SINTESI DEL SEMINARIO DI BILANCIO
DEL COMITATO DI SOLIDARIETÀ PER IL KOSOVA


Il seminario si è articolato in due momenti. Il primo di analisi politica sulla attuale situazione nel Kosova e di bilancio politico sulla. Il secondo di analisi del movimento contro la guerra, di bilancio dell'attività del Comitato e di prospettive di azione per l'estate e la ripresa di settembre.

Frutto della riunione della mattina è il comunicato allegato. Qui di seguito la sintesi della riunione.


Il movimento contro la guerra

Il movimento contro la guerra in Italia ha avuto una estensione superiore a quello di altri paesi. Si deve salutare positivamente il fatto che si sia prodotta una mobilitazione contro la guerra imperialista della NATO contro la Jugoslavia. Questa valutazione non ci deve portare comunque a minimizzare i pesanti limiti di questo movimento. Su questi limiti, vista la particolare natura del nostro Comitato, ci soffermeremo in special modo.

Il movimento ha avuto un'estensione nettamente inferiore a quello sviluppatosi in occasione della guerra del Golfo. La differenza che salta agli occhi non sta tanto nel numero e nell'affluenza alle manifestazioni (la partecipazione, pur inferiore al 91 è stato sino all'ultimo abbastanza buona) quanto nel ristretto numero di attivisti che ha mobilitato. La lotta è stata portata avanti da un ceto politico già consolidato e a differenza del 91 non si è formata nemmeno lontanamente una nuova generazione di militanti.

Possiamo distinguere varie fasi del movimento antiguerra. La prima è stata caratterizzata da un grande disorientamento ed una diffusa volgia di conoscere e di capire. La seconda ha visto il costituirsi a livello cittadino di comitati contro la guerra le cui parole d'ordine dipendevano dai rapporti di forza che si stabilivano tra i gruppi che li costituivano. Queste posizioni si cristallizzavano poi nel corso dei mesi successivi senza che si sviluppasse un vero dibattito politico. La terza fase è cominciata alla fine di aprile con una crescente stanchezza che ha portato i comitati alla inoperatività prima ancora della conclusione della guerra.

La gran parte della sinistra "militante", senza differenziazioni significative tra base e vertice, è stata largamente influenzata dalle posizioni del Manifesto, arrivando in alcuni casi a punte di razzismo antialbanese. L'atteggiamento contrasta con quello delle masse lavoratrici e giovanili che in generale vedevano con generica simpatia le vicissitudini del popolo kosovaro. Spieghiamo l'atteggiamento della militanza della sinistra politica e sindacale con l'approfondirsi del periodo di riflusso, che produce allucinazioni politiche determinate dal desiderio lancinante di "bastioni antimperialisti", riflesso della profonda sfiducia nelle proprie forze.


Bilancio del comitato

Il bilancio è positivo sotto alcuni aspetti, negativi per altri. Il positivo:

  1. siamo riusciti a produrre materiali quando nessuno, neppure le organizzazioni più strutturate, è riuscito a farlo
  2. grazie a ciò ed alla presenza nei movimenti siamo riusciti ad influenzare le posizioni là dove siamo andati. Non che abbiamo convinto molta gente a condividere le nostre posizioni, ma abbiamo costituito un polo opposto a quello del più becero avallo alle posizioni scioviniste di Belgrado, disegnando così uno spazio entro il quale si sono collocati vari soggetti.

Il negativo
  1. non siamo riusciti ad approfondire i rapporti con gli albanesi immigrati, anche se rimangono comunque contatti e rapporti di fiducia
  2. non siamo riusciti ad aggregare al comitato un numero di compagni che ci permettesse di essere influenti sul terreno nazionale

Il metodo che abbiamo utilizzato è stato corretto.

Ci siamo costituiti a gennaio su una piattaforma, quindi abbiamo formato un gruppo omogeneo. E' questa omogeneità che ci ha consentito di essere efficienti, di scrivere e vendere solo nel milanese più di 2000 opuscoli, di mantenere un sito Internet che ha avuto una certa influenza, di rispondere alle richieste di intervento. Se fossimo stati disomogenei ci saremmo divisi su questioni fondamentali e non avremmo avuto la minima possibilità di influenzare alcunché.

L'altro elemento che ha caratterizzato la nostra posizione è che non ci siamo chiusi in una torre d'avorio con le nostre giuste posizioni, ma siamo stati nei movimenti, nei centri sociali, nei partiti, insieme a quelli che sbagliavano, senza stancarci di discutere (anche se un po' di stanchezza e scoramento è emersa sul finale). Questo atteggiamento ci ha permesso di influenzare settori molto più vasti della nostra consistenza.


Prospettive

Dobbiamo mettere insieme varie esigenze.

  1. La necessità di allacciare rapporti con gli albanesi immigrati in Italia, seconda nazionalità nel nostro paese (senza contare kosovari e arberesh). Nessun gruppo lavora con questa nazionalità. Noi siamo in un'ottima posizione per dare avvio ad un lavoro sull'immigrazione utilizzando la nostra conoscenza della situazione albanese e i rapporti che abbiamo stabilito.
  2. La sinistra ha dato vita ad uno spettacolo pessimo dimostrando di non possedere nemmeno quegli automatismi che consentono di riconoscere l'oppressione e di stare dalla parte degli oppressi. Quanti compagni abbiamo sentito ad esempio che negavano la pulizia etnica. E' necessario aiutare alla formazione di nuovi quadri che non solo siano preparati sulla situazione dei Balcani, ma che considerino quella regione un terreno dove mettere alla prova categorie interpretative della realtà che sono andate perse (sulla questione etnica, ecc.)

Dunque si è arrivati alle seguenti conclusioni operative:

  1. nel mese di agosto si organizzerà un viaggio in Kosova cercando di coinvolgere anche altri giovani in modo da ripartire a settembre con qualcuno in più che ha fatto esperienze dirette sul campo, cosa che abbiamo visto quanto mai utile per maturare in fretta convinzioni corrette

  1. a settembre ci si riconvocherà come Comitato per organizzare a ottobre una nuova riunione come quella seminariale per verificare se vi sono le forze e l'opportunità per fondare:

  1. un gruppo di lavoro teso a verificare la fattibilità di un'associzione mista italiani-albanesi che lavori sul tema dell'immigrazione albanese in Italia, un'associazione aperta senza basi programmatiche strette
  2. una sorta di Centro di Iniziativa Politica sui Balcani, al cui interno si scioglierebbe il Comitato, basato su un documento programmatico e che abbia per obiettivo informare in maniera corretta il "popolo di sinistra" sulla situazione dei Balcani dal punto di vista delle lotte degli oppressi, proponendo un metodo corretto per affrontare queste problematiche.




LA SINISTRA E LA GUERRA:
Due interventi

É per noi scontata l'assoluta dissociazione dalla sinistra di governo, che ha scelto di partecipare all'aggressione della NATO contro la Jugoslavia, portando il nostro paese militarmente in prima linea in questa guerra. Le timidissime e rarissime differenziazioni di questa sinistra rispetto alla linea più aggressiva non sono dovute in alcun modo a effettive preoccupazioni democratiche o pacifiste (che se fossero state presenti, avrebbero impedito l'adesione alla guerra della NATO), ma all'intenzione di difendere i propri non indifferenti interessi coloniali di media potenza euro-atlantica. Gli slogan umanitari usati per giustificare questa politica fanno a pugni con la politica di chiaro stampo imperialista da anni perseguita nei Balcani e con l'appoggio fornito ai regimi più corrotti e autoritari, nonché all'espansione dell'industria militare italiana.

Ma non ci si può esimere dall'esprimere il più totale dissenso sulla linea seguita dalla sinistra più radicale o extraparlamentare. Non solo si é arrivati alla mobilitazione con un enorme ritardo, dopo un anno di ampie reticenze (come minimo) di fronte alla guerra in Kosovo, ma lo si é fatto con modalità e obiettivi inaccettabili. La lotta dei kosovari é stata assolutamente ignorata e nelle mobilitazioni é stato già tanto se venivano ricordati, esclusivamente da un punto di vista umanitario, i "massacri in Kosovo" (il più delle volte, comunque, non ve ne era menzione). Non si possono non citare come indicativi di una pericolosa degenerazione politica, per esempio, il mimare la campagna dei ponti e l'adozione del simbolo "target" - entrambi strumenti della campagna del regime omicida di Belgrado, che sotto tale simbolo ha organizzato concerti sui ponti con la partecipazione di alcuni tra i massimi responsabili di un anno di repressioni e massacri in Kosovo (e non solo in Kosovo) e dei più noti esponenti sciovinisti dello "showbizness" serbo. Ben altro era lo stato d'animo dei serbi che della distruzione dei ponti (non quelli, sicuri, su cui si svolgevano le manifestazioni) hanno dovuto pagare le conseguenze e non a caso, questo tipo di manifestazione non ha più avuto alcun seguito dopo che il regime la ha "consumate". Difficile anche trovare le parole per qualificare l'adesione al ritornello della propaganda di Belgrado secondo cui i profughi "scappano non solo dalle repressioni, ma anche dalle bombe della NATO", mirato a sminuire, in maniera tanto più grave perché non esplicita, i crimini degli aguzzini serbi, nonostante le testimonianze univoche dei diretti interessati e il fatto che la logica dicesse che non era possibile sostenere ciò, visto che dalla Serbia altrettanto bombardata non stava fuggendo metà della popolazione e visto che bombardamenti come quelli effettuati sulla Jugoslavia (micidiali, ma non a tappeto e di svariate volte inferiori a quelli della Guerra del Golfo) non hanno mai nella storia causato esodi di metà della popolazione come é avvenuto in Kosovo. O ancora, nei casi peggiori, ma purtroppo non rari, la delegittimazione della lotta degli albanesi attraverso fumose teorie di complotti CIA, accuse di traffici illegali o di trame islamiche (con il triste spettacolo di una sinistra che riprende letteralmente informazioni e tesi dell'estrema destra, di organismi di polizia degli stati imperialisti o di esponenti di spicco di questi ultimi, o che arriva a posizioni al limite del razzismo, linee che hanno seguito anche personalita' note internazionalmente come Chossudovsky o André Gunder Frank).

Un'altra scelta, su un piano diverso e che non condividiamo in alcun modo, é stata quella di presentare questa guerra come una guerra degli USA per dominare l'Europa, guerra che ora si asserisce si sarebbe conclusa con una vittoria degli USA. Qui, per esempio, uno degli slogan più ripetuti é stato quello della guerra come scusa, per Washington, per indebolire l'euro. Poco importa che sia ancora in atto l'onda lunga dei dissesti sui mercati finanziari internazionali (che non hanno toccato il dollaro) e che il calo dell'euro é ampiamente spiegabile con le debolezze delle economie UE, in atto già prima della guerra e ancora oggi. E poco importa che per gli USA sarebbe assolutamente irrazionale fare una guerra per questi scopi, quando sarebbe molto più facile, con costi infinitamente inferiori, mobilitare sui mercati internazionali qualche Soros di turno - nonostante questo, lo slogan é ampiamente passato. C'é chi si é spinto più in là (e non sono stati in pochi) rivendicando un maggiore ruolo per l'Europa (la maggior parte dei leader di PRC, per esempio). L'esperienza dei Balcani negli ultimi dieci anni insegna che l'imperialismo europeo non é per nulla più progressista di quello USA e che in alcuni casi il suo "abbraccio" può essere addirittura ancora più soffocante, vista la più massiccia presenza economica e la maggiore vicinanza geografica (le politiche repressive contro l'immigrazione, e tutto il loro contorno economico-poliziesco, sono per esempio politiche totalmente europee). Inoltre, quanto accaduto in Bosnia e in Albania, così come tutti questi anni di "transizione" economica e politica negli altri paesi balcanici, dimostrano che le contraddizioni tra USA ed Europa per un'egemonia nella regione non aprono, nemmeno involontariamente, spazi per le lotte di liberazione dei popoli balcanici e che casomai é il contrario. Questo non vuol dire perdere di vista il ruolo guerrafondaio e il peso ancora predominante a livello mondiale degli Stati Uniti, vuol dire semplicemente che é necessario combattere con altrettanto vigore l'imperialismo europeo, prendendo atto che nei Balcani svolge un ruolo di primissimo piano e in crescita.

Non si puo' nemmeno rinunciare a dare sempre la priorità, anche nella lotta indispensabile e giusta contro l'imperialismo delle grandi potenze, alla solidarietà alle popolazioni oppresse quando si organizzano e lottano per difendersi, poiché sono gli unici soggetti che questo imperialismo possono mettere in crisi. Sarebbe bello che questi movimenti avessero dirigenze e programmi di sinistra. Ma nel criticarli e nell'emarginarli politicamente si dimentica troppo facilmente che questi soggetti, nei Balcani e nell'Europa Orientale, sono nati negli anni '90, contrassegnati da un vuoto ideologico a livello mondiale, e dopo decenni di spietata oppressione poliziesca ed economica, spesso anche nazionale, da parte di regimi che si sono basati su vuoti slogan "di sinistra". E bisogna riconoscere che anche la sinistra occidentale, pur agendo in condizioni infinitamente più favorevoli, e questo da lungo tempo, manca di progetti e vive più che altro di passato, un passato che, per l'appunto, questi popoli non possono rivendicare come proprio.

Per non girare troppo attorno all'argomento, era necessario ed é ancora necessario dare solidarieta' alla lotta di autodeterminazione del popolo del Kosovo, anche nelle sue forme armate, dal momento in cui queste ultime sono diventate il canale di difesa dei propri diritti (e della propria semplice esistenza) contro le repressioni e i massacri. Ciò vuol dire che quando l'UCK, o settori dell'UCK, hanno promosso questa lotta erano da difendere e lo saranno ancora quando lo faranno. Era ed é possibile farlo con atteggiamento critico (la sinistra lo ha sempre fatto, con l'eccezione degli stalinisti) e anche denunciando l'irresponsabilita' dei loro dirigenti e le connivenze, o addirittura le aperte collaborazioni, di questi ultimi con gli imperialisti, così come, per restare nei Balcani, era giusto appoggiare in tale maniera critica gli insorti dell'Albania nel '97, anche quando era chiaro che la loro direzione era stata presa dai corrotti e autoritari leader socialisti e quando hanno chiesto l'intervento militare dei paesi NATO, o come é possibile e giusto appoggiare la causa dei minatori romeni che si rivoltano contro lo sfruttamento, denunciando contemporaneamente i programmi reazionari dei loro leader. In caso contrario, non rimarrebbe che richiedere l'intervento di istanze superiori, espressioni dello stesso imperialismo, come l'ONU o l'OSCE, per fare solo due esempi, oppure illudersi che i manager in doppiopetto e i generali stragisti dei governi oppressori locali, momentaneamente in conflitto con le grandi potenze, rappresentino l'alternativa.

Andrea Ferrario
da NOTIZIE EST #245 (3) 19 giugno 1999


Cari compagni,
penso che bisognera' affrontare, in opportune sedi, una discussione approfondita sulla sinistra e la guerra. Dico sinistra ed intendo larga parte di essa - per fortuna non e' omogenea. Questa sinistra (non considero i DS di "sinistra") ha da parecchio tempo vissuto con fastidio questioni relative alle situazioni internazionali, delegando ad ambiti "specialisti" iniziative specifiche su questi terreni. Le
questioni internazionali non hanno mai assurto all'onore della "grande politica". Quando se ne e' dovuta interessare, l'ha fatto generalmente senza sforzi di analisi autonoma, affidandosi ai soggetti che volta a volta individuava come interlocutori.
Solo che con la vicenda della guerra in Jugoslavia e' stata la politica internazionale ad imporsi alla sinistra italiana, chiusa in un'ottica nazionalmente ristretta. E il bilancio di come questa sinistra ha reagito non mi sembra lusinghiero.

1. E' stata negata ogni legittimita' alla lotta ventennale della popolazione kosovara contro l'oppressione da parte del regime di Belgrado. Come l'imperialismo ha adottato (solo propagandisticamente, pero'! un dettaglio decisivo che e' sfuggito a molti...) a modo suo il sistema dei "due pesi, due misure" su Turchia/Kurdistan e Serbia/Kosovo, cosi' la sinistra ha fatto lo stesso, in senso opposto.
L'autodeterminazione viene riconosciuta selettivamente - con un bel pasticcio logico, visto che autodeterminazione significa appunto che sono i diretti interessati a dover decidere. Un sano atteggiamento elementare di solidarieta' con gli oppressi kosovari massacrati e cacciati dalle proprie
case largamente presente tra i lavoratori e' stato consegnato su un piatto d'argento a organizzazioni umanitarie, propagandisti della Nato, ecc. ecc.

2. Giustamente la sinistra italiana si e' opposta alla guerra Nato/Jugoslavia, ma essendo chiusa in un'ottica nazionalmente delimitata non si e' sentita imbarazzata a riprendere la propaganda del regime omicida di Belgrado.
Cosi' sull'UCK la disinformazione e' stata totale, pescando da fonti belgradesi, della destra tedesca ed americana, ecc. Uguale disinformazione sistematica sulla vicenda Rambouillet/Kleber, sulle posizioni all'interno del movimento nazionale kosovaro (abbiamo letto piu' volte la bufala di "Rugova per l'autonomia contro l'indipendenza", o altre ancor piu' incredibili...). Si e' mimata la campagna dei ponti e si e' adottato il simbolo "target", entrambi strumenti della campagna di Milosevic e dei massimi responsabili di un anno di repressioni e massacri in Kosovo. Al dibattito politico e' stata sostituita l'invettiva e la falsificazione sistematica.
"In Italia cio' che conta e' la Nato", hanno affermato in molti - tutto quanto e' andato bene per non farsi troppe domande su cosa avviene al di fuori dei nostri confini, anche sposare le tesi del fascista Seselj.

3. Un'altra tesi che e' diventata di moda e' quella relativa alla presunta sudditanza europea agli USA. Non e' piu' questioni di imperialismi, ma di "politiche di potenza" a cui anche l'Italia e l'Europa sono soggetti. Un bel ragionamento per andare a nozze con gli imperialismi europei (per intenderci: proprio quelli che spadroneggiano, e spadroneggeranno, nei Balcani), e far proprie le preoccupazioni sulla "sicurezza" europea.

4. Una considerazione finale. Quanto avviene al di fuori del muro di Schengen conferma che la lotta di classe (che puo' avvenire anche sul piano delle lotte nazionali) continua, anche se non c'e' in giro neppure un comunista o un socialista (e' una banalita', ma quante volte dimenticata!). Gli oppressi e gli sfruttati continuano a metter in gioco anche la loro vita per ribellarsi alla situazione in cui sono costretti - in questi ultimi anni in Romania, in Albania, in Kosovo, in Serbia, in Bosnia, ecc. Queste lotte, in assenza di una sinistra internazionalista all'interno del muro di Schengen che sia punto di riferimento, esprimono o accettano direzioni ideologicamente le piu' varie, o ricercano sostegni senza andar troppo per il sottile. La sinistra italiana ha voltato le spalle a diverse di queste lotte, talvolta denunciandole violentemente. Non e' questa la sinistra che serve ai lavoratori e ai popoli oppressi.

Ilario Salucci
lettera a Bandiera Rossa, 27 giugno 1999