Il peggiore 
    nemico di Israele: il suo governo.
    La 
    guerra ha sancito la sconfitta di Israele, ma anche una sostanziale emarginazione 
    dei paesi arabi cosiddetti moderati e della Lega araba, sempre più 
    inutile. Si è massacrato il Libano per dare ad Israele il tempo di 
    distruggere Hezbollah, ma l’obiettivo è fallito. Se Israele non 
    è riuscito a disarmare i guerriglieri, tanto meno potranno farlo il 
    debole esercito libanese e le truppe dell’ONU.
    Di Michele Basso (19 agosto 2006).  Reds – Settembre 2006
 
    I sostenitori d’Israele hanno attaccato il ministro degli Esteri D’Alema, 
    reo di essersi recato, in compagnia di Hussein Haji Hassan, deputato di Hezbollah, 
    a visitare le macerie del Libano e non quelle d’Israele (qualcuno gli 
    ha mai chiesto di fare visita a quelle della Serbia?). 
    Anche D’Alema tra i nemici d’Israele? In realtà, il peggior 
    nemico sta proprio in Israele, ed è il suo governo, col suo arrogante 
    primo ministro. 
    Olmert, come riporta il Corriere della Sera del 14 agosto, ha dichiarato, 
    dopo l'entrata in vigore del cessate il fuoco: “Abbiamo dato un 
    terribile colpo ai guerriglieri sciiti”. “La caccia ai 
    capi Hezbollah va avanti, la lotta al terrorismo non è finita, tutta 
    la responsabilità della guerra è mia e non voglio condividerla 
    con nessuno”. Intanto -aggiunge - per effetto delle operazioni 
    militari israeliane in Libano “è cambiato l'equilibrio strategico 
    nella regione”. 
    
    Non è probabile che qualche altro politico gli contenda la responsabilità 
    della guerra, dato l’esito disastroso, soprattutto dal punto di vista 
    politico. In una cosa ha ragione. È cambiato l’equilibrio della 
    regione, ma non certo a favore d’Israele. 
    
    Oggi le masse arabe, dall’Atlantico al Golfo, inneggiano a Hezbollah. 
    
    Ha ragione chi ha messo in rilievo che anche Al Qaida è stata scalzata, 
    nell’immaginario collettivo degli arabi, e sostituita dai guerriglieri 
    sciiti. 
    Molti giovani arabi, probabilmente, non saranno più attratti dai metodi 
    terroristici, ma dalla guerriglia. 
    Il giudizio negativo sui risultati della guerra viene, anzitutto, dagli israeliani 
    stessi: “Secondo un sondaggio apparso sull' edizione on-line di 
    Yedioth Ahronoth, il 58% degli israeliani pensa che Israele non sia riuscito 
    a realizzare i suoi obiettivi. Il 52% ritiene che le forze armate non abbiano 
    avuto successo e il 66% pensa che la risoluzione 1701 non sia positiva per 
    Israele. Crolla la popolarità di Olmert e del ministro della difesa 
    Amir Peretz ma anche dei loro partiti, Kadima e Laburista: il 62% ha dato 
    un voto negativo a Olmert e il 65% a Peretz. Se ci fossero elezioni domani 
    Kadima, il partito di Olmert, scenderebbe da 29 a 20 seggi, il partito laburista 
    da 19 a 12” (Il manifesto 15 Agosto 2006).
    
    La condotta della guerra è stata assolutamente irrazionale: invece 
    di concentrare le proprie forze per colpire i combattenti hezbollah, si è 
    voluto creare il terrore tra i civili, massacrando, alla maniera di Maramaldo, 
    vecchi, donne e bambini, e creando una reazione di protesta che va dal Canada 
    al Giappone, persino tra gli amici d’Israele. Malgrado il detto, il 
    tempo non è galantuomo e la storia permette stragi, distruzioni e genocidi, 
    ma non tollera l’incapacità. Olmert, stiamo parlando di lei! 
    
    
    Si è creduto di poter ripetere l’esperienza banditesca del Kossovo, 
    e di costringere il governo a trattare di fronte alle immani devastazioni 
    e stragi di civili. Ma il governo jugoslavo aveva il controllo del proprio 
    esercito, mentre quello libanese, benché comprendesse rappresentanti 
    degli Hezbollah, non aveva (e non ha) nessun controllo sui guerriglieri. 
    L’esercito libanese, non solo non ha partecipato alle battaglie, ma 
    neppure era presente nel sud del Libano, per cui Sinjora non aveva influenza 
    sul fronte principale della guerra. Il governo israeliano, e il suo alleato 
    americano, così sollecito nel rifornirlo di armi anche attraverso le 
    basi situate in Italia, hanno commesso questo gigantesco errore politico. 
    Gridavano che gli Hezbollah costituivano uno stato nello stato, ma non hanno 
    tenuto conto di ciò che di vero era contenuto in queste loro dichiarazioni. 
    
    Sul quotidiano Haaretz si dice che il giorno in cui Hassan Nasrallah "emerge 
    dal suo rifugio e annuncia la vittoria al mondo intero, Olmert non deve essere 
    più nell'ufficio del primo ministro". 
    
    Le critiche non toccano solo Olmert, ma anche i vertici militari. L’editorialista 
    di Haaretz Ari Shavit afferma che "se Olmert oggi fugge dalla guerra 
    che ha avviato, non potrà rimanere primo ministro per un altro giorno". 
    "Non si può condurre una intera nazione alla guerra promettendole 
    la vittoria, produrre una sconfitta umiliante e restare al potere”. 
    "Non si può - aggiunge - seppellire 120 israeliani nei cimiteri, 
    mantenere un milione di israeliani nei rifugi per un mese, spogliarsi del 
    potere di deterrenza, avvicinare di molto la prossima guerra, e dire 'oops, 
    mi sono sbagliato, non era ciò che volevo, un altro sigaro per favore 
     ". _Olmert, "è entrato in guerra frettolosamente, 
    senza valutarne adeguatamente le conseguenze, ha seguito ciecamente i militari 
    senza porre le necessarie domande. Ha erroneamente scommesso sugli attacchi 
    aerei, è arrivato stranamente in ritardo con le operazioni di terra, 
    non è riuscito a attuare i piani originari dell'esercito, molto più 
    efficaci e sofisticati di quanto è stato applicato". "Dopo 
    essere arrogantemente e frettolosamente entrato in guerra, Olmert l'ha gestita 
    in maniera esitante, appannata e claudicante, ha trascurato il fronte interno 
    ed ha abbandonato i residenti del Nord". 
    
    Il giornale aggiunge che una grave rottura si è creata fra Olmert e 
    il vicepremier Shimon Peres il quale accusa Olmert di "mancanza di 
    preveggenza". L’articolo accusa il governo fra l'altro di 
    "aver mandato allo sbaraglio i riservisti", privi a suo 
    parere di adeguati addestramenti e carenti non solo di mezzi di combattimento 
    "ma perfino di cibo". (Repubblica 11 agosto). 
    
    Probabilmente saranno gli stessi israeliani a mandare in pensione Olmert, 
    e speriamo anche Peres.
    La guerra ha sancito la sconfitta di Israele, ma anche una sostanziale emarginazione 
    dei paesi arabi cosiddetti moderati (che, per recuperare in parte la credibilità 
    perduta, dovranno fornire i capitali per la ricostruzione del Libano) e della 
    Lega araba, sempre più inutile. 
    Si è massacrato il Libano per dare ad Israele il tempo di distruggere 
    Hezbollah, ma l’obiettivo è fallito. 
    Se Israele non è riuscito a disarmare i guerriglieri, tanto meno potranno 
    farlo il debole esercito libanese e le truppe dell’ONU. Inoltre non 
    ci saranno le truppe NATO sotto il comando inglese, come chiedeva Olmert, 
    ma un contingente misto a comando francese, cioè della vecchia potenza 
    coloniale, ora in veste di protettrice del Libano. 
    Parigi non è così obbediente agli Stati Uniti come Londra, e 
    non ha cattivi rapporti con Teheran. Lo stesso primo ministro libanese, che 
    vedeva Hezbollah come il fumo negli occhi, oggi è costretto a dargli 
    un pubblico riconoscimento. 
    Il peso politico del “Partito di Dio” crescerà, attenuando, 
    nel contempo, le sue caratteristiche religiose sciite. Sarà sempre 
    più un partito nazional patriottico. Ciò avrà conseguenze 
    anche sull’Iran, che ha sostenuto Hezbollah, ma dovrà constatare 
    che questa vittoria gli ha conferito una maggiore autonomia politica, e non 
    potrà manovrarlo a piacere.
Il 
    governo israeliano, invece, ha sprecato in pochi giorni una credibilità 
    militare guadagnata in decenni, e ciò comporta un cambiamento nel ruolo 
    che gli Stati Uniti gli affideranno. 
    Non ha conseguito neppure il risultato che serviva da pretesto alla guerra, 
    ottenere la liberazione dei due soldati catturati. Non è riuscito a 
    creare le condizioni per una guerra civile in Libano, ma solo a compattare 
    le varie fazioni. Non ha saputo approfittare della cacciata dei siriani dal 
    Libano, ottenuta con attentati provocatori e manovre diplomatiche. Non solo 
    è crollata l’attendibilità del governo Olmert, diminuita 
    quella dell’esercito, ma gli stessi servizi segreti, fino a poco tempo 
    fa i più efficienti del mondo, hanno fallito clamorosamente, sottovalutando 
    la forza di Hezbollah. 
In 
    questa guerra, c’è stato un grande assente, il proletariato. 
    Una serie di scioperi non poteva certo impedire l’aggressione al Libano 
    e ai palestinesi, ma avrebbe certo contribuito a rendere meno efficace la 
    propaganda militarista. 
    Forse il clima della sconfitta in Israele, e l’enormità dei problemi 
    della ricostruzione in Libano, porterà i lavoratori d’entrambi 
    i paesi ad incontrarsi, per difendere assieme i loro interessi, e contrastare 
    più efficacemente ogni propaganda di guerra.
Molti 
    ebrei, in occidente, hanno sostenuto Israele, ma altri l’hanno decisamente 
    criticato. 
    Come dice il Manifesto del 13 agosto “177 personalità hanno 
    firmato l'appello, pubblicato su Libération, “Noi, ebrei contro 
    i bombardamenti di Israele”, lanciato dal medico Marcel-Francis Kahn. 
    Un'iniziativa che riecheggia, 24 anni dopo, quella dell'82 dello storico Pierre 
    Vidal-Naquet (deceduto in questi giorni) contro l'allora operazione di guerra 
    “Pace in Galilea”. I firmatari vogliono battersi contro “l'offensiva 
    sanguinosa di Israele” e chiedono che venga applicato un “immediato 
    cessate il fuoco” in Medioriente. Secondo l'ex ambasciatore francese 
    all'Onu, Stéphane Hessel, “tocca alla diaspora mettere in evidenza 
    gli errori del governo israeliano”. 
    
    Si tratta di un’iniziativa, non solo dignitosa, ma anche politicamente 
    saggia. In un paese come la Francia, in cui convivono la più numerosa 
    comunità ebraica d’Europa e la più nutrita comunità 
    araba, prendere le distanze dallo sciovinismo del governo israeliano è 
    particolarmente indispensabile. 
    La protesta antimilitarista che viene da ambienti ebraici, non solo è 
    benvenuta, ma è addirittura preziosa, perché serve a combattere 
    due pericoli, il militarismo del governo di Olmert e i rigurgiti d’antisemitismo 
    (quello vero, non quello di cui giornalisti e politici da quattro soldi accusano 
    chi osa criticare la politica israeliana).