Tutto 
  può accadere come trent'anni fa
  Un'analisi 
  sull'attuale situazione iraniana, dove il popolo cerca di porre con decisione 
  la questione della costruzione di uno stato veramente libero e laico (di Alberto 
  Negri - da Il 
  Sole 24 Ore) . Reds - Dicembre 2009
 
  
  La famiglia rivoluzionaria iraniana, che ha tenuto insieme questo regime per 
  trent'anni, si sta sfasciando. 
  Al culmine dell'Ashura, le celebrazioni del martirio di Hussein a Kerbala nel 
  680, massima espressione religiosa e popolare dello sciismo, nelle piazze di 
  Teheran si uccidono tra i manifestanti personaggi come il Seyed Ali Moussavi, 
  nipote di Moussavi, ed esponente di una famiglia discendente da Maometto, fulminato 
  da una fucilata alla schiena. 
  In carcere finiscono studenti, riformatori e anche Alì Behesti, figlio 
  del Grande Ayatolla Behesti, uno dei fondatori della rivoluzione, ucciso da 
  martire in un attentato negli anni 80. Gli stessi siti di informazione conservatori 
  annunciano l'arresto di decine di religiosi e insegnanti nelle scuole coraniche 
  di Qom, il Vaticano dello sciismo.
  
  Anche le grandi famiglie dei mullah si stanno innervosendo, qualcuno legittima 
  la protesta di piazza e comunque molti non sono d'accordo con questa lotta indiscriminata 
  a ogni forma di opposizione. 
  Le manifestazioni per la morte del Grande Ayatollah Montazeri sono state il 
  segnale che di islamico in questa repubblica, come dice Karrubi, è rimasto 
  ben poco. Era dai tempi dello Shah che i mullah non finivano così pesantemente 
  nel collimatore della repressione.
  Alì Khamenei, guida suprema dell'Iran, schierandosi con Mahmoud Ahmadinejad, 
  ha incrinato il suo prestigio, assestando forse un colpo irrimediabile al sistema 
  voluto da Khomeini. Negli slogan c'è stata una svolta significativa: 
  non si grida più soltanto "Morte al dittatore" (Marg bar diktator) 
  ma soprattutto "Khamenei assassino, la tua leadership è illeggittima".
  
  Dalle piazze sale, sempre più forte, l'appello non alla republica islamica 
  ma a quella iraniana: il nazionalismo sta diventando uno dei leit motiv della 
  protesta.
  Con quali effetti? In carcere è finito Ibrahim Yazdi, nel 1979 il primo 
  ministro degli Esteri di Khomeini. In una delle sue ultime interviste, nel giugno 
  scorso, mi disse in modo chiaro: «Questo sistema resiste fino a quando 
  sarà capace di rappresentare la nazione e il nazionalismo iraniano». 
  Oggi Yazdi va dietro le sbarre perché il regime teme persino la presenza 
  di quest'uomo, anziano e malato, rimasto per decenni una voce isolata del dissenso.
  
  Anche nello schieramento dei conservatori, che finora ha appoggiato Ahmadinejad, 
  non potranno restare a lungo in silenzio. Oggi infatti tocca ai riformisti, 
  domani potrebbe essere il loro turno soltanto perché osano esprimere 
  un'opinione diversa da quella del gruppo al comando. Lo stesso discorso vale 
  per i molti ayatollah: nel 1979 guidarono una rivoluzione per il prestigio acquistato 
  in mezzo secolo di rivolte contro l'autoritarismo dei Palhevi, domani potrebbero 
  finire ai margini di una società che li aveva posti ai vertici della 
  leaderhip morale e politica.
  
  Un timore espresso molte volte nel corso di numerose interviste dai maggiori 
  ayatollah iraniani, da Sanei, ad Ardebili, a Khatami, oltre ovviamente a Montazeri. 
  È vero che la guida suprema controlla il clero, foraggiato dalle fondazioni 
  religiose, ma è altrettanto sicuro che il regime militare dei pasdaran 
  relega i mullah al servizio del potere: non è stato questo l'obiettivo 
  per cui venne abbattutto lo Shah.
  
  Come reagiranno le guardie della rivoluzione a nuove proteste? Oltre alla repressione 
  in atto, si presentano altre scelte pericolose. Come ogni regime in difficoltà 
  aumenterà la tentazione di trasferire all'esterno le tensioni interne. 
  Cosa che già in parte accade con la questione del nucleare e le provocazioni 
  all'occidente e agli stati vicini, come la breve occupazione del territorio 
  iracheno della scorsa settimana e il sostegno ai movimenti sciiti della guerriglia 
  in medio oriente, dagli Hezbollah in Libano agli Huti dello Yemen.
  
  All'inizio di quest'anno veniva data per certa, anche a Washington, la rielezione 
  senza scosse di Ahmadinejad. Pochi forse credevano che dopo la repressione del 
  giugno scorso la protesta iraniana continuasse. Quello che accade oggi smentisce 
  ogni previsione. 
  Per questo dall'Iran bisogna aspettarsi di tutto, oltre l'immaginabile. Fu così 
  anche nel 1979, quando in pochi mesi lo Shah in Shah, il re dei re, fece le 
  valigie.