REPRIMERE O EDUCARE?

Sulla denuncia alla magistratura della occupazione degli studenti di "Filo Rosso".

 

Consiglio di Facoltà di Economia del 24.01.'96 ha approvato a maggioranza (14 favorevoli, 3 contrari, 2 astenuti) la seguente mozione :

" Il C.d.F. respinge con fermezza le forme illegali e illiberali di occupazione del Dipartimento di Organizzazione Aziendale, condivide l'operato del Direttore del Dipartimento di O.A. e approva la delibera del Dipartimento

Auspica altresì che nel quadro di modalità democraticamente concordate e condivise si soddisfino le esigenze studentesche di poter usufruire di spazi autogestiti per svolgere attività politico / culturali e ricreative. La Facoltà e i suoi esponenti si impegnano in ogni sede, per quanto è di loro competenza al fine di favorire la sollecita concretizzazione di questi processi".

L'operato che la mozione dichiara di condividere è la denuncia alla Magistratura degli studenti del "collettivo Filo Rosso", che occupano tuttora gli spazi del Polifunzionale noti come "ex-laboratorio linguistico". Alla denuncia ritenuta atto dovuto, ha fatto seguito un'indagine della Digos.

L'ultimo atto formale del C.d.F. di Economia e quelli che l'hanno preceduto pongono, a nostro avviso, importanti problemi sostanziali che riguardano:

-Il ruolo dei docenti in quanto educatori;

-La loro relazione con gli studenti ed i modi di affrontare le contraddizioni ed i conflitti

che da questa stessa emergono;

-La funzione culturale e la politica della Università, come spazio di costruzione della democrazia;

-La definizione della responsabilità intesa non soltanto in senso giuridico-formale, ma come assunzione soggettiva di responsabilità sostanziale nei confronti degli altri:

Affrontare questi problemi richiede un confronto il più possibile allargato.

Proponiamo pertanto di aprire a tutto il corpo docente un dibattito, che preceda e faccia quindi da sfondo a tutte le altre iniziative riguardanti la vita dell'Ateneo, le quali sono state già previste per il prossimo periodo (C.d.F. sulla questione edilizia e residenziale, Conferenza d'Ateneo, discussione del nuovo Statuto, etc....) Su questi temi intendiamo convocare per il 21 Febbraio un incontro aperto tra tutti i docenti dell'Università.

Il documento che alleghiamo può essere una prima pista di riflessione su alcune delle questioni che intendiamo affrontare.

 

DONATELLA BARAZZETTI, ADA CAVAZZANI, GIOVANNELLA GRECO, PAOLO JEDLOWSKY, GIULIANA MOCCHI, OSVALDO PIERONI, WALTER PRIVITERA, RENATE SIEBERT, GIORDANO SIVINI.

 

 

 

 

 

Stelle comete, legalità e responsabilità

Ricapitoliamo brevemente i fatti . Verso la fine di Novembre a seguito di discussioni in affollate assemblee, studenti dell'Università decidevano di dar forma alla propria protesta attraverso l'occupazione degli uffici del Centro Residenziale. Si costituiva un coordinamento degli studenti ed iniziava una sorta di contrattazione che aveva come referente il Rettore, quale massimo rappresentante dell'Amministrazione. I temi affrontati spaziavano dalle condizioni di vita degli studenti (costi dello studio, residenzialità, ecc..), alla organizzazione della didattica, alla vivibilità del campus ed avevano come riferimento le proposte di modifica dello Statuto (che gli studenti, appunto criticavano).

L'occupazione terminava quando, dopo molti incontri, il Rettore prometteva di indire una Conferenza d'Ateneo sui temi sollevati, riconoscendo gli studenti come interlocutore principale.

Durante le prime settimane di Dicembre un gruppo di studenti che aveva partecipato all'occupazione, decideva -nei fatti- di costituirsi in una associazione aperta, che veniva chiamata "Filo Rosso".

Tra le rivendicazioni avanzate in precedenza, alcune riguardavano la possibilità, per gli studenti, di disporre all'interno della struttura universitaria di spazi fisici autogestiti. Questi venivano indicati come una sorta di centri di aggregazione sociale su base spontanea e volontaria, che permettessero (a quanti ne avessero l'intenzione e la capacità di iniziativa, quindi ad una pluralità di soggetti ) la espressione di soggettività culturali, artistiche, politiche in senso lato e che fossero quindi luoghi di libera discussione, in un certo senso alternativi (o anche paralleli, se si vuole) a quelli istituzionali ed organizzati attorno ai principi della rappresentanza, secondo regole formali abbastanza rigidamente strutturate.

Per fare certe cose ci vuole un posto. La vita universitaria, almeno per alcuni, è una esperienza che segna l'esistenza ed ancora prima di fornire un titolo e delle capacità tecnico professionali, è una fase "forte" di costruzione della propria indentità. E, tuttavia è una fase transitoria: nell'università si entra e da questa si esce dopo pochi anni. Il tempo non può essere sprecato e quando i tempi lenti ( ed i modi rigidi ) della burocrazia non coincidono con quelli della vita quotidiana, agitati dai bisogni e plastici allora certe cose bisogna farle!

I ragazzi e le ragazze di "Filo Rosso" decidono di utilizzare uno spazio fisico dell'Università, che ritengono inutilizzato: quello che tutti , da qualche tempo siamo abituati infatti a chiamare "l'ex-laboratorio linguistico". In effetti in quest'area di circa 300 mq hanno sede anche alcune stanze (ancora utilizzate) del Dipartimento di Organizzazione Aziendale, che tuttavia (come tutti gli altri Dipartimenti della Facoltà di Economia) ha iniziato da tempo il trasferimento delle proprie strutture e dei propri uffici presso i "cubi " del "ponte". Si tratta, a tutti gli effetti, di una nuova occupazione che questa volta avviene ad opera di una associazione di studenti, che inizia da subito a svolgere la propria attività culturale, di dibattito, di vita quotidiana di relazione. Lo spazio è gestito dai volontari che hanno dato luogo all'iniziativa ed è aperto a tutti gli altri studenti. Se qualcuno ha progetti da proporre può essere accolto oppure viene stimolato a realizzarli in forma autonoma, con persone affini e consenzienti, in un altro posto. "Che mille rose sboccino..".

Siamo oltre la metà di dicembre e l'Università si sta svuotando. I ragazzi del "Filo Rosso" invece non se ne vanno : la vita universitaria è un'esperienza che va vissuta anche a Natale, a Capodanno e per l'Epifania. E così, invece di usuale deserto, in questo periodo il Polifunzionale resta animato da un gruppo di universitari che organizzano spettacoli musicali, spettacoli teatrali, attività culturali e discussioni, feste pomeridiane ed anche "soirèes" e "revellions". C'è animazione e c'è festa. Per uno spazio pubblico che usualmente muore quando arriva il "privato" del fine settimana (avete mai visto il campus di sabato sera?) e che è tetro deserto durante le "feste di famiglia", per questo spazio pubblico è una sorta di nuova "nascita". La stella cometa di Natale si è posata sull'"ex laboratorio linguistico".

Questo spazio "occupato" e le relazioni concrete che nella sua fisicità di vetri e mattoni si intrecciano sono un "luogo terzo". Non sono "casa", famiglia e gruppo di amici ("luogo primo"), non sono lavoro (studio formale), sindacato o partito, istituzione burocratico-rappresentativa ("luogo secondo").

Il "luogo terzo" (ed anche questo che qui racconto) è lo spazio fondamentale della costruzione discorsiva della democrazia: qui si passa il tempo, qui ci si conosce e si discute, qui ci si confronta con giudizi di riferimento, in una dimensione in cui il "famigerato controllo sociale" circola in forza tanto della ragionevolezza, quanto della seduttività delle argomentazioni discorsive. C'è sempre il pericolo del pettegolezzo calunnioso, c'è sempre il rischi di un perbenismo magari "alternativo" ed omogeneizzante, c'è sempre il rischio della seduzione che fa riferimento al tradizionalismo o al modernismo. In ogni caso, questo è il luogo informale e quotidiano della moralità e da esso prendono forma le norme legittime, la legittimità del diritto e la stessa politica.

Il "luogo terzo" è una dimensione intermedia tra "privato" e "pubblico", una area "di frangia".

I ragazzi e le ragazze del "Filo Rosso" si presentano in modo particolare e comunicano spesso attraverso segni e linguaggi che generalmente portano ad identificarli con lo stile dei "centri sociali" (il "Leoncavallo" di Milano, tanto per intenderci, o il "Gramna" di Cosenza). Scelgono un simbolo, che è quello degli "squotters" (o "besetzer") di fine anni '70: i giovani alternativi dell'Europa centrale che occupavano le case. Il rapporto con la città e con l'esterno avviene spesso attraverso una radio libera, "Radio Ciroma", politicamente caratterizzata, che ne ospita comunicati e dibattiti. E' chiaro, insomma, un sia pur generico riferimento politico di estrema sinistra, che tuttavia non è omogeneamente riconducibile nè ai classici ed ormai "vecchi" gruppi dell'Autonomia Organizzata, né ad alcune propaggini di Rifondazione Comunista" o della "Sinistra Giovanile" (ad esempio, frange del PDS, che militano nell'ARCI), né ad altri gruppi politici di fatto istituzionalizzati.

Nei confronti di questi studenti, già prima di Natale, viene operata una denuncia alla Magistratura, per occupazione di suolo pubblico e per interruzione di pubblico ufficio. Il Direttore del Dipartimento di Organizzazione Aziendale (alcune delle stanze occupate fanno ancora capo a funzioni del Dipartimento) ritiene che questo sia un atto dovuto (formalmente lo è) ed il Rettore dell'Università si trova a dover parimenti assumere un ruolo attivo nella vicenda. La Digos interviene a rilevare i nomi degli occupanti ed ha luogo una indagine giudiziaria, che credo stia andando avanti.

Accompagna questa denuncia una sorta di minaccia che ricade su tutti gli studenti della Facoltà di Economia: fino a quando durerà l'occupazione alcuni docenti non terranno esami, dal momento che non è possibile espletare un atto di rilevanza giuridica in una situazione di illegalità.

Al Consiglio di Facoltà del 24.1.96 l'argomento figura all'ordine del giorno ed in questo ambito viene presentata una mozione, che, nella sua versione finale (dopo ritocchi e tentativi di mediazione) respinge "con fermezza le forme illegali e illiberali di occupazione" e "condivide l'operato del Direttore di OA" (per il testo completo si veda la pagina di apertura di questo documento):

Si condanna l'occupazione, come illiberale ed antidemocratica, ma se ne riconoscono i fondati motivi. In ogni caso si appoggia una operazione di polizia all'interno dell'Università e si fa appello alla Magistratura perché intervenga.

Su 19 votanti, 14 sono a favore, 2 si astengono e 3 sono contrari. Un docente si allontana per non partecipare all'atto. C'è qualche dubbio sul fatto che sussista il numero legale per legittimare la votazione.

Ora, indipendentemente dall'esito di quest'ultima, il fatto -a nostro avviso- ha una rilevante importanza e pone molti interrogativi a tutti coloro che lavorano, svolgono attività formativa, vivono all'interno di questa Università.

E' accaduto raramente, se non in periodi estremamente critici, che docenti o funzionari delle Università italiane abbiano denunciato per "occupazione" degli studenti che, ad esempio, mettevano in "tilt" la stessa organizzazione generale dell'Ateneo (occupazione del Rettorato).

La questione ci sembra molto importante ed'è morale e politica, prima ancora che giuridica. Essa pone problemi che riguardano la nostra professionalità (il famoso "beruf" Weberiano) ed il nostro ruolo. In questo caso, il concetto di educatore rimanda alla nostra capacità culturale di affrontare le contraddizioni, i conflitti, le diverse ragioni che attraversano non solo l'Università, ma la società più in generale e le sue prospettive. Pone problemi rispetto ai metodi ed alle procedure attraverso cui intende agire in nome della libertà, della democrazia e della costruzione della stessa legalità.

Viviamo in un paese, e soprattutto in contesto locale, in cui etica, legalità e democrazia rappresentano un problema piuttosto che un punto di riferimento. Il particolarismo, l'illegalità quotidiana e la criminalità pianificata, il sopruso e l'abuso di potere sono quotidianamente tangibili e rappresentano spesso la "norma" più che l'"eccezione".

Sappiamo benissimo che chiunque intenda agire "onestamente" (per utilizzare un avverbio troppo spesso usato a sproposito o per pura propaganda) si trova in grossa difficoltà. Questa difficoltà genera spesso disagio e talvolta frustrazione. Ma se anche all'interno dell'Università non siamo in grado, almeno, di sopportare questo disagio in relazione ai nostri primi referenti (gli studenti), ciò significa il fallimento morale, prima ancora che politico e giuridico, del nostro ruolo. E qui bisogna intendersi, discutere, argomentare.

Si dice che i ragazzi del "Filo Rosso" sono una minoranza (alcune decine, come in effetti essi sono) e che, per di più, rifiutano i principi della rappresentanza (si astengono attivamente, ad esempio, dalle elezioni per i rappresentanti politici nelle istituzioni di gestione universitaria ed argomentano questa loro scelta. E' vero. Ma questo è sufficiente per condannarli in quanto "illiberali" ed "antidemocratici" e bandirne, in forza della legge, la presenza nell'Università? L'educazione civica (ancor prima delle scienze sociali) ci insegna che nella società democratica non esistono soltanto partiti ed associazioni formali (più o meno legalizzate). Esistono movimenti, associazioni informali, gruppi, organizzazioni e comportamenti collettivi orientati ad obiettivi generali o specifici, piccoli o grandi, minoritari, etc. Inoltre le associazioni formali ed i partiti -in realtà- traggono motivazioni, consenso, legittimazione dalle associazioni informali, dai movimenti sociali, dalle lotte ed dai conflitti che liberamente si esprimono nella società. Ogni rappresentanza formale dovrebbe avere a cuore in primo luogo la vitalità (il rischio) delle espressioni spontanee, delle associazioni multiple ed informali, delle forme e dei luoghi che sopra chiamavamo "terzi" poiché questi sono i principali referenti per la costruzione di una legalità che tragga le sue origini da una pratica argomentativa, discorsiva, di confronto e non di potere, di status, di "soldi".

Il voler sanzionare questi studenti, poiché si pongono al di fuori dei meccanismi rappresentativi, è già un errore grave. Esso forse, per quanto inconsapevolmente, può essere ricondotto ad una tendenza burocratica e tecnocratica, che intende risolvere i problemi della complessità sociale attraverso la semplificazione procedurale. Il che sostanzialmente significa rimozione, emarginazione, esclusione dei soggetti portatori di tali problemi. Poiché alcuni comportamenti ci creano disagio, non corrispondono al nostro stile di vita, ci pongono problemi che non siamo, magari oggettivamente, in grado di risolvere, la nostra risposta è la "cancellazione" o la "repressione".

Eppure l'Università non era, tradizionalmente, una sorta di "chiesa laica"? Uno spazio non soltanto culturale, ma anche fisico, concreto, all'interno del quale chiedere, semmai, "asilo politico" e rifugio culturale nei confronti dell'oppressione e del sopruso?

Gli studenti di "Filo Rosso" pongono un problema di vivibilità dello spazio universitario ed implicitamente fanno appello ad un modello di residenzialità che ci richiama quello della "città democratica" e del pluralismo delle soggettività. La loro non è soltanto una richiesta particolaristica di poche stanze autogestite. La questione che essi pongono a un senso generale: questa è una "Città" universitaria o una fabbrica di diplomi standardizzati? L'ambito in cui viviamo è uno spazio circolare di formazione civile oppure solamente un'asse attrezzato, con inputs e outputs, che magari si ritengono funzionali al mercato? Questo è un luogo importante di costruzione discorsiva dell'identità, sia per gli studenti che per noi, oppure un'agenzia di disciplinamento?

Si tratta di interrogativi che mettono in discussione il senso stesso delle nostre posizioni professionali e del nostro agire nell'Università. Illudersi di risolverli (o magari, anche in buona fede, di affrontarli) con un atto repressivo, sia pur fortemente legittimo, nei confronti di chi fa "esplodere" le contraddizioni, appare una scelta di irresponsabilità. Fare ricorso ad un'autorità esterna all'Università, ovvero denunciare alla Magistratura un gruppo di studenti ed appellarsi ad un intervento di polizia, anche se in nome della difesa di diritti di una maggioranza, appare come una sconfitta della nostra capacità di discutere, di modificare in modo argomentativo le situazione critiche, di assumere fino in fondo una responsabilità sostanziale nei confronti dei nostri interlocutori.

In ogni caso i problemi posti da questa vicenda -indipendentemente dalle opinioni e dai riferimenti di valore che in queste pagine sono espressi- offrono un terreno di confronto culturale e di discussione politica quantomai opportuno. Nel momento in cui l'Università della Calabria, dopo un periodo di forte crescita, si appresta ad affontare questioni relative alla fisionomia residenziale del "Campus", allo Statuto e dalle norme che regolano professionalità, didattica, vita universitaria, etc., sarebbe bene tornare a discutere collettivamente.

Osvaldo Pieroni

Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica

Arcavacata 29.1.1996