio e i tanti devo,
confrontandoci con gli altri, osservandoli, riconoscendo
in loro lo stesso conflitto, le stesse paure.
È attraverso questo faticoso percorso che chiamerei disciplina
, che arriviamo a definire i posso cioè l'incontro-scontro
tra i devo e i voglio, lo spazio della nostra libertà.
Ho letto in un articolo che: gli americani hanno diritto alla
loro reazione... Niente di più falso.
Le reazioni sono dei bambini, possono essere comprese, ma non
sono un diritto; per diventare tale devono essere trasformate
in azioni . Le reazioni non sono libere ma obbligate e automatiche,
le azioni lo sono perché guidate da una scelta adulta.
Naturalmente le prime sono più facili e prevedibili mentre
per le seconde è indispensabile l'esercizio della ragione.
È questo esercizio che, nel corso dei secoli, ha contraddistinto
le conquiste sociali della nostra cultura e società portando
alla costruzione di valori quali democrazia, solidarietà,
giustizia, parità di diritti, rispetto per le differenze.
Valori spesso disattesi ma che fanno comunque parte del nostro
tessuto sociale, ai quali ci richiamiamo ogni volta che ci troviamo
di fronte alle ingiustizie, valori per difendere i quali persone
hanno lottato e sono morte. Io ne sono fiera: fiera dell'Illuminismo,
della Rivoluzione Francese, del femminismo, del '68; mi sento
costituita da questi valori, me ne rendo conto proprio adesso
che questa storia di diritti è messa in discussione e
in pericolo.
Ma proprio perché la nostra storia, tra mille peripezie
e contraddizioni, ci ha portato a questo, noi non possiamo fare
la guerra, non possiamo più fare la guerra, a meno di
non rinunciare proprio a quei valori e a quella storia.
Non siamo più disposti a mandare esseri umani a morire
per la patria, il concetto di Patria rimane certo un valore,
almeno per me, ma è subordinato a valori ben più
importanti. Altri lo fanno è vero, muoiono per la patria,
ma hanno meno da perdere.
Si dice in questi giorni: la libertà di informazione mette
a repentaglio le strategie di movimento delle truppe. Il fatto
è che non possiamo più muovere le truppe, se no
mettiamo a rischio la libertà di informazione che è
il nostro valore cardine ed è anche la nostra forza. Le
nostre armi sono altre, perché non le usiamo? La nostra
forza è la conoscenza dei nostri limiti e dei nostri errori.
Lo sforzo invece viene dal negare la nostra debolezza. Sarà
per questo che si dice sforzo bellico e non forza bellica?
Perché non chiediamo scusa e non porgiamo l'altra guancia?
Perché questo concetto mi veniva insegnato da bambina
e non capivo e adesso che sono grande e ho la maturità
per capire mi si dice che non vale più se non per i bigotti
e gli ingenui? Ma è su questo concetto che si fonde l'umanità.
Gesù Cristo era un dio perché porgeva l'altra guancia.
Non un Dio con la maiuscola, ma un Uomo con la maiuscola.
Ho letto anche che questa pace sarebbe unilaterale, per forza
dico io, come si fa a fare la pace con chi è già
sulla nostra linea? Ci vuole più coraggio a fare una pace
asimmetrica che una guerra asimmetrica. Fare la pace significa
perdonare, e, mentre lo scrivo, subito mi sembra madornale; mi
è uscito dalla penna da solo e io intanto mi chiedo: ma
come si può perdonare chi ha ucciso 6 mila persone?
Allora vediamo che il concetto di perdono non prescinde dalla
giustizia, parola difficile perché inevitabilmente per
fare giustizia dobbiamo allargare il campo, non possiamo fermarci
ai terroristi, dobbiamo guardare ai nostri errori, così
ci accorgiamo che quei 6 mila li abbiamo ammazzati anche noi.
E qui viene l'antiamericanismo, altra parola che si usa tanto,
come accusa rivolta a chi questi errori li vede e li denuncia.
Ma non è questione di America, è questione di noi,
di tutto il mondo occidentale che dall'America è stato
colonizzato e monopolizzato. Che ci possiamo fare se gli USA
sono la superpotenza che ha indirizzato le nostre scelte e la
nostra vita nell'ultimo mezzo secolo? Così la nostra è
un'autocritica, e ben venga.
La pace non è un optional, è la condizione di misura
e armonia che ci consente di essere felici. Paradossalmente la
pace è l'unica cosa per cui vale la pena di lottare.
È ora di finirla diceva Marco Aurelio di cercare uomini
giusti e capaci, è ora di essere giusti e capaci e questo
naturalmente costa fatica.
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