Genova
e il Dopogenova negli editoriali del Corriere della Sera.
Attraverso
l'analisi del quotidiano che più di ogni altro esprime l'opinione delle
classi dominanti, cerchiamo di comprendere se dalla vicenda di Genova il movimento
esce o no rafforzato, e con quali sfide di fronte a sé. REDS. Settembre
2001.
Punteremo la nostra attenzione sul Corriere
della Sera per ragioni che abbiamo altre volte spiegato. Si tratta del
quotidiano che più compiutamente rappresenta il pensiero politico della
parte più potente del capitalismo italiano. Il Sole 24 ore fa
la stessa cosa, ma in termini espliciti solo sul terreno economico. La Stampa
ha una redazione che, come dimostrano le posizioni prese in campagna elettorale,
è un po' più a sinistra, per ragioni che qui non indaghiamo,
del suo padrone (Agnelli). Del resto Il Giornale e Libero si
trovano più a destra dell'opinione del grande capitale italiano e spesso
lo attaccano per ragioni di bottega (la concorrenza di Fininvest con gli altri
gruppi). La Repubblica è espressione di una corrente politica
(che potremmo definire "giacobina") della borghesia, ma non espressione
di una fetta significativa di capitalisti, come essi stessi ammettono, un
po' sconsolati. Il Corriere invece, pur essendo in ultima analisi in
mani FIAT, ha una serie di partecipazioni di altri capitali, una redazione
che è politicamente responsabilizzata a rappresentare le opinioni del
grande capitale e una diffusione nazionale, oltre ad essere il primo quotidiano
in Italia. Dispone senz'altro anche dei migliori intellettuali che prestano
il proprio cervello alle classi dominanti. Questa è la ragione per
cui la sua linea editoriale non si discosta mai, in nessun momento, dalle
prese di posizione pubbliche della Confindustria, delle maggiori multinazionali
italiane, della Banca d'Italia. Ha però il vantaggio di offrire uno
spaccato quotidiano del pensiero delle classi dominanti, mentre le
dichiarazioni offerte dagli organismi suddetti sono sporadiche. Verso Genova Dall'8 luglio sino al vertice di Genova,
il Corriere ha dedicato in maniera incessante, quotidiana, i propri
editoriali ad attaccare (con minacce, ironie, argomentazioni varie) il movimento
antiglobalizzazione e i suoi (a volte supposti) fiancheggiatori. Questo notevole
sforzo propagandistico dà idea della preoccupazione che questo movimento
produce nei potenti di questo Paese. Fini didattici si prefiggeva l'editoriale
di Tommaso Padoa Schioppa dal titolo "La globalizzazione? Purtroppo
è poca". Mentre Francesco Merlo il 16 luglio ne "Il
compromesso stoico" criticava le raccomandazioni troppo morbide di De
Gennaro ai poliziotti: un commento sinistro, visti i fatti successivi! Ma
fin da questa fase il fuoco polemico si concentra su due soggetti: i DS e
la Chiesa. Una vera e propria campagna tesa a portare queste due organizzazioni,
in tutte le loro componenti, a distanziarsi in modo secco dal movimento. Vediamo
qualche esempio. L'editoriale dell'8 luglio a firma di Angelo
Panebianco è significativamente intitolato: "Tute bianche,
ma anche qualche nostalgico". Vi si legge tra l'altro: "In nessun altro Paese occidentale probabilmente, il popolo
di Seattle, potrà mai trovare altrettanto estese simpatie di quelle
che sta ora trovando in Italia. C'è la Chiesa cattolica innanzitutto",
nella quale certo si trova "una
parte (sperabilmente maggioritaria) attenta a non demonizzare né l'Occidente
né il mercato, attenta a capire cosa si possa concretamente fare per
quelle parti del mondo [povere ndr]", ma
c'è però "anche una frangia, che non appare quantitativamente
irrilevante, la quale, condanna della violenza a parte, ha adottato, se ne
renda conto o no, un atteggiamento di convergenza con le posizioni (soggettivamente)
rivoluzionarie, anticapitalistiche e antioccidentali del grosso del
movimento anti-globalizzazione". Poi ci
sono "i reduci del comunismo. Per i quali Genova e ciò
che vi accade intorno sono l'occasione per una grande rimpatriata. Che dire
se non: rieccoli?". Questi due settori insieme stanno diffondendo di nuovo l'antioccidentalismo,
l'antiamericanismo, ecc. In quei giorni si stava tenendo a Genova
al teatro San Felice l'assemblea, presieduta dal cardinale Tettamanzi, delle
associazioni cattoliche, 50 delle quali firmavano un manifesto da consegnare
ai G8. Con un certo sgomento i giornalisti scoprivano che una fetta dei papa
boys, che avevano glorificato solo qualche mese prima, era lì.
Con affanno cercavano qualche voce critica interna alla Chiesa rimediando
solo uno sconosciuto dirigente ciellino, che prontamente intervistavano. Inquietudine
poi suscitavano nei commenti i fischi che avevano accolto il segretario generale
della Farnesina, Vattani, quando difendeva imprudentemente la globalizzazione
in assemblea. Ciò spingeva la direzione del Corriere a rincarare
la dose. Il 9 luglio esce un acido editoriale di Ernesto Galli della Loggia
dal titolo "Il peccato originale. Cristianesimo e marximo primi globalizzatori",
in cui il Nostro invece di prodursi nelle solite auliche lodi verso il "magistero"
della chiesa e la visione "profetica" del Papa si lasciava andare
a considerazioni che sino a quel momento aveva tenuto ben nascoste; scopriva
cioè il ruolo imperialista che la chiesa ha avuto nella storia, ad
esempio: "di fronte alla portata distruttiva nei confronti delle
diversità culturali che storicamente ha rappresentato il cristianesimo,
quella costituita dal sistema amercano fa solo sorridere. " A metà luglio si apre un altro fronte.
I diessini sono in fibrillazione. La base preme per la partecipazione a Genova
e qualche dirigente comincia a cedere, annunciando la sua partecipazione al
corteo. E' l'occasione per un'altra bordata, questa volta contro la socialdemocrazia.
Il 16 luglio uno sconsolato Angelo Panebianco ("La Margherita
sotto la Quercia") scrive che sui DS sta agendo: "il richiamo della foresta: il massimalismo di Bertinotti
a cui una parte dei DS non è insensibile", ed "è facile prevedere che l'opposizione,
in difficoltà nelle aule parlamentari, troverà fuori di esse
i suoi punti fi forza". Il 18 luglio Sergio Romano ("L'opposizione
in tuta bianca") scrive che "come sempre, quando la sinistra deve fare i conti con
i propri insuccessi, la scelta è tra è fra gli eredi del riformismo
di Bernstein, Turati, Saragat, Brandt e quelli del massimalismo social-comunista
da Serrati a Lafontaine". Per Romano
"è difficile capire perché alcuni dei suoi [dei DS ndr]
maggiori esponenti mettano a rischio, in un momento difficile, il suo maggior
capitale: la credibilità." E il 19 luglio si aggiungeva anche l'editoriale
di Paolo Franchi che criticava "l'antica voglia di stare nel movimento".
Sul significato profondo che assume questa campagna antiDS e antiChiesa torneremo
più avanti perché costituisce il nocciolo del nostro ragionamento
e ha non poche implicazioni pratiche. Genova Il vertice di Genova è stato vissuto
dal Corriere della Sera in maniera un po' schizofrenica. La prima pagina
e gli editoriali erano tesi a criminalizzare il movimento e si dedicavano
incessantemente alla bugia e alla calunnia. Nelle pagine interne invece era
evidente che la violenza era stata tale che anche i giornalisti del Corriere
sul posto non hanno potuto fare a meno di registrarla. Quindi in realtà
ad un occhio molto smaliziato non era difficile ricostruire anche dalle pagine
di questo quotidiano quel che stava accadendo a Genova. La prima pagina comunque
cercava di dare la linea. Ed ecco il 22 luglio un vergognoso editoriale di
Francesco Merlo dal titolo "Le colpevoli indulgenze. Terrorismo
urbano, complicità e silenzi", del quale, per questioni di decenza,
riportiamo solo una frase : [da parte dei Bertinotti, dei Casarini e degli Agnoletto ndr]
"non denunciare le tute nere equivale a non denunciare i mafiosi"
e Bertinotti deve rispondere di "concorso
esterno in terrorismo urbano". Naturalmente non una parola sull'operato
della polizia. Facciamo attenzione: non si parla nemmeno di "eccessi",
in questa fase. Anche il 23 luglio in un commento sul blitz alla Diaz Piero
Ostellino scrive un irato commento dal titolo "L'equidistanza no". Ma intanto qualcosa bolle in pentola. La
base diessina è indignata ed esercita una forte pressione sul partito.
L'Unità è invasa da lettere ed è costretta a cambiare
rapidamente registro. Alla Festa dell'Unità di Firenze è fischiato
il dirigente diessino che cercava di spiegare le giravolte del partito sulla
questione. I DS dunque spingono l'Ulivo (ancora stancamente) a richiedere
di dimissioni di Scajola. Come riportato da un sondaggio pubblicato dal Corriere
il 3 agosto gli elettori di Forza Italia sono convinti al 79% che le forze
dell'ordine si siano "comportate al meglio", contro un 35% degli
elettori DS, mentre un 60% degli elettori diessini ritiene che abbiamo "commesso
errori" e che siano addirittura "conniventi" con i black bloc.
Questi sommovimenti il Corriere non li registra. E' uno dei limiti
della stampa borghese. Non conosce e ignora il popolo di sinistra, che gli
appare solo attraverso i suoi dirigenti inseriti nelle istituzioni. Quando
costoro, spinti dalla necessità, prendono posizioni più radicali,
i giornali borghesi non comprendono mai la ragione vera, materiale di queste
ricollocazioni e se la prendono con i dirigenti stessi, come fosse colpa loro.
A loro volta il pubblico diessino è stato influenzato dalle manifestazioni
successive a Genova, dalla controinformazione, e dagli stessi militanti che
avevano partecipato e che facevano conoscere quel che era accaduto. Il 25 luglio esce l'editoriale intitolato
"Gli orfani della piazza", del quale abbiamo già parlato
nel numero scorso (La logica della repressione), firmato da Ernesto Galli
della Loggia, in cui esprime tutta la sua soddisfazione per il fatto che
forse il ricatto della piazza da parte della sinistra è terminato.
Il giorno dopo anche Claudio Magris si produce in un editoriale dello
stesso tenore dal titolo significativo "Violenza, pericolo assuefazione.
Troppa indulgenza con certi ribellismi", in cui afferma: "se è vero che dei manifestanti hanno dato fuoco
a un casamento abitato, essi dovrebbero essere processati per tentata strage". Ma il Corriere è costretto,
anche se cerca di minimizzare, a riportare le denunce che vengono dai governi
di Londra e Berlino sul comportamento della polizia. Il 27 esce l'ultimo editoriale
tipico di questa fase prima della minisvolta. Sergio Romano ("I
lacrimogeni della politica") prende posizione contro la commissione
d'indagine: "l'esperienza degli ultimi trent'anni dimostra che le commissioni
d'indagine sono diventate nel parlamento italiano strumenti di lotta e talvolta
terreno di intesa su cui barattare reciproci favori". Ma il Corriere dà anche notizia
del fatto che scombussolerà non poco la sua redazione: D'Alema parla
in parlamento di "rappresaglia cilena" e di "comportamenti
fascisti". Stefano Folli ("Il governo e la svolta DS")
commenta: "D'Alema ha riproposto l'inquietante interrogativo [l'Italia
è come il Cile? ndr] anche nel tentativo di riprendere il controllo
della sinistra. Ma così ha fatto fare alla polemica un drammatico salto
di qualità". Stefano Folli è tra i pochi al Corriere,
forse insieme a Paolo Franchi, a comprendere il nesso tipico dei partiti di
sinistra (ma non di quelli di destra) tra base e vertice
e dei condizionamenti reciproci. La presa di posizione DS e il suo indurimento,
pur con molte titubanze, in Parlamento, segna una svolta, per il Corriere,
inquietante. Ancora Stefano Folli: "La sinistra sa come far politica collegando il palazzo
e la piazza. Sullo sfondo le denunce della stampa internazionale si rinnovano
ogni giorno". Si materializzano cioè due fantasmi,
uno dei quali paventato alla vigilia. I settori cattolici all'inizio, appaiono
dopo Genova piuttosto intimoriti, con qualche accenno di pentimento, subito
amplificato dal Corriere. La socialdemocrazia invece rischia di essere
influenzata dal movimento e dunque di rendere più arduo il compito
di isolare e criminalizzare gli antiglobal. Con l'aggravante che la socialdemocrazia
è al governo anche in altri Paesi, con tutti i pericoli che ne conseguono
in termini di possibilità di isolamento internazionale dell'Italia,
un incubo per il Corriere che ha fatto dell'entrata in Europa uno dei
suoi cavalli di battaglia, e aveva fatto di tutto per disinnescare la diffidenza
internazionale verso Berlusconi. Per questo cambia linea. L'immediato dopo Genova Nell'editoriale del 28 luglio un preoccupatissimo
Piero Ostellino ("Quelle parole come pietre") riattacca la
polemica verso i DS che aveva preceduto Genova e che aveva il fine di garantire
l'isolamento del movimento da chiesa e socialdemocrazia: "Una sinistra che, di fronte all'operato delle forze dell'ordine
a Genova, agita, come ha fatto D'Alema, lo spettro del fascismo, finisce col
trasferire la legittima dialettica politica dalle aule del Parmamento allo
scontro di piazza". Il Corriere è però,
a questo punto, costretto a prendere atto che il movimento non è più
isolato, non può più permettersi una posizione che rischia di
fargli perdere credibilità, e dunque è costretto ad una parziale
marcia indietro. La stessa prima pagina ospita un commento di Claudio Magris
dal titolo "Il dovere della verità" che si esprime a favore
della commissione di inchiesta. Intanto il Corriere dà notizia
delle prime misure della magistratura nei confronti della polizia. Il 30 luglio un editoriale di retroguardia
di Panebianco cerca di consolidare la lezione (la chiama proprio così)
impartita ai cattolici dagli avvenimenti di Genova ("Mal d'Occidente
tra i cattolici"), a scanso di future altre tentazioni (che emergono
su Avvenire e che costringeranno, come vedremo, ad ulteriori interventi)
afferma che a Genova si è radunato il "partito antioccidentale"
al gran completo, di quelli che andavano lì a contestare il "nemico assoluto, il nemico ideologico (l'Occidente, gli
americani, le multinazionali, il governo delle destre)". Le conseguenze dell'adesione di settori
cattolici sono state che: "si è data una patente di legittimità ai
contestatori, ingenerando nell'opinione pubblica la sensazione che la Chiesa
condividesse il loro (assai poco cristiano) manicheismo morale: di qua, tutto
il Bene; di là, nel vertice del G8, tutto il Male". E
poi: "Le legittime e condivisibili preoccupazioni dei cattolici
per la sorte dei poveri del mondo possono tradursi in atti costruttivi solo
se la Chiesa dialoga, anche polemicamente se occorre, con quell'Occidente
della cui storia è così grande parte, accettando però
di continuare a farne parte, di essere solidale con esso. Nulla di costruttivo,
invece, si realizza se un settore consistente degli uomini di Chiesa sceglie
di accompagnarsi ai movimenti anti-occidentali". Il 31 luglio il clamore che sale dall'opinione
pubblica è tale che persino Ciampi è costretto a pronunciare
qualche peraltro ambiguissima parola ("il Quirinale è silente
ma non assente"), l'intesa sulla commissione è vicina e Stefano
Folli in prima con il suo commento ("La forza delle istituzioni")
se ne felicita: "ci sono troppe teste rotte e troppe domande in attesa
di risposta nelle due scuole perquisite e nella caserma di Bolzaneto." Peccato che il Corriere sapesse
benissimo cosa era accaduto in quei luoghi (lo si può rintracciare
nei suoi stessi articoli delle pagine interne) ma non si era certo preoccupato
di sollevare critiche. E poi: "E c'è un parlamento che purtroppo ha perso tempo
rispetto all'unica iniziativa ragionevole e adeguata alla gravità del
caso: una commissione di indagine". Ricordiamo ai lettori che lo stesso Corriere,
pochi giorni prima, si era dichiarato contrario alla commissione, ora invece
bacchetta tutti per non averci pensato prima. Ma a noi interessa capire il
perché di questo cambiamento di opinione: "Non sarebbe l'inchiesta sui fatti di Genova a indebolire
il governo, ma il fluire incontrollato del veleno, lo stillicidio delle voci
e delle denunce, il succedersi dei filmati e video amatoriali ciascuno portatore
di una propria verità". Ci piace sottolineare il ruolo che, dunque,
ha avuto l'intensa mobilitazione popolare successiva ai fatti di Genova, fatta
di assemblee, manifestazioni, controinformazione, diffusione di foto, filmati:
a qualcosa è servito. E poi la preoccupazione per il possibile isolamento
internazionale dell'Italia: "La volontà di fare chiarezza è una prova
di forza di queste istituzioni il che speriamo che sarà notato da quegli
osservatori stranieri che in questi giorni hanno addirittura messo in dubbio
che l'Italia sia uno stato di diritto". In seconda, a coronare la svoltina, un
duro commento del bravo Stajano, dal titolo: "Il mondo protesta , i nostri
garantisti no". Nei giorni successivi si procede nella nuova linea, aperta
verso le responsabilità della polizia. Il Corriere del primo
agosto aprendo sulle "Accuse dei superispettori" riporta il commento
di Bianconi "Assalto notturno alla scuola Diaz: operazione senza
un comandante". Poi affida a Paolo Franchi una serie di editoriali,
dato che, pur essendo un liberale, questo giornalista costituisce, ci si passi
il termine, l'"ala sinistra" della pattuglia di editorialisti del
quotidiano, il che è tutto dire sul progressismo degli altri. Il 2
agosto Franchi si rallegra, anche lui immemore che il Corriere
l'aveva ostacolata, che l'indagine è "finalmente avviata".
E inaugura la serie critica di commenti nei confronti dell'esecutivo che non
lascerà più le pagine del quotidiano sino ad oggi. Teniamo conto
che sino a quel momento il Corriere aveva sponsorizzato la campagna,
la vittoria e l'avvio del governo di Berlusconi. Ora la redazione comincia
a sospettare che la compagine potrebbe non riuscire a mantenere le promesse
fatte al grande capitale, per incapacità, incompetenza, o altro. Franchi
lamenta che i problemi di ordine pubblico: "credevamo di esserceli lasciati alle spalle una ventina
d'anni fa. Non è così".
Perché ha fatto la sua comparsa un movimento che "non lascerà
il campo facilmente", con un centrodestra "privo di esperienza di governo
di una società complessa che è cosa molto diversa da un'azienda"
e da una sinistra che "avverte
forte la tentazione di metterli in qualche modo tra parentesi , gli anni di
Palazzo Chigi, e ritrovare se stessa radicalizzandosi". Il pericolo è che i due poli si
"chiudano a riccio" cercando di ispirarsi a "precedenti del
proprio passato". Da qui dunque il pericolo di "regressione"
per la sinistra, come per la destra, soprattutto AN, che ha gestito la vicenda,
che potrebbe essere portata a scegliere di essere: "paladina di una sorta di blocco d'ordine,
di una maggioranza un tempo silenziosa" tentazione
forte "almeno quanto quella dei DS
di stare, costi quel che costi nel movmento, magari per non lasciare troppo
spazio a Fausto Bertinotti". "Altro che bipolarismo a regime...",
conclude sconsolato! Questo dubbio, quello di aver cantato troppo presto vittoria
(con una destra al governo e una sinistra moderatissima all'opposizione),
vedremo costituirà un leit motiv della redazione del quotidiano. Il
3 agosto, alla notizia che sono stati rimossi alcuni dirigenti di polizia,
un altro editoriale di Paolo Franchi titola: "Una dolorosa necessità".
E' l'ultimo suo editoriale, perché si avvicina una contro-svolta. Le
reazioni dei sindacati di polizia, fortissime, il sospetto che quelle dimissioni
possano rafforzare il movimento, la rabbia verso un partito, quello dei DS,
che si pensava per sempre addomesticato, la necessità di preparare
l'opinione pubblica alle "riforme" necessarie, spingono il Corriere
a riaggiustare di nuovo la sua linea. Il lungo dopo Genova Attacca il 4 agosto Francesco Merlo
con uno dei suoi usuali e disgustosi editoriali pieni di bugie e insulti personali,
dal titolo "Manipolatori sulle barricate. I capi violenti di pacifisti
inermi", dove Bertinotti, Casarini e Agnoletto vengono definiti "signori
della coscrizione coatta di una giovane generazione", "ideologici
del falso". ecc. Grande rilievo in prima pagina a Ciampi che dichiara,
tanto per cambiare: "piena fiducia alla polizia". Il giorno dopo
Ernesto Galli della Loggia esce con il suo editoriale: "DS, la
partita senza rivincita. Perché l'assalto contro la maggioranza",
che dà corpo ai timori crescenti della borghesia, ai quali già
Franchi aveva accennato: "Forse non è affatto vero che le elezioni del 13
maggio hanno consacrato in Italia l'era del bipolarismo. Forse, anzi, nel
nostro sistema politico il bipolarismo è oggi più lontano che
mai". E poi: "Taluni innegabili
eccessi brutali delle forze dell'ordine a Genova non bastano, infatti, a spiegare
il tono esagerato ed esagitato adottato dalla sinistra in Parlamento e nel
Paese". Non era necessario unirsi all'Unità,
prosegue, per trovare una "soluzione ragionevole", che alla fine
è stata trovata: la commissione d'indagine (peccato che Galli della
Loggia si fosse dimenticato di suggerirla in tempo utile nei suoi editoriali).
E si domanda: perché i DS hanno agito così? "Perché hanno acconsentito a ritrovarsi schiacciati
di fatto sulle emozioni e le posizioni del movimento? Perché questo
atteggiarsi massimalistico, questi vocalizzi estremistici, così lontani
oltretutto dalla loro tradizione storica e da quella che sino a ieri è
stata la loro educazione politica?" Questo appello alle radici dei DS (il PCI)
è estremamente interessante. In realtà il Corriere ha
condotto per anni una incessante battaglia non solo contro il PCI, ma anche
contro i residui del PCI che continuava a scorgere nei DS. L'intepretazione
della sua sconfitta elettorale da parte dei commentatori del Corriere
sta proprio nell'eccesso di PCI presente tra i DS. Ma del PCI i Nostri
ora rimpiangono la grande "affidabilità", la separatezza
dai movimenti, le battaglie contro chi stava alla sua sinistra. Non è
un caso che sia sul Corriere che in altri giornali abbiano guadagnato
visibilità le vergognose posizioni di Cossutta e soci, così
simili, appunto, a quelle del PCI di un tempo. La spiegazione che si dà
Galli della Loggia è però, pur espressa rozzamente, quella giusta: perché "avvertono
in generale che forse la sinistra sta per entrare in un tunnel lungo e tormentato
chiassà quanto" e ciò può produrre "una fortissima
instabilità politica". Nei giorni successivi si infittiscono i
commenti idelogici antiglobal (Enzo Biagi, 8 agosto, vari interventi
di Sartori, Ronchey, ecc., che convergono sulla necessità
di eliminare i vertici per eliminare la possibilità che le "folle"
si radunino dando così ospitalità ai "violenti") e
che poi dopo le bombe si arricchiranno di una sempre più scoperta critica
verso i magistrati genovesi e il loro "unilateralismo" nel perseguire
"solo i poliziotti" e non i manifestanti. Nel "Malessere con
la divisa", editoriale di Sergio Romano del 24 agosto, leggiamo
che negli ultimi trent'anni le "grandi emergenze" erano riuscite
a ridare credibilità alle forze dell'ordine dopo gli anni '50 e '60
quando erano invece considerate scelbiane, golpiste, corrotte e ottuse (gli
aggettivi sono suoi), "ma i fatti di Genova e il loro seguito
stanno modificando l'immagine delle forze dell'ordine, si torna a pensare
come negli anni settanta che le uniche divise realmente democratiche siano
le tute, le magliette e i passamontagna" e si allarma: "stiamo buttando via un capitale
nazionale, la rispettabilità delle forze dell'ordine che ci abbiamo
messo trent'anni a accumulare". Ma, dicevamo, cominciano ad apparire una
serie di editoriali critici verso il governo. Sergio Romano il 10 agosto
("Primo bilancio di un governo") dopo qualche sbrigativo complimento
sui "ritmi aziendalisti" del governo arriva al sodo: "le ombre del quadro concernono lo stile del governo piuttosto
che il suo programma originale. [...] Nelle vicende di Genova l'esecutivo
è stato incerto e confuso. Anziché agire rapidamente con severità
e con fermezza, ha subito le iniziative dell'opposizione, ha agito tardi e
ha permesso che l'Italia, in Europa, finisse sul banco degli accusati. [...]
Nonostante la vittoria elettorale, la compagine governativa è priva
di solidarietà e coerenza [...] Manca la leadership del Presidente
del consiglio [...] Esiste il rischio che un governo maldestro e un'opposizione
in crisi, anziché fare fronte comune contro questa minaccia [il risorgere
della violenza, che per Romano comprende tutto, da Genova alle BR ndr], se
ne servano per incolparsi a vicenda e segnare qualche punto in una inutile
guerra di propaganda". Le critiche alla scarsa compattezza della
maggioranza si faranno sempre più vive ("Doppio polo d'autunno"
di Paolo Fanchi del 18 agosto e "Quel federalismo un po' statalista"
di Angelo Panebianco del 28 agosto) soprattutto dopo i dubbi e l'opposizione
sollevate da AN e Lega sulla flessibilità e i licenziamenti facili,
chiesti a gran voce da Fazio e Confiundustria, con una pronta disponibilità
di Marzano. Infine registriamo l'ultima bordata anticattolica,
dovuta, crediamo, all'uscita di diversi settori dal trauma di Genova, e dall'apparire
su Avvenire di una serie di interventi molto critici. Il 13 agosto
esce un editoriale di Panebianco "Se in Chiesa entra Marx"
dove riporta la polemica di Baget Bozzo contro una Chiesa che sintetizza "cascami
della teologia della liberazione" con una "interpretazione estremista
dei diritti umani". Poi attacca a testa bassa l'ideologia terzomondista
e adombra il sospetto che nella chiesa "l'infezione [sic!] sia piuttosto
estesa". Il problema non sta tanto negli atti di questi cattolici, ma
in quelli che sono "gli strumenti di analisi, le categorie utilizzate per
interpretare la realtà". Cioé in pratica l'accusa di flirtare
ancora una volta con il marxismo, dando vita ad una nuova stagione "cattocomunista",
che "tanti danni ha arrecato". Conclusioni Ed ora qualche conclusione utile per il
movimento. a) La mobilitazione cui abbiamo dato vita
nel dopo Genova ha sortito un effetto fortissimo e a catena. Facciamo attenzione
però a comprendere esattamente qual è stato il meccanismo che
ha consentito di far breccia persino sul Corriere della Sera,
cioè sul quotidiano del grande capitale (multinazionale) italiano.
Il movimento non ha fatto breccia direttamente, ma influenzando un'opinione
pubblica di massa che comprendeva milioni di persone che normalmente votano
DS o frequentano gruppi cattolici. Un'opinione di massa che il Corriere a
un certo punto non ha più potuto ignorare, pena la perdita completa
di credibilità. b) forse a noi, della sinistra anticapitalista,
dà un po' fastidio scoprire che in realtà in quanto movimento
non siamo ancora al livello di far paura a quelli che finanziano il
Corriere. E' una realtà seccante, almeno per noi che scriviamo,
ma è così. Facciamo paura solo nella misura in cui riusciamo
a stabilire alleanze con settori di massa, o a farvi in qualche modo breccia.
Chiusi nel recinto stretto della sinistra anticapitalista non hanno alcun
dubbio, per ora, di riuscire a farci secchi. Ne devono discendere delle conseguenze
politiche molto chiare. Il movimento non deve essere messo nell'angolo, non
dobbiamo permettere che venga isolato. E' importante allargarlo, creare alleanze,
evitare il settarismo. c) Genova ha innescato una dinamica di
sfaldamento tra classe dominante e sua rappresentanza politica, ma in una
situazione in cui la nostra classe dominante ha urgenza di conseguire risultati
perché la concorrenza internazionale incalza e con essa la recessione.
Speravano di ritrovarsi con una destra forte al governo e una opposizione
moderata, e per un momento hanno pensato anche di far saltare il condizionamento
della piazza. Si ritrovano con una piazza più piena che
mai, una sinistra moderata in crisi e inaffidabile, settori crescenti sul
piede di guerra. E le prime conseguenze si fanno sentire sulla parte di destra
che ha radicamento sociale e che non può prmettersi di perderlo "regalando
la bandiera del no ai licenziamenti alla sinistra", come dice Bossi.
Tra loro regna ora l'incertezza. Il primo luglio Angelo Panevianco
scriveva tutto ottimista: "se la politica di Berlusconi avrà, almeno in parte,
successo, un certo ridimensionamento della presa esercitata dal più
forte sindacato su alcuni gangli vitali del sistema, dal mercato del lavoro
ai servizi pubblici, verrà di conseguenza. E il ridimensionamento del
potere della CGIL potrà aprire la strada a un rimescolamento delle
carte all'interno dei DS e, più in generale, dell'opposizione",
aprendo così la strada ad un "Blair" italiano. Ma il 20 agosto, nemmeno due mesi dopo,
ma con in mezzo la decisiva Genova scrive rassegnato ne "Le due
vie della politica": "non possiamo sapere se davvero le vicende di Genova siano
l'inizio di una nuova fase di forte confluttualità anarcoide alimentata
da movimenti collettivi. Sappiamo però che la politica oscilla ciclicamente
fra i poli della moderazione e dell'estremismo". Quando
prevale una politica moderata "la democrazia funziona", anche
se molti giovani "non possono trovarvi ciò che cercano,
e scelgono il disinteresse per la politica". Quando
però inizia un nuovo ciclo estremista "il problema è
impedire che la democrazia corra pericoli. I pericoli ci sono quando settori
dell'opposizione parlamentare subiscono l'attrazione esercitata dai movimenti
estremisti e si mettono a giocare con il fuoco. E' il rischio che oggi in
Italia corriamo". A un mese da Genova possiamo dire che,
nella partita che si è aperta con la vittoria delle destre, le classi
oppresse, i movimenti, la sinistra, hanno segnato un punto a proprio favore.
Uno a zero, potremmo dire. Ma ci è costato un morto, molte ossa rotte,
e, soprattutto, la partita non durerà 90 minuti.