Kosovo: i miti persistono.
Ancora oggi, a cinque anni di distanza, in Italia si sminuisce la gravità dei massacri in Kosovo e si sostiene la tesi di un sostegno degli USA all'indipendenza del Kosovo. Il tutto mentre unità speciali serbe macchiatesi di crimini in Kosovo sono pronte a recarsi in Afghanistan a fianco degli americani. Di Andrea Ferrario. Da Notizie-Est. 5 dicembre 2003.



La settimana scorsa, e più precisamente il 27 e il 28 novembre, il Corriere della Sera ha pubblicato due puntate di un reportage di Francesco Battistini dal Kosovo. Purtroppo, accanto a informazioni interessanti, in tali servizi compaiono alcune notevoli inesattezze, la cui conseguenza è quella di dare una percezione non precisa sia della guerra del 1999, sia degli sviluppi attuali in Kosovo. In una curiosa intervista a Rugova sul suo avvicinamento al cristianesimo, Battistini dice: "Lei parla di indipendenza e gli americani hanno addirittura fissato una data (2005)".

Nella puntata successiva compare un'affermazione analoga: "Impazienti di sterzare sull'Iraq, gli americani hanno fissato una data: indipendenza nel 2005". Le cose tuttavia non stanno così, né Washington né altri soggetti internazionali hanno fissato alcuna data per l'indipendenza del Kosovo, un'ipotesi che continua a rimanere un tabù nascosto sotto il mantra del "prima gli standard e poi lo status" (e si noti che anche in queste formule si usa il termine status e mai quello di indipendenza).

Nella seconda puntata si afferma poi che in Kosovo "Milosevic massacrò duemila albanesi", una cifra ridotta di svariate volte rispetto sia al numero quasi triplo di cadaveri ritrovati (in Kosovo e in Serbia), sia al numero degli scomparsi, che dopo gli anni passati dalla guerra vanno sicuramente dati per morti - contando questi ultimi la cifra viene ridotta di circa quattro/cinque volte rispetto ai dati reali (per l'esattezza: 4.392 cadaveri interi trovati in fosse comuni, più centinaia di frammenti di corpi [Tribunale dell'Aja, dati dell'estate 2002, quando la ricerca di casi esemplari di fosse comuni è terminata. Nessun'altra organizzazione da allora ha cercato sistematicamente le altre fosse comuni]; 900 cadaveri di albanesi in fosse comuni in Serbia, più altre grandi fosse individuate, ma mai aperte; 3.000 dispersi registrati - si vedano i materiali dettagliati nella sezione Kosovo di http://www.notizie-est.com, in particolare gli anni 2000 e 2001). Nell'articolo compare anche un raffronto che ci sembra fuori luogo: "le grandi fosse comuni del Kosovo sono un po' come le armi chimiche di Saddam: introvabili". E' possibile, ci domandiamo, mettere sullo stesso piano delle (presunte) armi e la reale sofferenza di migliaia di persone, tra cui donne e bambini, massacrate, delle quali in larga parte tra l'altro i cadaveri sono invece proprio stati ritrovati in fosse comuni (mentre altri giacciono ancora in fosse in Serbia, senza che nessuno se ne preoccupi)?

La guerra del Kosovo è stata per i suoi abitanti albanesi una tragedia immane, abbondantemente documentata, che sicuramente nessuno di noi vuole nemmeno provare a immaginare di vivere in prima persona: migliaia di civili massacrati a freddo, almeno metà delle abitazioni distrutte, almeno due terzi della popolazione deportata. Tutto questo, in solo un mese e mezzo (la guerra è durata due mesi, ma a inizio maggio, quasi un mese prima della fine della guerra, le forze serbe avevano ormai dichiaratamente concluso le proprie operazioni in Kosovo) - il paragone con l'intensità della guerra di Bosnia, le cui dinamiche sono state comunque decisamente diverse, ci sembra che a questo livello regga eccome, al contrario di quanto afferma Battistini, soprattutto se si tiene conto che in Bosnia la guerra è durata più di tre anni, mentre in Kosovo tutto si è svolto in soli due mesi. In realtà, la critica all'Occidente implicita nel reportage del Corriere della Sera è come tale perfettamente condivisibile, ma risulterebbe forse più efficace se puntasse il dito su come una dimostrazione del fatto che l'intervento della NATO è stato dettato da fini diversi da quello di impedire i massacri di albanesi possa essere individuata non nella presunta scarsa entità dei massacri, ma nel fatto che la NATO non ha colpito se non incidentalmente le forze serbe in Kosovo, lasciandole portare a termine le vaste operazioni di pulizia etnica.

I miti sulla guerra del Kosovo e sulle sue conseguenze sono purtroppo ancora vivi, a ben cinque anni di distanza. Vi ricordate cosa si scriveva allora e nel dopoguerra? "Nelle fosse del Kosovo 200 morti", titolava l'Unità e simili affermazioni riduzioniste sui massacri sono comparse ovunque, dal Manifesto alla Padania, passando per le più grandi testate italiane ed estere. Il tutto poi si è dimostrato completamente falso, ma i riflettori dei media erano già rivolti altrove e quasi nessuno se ne è accorto. Lo stesso vale per le operazioni di trasporto e occultamento in Serbia di cadaveri di albanesi kosovari, venute alla luce nel 2001: quando la notizia è trapelata vi è stata in Italia una levata di scudi, di "dubbi" e insinuazioni - in realtà tali operazioni sono state poi ampiamente provate e centinaia di cadaveri portati alla luce, nonostante l'impegno pressoché nullo delle autorità serbe, nonché il disinteresse del Tribunale dell'Aja e della "comunità internazionale", da lungo tempo impegnata nel riavvicinamento con la Serbia. Forse alcuni si ricordano ancora di altre tesi, tutte rivelatesi totalmente inconsistenti: da quella della guerra come strumento degli USA per indebolire l'euro (decisamente la più grottesca, ma ha avuto ampio corso), a quelle geopolitiche sulla guerra come strumento per controllare gli "importantissimi" corridoi energetici mirati ad aggirare la Russia. Se quella dell'euro ha rivelato subito dopo la guerra la sua insulsaggine, la seconda appare anch'essa oggi un castello di carta, visto che i corridoi nei Balcani sono stati oggetto forse di decine di protocolli e studi di fattibilità, ma rimangono ancora sulla carta e molto lontani dall'essere anche solo avviati.

Anche quello dell'indipendenza del Kosovo è stato, e in parte rimane, un chiodo fisso: secondo molti, gli Stati Uniti avrebbero fatto la guerra per disgregrare la Jugoslavia e rendere il Kosovo indipendente. Addirittura, si è detto, a Rambouillet nel 1999 sarebbero stati presi precisi impegni con gli albanesi per un'indipendenza entro tre anni. Ebbene, nulla di ciò è avvenuto. Non solo, ma quando quest'anno si è firmata la carta costituzionale della nuova Unione di Serbia e Montenegro, il Kosovo è passato direttamente, con l'approvazione internazionale, dalla definizione della Risoluzione 1244 che lo rendeva parte della Jugoslavia a provincia della Serbia. Per aggirare il problema della richiesta di indipendenza espressa da anni e democraticamente dai cittadini del Kosovo, è stato creato un costoso protettorato internazionale, reso possibile da truppe di occupazione estere e nel quale il "governatore" dispone di poteri di veto assoluto non dissimili da quelli di un monarca. Il risultato di tutto questo è un disastro di cui stanno pagando il prezzo prima di tutto i kosovari, non certo gli strapagati funzionari occidentali o i vertici militari, le truppe speciali serbe e gli altri impuniti protagonisti dei massacri in Kosovo: un'economia nel più totale sfacelo, una disgregazione sociale devastante, il disprezzo per gli elementi più fondamentali della democrazia e dell'autogoverno. Ma oltre al danno, per gli albanesi c'è anche la beffa: i media continuano a scrivere che i loro morti non sarebbero stati in numero sufficiente, li ritraggono regolarmente come dei mafiosi ("il Kosovo è uno stato-canaglia di droga, armi, nuovi schiavi") e come un pesante "fardello per l'uomo bianco".

Vale forse la pena di ricordare, per dare un'idea di come le cose stiano diversamente dall'immagine dipinta dai media, gli sviluppi più recenti nei rapporti tra USA e Serbia. Washington ha dichiarato apertamente che è possibile trasferire in Serbia in tempi brevi i processi a serbi incriminati dall'Aja (il Tribunale non è in disaccordo su questa ipotesi, vuole solo tempi più lunghi), stante una consegna del personaggio-simbolo Mladic. E' di questi giorni la notizia che nemmeno quest'ultima condizione viene nei fatti più posta: sarebbe sufficiente per Belgrado dimostrare il proprio impegno nel cercare Mladic e di non essere in grado di trovarlo. Dell'apertura del mercato americano alla Zastava armi e dell'idillio tra i commercianti di armi della serba Jugoimport e gli Stati Uniti abbiamo già riferito. Ma forse la notizia più beffarda è quella del probabile invio di truppe speciali serbe in Afghanistan (e in futuro forse anche in Iraq), concordato tra Belgrado e Washington: approvato nel corso di incontri ufficiali, se verrà concretizzato vedrà all'opera in Afghanistan, fianco a fianco con le truppe USA, unità speciali serbe mai riformate come le SAJ, il 73° battaglione paracadutisti e, forse, anche i famigerati "berretti rossi", tutte macchiatesi di crimini orrendi in Bosnia e in Kosovo. E' in un centro di addestramento delle SAJ in Serbia, per la precisione, che sono state trovate le fosse comuni contenenti centinaia di cadaveri di albanesi "deportati" post-mortem durante la guerra in Kosovo. E con questo siamo tornati al punto di partenza.