Diversi ci chiedono, alla vigilia delle scadenze importanti che si stanno
delineando a Milano, di chiarire meglio le nostre posizioni. E noi stessi,
messi a confronto con un dibattito, soprattutto sul reddito di
cittadinanza, finalmente decollato, sentiamo l'esigenza di dare un
contributo, pur se piccolo e di renderci in qualche modo piu' visibili.
Sulle tematiche del lavoro e piu' in specifico dei diritti di cittadinanza
stiamo lavorando da mesi, con l'appoggio dell'Assemblea del Leoncavallo, ma
anche con una riconosciuta autonomia di pensiero e di iniziativa, cercando
di creare quello scambio di comunicazione interna che aiuta tutti a
procedere. Piu' difficile invece in questo momento un po' delicato per la
realta' milanese, contestualizzare la nostra esperienza e rendere chiaro il
percorso che intendiamo seguire.
Il vecchio e il nuovo
Riconoscere la fase di transizione che stiamo tutti attraversando e'
addirittura banale, cercare di passare il guado, un po' piu' complesso.
Siamo certi che sono finiti gli scenari degli anni '70, non solo perche'
manca il "movimento" o perche' la realta' produttiva e' completamente
diversa, ma moltissimo perche' siamo cambiati anche noi. Ci muoviamo in un
contesto duttile e articolato che tutto sommato non ci dispiace. Non
abbiamo grandi rimpianti per il periodo fordista, nonostante le maggiori
garanzie che poteva offrire e troviamo la situazione attuale piu' ricca,
piu' spaziosa, piu' densa di potenzialita'.
Del resto essa non e' che il risultato della radicalita' e della rigidita'
del grande movimento degli anni '70. Quindi di che possiamo lamentarci?
Merito di quegli anni se oggi parliamo di reddito piu' che di lavoro.
Ma intravvedere non e' gia' vivere e nella fase attuale dobbiamo battere
vecchie forme di antagonismo e ripetizioni di modelli consunti, speqnere le
tentazioni isolazioniste e rompere la logica di affrontamento. Mettere
insomma all'ordine del giorno che il movimento futuro non e' emarginato, ma
protagonista, non ha le pezze al culo ma una discreta capacita' di
destreggiarsi tra precarieta' e flessibilita'; non e' ignorante ma
tecnicamente o/e politicamente preparato. E poi quale novita': i grandi
cambiamenti sociali non sono mai stati prodotti dagli sfigati. Pure questo
passaggio non puo' essere fatto in un giorno. L'emarginaziane va racchiusa
e compresa, non buttata come spazzatura, e quindi il livello di dibattito
va innalzato ed ampliato per quanto ci e' possibile. Non c'e' la lavagna
con i buoni e i cattivi: vecchio e nuovo convivono nelle realta' politiche,
nei centri sociali, nelle situazioni di aggregazione e di lotta, dentro
profondamente ognuno di noi. Dibattuti ogni qiorno tra resistenzialismo e
tendenza, tra localismi e visioni planetarie, tra specificita' e
ricomposizione, ci confondiamo e perdiamo il lumicino lontano che ci indica
la strada.
REDDITO DI CITTADINANZA: opzione strategica
Per questo sono mesi che a Milano massacriamo le orecchie dei nostri
"vicini di politica". Il reddito di cittadinanza non e' uno dei tanti punti
di piattaforma ma nodo centrale, elemento altamente ricompositivo. Ed e'
assolutamente e totalmente sganciato dal lavoro. Perche' stiamo tutti gia'
lavorando sempre: anche i disoccupati, gli studenti, le mamme ai parchi con
i bambini, non c'e' nessuno che non sia "produttivo" per il proseguimento
ed il mantenimento di questo modello sociale. E per questo vogliamo essere
pagati.
Ma anche strategico perche' con questi soldi vorremmo cominciare a pensare
in modo collettivo ad altri progetti che non siano piu' produttivi per il
profitto, ma produttivi per noi, per i nostri desideri di vita, il nostro
tempo, le nostre scelte economiche: il nostro progressivo chiamarci fuori
dal momdo del profitto e dirigerci verso il mondo di scambio tra soggetti:
scambio di relazioni, di attivita', di conoscenze; scambi orizzontali nella
moltitudine.
Quale concretezza
Ci sono stati mossi appunti sia sul nostro astrattismo, sia sulla nostra
reticenza ad appoggiare alcune lotte locali prodottesi in citta'. Su questa
vorremmo puntualizzare:
1) il dibattito e' una delle forme piu' concrete di attivita' politica,
quando si vede che e' necessario e che le menti sono incerte e confuse.
Ogni compagna/o sa con assoluta certezza se sta producendo dibattito reale
o fittizio, utile/inutile, sovradeterminante/libero. Noi stiamo attualmente
producendo un dibattito reale e libero che, proprio per questo ogni tanto
si incaglia e si arena: l'argomento non e' dei piu' facili e le soluzioni
sono tutt'altro che a portata di mano. Quando questo succede cerchiamo di
uscire dalle secche, di leggere soprattutto qualcuno che sia "piu' avanti"
facendoci influenzare piu' dalla validita' dei contenuti che dai trascorsi
politici dell'autore, cercando insomma anche nei libri il nuovo e
discutendone per quanto ne siamo capaci. Troviamo che questo modo di
procedere ci e' utile e ci vede ogni giorno un po' meno incerti.
2) Abbiamo appoggiato le lotte e le iniziative nelle cui articolazioni
abbiamo colto gli elementi di ricomposizione e di accettazione del nuovo
contesto economico e politico e relativo sforzo di volgerlo a favore della
classe. Non abbiamo partecipato, motivandolo, a iniziative e lotte che
ponevano forme resistenziali sostanzialmente rifiutando di misurarsi con il
contesto sociale attuale. In poche parole ci siamo rifiutati di ragionare
con logiche fordiste in pieno post-fordismo, cercando di tenere il piu'
possibile comunque aperto il terreno del dibattito.
Concretamente non abbiamo fretta: quello che abbiamo in mente non nasce in
due giorni, non ci interessa fare per fare o esserci per esserci, anzi
troviamo che a volte puo' essere deleterio.
La particolarita' della situazione milanese
Un lavoro concreto sul reddito di cittadinanza a Milano avrebbe bisogno di
molto dibattito e molti compagni. Purtroppo il primo e' morto e sepolto
sotto uno spesso strato di contrapposizioni, scazzi, risse e divisioni e i
secondi ci guardano sempre piu' perplessi e sempre piu' da lontano.
Bisognerebbe avere il coraggio di sedersi sotto un albero e dirsi con calma
che dobbiamo ricominciare da capo.
Bisognerebbe parlarsi come soggetti politici e non come centri sociali.
Bisognerebbe dire chiaro e tondo che in nessuna situazione c'e' omogeneita'
politica. E ancora riuscire a ragionare senza pensare alle precedenti
picche e ripicche, smetterla con il politicantesimo e riprendere con la
politica che, al suo contrario e' fenomeno collettivo, sapere cosa ne
pensano le maggioranze silenziose che popolano le nostre assemblee. Questa,
non il reddito di cittadinanza, e' la vera utopia milanese. Ma con
chiarezza dirsi che o la pratichiamo o possiamo anche andare a casa.
Riteniamo che una manifestazione pacifica e unitaria il 26 possa segnare un
passo importante. Ma che ognuno di noi, nella situazione in cui si trova
dovrebbe ogni giorno praticare non la mediazione ma il superamento della
fase di stallo e divisione in cui il ceto politico e' piombato.
Milano e' sempre stata una citta' difficile: da capire, da controllare, da
prevedere: in questo e' la sua grande bellezza politica. Qui e sempre qui
si inventa il nuovo, sia nelle sperimentazioni produttive e
ristrutturative, sia nelle analisi e nelle risposte di classe.
Oggi questa citta' e' tutt'altro che silenziosa. Si sente il sottile brusio
di migliaia di cervelli che si interrogano. Uomini e donne che cercano di
assestarsi materialmente nel nuovo contesto economico e fanno i conti con
le loro esigenze e gli spazi che possono essere conquistati.
Soggetti che, usciti dalla logica garantita, ma alienante e schizofrenica
del periodo fordista, si appropriano di saperi, li controllano, li usano
per costruire altri passaggi piu' interessanti e piu' liberi e quindi ne
sono consapevoli. Le parole circolano veloci, i dibattiti si allargano,
collettivita' informali si ritrovano... E noi possiamo davvero credere che
sceglieranno noi, piccolo drappello bizzoso e un po' nostalgico, smaliziato
nelle tecniche comunicative e nel gioco politico di corrente come
rappresentanti delle loro istanze, come punto di riferimento per le loro
lotte? E perche' mai? Nel nostro bagaglio politico c'e' poco
d'interessante. Quel poco andrebbe ridiscusso sull'attuale e sperimentato
con cautela. Forse i centri sociali andrebbero davvero sgomberati o
abbandonati perche' si possa, come compagni singoli, ritornare nella
citta', entrare nelle situazioni, misurarsi col nuovo che sta nascendo
senza di noi e ridefinire con la realta' che spazi vogliamo e siamo
disposti a difendere e a che prezzi.
L'assemblea del 19
L'appuntamento milanese potrebbe essere interessante se i compagni
venissero e intervenissero non secondo una logica di corrente, ma con
l'intenzione di suscitare dibattito, di porre domande, di confrontare
tentativi di articolazione. Pensando a questa scadenza non come a un
momento conclusivo e ratificante, ma al contrario come a uno dei punti di
partenza di un primo appuntamento che, proprio per questo incuriosisce e
coinvolge, "apre" insomma alle infinite possibilita', al riincontrarsi sia
a livello cittadino che nazionale e sgombera il terreno dai cadaveri del
passato. Un'assemblea che dovrebbe concretizzare la discussione, non
renderla superflua.
Ma non siamo ingenui, non stiamo proponendo l'uovo di Colombo. Si tratta di
un lavoro lungo, faticoso e delicato che potrebbe iniziare in
quell'occasione.
Le articolazioni
Proprio perche' riteniamo che gli spazi e i dibattiti vadano allargati e
continuati siamo di principio favorevoli al moltiplicarsi delle iniziative
e delle proposte, il che non significa che per noi "tutto fa brodo", anzi.
E' nostra intenzione nel futuro muoverci su due derivate: la prima di
carattere generale e ricompositivo riguarda la fiscalita'.
Riteniamo cioe' che si possa mettere in piedi un movimento ampio che
rivendichi un cambiamento sostanziale dell'attuale modello fiscale. Non
generiche proposte di evasione o peggio feroci cacce all'evasore, ma
un'esenzione fiscale per i redditi bassi o comunque una detassazione del
lavoro dipendente e del piccolo lavoro autonomo e per contro una tassazione
dei movimenti e dei profitti finanziari e una patrimoniale d'impresa che
possano fornire il denaro necessario al pagamento del reddito di
cittadinanza.
Su questa proposta embrionale che vorremmo studiare con l'aiuto di qualche
"esperto" proponiamo gia' ora un dibattito aperto con ogni situazione che
possa essere interessata per giungere a iniziative (unitarie o separate) in
sostegno di questa "campagna contro il fisco dei padroni".
La seconda derivata riquarda la possibilita' di articolare in alcune
situazioni un punto di vista diverso sul medesimo contesto.
Precarieta'/flessibilita'/uso del tempo/possibilita' di farsi finanziare
progetti per attivita' non salariate queste sono a nostro parere le
tematiche d'interesse del lavoratore post-fordista.
Intendiamo trovare e creare gli spazi concreti di sperimentazione su questi
elementi, tenendo in secondo piano e di minor interesse le lotte per la
conservazione dei posti di lavoro e per l'assunzione di qualche disoccupato.
Con questo non intendiamo assolutamente dire che i compagni in difficolta'
sul posto di lavoro devono farsi licenziare, ma che nuovo e vecchio non si
misurano solo nel modo di scendere in piazza o di trattare la stampa, anche
nelle scelte delle lotte che si fanno e si sostengono.
Nostro compito e' sicuramente quello di trovare le risposte idonee a questa
fase, piu' che rincorrere le rivendicazioni dignitose, ma non significative
di postini e infermieri. Ogni volta che scendiamo sul terreno dobbiamo
chiederci quanto e' ricompositivo l'obbiettivo che ci siamo proposti e di
conseguenza quanto e' chiaro il nostro sforzo alle altre
categorie/componenti di lavoratori e non lavoratori.
Anche per questo motivo ci lascia perplessi l'utilizzo delle tutine
bianche. E' vero che rendono visibili, ma visualizzano una categaria
fittizia, peggio ci paiono l'esatta trasposizione di un modello precedente.
Ci lascia incerti l'idea di esserci tolti la tuta blu, per infilarci una
tutina bianca: la situazione e' decisamente piu' complessa.
Non crediamo all'esistenza dei "senza". Crediamo all'esistenza di una
moltitudine variamente provvista di "con" e di "senza" (senza diritti e con
soldi/senza soldi e con tempo/con soldi e diritti e senza tempo e via via
per 1000 varianti) in continua oscillazione e cambiamento: (chi ha oggi
certi "con" e "senza" potrebbe trovarsi tra un anno in situazione
diametralmente opposta).
Le tutine bianche definiscono e limitano cio' che non puo' essere definito
perche' in movimento, comunicano una parzialita' e sostanzialmente un
errore politico. Detto questo salutiamo con affetto le tute bianche perche'
le conosciamo e conosciamo le loro buone intenzioni. Che dire?
Al prossimo contributo, al prossimo disaccordo, comunque nella prosecuzione
di un dibattito e di un lavoro comune e nel tentativo di fare davvero,
senza essere pressati dalle scadenze, senza voler per forza concludere cio'
che ancora sta nascendo. Sapendo bene che a volte per fare e' necessario
rifare cio' che non funziona. Anche questo fa parte della concretezza.
Milano, settembre 1998
Gruppo sul lavoro del Centro Sociale Leoncavallo
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