La discussione su Cuba.
Un
punto di vista libertario su Cuba, che presenta molti punti di interesse.
Di Michael Albert. Da Znet-Italia. Traduzione di Giancarlo Giovine. Giugno
2003.
Sui recenti avvenimenti a Cuba è sorta una discussione all'interno della sinistra USA. Il governo cubano ha emesso misure legali draconiane nei confronti degli oppositori. Il governo USA, che ha con decenni di intrighi -compresi i recenti provvedimenti- provocato questa situazione, quasi sicuramente utilizzerà questi avvenimenti per giustificare l'ulteriore intervento contro il popolo dell'isola.
Alcuni a sinistra sostengono che, data questa pericolosa realtà, si dovrebbe solamente sostenere le decisioni cubane o, al massimo, non dire nulla su di esse.
Altri (ed io sono fra questi) hanno apertamente criticato le decisioni, tuttavia questa critica ha assunto la forma di due petizioni differenti (quella che ho firmato, perché ritengo che abbia collocato le critiche a Cuba all'interno di un adeguato contesto, criticando anche l'imperialismo USA, e l'altra che non ho firmato, perché ritengo che non presenti un contesto e un bilancio adeguati).
In relazione ai recenti avvenimenti, secondo il mio punto di vista, avere un sistema sanitario, una politica abitativa, una politica scolastica e, in generale, relazioni sociali migliori di quasi tutti gli altri paesi maggiormente sviluppati, non giustifica la dittatura a Cuba, e ancor meno giustifica il draconiano comportamento repressivo attuato da quella dittatura. È già un male che un paese esegua condanne a morte. Che un Paese arresti, processi, condanni ed esegua la condanna a morte di persone nel giro di una settimana và oltre ogni comprensibilità di ordine legale, morale e sociale. Temere l'intervento dall'esterno di una grande potenza, che per decenni è intervenuta in continuazione e minaccia di farlo in misura molto maggiore, è molto prudente. Reprimere il dissenso interno e violare il diritto non solamente è contrario a quanto il legittimo timore giustifica, ma, al contrario, alimenta le ragioni degli interventisti. Ma questa valutazione non riguarda il problema sul quale ora si discute, che non è la fondatezza delle critiche, quanto piuttosto se le critiche -dato l'attuale contesto- debbano essere rese pubbliche.
Comprendere il ruolo degli USA a Cuba è di una semplicità banale. Sulla base della documentazione storica l'ipocrisia e il cinismo della politica USA sono di un'evidenza brutale. L'opposizione militante alla politica USA nei confronti di Cuba deve essere implacabile. Grazie a dio, su questo nella sinistra non c'è alcun disaccordo.
Tuttavia un problema, che riceve meno attenzione, e sul quale si scatena la polemica, riguarda la migliore comprensione di quello, che la stessa Cuba è, e l'efficacia della critica delle scelte del governo cubano e delle strutture istituzionali cubane.
In un discorso del 1962 intitolato "Il dovere del rivoluzionario" Fidel Castro ha detto:
"Il sommario dell'incubo che tormenta l'America da un estremo all'altro è che su questo continente circa quattro persone al minuto muoiono di fame, di malattie che si possono curare o di vecchiaia precoce. 5.500 al giorno, due milioni all'anno, dieci milioni ogni cinque anni. Queste morti potrebbero essere facilmente evitate, ciò non di meno esse avvengono. Due terzi delle popolazioni latinoamericane vivono poco e sotto la costante minaccia della morte. Un olocausto di vite, che negli ultimi 15 anni ha causato il delle morti provocate dalla seconda guerra mondiale. Nel frattempo un torrente continuo di denaro scorre dall'America Latina verso gli Stati Uniti: 4.000 dollari al minuto, 5 milioni al giorno, 2 miliardi all'anno, 10 miliardi ogni 5 anni. Per ogni mille dollari che se ne vanno via ci rimane un cadavere. Mille dollari per cadavere: questo è il prezzo di quello che viene chiamato imperialismo. Mille dollari per morte? quattro morti al minuto".
Nei quattro decenni successivi a questa stima di Castro, per la maggior parte dell'America Latina, eccettuata Cuba, questa statistica è migliorata di poco o, in qualche caso, addirittura peggiorata. Negli anni '80, per esempio, secondo la Inter-American Development Bank (IEAB, Banca Interamericana per lo Sviluppo) il reddito è diminuito dell'8%. L'intimazione di Castro contenuta in quello stesso discorso è opportuna oggi come lo era allora:
"Il dovere di ogni rivoluzionario è fare la rivoluzione. Si sa che la rivoluzione trionferà in America e nel mondo, ma non esiste per i rivoluzionari sedersi all'ingresso delle loro case ad aspettare che il cadavere del capitalismo passi davanti a loro. Il ruolo di Giobbe non si addice a un rivoluzionario. Ogni anno, che la liberazione dell'America guadagna in velocità, vorrà dire la salvezza di milioni di vite di bambini, la salvezza di milioni di intelligenze per la cultura, una quantità infinita di dolore risparmiato alla gente".
Poco è cambiato anche per quanto riguarda chi e cosa sia il principale nemico del popolo dell'America Latina o per quanto riguarda la grandezza dei crimini che bisogna punire. E, quindi, poco è cambiato riguardo all'urgenza del superamento della dominazione imperiale e neocoloniale degli USA. Ma cos'è la "liberazione"? Gli obiettivi positivi, che una rivoluzione contro il capitalismo, il sessismo e il razzismo deve perseguire, sono cambiati? Rispetto a queste cose cosa ci insegna l'esperienza di Cuba?
Nonostante decenni di terrorismo sostenuto dalla CIA e del boicottaggio imposto dagli USA, Cuba è di gran lunga superiore ai suoi vicini latinoamericani nelle realizzazioni in campo intellettuale, culturale, sanitario, educativo e politico. Ciò merita largo plauso e sostegno. Nello stesso tempo, in qualsiasi maniera la si veda, il governo di una sola persona attraverso un partito burocratico gerarchizzato è una dittatura, anche quando -come a Cuba- il leader è sotto molti aspetti buono. Castro è il mozzo, da cui il Partito Comunista Cubano irradia i suoi raggi. Le parallele istituzioni originarie, compresa quella che vien chiamata poder popular, rappresentano una tendenza politica partecipativa, che comunque non è riuscita a superare la manipolazione del Partito.
Per aprire gli anni '70 Castro ha proclamato:
"Le formule del processo rivoluzionario non possono mai essere formule amministrative. Mandare un uomo dal vertice alla base per un problema che riguarda 15 o 20 mila persone non è la stessa cosa che i problemi di queste 15 o 20 mila persone (problemi che hanno a che fare con la loro comunità) siano risolti in virtù delle decisioni del popolo, della comunità, che è vicina all'origine dei problemi. Noi dobbiamo sbarazzarci di tutti i metodi amministrativi e usare dovunque metodi di massa".
Cuba aveva il partito leninista gerarchizzato e anche il popolare e democratico "poder popular". Ma, a dispetto delle parole di Castro, il primo ha prevalso massicciamente sul secondo. Semplificando ad una complessa e variegata storia politica, è da qui che tre sostanziali ostacoli hanno impedito e continuano ad impedire la realizzazione della dichiarata speranza di Castro di sostituire la partecipazione politica alla amministrazione politica:
1. Il Partito Comunista Cubano monopolizza tutti gli strumenti legali per l'esercizio del potere politico e pertanto garantisce che c'è una sola linea politica cubana, quella del Partito e della sua. Il primo problema politico è il leninismo.
2. L'onnipresenza di Fidel Castro lascia poco spazio agli strumenti popolari per raggiungere un vero potere sociale decentrato. Il secondo problema è il fidelismo.
3. La volontà degli USA di strumentalizzare le differenze politiche e di usare la forza per distruggere le rivoluzioni nel Terzo Mondo provoca ed è utilizzata per giustificare l'irrigimentazione. Il terzo problema che si trova di fronte Cuba è uno zio Sam non certo benevolo.
Siccome Castro e Cuba sono di fronte alla successione, siccome il boicottaggio e l'aggressione USA riducono immoralmente le scelte dei Cubani, e siccome la corruzione della burocrazia politica cubana estranea sempre più dalla politica la popolazione cubana, ha di fronte a sé due possibili opzioni politiche. Cuba può ritornare alle sue aspirazioni originarie e passare dalle strutture del partito leninista e della dittatura alla democrazia partecipativa fondata sulla partecipazione di massa; oppure, al contrario, Cuba può difendere l'autoritarismo e conservare i privilegi dell'"élite" mascherando tutto questo con la "difesa della rivoluzione".
Sul piano politico in pratica ne consegue che le scelte che portano Cuba verso una maggiore irrigimentazione sono scelte in direzione di un percorso di repressione e non di liberazione. Quando il governo cubano decide di servirsi della pena di morte, di incrementare le persecuzioni e di impegnarsi in altre azioni repressive, apparentemente per difendere la sua sopravvivenza (ma con un risultato opposto, almeno per quanto riguarda la stima all'estero), va abbastanza male; ma, quando il governo cubano parla come se fare queste cose fosse un tipo di attività in se e per sé positiva e valida (invece che dichiarare che tale azioni nel migliore dei casi sono un'odiosa necessità imposta da fattori esterni), comunica che l'irrigimentazione e la centralizzazione sono considerate delle doti e non delle orribili deviazioni dalle aspirazioni preferite.
E relativamente alla dimensione economica? C'è di mezzo anche la storia? Con tutte le sue apprezzabili realizzazioni, l'economia cubana è lontana dall'essere liberata. I pianificatori, i burocrati di stato, i dirigenti locali, e i tecnocrati monopolizzano le decisioni, mentre i lavoratori eseguono gli ordini. Nel sistema economico, che ne risulta, una classe dirigente di coordinatori pianifica le fatiche dei lavoratori e si appropria di una paga gonfiata, di privilegi e di prestigio sociale.
L'economia coordinatoristica di Cuba ha inorgoglito i Cubani per le realizzazioni nazionali, e ha dato loro maggiori vantaggi materiali nei campi della sanità, della politica abitativa, dell'alfabetizzazione della sicurezza e, almeno fino all'inizio del boicottaggio, certamente migliori standard di vita. Per queste ragioni la rivoluzione cubana è giustamente popolare. Ma per quanto ammirevoli siano queste realizzazioni, allorquando vengano messe a confronto con le condizioni del Guatemala, del Salvador, o persino con quelle di Watts o del South Bronx, e per quanto portentose siano, allorquando si considerino le condizioni imposte dagli USA nelle quali sono state conseguite, ciò non giustifica l'applicazione della qualifica di economia "liberata". Per averla non ci dovrebbe essere una classe dominante ed i lavoratori dovrebbero collettivamente amministrare le loro fatiche in maniera solidale ed equa.
Tuttavia, come per la politica, la storia economica cubana non ha seguito una traiettoria lineare. Il modello coordinatoristico è stato quello dominante, ma vi si è sempre manifestato uno spirito alternativo, talvolta solo sperato, talvolta concretizzatosi in sperimentazioni reali, che purtroppo non hanno mai portato relazioni economiche liberate.
Nel 1962 e nel 1963, impressionati da quello che avevano visto visitando l'Unione Sovietica e vedendo che non c'erano altre opzioni, i Cubani instaurarono forme economiche che imitavano il modello sovietico tradizionale. Dal 1964 è comparsa la disillusione e ne è seguito un grosso dibattito. In una lettera scritta dall'Africa, riassumendo lo spirito delle raccomandazioni che egli sosteneva in quel dibattito, Che Guevara scriveva:
"La nuova società in via di formazione deve competere molto duramente col passato. Questo fa sentire se stesso non solo nella coscienza individuale, appesantita dai residui di un'istruzione e di un'educazione sistematicamente orientata verso l'isolamento dell'individuo, ma anche dalla natura stessa di questa fase di transizione, con il permanere di relazioni mercantili. La merce è la cellula economica della società capitalista: fin quando permane, i suoi effetti si faranno sentire nell'organizzazione della produzione e, conseguentemente, nella coscienza".
Nel dibattito il Che ha disdegnato l'uso di termini quali "redditività", "interesse materiale" e "mentalità mercantile", argomentando invece per porre l'accento sulla moralità, sulla collettività, sulla solidarietà e sul principio del valore d'uso al fine di andare incontro ai bisogni umani. Tuttavia non ha sostenuto o solamente sollevato la questione del diretto controllo dei lavoratori sui luoghi di produzione e sulla formazione delle decisioni economiche in generale.
Castro ha adottato un atteggiamento ugualmente umanistico, ma insufficiente, dicendo che:
"Non creeremo mai una coscienza socialista col 'segno del dollaro' nelle menti e nei cuori degli uomini e delle donne quelli, che si augurano di risolvere i problemi, facendo appello all'egoismo personale, allo sforzo individualistico, dimentichi della società, si comportano in maniera reazionaria, cospirando, nonostante le migliori intenzioni del mondo, contro le possibilità di creare uno spirito autenticamente socialista".
Castro era consapevole che i suoi desideri di livellare i redditi e fare a meno della competizione e degli incentivi individuali sarebbero stati per qualcuno incomprensibili. Sapeva che agli economisti "eruditi" e "ricchi di esperienza" "ciò sarebbe sembrato andare contro le leggi dell'economia".
"Per questi economisti un'asserzione di questo tipo suona quasi come un'eresia; dicono che la rivoluzione è votata alla sconfitta. Ma accade che in questo campo ci sono due branche speciali. Una è la branca degli economisti 'puri'. Ma c'è un'altra scienza, una scienza più profonda che è autenticamente rivoluzionaria. È la scienza della fiducia negli esseri umani. Se conveniamo che le persone non si possono correggere, che le persone sono incapaci di imparare; se conveniamo che le persone non possono sviluppare la propria coscienza, allora dovremmo dire che gli economisti 'intelligenti' hanno ragione, che la Rivoluzione è votata alla sconfitta e che sarebbe combattere contro le leggi dell'economia?"
Nel corso degli anni il dibattito economico a Cuba ha oscillato fra due poli: competizione contro solidarietà, massimizzazione del profitto contro incontro con i bisogni umani, mercati contro pianificazione centralizzata, incentivi individuali e disuguaglianza contro incentivi collettivi e eguaglianza, con molte oscillazioni avanti e indietro. Considerate i seguenti commenti di Castro, quando il polo di sinistra prevaleva:
"Un finanziere, un economista puro, un metafisico delle rivoluzioni avrebbe detto: 'Attento, i profitti non dovrebbero diminuire di un centesimo. Considera la questione da un punto di vista finanziario, da un punto di vista economico, pensa ai pesos che sono in gioco".
Tali persone hanno 'il segno del dollaro' in testa e vogliono che anche il popolo abbia 'il segno del dollaro' in testa e nel cuore. Tali persone non avrebbero fatto nessuna legge rivoluzionaria. In nome di questi principi avrebbero continuato a far pagare ai contadini l'interesse sui prestiti; avrebbero continuato a far pagare per le cure mediche ed ospedaliere; avrebbero continuato a far pagare le tasse scolastiche; avrebbero continuato a far pagare per i convitti che sono completamente gratuiti, tutto in nome di un approccio metafisico all'esistenza. Non avrebbero mai avuto l'entusiasmo del popolo, l'entusiasmo delle masse, che il fattore primario, il fattore fondamentale per il progresso di un popolo, per un popolo per costruire, per un popolo per poter progredire. E questo entusiasmo da parte del popolo, questo appoggio alla rivoluzione è qualcosa, che si può misurare in termini incomparabilmente superiori del dare e dell'avere dei metafisici."
Il problema è che questo polo di sinistra, che ha mirabilmente sostenuto l'egualitarismo, la solidarietà, l'incontro dei bisogni e gli incentivi collettivi, ha anche sostenuto in maniera sbagliata la pianificazione estremamente centralizzata, invece che la pianificazione decentralizzata partecipativa con la democrazia diretta sul posto di lavoro. E la difficoltà qui non consiste solo nel fatto che qualcosa di importante non è stato incluso nel dibattito da parte della sinistra, ma che gli obiettivi positivi difesi dalla sinistra -la solidarietà, l'eguaglianza, della responsabilità collettiva- sono stati sovvertiti dalla legge e dall'esperienza del processo decisionale coordinatorista e dalla pianificazione centrale, con in più l'assenza di libertà di parola e di libertà politica. Quando la politica di sinistra guadagnava consenso la continua mancanza di una reale partecipazione istituzionale e di potere da parte dei lavoratori ha voluto dire che il loro entusiasmo e il loro ingegno per abitudine non sono stati liberati verso la direzione sperata. Così, dopo pochi anni di influenza della sinistra sulla politica economica, l'economia alla fine avrebbe vacillato e sarebbe stata legittimata la svolta di destra, sempre sollecitata dai consiglieri sovietici rafforzati dal peso della dipendenza cubana dall'aiuto russo.
Di fronte al crollo del modello sovietico, Cuba non è saltata sul treno del libero mercato preferendo l'alternativa alla risorta economia mercantile e alla svendita all'Occidente. Ma, con l'andare degli anni, cosa possono fare di alternativo?
La possibilità peggiore e purtroppo più verosimile è che insisteranno sull'attuale corso, come hanno fatto nel decennio passato, difendendo il coordinatorismo, cercando nello stesso tempo di correggerne gli abusi peggiori, in nome della "difesa della rivoluzione".
Circa dieci anni fa, quando il sistema sovietico si disgregava prima di scomparire del tutto, allorquando uscì una prima versione di questo saggio, scrissi che l'opzione sopra enunciata "aveva tre problemi principali. Prima di tutto nel lungo periodo non consentirebbe ai lavoratori ed ai consumatori di gestire collettivamente i propri affari. Al contrario perpetuerebbe il governo coordinatorio, senza dare alcuna importanza al buon esito della battaglia per limitare l'appropriazione di privilegi materiali da parte dei coordinatori. In secondo luogo, nel breve e medio periodo farebbe poco per incrementare la produttività e la lealtà della popolazione cubana nel tentativo di evitare le sofferenze che imporrà l'ulteriore isolamento economico. E in terzo luogo, sempre nel breve e medio periodo, farà poco per guadagnarsi il sostegno sociale internazionale, che è l'unica possibilità per alleviare gli effetti delle riduzioni nell'aiuto nel blocco sovietico. Dal punto di vista delle élites cubane, la scelta giusta è quella di continuare a difendere i privilegi dell'élite e di non rischiare di introdurre turbolenze nel breve periodo".
Suggerivo che una seconda preferibile opzione era "che Cuba cogliesse l'opportunità per il ritorno alle idee di Che Guevara e del Fidel Castro di una volta, insieme alla nuova consapevolezza dell'importanza della partecipazione economica. Questo vorrebbe dire instaurare un nuovo sistema economico che ponga l'accento sulla democrazia sui posti di lavoro, sui consigli dei consumatori, sulla fine della divisione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale e su un procedimento di pianificazione decentralizzata, in cui i consigli dei lavoratori e dei consumatori partecipino direttamente all'elaborazione, alla revisione e alla decisione delle loro attività. Il problema di questa opzione è che rischia di introdurre lo scompiglio e di allontanare [totalmente le élites], e, dal punto di vista delle élites nazionali cubane, metterebbe in discussione e forse eliminerebbe i loro privilegi. D'altro canto, oltre ad essere l'unica via per una vera [liberazione], l'approccio di sinistra ha il pregio di risollevare Cuba al ruolo di esperimento primario di liberazione, suscitando così più grande consenso, energia e vigore in patria, e il fondamentale sostegno sociale della sinistra internazionalista in tutto il mondo".
Mi sembra che un decennio sia stato sprecato a percorrere la strada sbagliata, e sì, so certamente che gran parte della colpa è da addebitare alla politica USA di isolamento dell'isola, ma la seconda opzione è ancora possibile. Mi sembra che la sinistra in tutto il mondo, naturalmente impegnata ad impedire i disegni imperiali degli USA, dovrebbe far chiarezza su quale pensiamo sia la via preferibile per andare avanti e su quello che consideriamo come un approccio moralmente sbagliato, socialmente difettoso e suicida, che può condurre solamente al disastro finale.
Sempre nella storia i movimenti e i paesi sono posti di fronte a scelte critiche con implicazioni storiche. Quando il movimento sociale Solidarnosc cominciò ad aver successo in Polonia, aveva la possibilità di preservare la sua composizione proletaria e la sua accentuazione per innalzare i lavoratori al potere di decidere attraverso nuove istituzioni economiche, oppure di gettare tutto questo a mare, per innalzare al poter gli intellettuali, adottare i mercati, la competizione e la logica del profitto, nonostante la loro chiara inadeguatezza. La scelta libertaria fu sconfitta, perché il giovane movimento non ha posto in essere nessun sostegno strutturale e istituzionale per la sua instaurazione. Quando Jesse Jackson galvanizzò nuove energie in tutti gli Stati Uniti, lui e la sua Coalizione Arcobaleno hanno avuto l'opportunità di sviluppare una durevole organizzazione sociale e il movimento democratico, o di subordinare tutto a meschine priorità elettorali. La scelta libertaria fu sconfitta perché, ancora una volta, non furono create nuove istituzioni partecipative. Infine, quando Ralph Nader ha portato avanti una forte e popolare campagna presidenziale, ancora una volta c'era la possibilità di consolidare i successi, creare forse un governo ombra e, in ogni caso, un'opposizione di massa democratica durevole e partecipativa sul piano istituzionale, ma la scelta libertaria è stata nuovamente sconfitta.
La recente ondata internazionale senza precedenti, di attivismo prima contro la globalizzazione, poi contro la guerra in tutto il mondo, ha creato un potenziale per stabilire nuovi livelli di una presenza organizzativa durevole. Si stanno compiendo molti sforzi per mantenerne lo slancio. Dovremo vedere quali saranno i risultati, se nuove strutture consolideranno i successi oppure no.
Allo stesso modo Cuba può continuare nella sua mentalità da assediata e difendere non solo le sue pregevoli realizzazioni, ma anche la burocrazia, la dittatura, la pianificazione centralizzata e la gerarchia sui posti di lavoro, o al contrario può sviluppare la democrazia partecipativa sul piano politico e un'economia veramente liberata, in coerenza con le passate aspirazioni della Cuba rivoluzionaria. Con i suoi ponti con l'Est bruciati, posta di fronte alla persistente e perfino crescente ostilità degli USA, posso solo sperare che Cuba scelga ancora una volta "una rivoluzione nella rivoluzione" e nel sostenere questo non ci può essere nessun compromesso con il potere oppressivo e la smoderata avidità.
Altri vedranno la situazione in maniera differente. Va bene. Ma quelli, che pensano che criticare la dittatura, la pena di morte e le draconiane violazioni della libertà politica equivalga a mettere da parte l'impegno radicale e far lega con l'imperialismo, dovrebbero pensarci due volte.
28 aprile 2003