La questione elettorale.
Le
differenze tra le mozioni del VI congresso PRC. Gennaio 2005.
Sintesi del dibattito
La posizione della mozione Bertinotti è vaga su tutto anche e a maggior
ragione sulle alleanze elettorali; nei fatti la mozione non parla di una alleanza
con il centrosinistra, non parla della gabbia rotta del centrosinistra, accenna
alla grande alleanza democratica, e parlando della "necessità"
che anche un partito comunista entri nella stanza dei bottoni.
La mozione de L'Ernesto è concettualmente vicina alla mozione di Bertinotti
proponendo come progetto politico l'alleanza di centrosinistra. Contesta però
alla segreteria di aver accettato aprioristicamente l'andata al governo senza
fissare i paletti indispensabili del programma per "qualificare" il
programma del centro sinistra.
Ferrando nella mozione tre rilancia il "polo autonomo di classe" auspicando
la caduta del governo Berlusconi ma da parte degli operai; critica quindi la
scelta del centro sinistra fatta dal segretario e propone una proposta a quei
movimenti e alle forze politiche (sinistra ds, verdi e pdci) che hanno caratterizzato
le lotte politiche degli ultimi anni.
La mozione di Erre è onestamente la più articolata: non propone
una soluzione unica ma prevede diverse opzioni; anche i compagni di erre individuano
un punto fondamentale nell'abbattimento di Berlusconi e a questo progetto adatta
le vare scelte: come premessa ritiene impraticabile un nuovo governo Prodi.
Primo grado, nel progetto della mozione 4 è un accordo politico elettorale
che preveda da parte del governo del centro sinistra l'accettazione di alcuni
punti qualificanti; l'appoggio al governo non sarebbe organico né tanto
meno vedrebbe la presenza del prc. Se questo non fosse possibile si penserebbe
ad un accordo tecnico-elettorale.
I compagni di Falce e martello auspicano una spallata al centrosinistra da parte
dei movimenti per poter far nascere una alleanza di sinistra, ma sono consapevoli
dell'attuale impossibilità del progetto.
Di fronte a questa situazione ritengono come obbiettivo primario quello di abbattere
Berlusconi, ma in questo differenziandosi, da ERRE, promuovendo una desistenza
concordata o unilaterale, appoggiando pero solo i candidati di sinistra.
La nostra posizione
Nessuna delle posizioni espresse nelle mozioni rappresenta compiutamente il
nostro pensiero riguardo le alleanze elettorali.
Lontana dalla nostra posizione la prospettiva del centro sinistra, che seppur
con accenti e gradualità diverse, viene prospettata dalle mozioni 1,2
e 4.
La mozione di falce e martello non ci convince sia perché impraticabile
nei fatti (come si fa a fare una desistenza unilaterale solo contro i candidati
centristi?) sia perché dai un punto di vista politico anche il non esprimersi
in alcuni casi equivale a prendere posizioni.
Il tema delle alleanze, nella mozione tre, risente della impostazione dogmatica
che pervade tutta la mozione di Ferrando.
Non accettiamo la unificazione sullo stesso piano di azione dei movimenti e
dei partiti politici, che secondo noi operano con prospettive diverse.
La proposta poi di una alleanza per battere le destre, rivolta ai Verdi, Pdci
e sinistra ds sembra un invito ad una alleanza tra ceti politici, e non un progetto
che si rivolge alla base sociale dei partiti.
Siamo per un'alleanza di sinistra, che coinvolga i partiti che hanno una natura
sociale che comprende le classi sociali oppresse o per usare i termini del marxismo
rivoluzionario siano dei partiti operai.
In quest'ottica Rifondazione dovrebbe proporre un'alleanza, con un programma
di sinistra (un programma di vero cambiamento e che rispondesse ai bisogni elementari
dei soggetti sociali oppressi: aumenti salariali, difesa dei livelli pensionistici,
fine della flessibilità, più risorse alla scuola pubblica, blocco
delle privatizzazioni, approvazione di leggi attive a favore di gay e lesbiche,
aumento dei servizi a favore delle donne e dei bambini) a verdi, Pdci e ds,
puntando soprattutto nell'ultimo caso ad evidenziare alla base dei ds, la scelta
dei propri dirigenti di optare per un alleanza con soggetti politici che rappresentano
interessi di classe diversi dai propri, chiedendo quindi ai loro dirigenti di
rompere con il centro.
Per una estesa argomentazione si veda il nostro articolo Domande
e risposte sulle alleanze elettorali.
Stralci dalla Mozione 1
Il problema della partecipazione
al governo di una forza antagonista in un Paese europeo va collocata in questo
quadro. Anche la critica alla presa del potere e al potere medesimo non è
senza conseguenze rispetto al modo di concepire il governo e la collocazione
di governo. Nella nostra strategia, il governo non è una scelta di valore
ma una variabile dipendente dalla fase. Il governo, cioè, non è
l'obiettivo o lo sbocco della politica di alternativa ma può essere un
passaggio necessario. In Italia la sua necessità nasce da una precisa
congiuntura politica: l'esigenza improrogabile di sconfiggere il governo Berlusconi
e costruire ad esso una alternativa. Per questo oggi assumiamo l'obiettivo di
una coalizione di forze per dare vita a una alternativa programmatica di governo
in cui il PRC e le forze della sinistra di alternativa nel loro complesso siano
presenti da protagonisti.
il PRC e la sinistra di alternativa debbono
saper passare anche per l'esperienza di governo in funzione della crescita qualitativa
dei movimenti e della possibilità di dispiegare una più vasta,
complessa e lunga azione politica nella società per la realizzazione
del più ambizioso programma di fase. L'obiettivo di questo nostro impegno
è la sconfitta della legge del pendolo secondo la quale quando le sinistre
sono all'opposizione suscitano speranze e attese che vengono disattese quando
assumono il governo, determinando così la sfiducia nella politica da
parte di larghe masse e creando le condizioni per il ritorno delle forze conservatrici.
Stralci dalla Mozione 2
L'esigenza di costruire in tempi brevi l'unità della sinistra di alternativa
deriva dalla necessità di mettere le forze oggi all'opposizione non solo
in condizione di battere il centro- destra alle prossime elezioni politiche,
ma anche di incidere sul programma del nuovo governo senza che si ripropongano
le politiche portate avanti dal centrosinistra negli anni Novanta. Se lo schieramento
anti-Berlusconi vincerà le elezioni, il problema vero sarà cercare
di porre rimedio ai guasti provocati da questo governo e da quelli che lo hanno
preceduto. È necessario in particolare, evitare che i costi della crisi
e del risanamento vengano scaricati ancora una volta sulle classi lavoratrici
e sui ceti più deboli. Ci batteremo contro tale eventualità, anche
perché siamo consapevoli che, qualora ciò accadesse con la corresponsabilità
di Rifondazione Comunista, il nostro Partito rischierebbe di essere travolto
dal risentimento e dalla delusione (come accaduto più volte alle esperienze
di governo del Partito comunista francese). Non solo. Insieme al nostro Partito,
rischierebbe di venire archiviata - per un ciclo storico di imprevedibile durata
- la possibilità stessa di costruire in Italia un partito comunista con
basi di massa. La questione oggi in campo non riguarda dunque soltanto la composizione
e l'agenda politica del futuro governo, ma la possibilità stessa di tenere
aperta la questione comunista nel nostro Paese. Con la Bolognina prima e con
l'introduzione del maggioritario poi, si è cercato di costruire un sistema
bipolare basato sull'alternanza tra due schieramenti che, pur contrapponendosi,
restassero nella cornice del sistema capitalistico. La presenza di una forza
comunista autonoma come è stata Rifondazione ha impedito che questo disegno
si realizzasse compiutamente; per tenere aperta questa prospettiva dobbiamo
evitare che la necessaria politica unitaria si trasformi in perdita di autonomia.
Da ciò consegue l'esigenza di qualificare in termini socialmente e politicamente
avanzati l'impianto programmatico generale del futuro governo di centrosinistra,
coinvolgendo nella elaborazione del programma tutte le istanze sociali - movimenti,
sindacati, associazioni - disponibili a una pratica di partecipazione. Tra le
questioni che sarà necessario affrontare rivestono particolare importanza
la difesa dei diritti del lavoro e il rilancio dell'apparato produttivo del
Paese e della sua economia. Si impongono, in primo luogo, la centralità
della questione salariale, la difesa del contratto collettivo nazionale e delle
garanzie del posto di lavoro a tempo indeterminato e una profonda revisione
del "Patto di stabilità". Sul terreno istituzionale occorrerà
introdurre misure efficaci al fine di garantire il massimo di rappresentatività
del sistema politico e di preservare il Paese dal rischio (tutt'altro che scongiurato)
di una regressione autoritaria. Pensiamo in particolare all'introduzione di
una legge elettorale proporzionale, allo smantellamento della controriforma
istituzionale (devolution, presidenzialismo e nuovo ordinamento giudiziario)
e alla difesa della Costituzione. Sul piano internazionale la priorità
è il ritiro immediato di tutti i militari italiani impegnati all'estero,
a cominciare da quelli in Iraq. Come abbiamo detto in precedenza, siamo contro
la Nato. Rientra quindi tra gli obiettivi di Rifondazione Comunista anche una
politica che (seguendo l'esempio della Francia, che non ha truppe e basi straniere
sul suo territorio, o della Danimarca, che non accetta di ospitare armi nucleari
e di sterminio) punti all'allontanamento dal territorio italiano di tutte le
armi di sterminio (a partire da quelle nucleari) e allo smantellamento progressivo
di tutte le basi Usa e Nato. Sappiamo, inoltre, che la maggioranza delle forze
del centrosinistra sono subalterne al vincolo atlantico. Ma occorre che sulla
scelta atlantica dell'Italia vi siano quanto meno alcune correzioni significative.
Il primo compito è rendere noti a tutti i cittadini italiani gli accordi
segreti siglati dai governi passati con gli Usa e con la Nato. In secondo luogo
riteniamo che occorra sostenere a livello di governo nazionale le richieste
avanzate dalla giunta regionale sarda e dal presidente della regione Toscana
di riconvertire ad uso civile alcune basi militari presenti sul loro territorio,
come Camp Darby e La Maddalena. Ciò diventa tanto più urgente
poiché le ultime scelte della Nato coinvolgono maggiormente l'Italia.
Sede del quartiere generale della "Nato Responce Force", il nostro
Paese rischia di diventare il principale trampolino di lancio della proiezione
offensiva statunitense verso Est (Eurasia e Cina) e verso Sud (Medio Oriente
e Africa). Un governo nel quale fosse presente il nostro partito dovrebbe operare
con determinazione per arrestare tale deriva,incompatibile con lo spirito pacifista
della Costituzione e della larga maggioranza del nostro popolo.
Stralci dalla Mozione 3
Senza la rottura col Centro dell'Ulivo e il suo blocco di riferimento (grande
industria e banche) ogni prospettiva di classe del PRC sarebbe azzerata. Ma
la proposta di rottura del PRC con i liberali non ha affatto il senso di un
ripiegamento settario. Al contrario sta dentro una proposta più generale
di unità del movimento operaio e dei movimenti di lotta in piena autonomia
dalla borghesia. La proposta di un polo autonomo di classe inteso come fronte
unico anticapitalistico risponde a questa necessità. È una proposta
rivolta a tutte le forze protagoniste di tre anni di mobilitazioni contro Berlusconi,
a partire dai lavoratori; a tutte le loro organizzazioni e rappresentanze di
massa (CGIL, sindacalismo di base, rappresentanze del movimento antiglobalizzazione,
organizzazioni del movimento contro la guerra); a tutte le forze e tendenze
politiche di sinistra che sono state in questi anni dalla parte dei movimenti
e che, per semplificare, hanno sostenuto il referendum del PRC sull'articolo
18 (Sinistra DS, Pdci, Verdi). All'insieme della sinistra italiana il PRC deve
chiedere di rompere con il Centro liberale e di unire nell'azione le proprie
forze per candidarsi a dirigere la lotta contro Berlusconi e preparare un'alternativa
vera. È una proposta sfida che vuole entrare da un versante di classe
nelle contraddizioni del centrosinistra per sviluppare l'egemonia alternativa
dei comunisti. Undici milioni di lavoratori, di giovani, di popolo della sinistra
hanno votato per l'estensione dell'articolo 18 in contrapposizione all'alleanza
tra Berlusconi e Centro dell'Ulivo. Tutti i movimenti di lotta di questi anni
(dalla piazza del 23 marzo, alla manifestazione di Genova del 2001, al movimento
per il ritiro delle truppe) hanno visto il Centro dell'Ulivo, dalla Margherita
alla maggioranza DS, o estraneo o più spesso ostile. Eppure le direzioni
di quei movimenti (a partire dalla burocrazia CGIL) continuano a perseguire
l'alleanza subalterna col Centro liberale, in una logica di pura pressione.
Occorre entrare in questa contraddizione. Occorre battersi in tutti i movimenti
per la loro autonomia dal Centro. Occorre porre le direzioni e le rappresentanze
politiche dei movimenti di fronte a un bivio: o l'unità dei movimenti
e delle loro ragioni contro la borghesia italiana. O l'unità con la borghesia
italiana e le sue rappresentanze contro le ragioni dei movimenti. O di qua o
di là. È una sfida che mira a liberare lavoratori e movimenti
dalle illusioni nelle loro direzioni allargando l'influenza alternativa del
PRC. Peraltro la rottura col Centro è una necessità reale di tutti
i movimenti, a partire dalla stessa esigenza di una mobilitazione vera contro
Berlusconi. La ragione è semplice: il Centro dell'Ulivo spalleggia Berlusconi
nelle controriforme sociali, poiché se Berlusconi completerà il
lavoro sporco il futuro governo di centrosinistra godrà di un rapporto
di forza più favorevole nei confronti di un movimento operaio sconfitto.
Ecco perché la sola prospettiva di un governo di concertazione con Prodi
si è rivelata incompatibile con una mobilitazione radicale per cacciare
Berlusconi. La gestione centellinata di scioperi simbolici; il rifiuto di una
piattaforma unificante, l'assenza di qualsiasi indicazione di lotta a giugno-luglio
proprio nel momento di massima debolezza del governo, non hanno rappresentato
semplicemente "errori" sindacali: hanno rappresentato la volontà
politica di subordinare il movimento operaio all'egemonia dell'alternanza. Il
risultato è stato disastroso. Berlusconi non solo rimane al suo posto,
ma forte dell'assenza di un contrasto reale, rilancia la propria offensiva.
Così non può continuare. Solo una rottura col Centro dell'Ulivo
può liberare sino in fondo il potenziale di lotta che si è manifestato
nel paese. Le lotte a oltranza e vincenti nella primavera scorsa a Scanzano,
in Fincantieri e soprattutto a Melfi hanno dimostrato non solo l'inconsistenza
delle obiezioni (nello stesso PRC) alle forme di lotta radicali ma la possibilità
concreta di una prospettiva di unificazione delle lotte in un vero sciopero
generale prolungato attorno a una comune piattaforma di mobilitazione che punti
apertamente alla caduta del governo. Solo una vera prova di forza può
cacciare dal basso Berlusconi. E una caduta di Berlusconi sull'onda di una lotta
di massa segnerebbe l'intera situazione politica, muterebbe i rapporti di forza
tra le classi, costruirebbe condizioni più avanzate nella lotta per un'alternativa
vera. Il PRC deve avanzare ovunque questa proposta di svolta
Stralci dalla Mozione 4
La nostra proposta elettorale
Il nostro partito deve saper rispondere alla richiesta unitaria che proviene
dai lavoratori-lavoratrici manifestando la massima disponibilità a battersi
contro le politiche sociali delle destre e a percorrere anche accordi imposti
dall'attuale sistema elettorale. Allo stesso tempo deve saper mantenere la sua
indipendenza politica e programmatica, senza entrare nella logica delle politiche
di alternanza. Questo doppio passaggio è necessario per non avallare
illusioni o false speranze, per non rendersi compartecipi delle demoralizzazioni
che potrebbero provenire di fronte a una mancata alternativa del nuovo governo.
Per questo pensiamo che nel rapporto con il centrosinistra andrebbero verificate
e promosse differenti gradazioni capaci di muovere il quadro politico insieme
alle forze di movimento e della sinistra alternativa. Tra la staticità
di un accordo già fatto e quella dovuta a un'indisponibilità pregiudiziale,
esiste la dinamica della politica. Ovviamente, sulla base del ragionamento effettuato
e sulla convinzione che non c'è un'idea di società comune con
il centrosinistra, riteniamo che non esistano le condizioni per un accordo di
governo: un altro Prodi non è possibile. È possibile invece verificare
l'ipotesi di un accordo politico- elettorale, a patto che ci sia la disponibilità
dell'eventuale governo di centrosinistra, oltre al'immediato ritiro delle truppe
dall'Iraq e dagli altri fronti della guerra globale, ad abrogare le leggi più
inique del governo Berlusconi: dalla Legge 30 alla riforma Moratti, dalla Bossi-Fini
alla legge sulla Procreazione medicalmente assistita, ma anche la disponibilità
a rendere più democratico il sistema elettorale. Questo accordo non ci
impegnerebbe per il governo, manterrebbe intatta la nostra autonomia e renderebbe
immediatamente comprensibile l'eventuale necessità di far nascere il
governo nel caso i nostri voti si rendessero necessari, senza prefigurare per
questo un sostegno esterno o una presenza nella maggioranza ma giudicando di
volta in volta i provvedimenti presi. Se neppure questi impegni irrinunciabili
trovassero il consenso del centrosinistra, non ci resterebbe che un accordo
tecnico-elettorale nelle forme rese possibili dalla legge attuale.
Stralci dalla Mozione 5
Se un movimento di massa riuscisse
a rovesciare il governo creerebbe le condizioni potenziali per uno spostamento
a sinistra dell'intero quadro politico, per il generalizzarsi di parole d'ordine
più avanzate, per la marginalizzazione delle forze centriste e per rimettere
in discussione l'alleanza ulivista e la leadership di Prodi. In quel contesto
la proposta di un governo delle sinistre con un programma di difesa degli interessi
dei lavoratori diventerebbe più credibile, comprensibile e praticabile.
È precisamente per timore di sviluppi di questo genere che tutti i gruppi
dirigenti del centrosinistra sono contrari a ogni ipotesi di dare una "spallata"
al governo con la mobilitazione di massa. Tuttavia uno sbocco di reale alternativa
sul terreno di governo appare oggi lontano, non solo per la chiara egemonia
centrista sulla Gad, ma anche per l'eredità di una lunga subordinazione
dei Ds a politiche concertative e liberiste. Sarà necessario sviluppare
altre proposte tattiche che ruotino attorno a un principio chiaro e comprensibile:
vogliamo contribuire alla sconfitta di Berlusconi, ma non siamo disposti a entrare
in una coalizione di governo che necessariamente sarà subordinata agli
interessi dell'avversario di classe. L'applicazione concreta di tale posizione
potrebbe consistere in una desistenza (totale o parziale, concordata o unilaterale)
verso le sole forze della sinistra, senza alcuna disponibilità a votare
alcun candidato borghese dei partiti di centro. Una proposta difensiva, quindi,
volta a salvaguardare l'indipendenza politica del partito, la sua autonomia
di classe, mantenendo al tempo stesso aperto un canale di comunicazione con
la base di massa delle altre forze della sinistra. Seppure per una fase la spinta
all'"unità a tutti i costi" potrebbe crearci una relativa difficoltà,
un'applicazione corretta di questa tattica porrebbe il partito nella migliore
condizione successivamente per raccogliere la spinta delle mobilitazioni di
massa che inevitabilmente seguirebbero una sconfitta elettorale della destra.
Lo scopo della tattica, infatti, non è quello di conquistare un deputato
in più, ma di collocare politicamente il partito nella migliore posizione
per sfruttare l'inevitabile crisi delle forze riformiste nella fase successiva,
di non farci schiacciare dalla pressione in favore di una unità a qualsiasi
costo, per poi passare a nostra volta all'offensiva una volta che l'inevitabile
crisi delle politiche riformiste si palesi in modo evidente agli occhi delle
masse. È questa la lezione della migliore elaborazione dei partiti comunisti
nella loro fase più alta, dei primi quattro congressi dell'Internazionale
comunista, che elaborarono i concetti del fronte unico, del governo operaio,
e in generale della strategia che i partiti comunisti dovevano sviluppare a
fronte delle forti organizzazioni socialdemocratiche che dominavano il movimento
operaio. Il movimento operaio europeo è in una fase di risveglio dopo
un riflusso durato una generazione. Questo significa che i prossimi governi
di sinistra o di centrosinistra avranno una traiettoria diversa da quelli degli
anni '90; in Italia, una vittoria sulla destra ottenuta con la mobilitazione
sul campo, ma anche se maturata per la via elettorale, non significherà
il "rompete le righe" per i movimenti di massa; semmai può
significarlo per tutto quel ceto politico "di movimento" che correrà
ad accomodarsi nella nuova situazione. Ma i lavoratori vedranno nella sconfitta
di Berlusconi la rimozione di un ostacolo fondamentale per la riuscita delle
mobilitazioni, e tenderanno quindi non a mettere da parte le proprie rivendicazioni,
ma al contrario a presentarle con maggiore fiducia e determinazione. Sarà
una fase decisiva nell'evoluzione della coscienza di massa. Il conflitto fra
le aspirazioni dei lavoratori e la politica delle burocrazie riformiste aprirà
enormi varchi per l'affermazione delle idee comuniste e per raccogliere i settori
più combattivi e coscienti del movimento operaio attorno alla prospettiva
di un cambiamento rivoluzionario.