Da "Against the Current", aprile 1999

LA STRADA DELLA NATO VERSO LA GUERRA/LA ROVINA


I massacri in Kosovo e la campagna aerea degli Stati Uniti/della NATO - che, come sosterremo, dovrà inevitabilmente finire con una sconfitta umiliante o un'escalation su piena scala della guerra di terra - pone una delle maggiori sfide degli ultimi decenni ai principi della sinistra, al coraggio politico e alla saldezza morale. Durante la maggior parte del corso delle nostre vite non è mai capitato di dovere affrontare una tale situazione di conflitto evidentemente totale tra imperativi contrapposti: tra la necessità di un'azione immediata per affrontare il genocidio e la necessità di opporsi agli interventi imperialisti ed arrestarli.

Nel presentare gli argomenti che riportiamo qui, noi, redattori di "Against the Current", ci rendiamo perfettamente conto che vi saranno aspri dissensi tra i nostri lettori e amici - differenze nell'analisi di questi eventi e nelle conclusioni da trarne. Tali differenze sono inevitabili e legittime. Quello su cui insistiamo è che tutti coloro che sono impegnati nel dibattito, sia come individui che come tendenze politiche organizzate, debbano confrontarsi in maniera franca con le conseguenze di qualsivoglia posizione sostengano - e applicheremo tali regole anche a noi stessi.

Mentre ci opponiamo a questa guerra - il bombardamento della Jugoslavia da parte della NATO e la guerra di terra e di occupazione che inevitabilmente è in fase di pianificazione - dobbiamo rifiutare in questo caso anche alcune delle "alternative costruttive" più comuni all'intervento militare che vengono spesso avanzate dal movimento per la pace. Nascondersi dietro a richieste di una "soluzione di pace politicamente negoziata" o a "un intervento di pace delle Nazioni Unite", oppure promuovere illusioni pacifiste di ogni sorta in merito a una soluzione non violenta del conflitto, è moralmente inaccettabile in questo caso: nella vita reale, non possono volere dire nient'altro se non fare un esercizio di bella scrittura mentre le forze serbe completano la deportazione di massa della popolazione del Kosovo, dopo la quale, naturalmente, Milosevic negozierà la sua "pace" senza fretta.

Il dilemma veramente tormentoso al quale il movimento per la pace si trova davanti in questo caso deve essere affrontato apertamente, e non celato sotto frasi che suonano belle, ma che, sebbene non intenzionalmente, forniscono solo una copertura per le pratiche di pulizia etnica al limite del genocidio di Slobodan Milosevic e dei gangster suoi alleati.

Il fatto: per fermare il genocidio non ci vuole una "risoluzione del conflitto", ma la sconfitta dei suoi perpetratori. Parlando in termini generali, il momento in cui devono essere sconfitti viene prima di quello in cui hanno messo a punto la macchina per omicidi di massa. In nessun altro caso ciò è più evidente che in Kosovo. Il genocidio in Kosovo sarebbe stato prevenuto, anni fa, dalla sconfitta del regime di Milosevic e dei gangster suoi alleati durante la precedente guerra, quella in Bosnia. Quello che era necessario, allora, dal 1991 in avanti, non erano i bombardamenti o le invasioni della NATO, ma semplicemente consentire alla Repubblica di Bosnia-Erzegovina di armarsi contro la pulizia etnica che mirava a distruggere un piccolo stato multiculturale. L'Occidente ha imposto un embargo alle armi nel nome dell'"evitare una guerra più ampia", che ha lasciato la popolazione civile bosniaca disarmata esposta alle distruzioni dell'"Esercito Popolare Jugoslavo" di Milosevic e dei paramilitari serbi e croati, costringendo infine la Bosnia a un'alleanza militare con la Croazia per la sopravvivenza fisica. Ora gli imperialisti hanno esattamente la guerra che hanno cercato di "prevenire" con il loro perfido tradimento dei bosniaci. Si tratta di una guerra assolutamente reazionaria, nella quale i governanti degli Stati Uniti e dell'Europa Occidentale devono propinare sistematicamente bugie sempre più grandi alle proprie popolazioni: bugie per esagerare il "grande successo militare" dei bombardamenti e per nascondere la distruzione di vite civili; bugie per mascherare le esatte dimensioni dell'escalation e dell'occupazione che devono essere preparate per vincere questa guerra; bugie per riscrivere la storia, per fare dimenticare alla gente che per tutti gli anni '90 l'Occidente ha facilitato le stragi e le repressioni interne di Milosevic, trattandolo come la chiave per la "stabilità" nei Balcani.

UNA CATASTROFE IN CORSO
C'è un importante argomento antiguerra, che noi riteniamo valido e rilevante, ma in una certa misura ambiguo: che l'avvio della campagna di bombardamenti della NATO ha reso peggiore la crisi del Kosovo. Si tratta di una tesi sostenuta, tra gli altri, da Edward Said, in "Protecting the Kosovars", disponibile in Internet su ZNet (http://www.zmag.org/Zmag/saidkosovar.htm). Esponendo il proprio pensiero con la chiarezza e la passione che gli sono proprie, Said afferma che "nemmeno le conseguenze sono state pensate a fondo, vale a dire la certezza che le forze serbe avrebbero risposto ai bombardamenti della NATO intensificando i loro attacchi contro i civili albanesi, mettendo in atto maggiori pulizie etniche, con un maggiore numero di profughi e più problemi per il futuro".

E' chiaramente vero che il flusso dei profughi, le notizie di deportazioni di massa e di incendi di interi villaggi, nonché le notizie fin troppo credibili di separazione degli uomini profughi per esecuzioni di massa, sono tutti aumentati da quando sono cominciati i bombardamenti. Tuttavia è importante non sopravvalutare questo argomento: la campagna del regime serbo per la distruzione della popolazione albanese kosovara era già in corso.

Tutte le testimonianze portano alla conclusione che non si è trattato di atti di rabbia ceca dovuti alla provocazione militare degli USA/della NATO. Questo crimine di portata mondiale contro l'umanità è stato piuttosto un'operazione sistematicamente pianificata e integrata, coordinata tra l'esercito regolare, la polizia e i paramilitari serbi. Nei fatti, la pianificazione e l'implementazione di questa operazione è stata consentita e precipitata non dal bombardamento della Jugoslavia, ma dalle politiche occidentali del decennio precedente, con i loro costanti tentativi di giungere ad accordi cinici con il regime di Milosevic. Questo punto ci sembra essere il punto di partenza essenziale per analizzare la catastrofe dei Balcani, e vi ritorneremo tra breve.

Vi è un altro argomento antiguerra che riteniamo non possa essere considerato il fattore decisivo in questo caso, anche se corrisponde a realtà: che sotto il bombardamento, "il regime di Milosevic non ha fatto che rafforzarsi. Tutti i serbi sentono che il loro paese è stato attaccato ingiustamente e la codarda guerra dal cielo li ha fatti sentire perseguitati" (Edward Said, ibid.).

Ancora una volta, ciò è vero. Dobbiamo ricordare le ammirevoli lotte contro la guerra dell'opposizione democratica jugoslava, che hanno raggiunto il loro culmine nei primi anni '90 e che hanno organizzato mobilitazioni contro la guerra che, rispetto alla popolazione della Serbia, sono state più ampie delle più grandi dimostrazioni che abbiamo organizzato negli Stati Uniti contro la guerra ai tempi del Vietnam. E questa coraggiosa eredità di opposizione civica a Milosevic è il primo "danno collaterale" delle bombe.

Ma anche in questo caso dobbiamo affrontare fatti concreti: nessuno può immaginare che questa opposizione, oggi, nel suo stato di sconfitta e corruzione (con parte della sua leadership oggi nel governo di Milosevic) possa organizzare una sfida effettiva ai massacri e allo spopolamento del Kosovo.

Ancora una volta, il principale fattore internazionale che ha deragliato la sfida, un tempo promettente, a Milosevic, non sono stati i bombardamenti NATO. E' stata piuttosto l'incessante politica occidentale di scegliere Milosevic come riferimento, di legittimare il suo regime, di premiare le sue avventure in Kosovo (con le quali ha abrogato la sua autonomia regionale nel 1989), la guerra con la Croazia e la violenza della pulizia etnica in Bosnia-Erzegovina, ognuna più omicida della precedente e culminate nella catastrofe del Kosovo del 1998-99.

Lungo l'intero decennio, tutto quello che l'Occidente ha fatto non poteva che fare apparire questo regime solido e irremovibile, addirittura insostituibile. Questa, in realtà, è stata la lezione degli accordi di Dayton, che hanno consolidato lo smembramento della Bosnia (dopo che il suo esercito aveva cominciato a vincere la guerra!), così come degli intenti dei vacillanti accordi di Rambouillet, che escludevano specificamente il diritto degli albanesi del Kosovo all'autodeterminazione.

I fatti dell'impatto immediato dei bombardamenti NATO sul destino delle forze democratiche jugoslave, e sull'accelerazione delle uccisioni e dello spopolamento del Kosovo, sono pertinenti ma non decisivi in maniera definitiva. Dopo tutto, i profughi che fuggono dal Kosovo, secondo tutte le testimonianze, accettano i bombardamenti e vorrebbero vederli intensificati. Come socialisti e opponenti rivoluzionari dell'imperialismo, dobbiamo affrontare la questione innanzitutto secondo il modo di pensare della gente più comune: il mondo non dovrebbe fermare il genocidio?

LA POLITICA DI QUESTA GUERRA
La nostra risposta deve cominciare notando i numerosi genocidi e crimini contro l'umanità dei quali lo stesso imperialismo USA è stato perpetratore o sponsor: Guatemala, Indonesia e Timor Est, Indocina, la riduzione alla fame dell'Iraq oggi. In altri materiali di questo numero di Against the Current mettiamo in evidenza alcuni aspetti della recente storia del Guatemala e di Timor Est. Né dovrebbe essere dimenticato che la sadica tortura della popolazione irachena da parte degli Stati Uniti è cominciata con l'obiettivo inscenato di liberare il Kuwait dalla criminale occupazione da parte di Saddam Hussein. Questo caso illustra un motivo fondamentale per opporsi all'attuale guerra: ogni porta per l'"intervento umanitario" imperialista si apre sulle più orribili conseguenze, non previste e non controllabili dalle persone bene intenzionate che possono in principio essere state favorevoli all'intervento... E' un fatto che nel caso del Kosovo, le politiche degli Stati Uniti e dell'Europa Occidentale hanno favorito il regime che ha organizzato questo massacro - ma non lo hanno perpetrato o sponsorizzato. Ma quali sono le conseguenze del fatto che gli Stati Uniti e la NATO si arrogano il diritto di essere i salvatori e i garanti della stabilità?

A nostra opinione, l'attuale guerra è un confronto tra due perversi relitti, ex partner della Guerra fredda ora divenuti nemici: la NATO, l'alleanza organizzata dagli Stati Uniti 50 anni fa per assicurare l'egemonia di Washington nella crociata anticomunista della Guerra fredda, e il regime dell'ex Jugoslavia guidato a Slobodan Milosevic, uno stalinista trasformatosi in nazionalista serbo e in padrino della pulizia etnica.

UNA GUERRA INEVITABILMENTE PIU' AMPIA
Ci opponiamo alla guerra della NATO nell'ex Jugoslavia innanzitutto perché ci opponiamo alla NATO stessa, perché per la sua vera natura essa non è e non può essere nient'altro che una macchina per il dominio imperialista. La NATO è stata creata nel 1949, in un momento in cui l'egemonia economica degli Stati Uniti era assolutamente senza concorrenti, quando gli USA erano coloro che prendevano le decisioni politiche per l'Europa, quando i suoi muscoli militari e il suo ombrello nucleare hanno fatto di Washington il garante della ricostruzione del capitalismo in Europa e il supervisore della trasformazione dei vecchi imperi coloniali europei.

Molto è cambiato in mezzo secolo. L'ex nemico, l'Unione Sovietica, è scomparso e il capitalismo degli Stati Uniti si trova ad affrontare svariati seri rivali economici. Nonostante questo, grazie alla loro capacità unica di organizzare un intervento militare su larga scala, gli Stati Uniti cercano in questa guerra con la ex Jugoslavia di riaffermare il loro potere di comandare. Lo stesso desiderio di mantenere l'egemonia degli Stati Uniti è alla base dell'aggressiva sponsorizzazione, da parte di Washington, dei nuovi membri della NATO, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, in un momento in cui una Russia post-sovietica, ormai quasi a pezzi, non può più essere considerata per loro una minaccia militare. Apparentemente, la "leadership" degli Stati Uniti costituisce un ingrediente indispensabile per garantire la "stabilità". Nei fatti, invece, l'espansione della NATO rafforza il nazionalismo di destra russo, mentre l'amaro esempio dei Balcani prova che la "leadership" degli Stati Uniti è moralmente e politicamente fallimentare, sempre esitante e cialtrona mentre popolazione civili sono state lasciate senza difesa e distrutte, incapaci anche di prevedere, per non dire prevenire, pulizie etniche brutali.

In secondo luogo, questa guerra, una volta cominciata, ha dovuto quasi inevitabilmente diventare niente di meno che un'occupazione a tutto campo e un ridisegnamento della mappa dei Balcani. Nel corso di questo processo, i diritti all'autodeterminazione di tutti i popoli coinvolti, kosovari inclusi, verranno brutalmente subordinati agli obiettivi di conquista.

Nel dire questo, riconosciamo che i kosovari stessi sostengono nella loro grande maggioranza l'intervento NATO e indubbiamente vogliono che venga ampliato. Il nostro disaccordo fondamentale non è con le vittime che cercano comprensibilmente aiuto da ogni possibile fonte, ma piuttosto con coloro che sostengono questa guerra senza affrontare le conseguenze di dove essa con ogni probabilità porterà. A differenza di alcuni apologhi del regime di Belgrado, non sottoscriviamo la tesi secondo cui questa guerra sia stata per intero frutto di un complotto pianificato dell'imperialismo USA nell'ambito di un più ampio complotto per frammentare la Jugoslavia. Se non altro, gli USA sono stati (per esempio) meno desiderosi, della Germania, di incoraggiare la secessione di Croazia e Slovenia dalla Jugoslavia -- e sicuramente Washington ha mostrato poche obiezioni alle ambizioni di Milosevic per una Grande Serbia, fino a quando tale obiettivo sembrava raggiungibile senza un'eccessiva "instabilità più ampia".

Lungi dall'attendersi questa guerra, la NATO e gli Stati Uniti sono rimasti evidentemente sorpresi dai fallimenti dei loro schemi diplomatici e bluff militari e sono andati alla guerra senza la necessaria preparazione militare o politica.

Evidentemente, gli esperti di Balcani del Dipartimento di Stato non sono riusciti a comprendere la cosa più scontata: se il regime serbo era determinato a mantenere il controllo del Kosovo, contro la volontà del 90% albanese della sua popolazione, doveva uccidere o espellere metà o più dei due milioni di kosovari.

Solo il tipo di "esperti" il cui compito professionale era quello di mettere a punto un accordo con Milosevic potevano mancare di vedere l'escalation prepianificata dalla repressione allo spopolamento del Kosovo. Ma non essendo riusciti a ottenere l'assenso da Milosevic a Rambouillet o a dissuaderlo con la minaccia dei raid aerei, la NATO all'improvviso si è trovata a dovere scegliere tra due opzioni, entrambe potenzialmente catastrofiche. Poteva nei fatti abbandonare l'impegno che aveva formulato nei confronti dei kosovari - una scelta che Clinton e i suoi alleati socialdemocratici europei Blair, Jospin e Schroeder hanno rifiutato di prendere in considerazione, poiché avrebbe costituito un'incredibile sconfitta che avrebbe screditato i loro rispettivi governi e avrebbe messo in dubbio l'unità della NATO e forse la sua stessa sopravvivenza.

Oppure, in alternativa, la NATO aveva la possibilità di cominciare una guerra aerea - ma una volta che i primi raid non sono riusciti a fare arrendere i serbi, come ancora una volta chiunque che non fosse un esperto militare autoipnotizzato dalla tecnologia dei missili Cruise avrebbe potuto prevedere, non vi è stata alcuna altra opzione se non mettere in atto un'escalation verso una guerra inesorabilmente più ampia.

Giorno dopo giorno, con lo svilupparsi per intero della portata degli orrori imposti ai kosovari e della misura inimmaginabile dell'emergenza dei profughi, la guerra ha imposto la sua logica ai pianificatori, invece che il contrario. Per salvare la NATO - un imperativo ancora maggiore di quello di salvare i kosovari, naturalmente - è necessario ora combattere la guerra e vincerla.

Se i profughi devono essere fatti tornare, secondo la promessa della NATO, la macchina militare jugoslava dovrà assolutamente essere sconfitta in Kosovo e bisognerà impedirle di tornare. L'obiettivo richiede la distruzione della potenza militare serba e della capacità della Serbia di ricostruire tale potenza. Di conseguenza, non solo l'attuale infrastruttura militare serba dovrà essere annientata, ma sarà necessario anche bombardare le sue capacità industriali fino a farle tornare a livelli precedenti a quelli della II Guerra mondiale.

Inoltre: sarà necessario inviare una forza di terra su grande scala in Kosovo, dato che la sola potenza aerea non potrà scacciare le forze serbe, e creare un protettorato NATO nella maggior parte del Kosovo (una sua parte potrebbe essere lasciata ai serbi del Kosovo in fuga). E' vero che Clinton promette ogni giorno di non inviare truppe di terra, con la stessa credibilità con cui ha giurato di non avere mai avuto relazioni sessuali con quella donna, ma nel momento in cui la bugia verrà rivelata sarà "troppo tardi".

Alla fine della guerra dovranno forzatamente essere imposti nuovi confini alla Serbia. Unire o meno la "Republika Srpska" di Bosnia alla Serbia; secessione o meno del Montenegro dalla ex Jugoslavia; "rettificare" o meno i confini della Macedonia per soddisfare le ambizioni albanesi, da una parte, o le rivendicazioni greche, dall'altra - sono tutte decisioni che dovranno essere prese dalle potenze occupanti.

Sembra molto difficile (anche se nel mondo della diplomazia sarà forse possibile trovare un ruolo di intermediario per la Russia) che queste soluzioni possano essere concordate con il regime di Milosevic e i suoi gangster. Di conseguenza, anche se un'occupazione militare della "Serbia propriamente detta" è fuori questione, il governo della ex Jugoslavia dovrà probabilmente in qualche modo essere rimosso, o in alternativa il suo popolo dovrà essere soggetto agli stessi orrori prolungati che vengono ora imposti al popolo dell'Iraq per l'imperdonabile crimine di essere governati da Saddam Hussein.

Anche in questo caso, si tratta di obiettivi che implicano una guerra, e un livello post-guerra di intervento con vittime e spese di un'entità alla quale le popolazioni degli Stati Uniti e delle altre potenze NATO sono completamente impreparate. Non vi è da meravigliarsi che né Clinton né alcun suo partner europeo abbia il coraggio di fare quello che i principi democratici esigono - affermare chiaramente dove porta la linea che hanno scelto e chiedere al loro Congresso o Parlamento di dibattere una dichiarazione di guerra.

Chiunque a sinistra sia a favore delle azioni della NATO, indipendentemente dai desideri più onorevoli e sinceri di fermare il genocidio, deve affrontare quello che queste conseguenze comportano. Il risultato può essere solo una più virulenta NATO post-Guerra fredda, che interverrà secondo la propria volontà (soprattutto secondo la volontà degli Stati Uniti) ovunque la sua potenza può arrivare, vale a dire, praticamente dappertutto.

KOSOVO SI' - NATO NO!
Date queste realtà, è impossibile per i socialisti volere che l'operazione NATO abbia successo. Appoggiare questa guerra, ora, vorrebbe solo dire appoggiare l'imperialismo. Nel mondo reale, non possiamo distinguere tra interventi militari ostentati come benevolenti, messi in atto in nome della causa umanitaria, e interventi condotti per mera espansione militare o per profitto - perché inevitabilmente, inesorabilmente, i primi diventano il pretesto per gli ultimi.

E' questo il caso anche in Kosovo, una guerra che gli Stati Uniti e la NATO non hanno "provocato", ma che hanno nei fatti cercato di evitare attraverso una criminale politica di "appeasement". Una volta cominciata, questa è inevitabilmente una guerra mirata a consentire alla NATO di occupare e riconfigurare la mappa dei Balcani - anche se la guerra stessa, qualora dovesse finire con un'ennesima "soluzione politica" con Milosevic o dovesse portare a sconfitte militari e molte vittime per gli invasori, potrebbe rivelarsi la strada della stessa NATO verso la propria rovina.

Abbiamo detto all'inizio che avremmo affrontato con chiarezza che ci saremmo confrontati francamente con le conseguenze della nostra posizione: per noi, la rovina della NATO è l'unico bene possibile che può venire da questo orrendo olocausto umano. Il nostro piccolo contributo alla sconfitta della NATO deve essere quello di fare tutto ciò che possiamo per denunciarla e discreditarla politicamente all'interno del nostro paese. Non abbiamo alcuna "alternativa costruttiva" da proporre per la NATO se non la sua dissoluzione.

Qualunque cosa succederà, i popoli kosovaro e serbo hanno perso. I kosovari, se la NATO accetterà la sconfitta e tratterà ancora una volta con Milosevic, saranno lasciati come un popolo senza terra e senza casa - i palestinesi e i kurdi dei Balcani. Se la NATO alla fine avrà la meglio sulla Serbia e creerà un protettorato militare in Kosovo, i profughi potranno tornare, ma la loro sopravvivenza dipenderà allora da un'occupazione senza scadenze con tutte le conseguenze che ciò avrà per le future generazioni.

Per i serbi, i dieci anni di campagna di Milosevic per una Grande Serbia hanno prodotto una catastrofe nazionale di proporzioni inimmaginabili. Centinaia di migliaia di serbi che hanno vissuto per secoli all'interno della Croazia, il cui benessere è stato il pretesto di Milosevic per invadere la Croazia nel 1991, sono stati brutalmente espulsi dalle loro case nella regione della Krajina in cui la Croazia ha riconquistato territorio. I serbi della "Republika Srpska sono ghettizzati, i serbi del Kosovo non avranno futuro in una zona occupata dalla NATO e i serbi che vivono nel cuore del territorio serbo hanno sofferto la rovina economica e la distruzione della speranza di democrazia.

COSA POSSIAMO FARE?
Appoggiamo il diritto degli albanesi del Kosovo all'autodeterminazione. Nessuno che abbia valori democratici può negare la legittimità della loro lotta, che è una lotta per la sopravvivenza fisica e culturale, nonché per i diritti politici. Inoltre, in circostanze di minacciato genocidio o di dispersione in massa della popolazione, un Kosovo indipendente è l'unica soluzione reale.

Ma la lotta assolutamente legittima dei kosovari è solo un elemento di quella che è diventata una guerra imperialista e reazionaria molto più ampia. Gli Stati Uniti hanno sempre considerato i kosovari come strumenti di mercanteggiamento, non hanno mai appoggiato l'indipendenza del Kosovo -- e hanno anche salutato con favore la sconfitta dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) nel 1998, quando le truppe militari jugoslave hanno lanciato le loro prime offensive. Ma a parte tutto questo, non siamo a favore di una "liberazione" del Kosovo attraverso la distruzione, da parte della NATO, delle città e degli abitanti della Serbia.

In questa tragica situazione, siamo convinti che vi siano molte "guerre nella guerra" in cui i socialisti con coerenti convinzioni democratiche possono prendere parte e, in alcuni casi, intraprendere alcuni piccoli passi pratici. * Naturalmente, non possiamo influenzare in alcun modo la lotta tra gli albanesi del Kosovo e l'Esercito jugoslavo. Ma come principio sosteniamo il diritto dei kosovari a combattere per la loro sopravvivenza con ogni mezzo di cui dispongono, sia attraverso il movimento antiguerra di resistenza civica che con la lotta dell'UCK. L'UCK non è una forza di sinistra: è con ogni evidenza, come minimo, politicamente incoerente e (probabilmente per tale motivo) ha ampiamente sopravvalutato le proprie prospettive di successo militare contro l'esercito di Milosevic. Ma sta combattendo una guerra giustificata per l'indipendenza e contro un genocidio in corso. * Data la responsabilità dell'imperialismo per questa tragedia, possiamo solo esigere che tutti i profughi kosovari ricevano immediatamente asilo dovunque vogliano andare. Per coloro che scelgono di rifugiarsi negli Stati Uniti, ciò significa il diritto di venire qui - con diritti incondizionati di residenza permanente o cittadinanza o di ritornare al loro paese di origine quando lo decidono - e non il piano odioso di metterli in detenzione a Guam o a Guantanamo.

* Cosa altrettanto importante, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per metterci in comunicazione con gli attivisti dell'opposizione democratica serba doppiamente assediati, che vengono bombardati dall'aria dalla NATO e perseguitati dal regime sul terreno, in alcuni casi venendo minacciati di essere arruolati nell'esercito serbo o nelle operazioni delle forze paramilitari in Kosovo.

Sia gli imperialisti che il regime di Milosevic cercheranno di sfruttare, dandosene reciprocamente la colpa, la sofferenza della gente comune della Serbia e la distruzione delle forze democratiche. Grazie a Internet e alla distribuzione che i media progressisti internazionali possono mettere a disposizione, i dissidenti in Serbia hanno qualche possibilità di continuare a fare sentire le loro voci. Le loro voci incensurate devono essere ascoltate e tutto il materiale e la solidarietà politica possibili devono essere amplificati mentre essi cercano di ricostruire un'opposizione democratica che non sarà mai uno strumento di Milosevic o una pedina degli occupatori imperialisti.

Infine, nel conflitto militare che ora domina le rovine della ex Jugoslavia, bisogna essere chiari. Non vi è nessuna parte da appoggiare, né il post-stalinismo genocida di Milosevic né l'imperialismo NATO. Nessuna delle parti è un male minore. Libertà per il Kosovo! Abolire la NATO!