La sinistra cilena alla prova della dittatura.
La sinistra cilena, colpita duramente dal golpe del 1973, ebbe una seconda opportunità nel quadriennio dicembre 1982-marzo 1986, anni di fortissima radicalizzazione sociale, dai quali però essa uscì, di nuovo, duramente sconfitta. Ripercorriamone le vicende e le ragioni. Michele Corsi. Dicembre 2003.


La congiuntura politica ed economica nel Cile del 1982-83

Pinochet aveva condotto dal 1973 al 1979, sotto la forma della dittatura, una guerra civile interna unilaterale contro la sinistra, disarticolandola, e in generale contro il movimento operaio, annullandone ogni capacità di reazione. Per questo poté permettersi di applicare al Cile una politica neoliberale d'assalto, seguendo alla lettera i dettami della scuola economica di Friedman, i cosiddetti "Chicago Boys": privatizzazioni, abbassamento delle tariffe doganali, licenziamenti, tagli alle spese sociali.

La devastazione di una base economica nazionale almeno in parte autonoma dalle dinamiche del mercato mondiale, fece sì che la crisi recessiva internazionale all'inizio degli anni '80 colpisse il Cile con effetti più disastrosi che altrove. Non solo era compromessa la solidità finanziaria dello stato (debito a 20 miliardi di dollari), e quella della struttura economica (fallimenti a catena): la crisi era scoppiata come una bomba anche nelle case della gente, anche tra coloro che, per ragioni di reddito, vedevano con favore l'esistenza di una dittatura che garantisse l'"ordine" contro i "rossi". Nell'83 il tasso di disoccupazione raggiungeva il 30% e i senzacasa arrivavano a 700.000 unità: immense bidonville circondavano Santiago. I salari reali si abbassavano di giorno in giorno, dato che non riuscivano a stare al passo con un'inflazione che presto aveva raggiunto le tre cifre. Il 55% delle famiglie si trovava sotto la soglia di povertà. Questo spiega perché le rivolte dell'83 prendevano spesso di mira i supermercati: c'era molta gente che, semplicemente, aveva fame. E spiega anche perché alcune forme di protesta (i cazerolazos) toccassero pure i quartieri della classe media, impoverita dalla crisi. Con la crisi economica la dittatura vedeva diminuire ogni giorno il sostegno della propria, ristretta, base sociale.

Solo due anni prima, nel 1980, sicuro del proprio potere, Pinochet aveva potuto imporre al Paese una "costituzione" che prevedeva un periodo di transizione verso la "democrazia" di 8 anni. Questo lasso di tempo così lungo però, con lo scoppiare della crisi, data l'esasperazione sociale, si convertì in un elemento di radicalizzazione e politicizzazione della protesta: la fame non poteva aspettare tanti anni prima di trovare una soluzione. Per questo, quando dilagò il disagio sociale alla fine del 1982, tutta una serie di soggetti appartenenti o vicini alla classe dominante cercarono soluzioni per transitare velocemente il Cile fuori dalla dittatura: parte della borghesia cilena, gli Usa, settori delle stesse forze armate, la Chiesa. Queste forze volevano però, allo stesso tempo, mantenere l'essenziale delle "conquiste" della dittatura: l'impossibilità di tornare ad una situazione come quella del 70-73 quando alla radicalizzazione sociale s'era accompagnata l'occupazione da parte della sinistra di pezzi rilevanti dello stato. Su questa indecisione, come vedremo, giocò abilmente Pinochet. Mentre le classi dominanti tentennavano, masse infuriate di cittadini impoveriti volevano farla finita, e rapidamente, con la dittatura.

La sinistra cilena si trovò così, dopo una sconfitta tra le più terribili nella storia del movimento operaio internazionale, nel giro di dieci anni, ad avere a disposizione una seconda possibilità.

Il movimento operaio alla vigilia della nuova fase

All'inizio degli anni ottanta il movimento sindacale era ridotto ai minimi termini. I licenziamenti, le privatizzazioni, la povertà unite all'impossibilità di organizzarsi capillarmente nei posti di lavoro, avevano frammentato il movimento operaio, tanto da renderlo irriconoscibile rispetto al 1973, quando esistevano forti e strutturati "bastioni operai". Nel 1983, secondo il Ministero del Lavoro, solo il 9% della popolazione economicamente attiva era iscritta ad un sindacato (sotto questa denominazione andavano però anche associazioni di piccoli proprietari). E la gran parte dei sindacati erano "locali", non facevano parte cioé di strutture di "secondo livello" (sindacati territoriali di categoria). Il sindacato più numeroso era quello dei lavoratori del rame (il principale prodotto di esportazione, dal quale il Cile ricavava il 50% delle divise da esportazione), la Confederaciòn de los Trabajadores de Cobre (Ctc) con 26000 iscritti. I sindacati più grandi contavano tra i 3000 e i 6000 iscritti; alcuni erano diretti da sindacalisti vicini alla Democracia Cristiana (Dc), altri da sindacalisti vicini al Partido Comunista (Pc, illegale, ovviamente). Nell'83 la Ctc contava su un Consiglio direttivo formato da 15 persone delle quali 7 della Dc, 5 del Pc e le altre 3 vicine al governo. La Dc era senz'altro un partito espressione di parti importanti della classe dominante, ma, grazie ai legami con la Chiesa, disponeva di un importante radicamento sociale. Inoltre, dato che la dittatura pur di non vedere in giro dei comunisti era disponibile a tollerare sindacalisti Dc, nei fatti questi furono meno colpiti dalla repressione (il che non impedì al regime di assassinare una bella quantità di democristiani). Così, quando nel 78-79 il movimento sindacale muoveva di nuovo i suoi primi passi, furono i sindacalisti della Dc quelli che in concreto poterono mantenere in alcuni casi, e conquistare in altri, l'egemonia sui sindacati di maggior peso. Per capire la differenza con la fase pregolpe, basti pensare che nel '72 i comunisti ottennero il 66% dei voti alle elezioni della Cut, la centrale che raccoglieva tutti i sindacati prima di venir spazzata via dalla dittatura.

La sinistra cilena in effetti aveva subito con il golpe del 1973 una repressione di violenza inaudita. A migliaia i militanti erano stati arrestati, uccisi, torturati, espulsi. Ogni forma di protesta era impossibile, vietate le manifestazioni e le riunioni, censurati i media, controllati ed eterodiretti i sindacati. Dopo questo "trattamento", alla fine degli anni settanta, Pinochet si sentiva sufficientemente sicuro per immaginare un riassetto istituzionale che avrebbe dovuto garantire al Cile un sistema politico che strutturalmente rendesse impossibile il ripetersi dell'esperienza di Unidad Popular.

I primi passi verso la normalizzazione permisero alla fine degli anni settanta un minimo di ripresa, ancora in clandestinità, della sinistra. Una sinistra che però si ritrovava incomparabilmente più debole e priva dei legami sociali che poteva vantare quasi un decennio prima. I due partiti di massa erano stati sino al 1973 il Partido Socialista (Ps) e il Pc. Erano presenti alla loro sinistra una serie di organizzazioni minori, la più importante delle quali era il Movimiento de Izquierda Revolucionaria (Mir). Nel 1983, dieci anni dopo il golpe, questo panorama era abbastanza sconvolto.

Il Ps non esisteva più: al suo posto vi erano più di dieci partiti che per distinguersi l'uno dall'altro aggiungevano il nome del proprio leader a quello dell'organizzazione. Tradizionalmente il Ps cileno aveva ben poco a che fare con i partiti socialisti europei, che considerava in senso spregiativo "riformisti". Il Ps si dichiarava "rivoluzionario" ed assumeva solitamente posizioni più a sinistra del Pc. Dopo il golpe, solo a partire dal '76 riuscì a ricostruire una direzione clandestina, ma molti dei suoi dirigenti più capaci erano in carcere o desaparecidos (Ezequiel Ponce, Ricardo Lagos, Carlos Lorca, ecc.). Tra il '79 e l'inizio degli anni ottanta una serie di scissioni lo polverizzarono. Successivamente, con l'inizio delle mobilitazioni popolari, l'insieme di quest'area politica non riuscì più ad esprimersi in maniera autonoma da uno dei due poli di quella che sarà la nuova opposizione al regime: la Alianza Democràtica (Ad) e il Movimiento Democràtico Popular (Mdp), con netta preferenza per la prima, egemonizzata dalla Dc. L'evoluzione del Ps, dunque, nel suo insieme, prendeva una direzione moderata: nella prima metà degli anni ottanta, i vari pezzi del socialismo si rapportarono sempre più con il socialismo europeo, che assicurava anche appoggi materiali favorendo la ricomposizione del partito, alla fine degli anni ottanta, intorno ad un asse classicamente socialdemocratico.

Il Pc fu duramente colpito negli anni della repressione e molti dei suoi dirigenti e militanti furono assassinati. Il segretario generale Luis Corvalàn fu liberato alla fine del '76 e costretto all'esilio, da dove comunque cercava di ricostruire le fila dell'organizzazione nel solco della tradizione moderata di questo partito: tipici i suoi appelli all'unità oltre che con la Dc, che aveva favorito il golpe, anche con "settori democratici delle forze armate". Pur indebolito, era riuscito a ricostruire un minimo di apparato, anche grazie all'aiuto dell'Unione Sovietica. Il Pc da molto tempo costituiva l'ala moderata del movimento operaio cileno: sosteneva una strategia di rivoluzione a tappe (etapista) secondo la quale non ci poteva essere in Cile (come in qualsiasi altro Paese "arretrato") una rivoluzione socialista senza prima aver portato a termine una rivoluzione "democratica", una rivoluzione cioé realizzata insieme alla "borghesia nazionale" e che aiutasse il Cile a diventare un Paese capitalista "avanzato". Solo dopo si sarebbe potuto parlare di cambiamenti di carattere "socialista". Questa impostazione portò ad una pratica politica fatalmente compromissoria: il Cile, come tutti i Paesi capitalisti dipendenti, non ha una vera e propria borghesia indipendente dal capitale internazionale, al quale continuamente si appoggia. La borghesia "nazionale" cilena ad esempio vide con estremo favore l'intervento "straniero" della Cia, per mettere fine, con il golpe del '73, al governo Allende. Ma questa illusione aveva sempre spinto il Pc a cercare accordi al ribasso con le forze politiche che erano espressione della classe dominante locale, dunque con la Dc, la quale Dc, ovviamente, di questo abbraccio non sapeva che farsene, se non utilizzarlo quando le faceva comodo per frenare e demoralizzare i movimenti sociali. In ciò comunque il Pc cileno non si distingueva dagli altri Pc latinoamericani (e non solo), fedeli seguaci di una linea dettata dall'Unione Sovietica.

Il Mir era stato gravemente colpito dalla repressione: quasi tutti i suoi dirigenti erano stati uccisi dalla dittatura. Questo partito era nato nel 1965 sull'onda della vittoriosa rivoluzione cubana. Esso si proponeva di ripetere anche in Cile la stessa dinamica. Dunque si considerava una organizzazione "politico-militare", e questi due aspetti convissero sempre in diversa misura al suo interno, spesso vedendo il secondo prevalere sul primo. La convinzione di fondo infatti era che attraverso l'azione armata, magari anche solo di carattere propagandistico, fosse possibile "accumulare forze" (formare quadri, reclutare militanti, rafforzare le classi oppresse). La strategia politica e il lavoro di massa invece venivano messi molto spesso in secondo piano, o considerati in maniera separata dal lavoro militare. Anche in piena dittatura il Mir tentò avventure "fuochiste" (l'ipotesi secondo la quale accendendo un "fuoco rivoluzionario", cioé cominciando un'azione di guerriglia in qualche luogo, anche isolato, poi l'incendio sarebbe divampato ovunque), come quella di Neltume, sulla quale vale la pena soffermarsi un momento perché significativa della psicologia politica di questo gruppo. Nel 1978 l'organizzazione, ridotta dalla repressione ai minimi termini, analizzando la fase politica, arrivò alla conclusione, giustamente, che nel Paese si stava dando una ripresa seppur minima dell'attività delle masse. Ma invece di lavorare per incoraggiare questa riattivazione dal basso e con i tempi della gente, necessariamente lenti, il Mir decise di "passare all'offensiva", sviluppando una strategia di "guerra popolare", e costruendo due fronti guerriglieri rurali nel Sud del Paese: Neltume e Nahuelbuta. L'organizzazione, senza alcuna preparazione previa sul terreno, e senza alcun legame con i contadini del luogo, fece giungere clandestinamente all'inizio del 1980 un gruppo di esiliati a Neltume, che dal giugno all'ottobre dell'anno seguente furono rapidamente spazzati via dall'esercito, mentre il secondo "fronte guerrigliero" si scioglieva senza scontrarsi col nemico. Il bilancio tratto dal Mir da questa esperienza era che il Cile stava attraversando una fase di riflusso prolungata, e arrivò a questa conclusione sulla base della sua sconfitta militare. La radicalizzazione dell'82-83 colse dunque il Mir di sorpresa. A differenza però di altri gruppi simili dell'area (Eln boliviano, Prt argentino, Tupamaros uruguaiani) spariti negli abissi delle dittature: c'era.

Le manifestazioni dell'82-83

Tra il dicembre 1982 e il gennaio 1983 ci furono varie manifestazioni di piazza contro il carovita alle quali il regime reagì con forza. Nel marzo '83 la Ctc organizzò uno sciopero (il primo dal '73) dei lavoratori del rame nelle grandi miniere di El Teniente, El Salvador, La Andina: il livello dei salari era insostenibile. Il sindacato disponeva di una nuova dirigenza: alla fine dell'82 Rodolfo Seguel (un cassiere di 29 anni licenziato da una miniera), appartenente ad una corrente progressista della Dc, aveva sostituito nel ruolo il presidente Emilio Torres, che comunque aveva schierato il sindacato già dall'81 contro la dittatura. Il regime rispose occupando militarmente le miniere. I minatori indirono allora una giornata nazionale di protesta per l'11 maggio.

La giornata fu un successo al di sopra di ogni aspettativa e presto ne seguì una seconda, il 14 giugno, una terza, il 12 luglio, ed una quarta, l'11 agosto. La dittatura reagì con la repressione (l'11 agosto finiva con 32 morti e 200 feriti), ma fu costretta a delle concessioni: aboliva lo stato d'emergenza in vigore dal 1977 e quindi anche il coprifuoco. L'8 settembre, la quinta giornata di protesta (dove 11 persone rimasero uccise) si protraeva fino all'11. Data la frammentazione dei lavoratori e la loro debolezza sui posti di lavoro, queste protestas non erano dei veri e propri scioperi generali, ma l'irruzione nelle strade, e sulla scena politica, di una nuova generazione che non aveva conosciuto la sconfitta di dieci anni prima, e che proveniva in gran parte dalle poblaciones, le baraccopoli che circondavano la capitale. Non c'erano dunque solo lavoratori, ma disoccupati, poveri, giovanissimi. L'indizione di queste giornate era ancora in mano a settori di centro: Ctc, ed anche Ad, la coalizione politica legata alla Dc. La repressione colpì dunque anche questi settori: il leader democritisano Valdes venne arrestato per qualche giorno a maggio, e poi malmenato in una manifestazione, e Seguel fu incarcerato varie volte.

L'andamento di queste protestas sfuggiva però largamente al controllo di chi le aveva convocate. Le masse di giovani e disoccupati occupavano i propri quartieri accendendo fuochi e costruendo barricate, e attendendo l'arrivo dei soldati e dei carabinieri. Questi, appena giunti, sparavano e disperdevano la gente, che si agglutinava poi in nuove manifestazioni, mentre ovunque risuonavano i cacerolazos, i concerti di pentole. Queste modalità erano dovute alla forza dell'esasperazione dovuta alla repressione e alla crisi economica, ma costituivano anche un portato della debolezza del movimento. Il regime aveva fatto tabula rasa delle strutture della sinistra e dunque la grandissima parte dei manifestanti non disponeva di alcuna organizzazione di riferimento, e nemmeno, dunque, era in grado di uscire per darsi un appuntamento centrale nella capitale: le proteste rimanevano confinate nelle poblaciones, il nocciolo duro dell'opposizione a Pinochet. I pobladores mancavano di esperienza, erano giovani dai 12 ai 20 anni, e solo in alcune situazioni si facevano vivi i militanti di organizzazioni clandestine. Cominciava per la sinistra una lotta contro il tempo per riuscire a penetrare in questa massa in rivolta e disputare con il centro l'egemonia dell'opposizione al regime.

La sinistra si riorganizza

Nell'agosto 1983 Pinochet reagiva al clima di radicalizzazione sociale nominando Onofre Jarpa ministro dell'Interno, un vecchio capo di un partito di estrema destra (il Partito Nazionale, che a suo tempo aveva appoggiato il golpe), ben visto da una borghesia cilena che cominciava a vedere con una certa inquietudine la mancanza di iniziativa politica della dittatura. Nello stesso mese (il 6) la Dc dette vita ad Alianza Democràtica, un'aggregazione che riuniva anche liberali, radicali e la gran parte della galassia socialista (che ormai aveva abbandonato il marxismo, si avvicinava alla socialdemocrazia europea e sosteneva la "disobbedienza civile", contrapponendola ad una lotta armata non esclusa dal Pc e praticata dal Mir). Il fine di Ad era quello di aprire un "tavolo" con il regime per un'uscita negoziata dalla dittatura. Jarpa cominciò a trattare con l'opposizione moderata, sotto l'auspicio delle gerarchie ecclesiastiche (che avevano appoggiato il golpe nel '73, ma che, allarmate dalla disgregazione sociale indotta dalla crisi e dal clima di radicalizzazione, premevano per la democratizzazione). Cominciò così un balletto in cui Pinochet riuscì a paralizzare Ad incastrandola nel "dialogo", cioé in discussioni senza fine sulle "riforme" del regime, ma senza cedere nulla nella sostanza.

In realtà anche il Pc avrebbe voluto non essere escluso dalla "transizione", e si dette uno strumento politico in grado di "agganciare" Ad. A settembre dette vita così al Mdp, insieme al Ps-Clodomiro Almeyda, a settori della sinistra cristiana e del partito radicale e, dopo qualche tentennamento (perché rendeva l'Mdp meno "presentabile"), anche al Mir. Questo blocco si proponeva la caduta della dittatura, e la lotta contro di essa "senza escludere alcun mezzo". E su questo punto occorre soffermarci.

Il Pc attuò nell'83 un completo cambiamento di linea. Come dicevamo, esso era tradizionalmente moderato, ma, spinto dal clima di protesta e dalla necessità di recuperare radicamento sociale per poter contare qualcosa, formulò una strategia che aveva tratti di ambiguità, ma che alle orecchie dei pobladores radicalizzati e spoliticizzati suonava assai bene: quella della "ribellione popolare". Da quel momento dunque attuò su due piani: da un lato rinnovava continuamente le sue offerte di alleanza con la Dc e l'opposizione moderata, ma dall'altra dichiarava che nella lotta alla dittatura erano legittime tutte le forme di azione, e dunque, anche la lotta armata. Per questa ragione la Dc lo teneva ai margini chiedendogli continuamente di "scegliere". Ma il Pc, reclutando ormai a ritmi sostenuti tra la massa dei giovani delle poblaciones sulla base della linea della "ribellione popolare", non poteva permettersi di "scegliere", pena il rischio di non riuscire a ricostruirsi: e ciò lo teneva distante dalla stanza politica della borghesia "nazionale" nella quale avrebbe voluto a tutti i costi entrare.

Del resto tra quegli stessi pobladores l'ipotesi della lotta armata immediata era la forma più semplice e radicale per esprimere il proprio bisogno di farla finita, subito, con la dittatura. Non dimentichiamo che gran parte delle centiaia di vittime di quegli anni di sollevazione antipinochet erano giovani delle periferie. Per questo il Mir (con la cui "concorrenza" il Pc doveva fare i conti) godeva di un certo prestigio nei quartieri popolari, soprattutto tra i più giovani: si presentava senza tante ambiguità come "organizzazione combattente". Questa organizzazione riprese le azioni armate (sabotaggi alle linee elettriche, qualche attentato a ufficiali del regime, come il prefetto di Santiago, ucciso nell'agosto 83), spesso di carattere "sostituzionista", tendenti cioé a sostituire con l'uso delle armi, le azioni che in prima persone avrebbero potuto compiere i movimenti con i loro mezzi, ad esempio nel caso di conflitti sindacali. Nel complesso comunque, il Mir rimaneva, più del periodo pregolpe, sostanzialmente legato al Pc e alla sua strategia, pur respingendo teoricamente l'etapismo. In questo legame sempre più stretto con il Pc influirono anche le pressioni dirette di Cuba, Paese al quale l'organizzazione era da sempre legata.

Anche il Pc però, pena l'annullarsi del suo rapidissimo radicamento tra i pobladores, non poteva ignorare la spinta che veniva dal basso per passare alla prova dei fatti la linea della "ribellione popolare". Costituì così nel dicembre '83 il Frente Popular Manuel Rodriguez (Fpmr), che si convertì presto nella formazione armata più conosciuta ed efficiente. Formalmente essa si presentava come "braccio armato del popolo cileno" e non aveva altro programma politico se non l'abbattimento del regime. Il Pc non voleva figurare come suo fondatore, e negava qualsiasi legame con quella struttura, obbligando i suoi membri che vi aderivano a lasciare il partito. Nei fatti era uno strumento del Pc, che cercava di mantenere l'insieme delle azioni armate entro determinati limiti. La dinamica della radicalizzazione sociale però, convertiva questa organizzazione in una sorta di mito delle poblaciones ed attraeva moltissimi giovani, e ciò non poteva che provocare, come provocò, acute contraddizioni con le vere intenzioni del partito. Le azioni armate del Mir e del Fpmr erano utilizzate a piene mani dal regime per giustificare la continuazione della dittatura e dalla Ad per spiegare l'esclusione del Pc dalle negoziazioni (per non sapersi decidere tra lotta armata e metodi "democratici"), ma nel complesso le azioni armate ebbero una portata modesta e non costituirono mai un serio pericolo per il regime.

L'isteria anticomunista della dittatura però, insieme alle tendenze conciliatorie del centro, spostarono l'asse dell'opposizione popolare sempre più verso sinistra, e soprattutto verso il Pc, che appariva a livello di massa, la forza più antiregime. In occasione della sesta giornata di protesta dell'11 ottobre la sinistra dimostrò così di aver riacquistato un peso decisivo, grazie alla radicalità della propria proposta politica: su iniziativa dell'Mdp le proteste si prolungarono di due giorni riuscendo anche a mettere in campo una manifestazione centrale a Santiago che fu un successo, e costringendo così anche Ad a scendere sullo stesso terreno: dopo la settima giornata di protesta del 27 ottobre, il 18 novembre Ad riuniva in una manifestazione a Santiago 800.000 persone. Il 24 marzo 1984, alla vigilia di una nuova giornata di protesta, Pinochet ristabiliva lo stato d'emergenza, ma il 27 marzo, ottava giornata di protesta, riusciva lo stesso e con manifestazioni che proseguirono anche nei giorni successivi. L'11 maggio 1984 il Comando Nacional de Trabajadores (Cnt) chiamava alla nona giornata di protesta.

A livello sindacale la corsa dei partiti a costruirsi i propri "fronti di massa" aveva portato la Cnt a promuovere un processo di aggregazione intorno a sé fondando il Ctc, ancora a egemonia democristiana. Vari settori Ps avevano dato vita alla Conferencia Sindical Socialista, mentre il Pc rimase indietro nella costruzione del suo radicamento sindacale. Se infatti a livello politico si avvantaggiava tra i giovani della sua nuova strategia di "ribellione popolare", a livello sindacale pesava la sua anima moderata e "consociativa" che gli rendeva difficile essere conflittuale con il padronato "nazionale".

In ogni caso anche il movimento sindacale "classico" andava centralizzandosi, ristrutturandosi e rafforzandosi. Dopo l'undicesima giornata di protesta dell'8 ottobre fu proclamato per il 30 ottobre 1984 uno sciopero generale da un'assemblea di sindacalisti dominata dal Cnt. Nei fatti fu però l'Mdp ad essere protagonista assoluto delle mobilitazioni di piazza, segnalando una secca avanzata dell'influenza della sinistra anche al di là dei disoccupati e dei giovanissimi. Fu un tale successo che l'insieme della borghesia cilena ricominciò per un momento a vedere in Pinochet l'unico argine possibile contro i "rossi". Pinochet, col fiuto che lo contraddistingue, il 7 novembre proclamò lo stato d'assedio.

Dopo la fine dello stato d'assedio

Lo stato d'assedio durò sino al giugno 1985 e in quel periodo vennero arrestate più di 33.000 persone, mentre altre centinaia vennero deportate. La censura si generalizzò e ogni riunione fu proibita. Gli assassinii selettivi, ripresero vigore e il regime occupò più volte i quartieri popolari con rastrellamenti di massa. Il 27 novembre un tentativo di protesta che doveva durare due giornate fu soffocato sul nascere. Ma non si ebbe un riflusso del movimento popolare, anche perché le cause economiche della crisi politica rimanevano in campo nella loro acutezza. La posizione di Pinochet s'era ulteriormente indebolita. Una serie di scandali avevano colpito il regime, tra cui l'affaire di tre dirigenti comunisti trovati sgozzati nel marzo '85 e i cui responsabili furono individuati tra i carabinieri. Vari membri della Giunta incontravano regolarmente l'opposizione borghese. La dittatura non riusciva a ricostituire le proprie basi. La tensione con le gerarchie ecclesiastiche era forte e Pinochet faticava a ricomporre i contrasti interni alla dittatura.

La fine dello stato d'assedio trovava una sinistra, dal punto di vista organizzativo, più forte di prima, ma nei quartieri la sinistra non aveva costruito organismi dotati di un minimo di autonomia e che contribuissero a formare una base popolare forte e consapevole, per paura di perderne il controllo: preferiva qualche azione armata in più per guadagnare prestigio, che costruire strutture di "potere popolare". Con il Fpmr il Pc aveva ripreso il controllo di ogni attività militare tra i giovani, prevalendo anche sul Mir. Molti giovani che aderivano alla sua linea, davano di questa una lettura di sinistra, come se si trattasse della strategia che aveva portato alla vittoria il Frente Sandinista (Fsln) in Nicaragua. In realtà quella del Pc era invece una lotta armata "di pressione", non strategica. Perché la strategia rimaneva quella dell'accordo con la Dc e della rivoluzione a tappe. Il Pc non aveva cioé alcuna intenzione di approfittare della situazione di estrema radicalizzazione sociale per porre sul terreno la questione della "rottura rivoluzionaria": era favorevole all'abbattimento di Pinochet, ma anche alla salvaguardia delle forze armate, alle quali lanciava continuamente dei segnali (gli appelli ai "settori democratici delle forze armate"). E nemmeno poneva l'accento sulla questione sociale: aveva in mente un accordo largo con la Dc per governare insieme un periodo di sviluppo "capitalista". Il Mir del resto aveva perso l'autonomia strategica nei confronti del Pc, col quale condivideva gli stessi riferimenti internazionali, pur essendo in teoria contrario alla "collaborazione di classe".

Il movimento di massa vedeva dunque la crescita dei propri referenti politici, ma soffriva comunque la contraddizione tra il proprio carattere esplosivo ed una persistente debolezza organizzativa. Anche il processo di unificazione del movimento sindacale procedeva con ritmi più lenti della necessità sociale di cambiamento: nel 1985 esso era ancora diviso tra il Cnt, il Movimiento Sindical Unitario, gestito dai socialdemocratici, e il Comando Metropolitano de los Trabajadores, presente a Santiago e animato da militanti del Pc e di altre organizzazioni. Solo nell'agosto del 1988 si riuscì a rifondare la Cut.

Nonostante questi ritardi, una volta cessato lo stato d'assedio, la gente aveva ricominciato a muoversi con la stessa energia dell'83. Anche il movimento studentesco si mobilitava. Nell'85 si verificarono una serie di occupazioni nelle scuole superiori, dove gli studenti chiedevano più mezzi materiali e più democrazia. Gli universitari (dove le forze della Dc e del Mdp più o meno si equivalevano) si battevano per l'allontamento dei rettori voluti dalla dittatura. La "transizione" si annunciava in Cile molto più difficile che in Brasile, Argentina o Uruguay, proprio perché vi era un movimento di massa difficilmente controllabile. Una serie di manifestazioni tra luglio e novembre culminarono nella grande protesta del 4/5 novembre 1985. Il momento era favorevole per il colpo finale contro la dittatura.

Ma sia la Dc che il Pc stavano scartando l'ipotesi dello scontro frontale con Pinochet. Il Cnt rifiutò di proclamare lo sciopero generale (che sarà fatto solo il 2/3 luglio '86) e quando gli studenti si misero in sciopero nell'aprile '86 furono lasciati soli, venendo gravemente sconfitti. Nell'aprile del 1986 si era costituita l'Assemblea Civile dove si ritrovarono sia il Pc che la Dc, ma con una secca egemonia di quest'ultima: in quell'ambito ogni associazione contava un voto (il voto del Cnt contava quanto quello dell'associazione giornalisti), e dato che vi si trovavano parecchie associazioni professionali e corporative legate alla Dc, questa era quella che dettava l'agenda politica. Il Pc accettava i dettati dell'Assemblea civile, e quindi nei fatti consegnava alla Dc la direzione del movimento di massa. A giugno il Mdp affermò di essere disposto a sostenere un governo d'emergenza anche con dei militari "democratici", allineandosi dunque alla posizione della Dc, sostenitrice della "riconciliazione" tra popolo ed esercito.

Facendo leva sulle incertezze delle direzioni politiche delle opposizioni Pinochet fu in grado di riprendere l'iniziativa. Ribadì la sua volontà di rispettare le tappe della transizione che lui stesso aveva imposto nel 1980, e che prevedevano la sua eventuale dipartita solo nel 1989. Quel che era impensabile alla fine del 1985 si realizzò nel marzo-aprile '86: il regime scatenò una repressione massiccia attaccando con energia ogni manifestazione e tra aprile e maggio rastrellò una quarantina di poblaciones dove vennero arrestate 15000 persone (il 20% degli abitanti)! Lo sciopero generale del 2 e 3 luglio arrivò troppo tardi: la fiducia nelle mobilitazioni aveva cominciato a retrocedere. Così la prima giornata fu un successo, un insuccesso la seconda. Pinochet continuava ad essere quello di sempre: nel corso della protesta i carabinieri cosparsero di benzina due giovani e li bruciarono vivi nel centro di Santiago.

Dopo lo sciopero il Pc dichiarò di accettare un governo militare senza Pinochet, che applicasse immediatamente i punti inclusi nell'accordo nazionale sottoscritto dalle forze di centrosinistra sotto gli auspici dell'arcivescovo di Santiago Monsignor Fresno. La posizione scavalcò in moderazione quella della Dc, che voleva invece un governo chiaramente "civile". Era cominciato il riflusso del movimento di massa, e dunque il Pc, sentendo meno pressione dalla base, poteva permettersi di spostare sempre più in senso moderato le proprie posizioni politiche, ricollocandosi nell'alveo della sua tradizione. Il mutamento di linea si rafforzava nel dicembre '86 con un "appello al dialogo per una concertazione democratica" firmata da Corvalan per il Pc (dall'estero), da Luis Maira per la sinistra cristiana e Clodomiro Almeyda per il Ps (che era rientrato nel marzo dall'estero e subito esiliato nel sud). L'appello affermava tra l'altro: "E' possible con la partecipazione attiva del popolo giungere a certe condizioni, con le forze armate, a un reale processo di transizione alla democrazia", si scartava allo stesso tempo "la via della sconfitta militare della dittatura e quella delle negoziazioni all'interno del sistema" per scegliere invece "la sconfitta politica della dittatura, via difficile ma sicura". Il Pc sceglieva così la carta dell'uscita dalla dittatura attraverso manovre politiche con i militari e l'opposizione moderata, scartando ogni prospettiva di rivolgimento della dittatura attraverso una mobilitazione del popolo cileno per imporre elezioni libere e una assemblea costituente. A sua volta anche l'opposizione borghese si sentiva rassicurata e di fatto finì, pur contestandola a parole, per accettare il calendario della costituzione del 1980. Alla fine dell'86 la direzione della Dc passava dal progressista Valdes al reazionario Patricio Aylwin (ai vertici della Dc prima del golpe, che vide con favore), che accentuò la nuova strada, una strada che accettava l'agenda del regime ed escludeva la pressione della piazza.

L'agenda di Pinochet, scritta nella "costituzione" del 1980, prevedeva nel 1988 un plebiscito dove i cittadini avrebbero dovuto votare sì o no al candidato unico che la Giunta avrebbe presentato. In caso di vittoria questi sarebbe restato al potere altri 8 anni, in caso di sconfitta si sarebbero indette delle elezioni l'anno successivo.

Da luglio a settembre le mobilitazioni presero un corso discendente e la giornata del 4 settembre '86, convocata in forma separata da Assemblea Civile e dal Mdp, fu chiaramente un insuccesso totale. Il 7 settembre il Fpmr realizzò un attentato contro Pinochet: la scorta venne annientata, ma lui si fece solo un graffio ad una mano. Di nuovo venne proclamato lo stato d'assedio.

La rivincita di Pinochet

Il nuovo stato d'assedio durò sino al gennaio '87. Centinaia furono gli arresti, le perquisizioni nelle poblaciones e gli assassinii di militanti politici e sindacali.

Pinochet rimaneva isolato: nella Giunta godeva dell'appoggio del solo esercito, mentre marina e aeronautica flirtavano con l'opposizione moderata. Questi soggetti, così come la Chiesa ed anche gli Usa, avrebbero voluto sostituire il plebiscito con elezioni dirette. Ma Pinochet, forte della diminuzione delle proteste, decise di andare avanti comunque e nell'87 fece ricostruire i registri elettorali distrutti dalla dittatura, ma con meccanismi di iscrizione che scoraggiavano i settori popolari (chi si iscriveva doveva mettere in conto la perdita di qualche giorno di lavoro e il pagamento di tributi) e varò una legge sui partiti che vietava comunque l'esistenza di partiti comunisti. La Dc, pur protestando, giocava ormai con le regole della dittatura. Il Papa nella visita dell'87 diede una mano al dittatore, non facendo parola della violazione dei diritti umani, apparendo in più occasioni insieme a Pinochet, e chiedendo la "riconciliazione nazionale".

L'iniziativa era ormai saldamente tornata nelle mani di Pinocho, come veniva chiamato il dittatore dai pobladores, e si diffuse una forma di fatalismo e di aspettativa nei confronti degli appuntamenti elettorali stabiliti dalla dittatura, accettati dal centro, e con una sinistra che dimostrava di non aver alcuna visione strategica alternativa. Per questo la mobilitazione del 25 marzo '87, convocata dalla Cnt, fallì.

Il Mdp fece inizialmente appello a non iscriversi alle liste elettorali. Ma ormai era chiaro che la sua strategia, tesa all'alleanza strategica con la Dc, mantenendo allo stesso tempo quel minimo di attività armata che serviva a soddisfare le esigenze di radicalità della gioventù, era arrivata al capolinea. E ciò produsse una serie di divisioni.

Nel Pc si aprì un aspro dibattito tra coloro che sentivano come un peso la pur limitata attività armata e attribuivano a questa l'esclusione dalla transizione, e quelli che avevano preso sul serio la nascita del Fpmr, immaginando che fosse il nucleo di un futuro Fsln. Significativa a tal proposito fu la scoperta da parte dei militari di un gigantesco arsenale (50 tonnellate di materiale), poi rivendicato dal Fpmr, nel luglio 1986. Fino a quel momento il Fpmr era stata un'organizzazione che si era limitata a sabotaggi ai pali della luce e ad attentanti ad ufficiali del regime. Il ritrovamento mise in luce una profonda contraddizione: evidentemente da un lato vi era chi pensava che l'organizzazione potesse fare lotta armata sul serio (e preparava milizie nelle baraccopoli facendole sfilare tra gli appalusi, stimolava la diserzione dall'esercito accogliendo nelle proprie file i militari transfughi, prevedeva l'uso massiccio di armi e la loro distribuzione di massa, ecc.), dall'altra vi era chi non vi credeva affatto ed aveva fatto sì che tutto quell'armamentario fosse tenuto in naftalina. Questa crisi si dette nonostante che l'onda lunga della radicalizzazione dell'83-85 si facesse sentire finalmente anche nelle organizzazioni più strutturate, oltre che nelle baraccopoli: tra gli studenti universitari nelle elezioni del novembre '86 la Dc ebbe una leggera predominanza, e l'Mpd raggiunse il 40%. Nelle elezioni della Ctc dell'aprile '87 un socialista guadagnò la presidenza, e dei 15 membri della direzione 7 erano dell'Mpd, 3 indipendenti e 5 della Dc (che aveva dominato il sindacato fino alle dimissioni di Rodolfo Seguel nell'agosto '86).

Ma nel partito cominciava una gravissima crisi. La svolta moderata si scontrava non tanto con la teoria quanto con una pratica di 4 anni: le prime grandi manifestazioni avevano gettato sulla strada una generazione di giovani con impostazione radicale, uscita dalla miseria delle poblaciones e che voleva farla finita con Pinocho, per questo era assai poco disponibe ai giochi dell'opposizione borghese. La dittatura per questa gente significava rastrellamenti, assassinii indiscriminati, disoccupazione, la zuppa popolare, la sopravvivenza giorno per giorno. Il Pc s'era ricostruito ed ampliato sulla parola d'ordine della ribellione popolare, con le energie di giovani che sapevano ben poco della sua tradizionale moderazione anche ai tempi dell'Unidad Popular. Del resto il Fpmr non aveva ufficialmente una linea politica, ma la sua pratica era difficilmente conciliabile con i propositi di dialogo del Pc con le forze armate. Così il partito giunse a criticare apertamente nell'87 la lotta armata e a provocare una scissione del Fpmr nell'intento di riprenderne il controllo. Sul plebiscito il Pc chiamò la gente a iscriversi nelle liste elettorali ma senza andare a votare (una tattica che nessuno capì), a giugno però si schierò per il NO, mentre il Fpmr, in via di rapidissimo indebolimento, manteneva la parola d'ordine del boicottaggio del plebiscito, anche se annunciava una tregua delle azioni armate. Dunque: massima confusione.

Anche il Mir conosceva una grave crisi nel 1987: sul bilancio del fatale anno 1986, sulle prospettive, sul modello di costruzione del partito. Andrè Pascal Allende, segretario del Mir dopo la morte di Miguel Enriquez nel '74, si trovava nella scomoda posizione di dover difendere allo stesso tempo il rifiuto di negoziare con le forze armate e la partecipazione all'Assemblea Civile, che invece voleva questo, e nella quale il Mir stava per sudditanza nei confronti del Pc. Un'altra ala, che contava tra i suoi dirigenti Jorge Flores, premeva per superare definitivamente la natura di organizzazione politico-militare e finirla con l'ideologia fuochista. Quest'ultimo settore andò in minoranza, e venne espulso da un'organizzazione che non era particolarmente rinomata per il livello di democrazia interna.

Pinochet intanto, forte anche di una certa ripresa dell'economia, andava avanti col suo progetto. Così il 2 febbraio dell'88 i 13 partiti dell'opposizione moderata, compreso Clodomiro Almeyda che lasciò il Pc al suo destino, dettero vita alla Concertacion por la democracia che si proponeva di portare avanti la campagna per il NO in occasione del plebiscito; portavoce venne nominato Patricio Aylwin. Il regime condusse una sua particolare campagna elettorale, adottando una serie di misure atte a mostrare all'estero che il regime era maturo e poteva aspirare a trasformarsi in una "democrazia protetta", come ve n'erano altre. Così, nell'agosto, poneva fine all'esilio di diversi cittadini, concedeva uno spazio gratuito sui mezzi di comunicazione al fronte del No e a settembre firmava la convenzione dell'Onu contro la tortura, anche se opponendo alcune obiezioni.

Il 31 agosto 1988 la Giunta sceglieva Pinochet come candidato unico per il plebiscito. In settembre l'opposizione riprendeva la strada, centinaia di migliaia di persone manifestarono per il NO, in gran parte seguendo le indicazioni di mobilitazione della Concertacion, dove non figurava il Pc. Il baricentro dell'opposizione era tornato di nuovo, dopo 5 anni, al centro moderato.

Alla dittatura non riuscì di rovesciare il risultato coi brogli: lo scarto era troppo: 54,7% contro il 43%, e il giorno della vittoria masse festanti si riversarono in strada al grido di "que se vaya ahora!". Dopo la sconfitta Pinochet indì le elezioni per l'anno seguente (come prevedeva la sua "costituzione") e fece una qualche concessione all'opposizione negoziando ad esempio la riduzione del mandato presidenziale da 8 a 4 anni. Queste riforme vennero approvate nel referendum del 30 luglio 1989.

Il 14 dicembre le elezioni presidenziali furono vinte da Patricio Aylwin con il 55,2% insieme alla Concertacion battendo la destra pinochetista di Hernan Buchi che arrivò al 29%. Il Pc dette indicazione di voto a favore di Aylwin mentre alle elezioni parlamentari la sinistra (sotto la sigla del Partido Amplio de la Izquierda Socialista, perchè la sinistra marxista era ancora illegale) non superò il 23% (aveva il 45% durante il governo di Unidad Popular). Nessuno dei 17 candidati comunisti venne eletto.

Questa ulteriore sconfitta approfondì ulteriormente la crisi del Pc. Già il XV congresso, svoltosi ancora in clandestinita' tra l'88 e l'89, vedeva la lotta tra diverse correnti mentre il vecchio Corvalan si fece da parte e Volodia Teitelboim venne eletto segretario generale. Alle sconfitte si aggiunse lo shock del crollo dell'Urss: i vecchi dirigenti del Pc erano stati solo pochi mesi prima a celebrare a fianco di Honecker l'anniversario della fondazione della Rda. Per spiegarlo ricorsero a contorsioni ("noi siamo stati i precurosri della perestroika", quando nella realtà il Pc cileno non ebbe mai esistazioni ad appoggiare qualsiasi azione dell'Urss, anche la più nefanda) o ad omissioni (come nel giugno 89 quando, in occasione della conferenza nazionale di partito, il crollo del blocco socialista venne liquidato con poche parole - "seguiamo con attenzione e inquietudine" -). Nel '90 la crisi precipitava in una spirale di espulsioni e dimissioni (il 40% del CC della gioventù comunista rinunciava all'incarico). Un settore più moderato accusava il partito di essere stato ambiguo verso la lotta armata e di aver perso il treno della Concertacion, altri settori più a sinistra rimproveravano la sostanziale sudditanza del partito alla Dc.

Il resto della sinistra: i socialisti, in via di unificazione, guadagnavano 3 ministri all'ombra del governo della Dc, il Mir si ritrovava diviso in tre frazioni e il Fpmr, autonomizzato dal Pc, continuava fino al '91, quando annunciò l'abbandono della lotta armata, ad esercitarsi in azioni prive ormai di senso (ad esempio durante lo sciopero generale del 19 aprile '89, per favorire la liberazione di due sindacalisti, organizzò una serie di attentati ai tralicci dell'alta tensione che misero al buio il Paese).

Pinochet intanto restava a capo delle forze armate e a tutt'oggi le forze politiche cilene non sono riuscite ad imporre proprie modifiche alla costituzione del 1980, né a punire i responsabili dei massacri di 16 anni di dittatura.

Tumultuosamente, tra la fine dell'82 e l'inizio dell'86, le masse cilene cercarono di ricostruire le proprie organizzazioni, le poprie direzioni, le proprie strategie. Ma a guidarle in questa ricerca era una sinistra che aveva già fallito dieci anni prima senza aver mai realmente compreso la natura dei propri errori. Una sinistra che si dichiarava comunista e rivoluzionaria, ma che era assolutamente decisa a non toccare le forze armate (il Pc) e una sinistra minoritaria che praticava la lotta armata invece di lavorare perché questa fosse al momento opportuno praticata dalle larghe masse e non da minoranze illuminate (Mir). Andrès Zaldivar, esponente della Dc, dichiarava spaventato il 14 luglio '86: "che succederebbe se domani 150000 persone dei quartieri popolari, che oggi sono umiliati, trovassero una direzione politica e scendessero nelle strade di Santiago?". Per sua fortuna, quelle "persone dei quartieri popolari" hanno lottato, si sono battute, sono state uccise senza mai trovare una direzione politica degna del loro sacrificio.