Scheda: I punti caldi della
politica australiana sui rifugiati.
"Soluzione Pacifico", detenzione
obbligatoria, visti di protezione temporanea sono i cardini della politica australiana
sull'immigrazione contestati dalle organizzazioni umanitarie. Di Jacky Pinko
Dinkum. Aprile 2002.
I cardini della
dottrina Howard - Ruddock sui disperati che cercano di raggiungere le coste
australiane per cercarvi rifugio e asilo politico sono tre, tutti duramente
contestati dalle organizzazioni che lottano per i diritti dei rifugiati.
Di seguito illustriamo sia la posizione governativa che gli argomenti della
protesta.
Per comprendere meglio la questione è opportuna una premessa su alcune
delle motivazioni storiche alla base della politica immigratoria australiana.
Lungi dall'essere un Paese "aperto a tutti", come spesso si favoleggia,
l'Australia ha da sempre avuto una rigida politica immigratoria, basata su quote
annuali di ingresso per ciascuna categoria di immigrati (per lavoro, studio,
rifugiati politici, ecc.) e per ciascuna area geografica. Fino al 1975 era in
vigore la dottrina della "White Australia", che dava accesso solo
a europei (prevalentemente dall'area anglosassone), nordamericani e neozelandesi.
Dopo il 1975 è stato consentito l'accesso ad un numero crescente di stranieri
provenienti da altre aree geografiche, specie asiatici, non tanto per motivi
umanitari ma per necessità legate allo sviluppo economico del Paese.
l'Australia ha infatti bisogno di immigrati, per incrementare la scarsa popolazione
produttiva e per compensare il saldo negativo di coloro che annualmente lasciano
il Paese per far ritorno ai luoghi di origine.
Caposaldo della dottrina australiana sull'immigrazione è il rigoroso
controllo di chi entra nel Paese, premesso che verifiche e selezioni devono
avvenire prima che gli stranieri mettano piede in Australia. Solo i cittadini
neozelandesi sono esenti dal visto di ingresso e solo i turisti in possesso
di adeguate risorse economiche ottengono il visto con facilità. Per tutti
gli altri i controlli sono puntigliosi e ossessivi e riguardano anche verifiche
sullo stato di salute e su eventuali precedenti penali.
Per i rifugiati che fanno domanda di entrare in Australia dai campi profughi
dell'area afro-asiatica si prospetta un lunghissimo calvario alla fine del quale
può benissimo esserci il diniego: una volta analizzate le domande le
autorità selezionano i più utili al Paese (sulla base di criteri
quali il titolo di studio, la conoscenza dell'inglese, l'esperienza professionale,
ecc.). Una volta "riempite" le quote gli altri restano fuori.
Con l'applicazione rigida di questi criteri si cerca anche di garantire la rapida
integrazione nel tessuto sociale multietnico di coloro che riescono ad ottenere
il visto, per mezzo di un rapido ingresso nel mercato del lavoro.
Insomma l'Australia è una società ben organizzata al suo interno,
che garantisce a chi entra diritti di cittadinanza e accesso a servizi, ma che
intende anche salvaguardare il suo modello di vita, ignorando, per quanto possibile,
i drammi del mondo che la circonda.
La questione degli sbarchi di clandestini, ovviamente, mette in crisi questa
elaborata politica sugli accessi. In quest'ottica i profughi, piuttosto che
disperati bisognosi di assistenza e solidarietà, divengono stranieri
che "saltano la fila", entrano senza osservanza per il sistema delle
quote e senza che sia stato possibile esaminarne le caratteristiche prima dell'ingresso
in Australia. Sono pertanto considerati (senza eccezione, donne e bambini inclusi)
potenzialmente pericolosi. Per questo motivo la politica del governo si basa
su due pilastri: cercare di impedire che i rifugiati arrivino e, se ce la fanno,
rinchiuderli e isolarli fino a quando non sia determinato con certezza che non
sono socialmente pericolosi.
E' così che Afghani e Iracheni sfuggono ai rispettivi regimi verso il
sogno della libera e democratica Australia, per ritrovarsi qui dietro il filo
spinato dei centri di detenzione, magari in mezzo al deserto. E' così
che il settimanale socialista "Green Left Weekly" ha potuto pubblicare
una vignetta raffigurante un profugo afghano dietro il filo spinato che sospira:
"mi sembra di essere di nuovo a casa!".
Vale la pena ribadire che questa isteria australiana si riferisce a contingenti
veramente esigui di clandestini, assolutamente non paragonabili a quelli che
devono gestire Paesi europei come la Gran Bretagna, la Svezia o l'Italia.
Vediamo ora cosa tutto ciò comporta sostanzialmente e quali sono le buone
ragioni di chi si oppone a questa barbarie.
1) PACIFIC SOLUTION
(Soluzione "Pacifico")
Per evitare di dover fornire assistenza e ospitalità sul proprio territorio
in osservanza del diritto internazionale, e soprattutto per evitare di dover
forzatamente accogliere i rifugiati una volta che il loro status sia stato riconosciuto,
l'Australia cerca di bloccare le navi cariche di clandestini nelle proprie acque
territoriali (ma vi sono stati anche casi di abbordaggio in acque internazionali,
con atti di vera e propria pirateria da parte della marina militare australiana)
e di rispedirle ai porti di provenienza. Quando le condizioni dell'imbarcazione
intercettata rendono critico il rientro, o quando il rientro riguardi un Paese
le cui autorità vi si oppongono, i profughi vengono trasbordati sulle
navi militari australiane e trasportati a Nauru e altre isole dell'Oceano Pacifico
con cui l'Australia ha stabilito accordi. Piccole isole in mezzo all'oceano,
ovvero prigioni naturali, dalle quali i profughi difficilmente potranno allontanarsi
per tentare nuovamente di raggiungere l'Australia. Su queste isole si svolge
la procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato. Il destino finale
anche per chi si vede riconosciuto lo status è naturalmente incerto e
il sogno dell'Australia quasi sempre finito: infatti, poiché la procedura
non si è svolta sul suo territorio, l'Australia non ha obblighi di accoglienza
per questi rifugiati. E se resteranno su questi territori dispersi nell'oceano
difficilmente i rifugiati potranno riuscire a ricongiungersi con i propri familiari.
2) MANDATORY DETENTION
(detenzione obbligatoria)
Per coloro che nonostante tutto riescono a mettere piede in Australia incorre
l'obbligo di essere internati in speciali centri di detenzione. Nessuno può
essere esentato da quest'obbligo. La detenzione non ha una durata definita:
dovranno prima essere svolti tutti i necessari accertamenti per verificare l'identità
dei richiedenti, la genuinità del loro status di rifugiati, le condizioni
di salute, ecc. Nella pratica le detenzioni sono molto lunghe, anche fino a
quattro anni, specie per la difficoltà di reperire informazioni in merito
a tutti coloro che giungono senza documenti, che sono la maggioranza.
I centri di detenzione sono stati costruiti in varie parti del Paese, vicino
alle grandi città ma anche in zone inospitali a clima desertico. Non
sono dotati di attrezzature e spazi adatti a periodi lunghi di permanenza.
Nuovi centri sono in costruzione in previsione dei prossimi sbarchi, uno dei
quali, molto grande, sul remoto avamposto di Christmas Island, contro la volontà
della popolazione locale. La gestione dei centri è stata affidata a società
private!
3) TEMPORARY PROTECTION
VISAS (Visti di protezione temporanea)
Quando, alla fine di tutti controlli il Dipartimento dell'Immigrazione decide
di conferire lo status di rifugiato ad un richiedente, questo viene rimesso
in libertà. Il nuovo rifugiato avrà assistenza dallo Stato e verrà
indirizzato alle organizzazioni di riferimento per la sua nazionalità
e finirà per andare ad abitare in un sobborgo dove avrà per vicini
di casa i suoi connazionali .
Ma la sua vita nel Paese sarà incerta, perché, in contravvenzione
alle norme internazionali in materia, il Dipartimento conferisce solo un "Temporary
Protection Visa", un visto di protezione temporanea . Il possessore di
questi visto soffre di numerose limitazioni, a differenza di coloro che sono
considerati "permanent residents" (residenti a tempo indefinito).
L'accesso al lavoro ed ai servizi non è generalizzato e non è
consentito il ricongiungimento con familiari lasciati nel Paese d'origine (fossero
anche il coniuge o i figli). Chi si reca all'estero con questo visto, anche
se per gravi motivi familiari (lutti o malattie di congiunti), perde lo status
e non può far rientro in Australia. Il visto è soggetto a periodici
rinnovi e può essere ritirato in ogni momento con decreto del Ministro
dell'Immigrazione, qualora, ad esempio si ritenga che le condizioni di pericolo
nel Paese di origine siano venute meno o qualora si sospetti la partecipazione
del possessore ad attività ritenute illecite.
Su questa linea
di condotta il governo non è disposto a retrocedere di un passo: la "Pacific
Solution" è presentata come un efficace deterrente; la detenzione
come indispensabile per garantire la sicurezza dei cittadini, nel caso fra gli
sbarcati si fossero infiltrati pericolosi terroristi, banditi e quant'altro.
I visti temporanei come una soluzione utile a rimpatriare i rifugiati una volta
che la situazione politica nel loro Paese sia cambiata.
Inoltre il governo descrive i centri di detenzione come strutture adeguate,
che offrono una sistemazione dignitosa e confortevole (anche se fosse vero,
trascurando comunque l'aspetto psicologico di una lunga detenzione per persone
già traumatizzate e che in genere non si sono macchiate di alcun crimine).
Sull'altro fronte
si sostiene (a ragione) che questa politica è razzista, largamente basata
su distorsioni e menzogne facilmente confutabili, che impone sofferenze inutili
e che può essere modificata, anche solo dando un'occhiata a come si comportano,
in situazioni analoghe, Paesi come il Canada o la Svezia.
Le richieste del movimento pro rifugiati sono efficacemente riassunte nel programma
della manifestazione della Domenica delle Palme: fermare le deportazioni, abolire
la detenzione obbligatoria, chiudere i centri di detenzione, consentire l'attracco
ai battelli, abolire i visti di protezione temporanea.
Vediamo in sintesi le richieste e le ragioni del movimento:
1) Abolire la "Soluzione
Pacifico" e consentire l'approdo dei battelli:
Costringere vecchi battelli stracarichi a girare la prua e tornare ai porti
di partenza mette a repentaglio la vita di centinaia di persone. Ai porti di
arrivo i rifugiati rischiano inoltre nuove persecuzioni da parte delle autorità
locali.
La deportazione in centri di detenzione su isole del Pacifico, Stati che non
hanno mai firmato le convenzioni internazionali, significa abbandonare i rifugiati
ad un incerto destino e trasformare queste isole in moderne colonie penali.
L'Australia deve consentire ai rifugiati di sbarcare ed analizzare la loro richiesta
di asilo.
Deve tener conto del fatto che chi fugge da Paesi come l'Afghanistan o l'Iraq
non ha alternative, non può "mettersi in fila" per chiedere
un visto, non può aspettare mesi e anni che la propria domanda di asilo
sia presa in considerazione. E perciò non può essere considerato
aprioristicamente un criminale.
Le statistiche dimostrano che più del 50% dei richiedenti asilo ottiene
lo status di rifugiato e fra questi più dell'80% degli afghani e degli
iracheni.
Inoltre il numero di persone che sbarcano è praticamente irrilevante
rispetto ai milioni di rifugiati nel mondo. E' inconcepibile che un Paese benestante
come l'Australia non voglia farsi carico di una piccola minoranza, a scapito
di Stati del Pacifico in ben più precarie condizioni economiche e con
una popolazione numericamente ridotta.
I costi sono irragionevoli perché l'Australia si fa carico di trasportare
i rifugiati e pagare ai governi locali il loro mantenimento: un costo finale
molto superiore a quello che si sarebbe pagato consentendo ai rifugiati di restare
in Australia.
2) Abolire la detenzione
obbligatoria e chiudere i centri:
L'Australia è l'unico Paese ricco che mette in atto una politica così
dura e discriminatoria nei confronti dei rifugiati illegali. La detenzione continua
anche dopo che sono stati effettuati i controlli sulla salute e sulla sicurezza,
quando cioè è evidente che il rifugiato non comporta un rischio
sostanziale per la comunità. Nessun Paese prevede periodi di detenzione
e condizioni così irragionevoli.
Considerare i rifugiati alla stregua di illegali significa contravvenire all'articolo
14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che sanziona le discriminazioni
nei confronti di chi sfugge a persecuzioni recandosi in altri Paesi.
I rifugiati sono generalmente persone, famiglie, uomini, donne, bambini, che
vengono da una esperienza di sofferenze, persecuzioni e traumi. La detenzione
che li accoglie all'arrivo diventa spesso la goccia che fa traboccare il vaso,
spezza la loro dignità facendoli cadere in un vortice di disperazione,
come dimostrano tentativi di suicidio e scioperi della fame in vari centri di
detenzione.
La detenzione dovrebbe essere effettuata in luoghi confortevoli e accoglienti,
non in carceri inospitali. E dovrebbe durare solo per il tempo necessario ad
effettuare i controlli sulla salute (verificare l'assenza di malattie infettive)
e sulla sicurezza.
Anziché poliziotti i rifugiati dovrebbero trovare al loro arrivo personale
specializzato in grado di aiutarli a superare i loro traumi e prepararli a vivere
in una società diversa da quella di partenza.
Anche in questo caso i costi sono irragionevoli: mantenere una rete di centri
detentivi, oltretutto gestiti da società private, costa molto di più
che garantire forme di finanziamento ad associazioni di assistenza che potrebbero
prendersi cura dei rifugiati, inserendoli nel tessuto sociale australiano.
3) Abolire i visti
di protezione temporanea:
I visti di protezione temporanea rappresentano una violazione della convenzione
sui rifugiati e sono moralmente inaccettabili. L'incertezza circa il destino
futuro, l'impossibilità di riunirsi con i propri congiunti e, allo stesso
tempo, il divieto di espatriare, rappresentano altrettanti passaggi di una strategia
che tende a minare il morale del rifugiati e rendergli impossibile ricostruirsi
una nuova vita in Australia. E quindi anche di dare un contributo positivo durante
la permanenza. Inoltre la possibilità di revocare lo status in funzione
della mutata situazione nel Paese di origine rappresenta un potenziale pericolo
ed una ulteriore violazione dei diritti del rifugiato: infatti la valutazione
della situazione politica effettuata dal governo australiano potrebbe non tener
conto dell'effettivo pericolo che corre il rifugiato al rientro. E il rifugiato
potrebbe nel frattempo essersi ricostruito una vita in Australia e non desiderare
di tornare nel proprio Paese. Perciò ai rifugiati dovrebbero essere concessi
permessi di residenza permanente alla stregua degli altri stranieri immigrati
in Australia. Ciò garantirebbe più ampi diritti di cittadinanza,
accesso a tutti i servizi, tranquillità sociale e un buon inserimento.
Comporterebbe perciò un contributo positivo alla stessa società
australiana da parte dei rifugiati.
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1 Rispettivamente Primo Ministro e Ministro per gli l'Immigrazione, gli Aborigeni e le Relazioni Interculturali (figurarsi!) del governo federale.
2 Piccola isola-stato nell'Oceano Pacifico. Come molte altre realtà di questo genere, Nauru è nell'area strategica australiana e la sua economia dipende interamente dalla potenza regionale. Si tratta di Paesi che difficilmente possono opporsi a firmare con l'Australia i trattati che a questa più convengono e, d'altro canto, l'Australia alimenta la ristretta cerchia del ceto dirigente, che si arricchisce e gode di particolari privilegi grazie a questi accordi. E' una storia fin troppo nota!
3 La suddivisione etnica dei sobborghi delle grandi città è un tipico fenomeno australiano: i nuovi arrivati tendono da subito a mettersi in contatto con i proprio connazionali e ad andare ad abitare in quartieri dove possono ritrovare elementi della propria origine: cibo, giornali, luoghi di incontro dove è possibile parlare la propria lingua, ecc.
4 In Australia
non esiste il "permesso di soggiorno" come in Europa e in particolare
in Italia. Il visto è già di per se un permesso di soggiorno.