La questione sindacale.
Le
differenze tra le mozioni del VI congresso PRC. Gennaio 2005.
La
nostra posizione
Come già argomentato nel nostro Comunisti e sindacato
riteniamo che i comunisti possono trovare posto in tutti i sindacati. Compito
del partito è far sì che i comunisti portino avanti, ovunque siano
collocati, un'azione volta a far sì che i sindacati facciano il proprio
mestiere e cioè difendano gli interessi elementari dei lavoratori; per
raggiungere questo fine è fondamentale intraprendere una lotta costante
contro la burocratizzazione (tipica dei sindacati di massa) e contro il leaderismo
(tipico dei sindacati di piccole dimensioni). In generale comunque i comunisti
dovrebbero collocarsi là dove hanno la possibilità di "incontrare"
le più vaste masse di lavoratori e ciò abbastanza indipendentemente
dalla linea sindacale seguita da quella certa organizzazione.
Nel corso degli ultimi tre anni il Governo ha sferrato un poderoso attacco alla
CGIL, che è stata costretta a passare all'offensiva, mettendosi a capo
di momenti di lotta molto forti (soprattutto con la FIOM) per evitare di essere
spazzata via, sia come organizzazione sia come apparato burocratico.
Ora, con la crisi del Berlusconismo dovuta principalmente alla presa di distanza
della nuova Confindustria di Montezemolo, che si sta attrezzando per dialogare
con il prossimo provabile governo di centro sinistra, la CGIL sembra aver tirato
i remi in barca e ripropone il dialogo con le altre confederazioni, e il suo
gruppo dirigente opera per la normalizzazione della sua componente più
radicale (la FIOM).
Il nostro compito non può ridursi alla "denuncia" dell’opportunismo
delle burocrazie sindacali, ma deve essere rivolto a cercare di non disperdere
quanto di positivo a livello di coscienza queste lotte hanno sedimentato tra
i suoi protagonisti, affinché essi stessi diventino motori di un nuovo
modo di concepire il fare sindacato.
Creare gruppi sui posti di lavoro, promuovere protagonismo delle RSU, pretendere
il rispetto della democrazia interna nella formazione delle piattaforme e nella
ratifica dei risultati delle trattative, decidere insieme le forme di lotta;
sono tutte azioni che creano scompiglio nei disegni liquidatori delle burocrazie.
Questo compito spetta a tutti i compagni: siano essi inseriti nei sindacati
di base, che nei sindacati confederali: evitando ad esempio di dar vita a iniziative
di lotta separate e unendosi alle masse che, comunque, continuano a vedere in
una CGIL che "tenga duro" l'unica possibilità di fermare Berlusconi.
Ma ecco le diverse posizioni contenute nei documenti congressuali di cui ne riportiamo degli stralci.
DOCUMENTO
BERTINOTTI
(dalla tesi n° 13)
Il lavoro salariato, in tutte le forme in cui oggi si presenta sia storiche
che inedite, dovrebbe poter guadagnare in esso, e all’interno di una tendenza
alla mondializzazione dei conflitti di classe, un nuovo statuto di democrazia,
di potere e di libertà. Le lavoratrici e i lavoratori dovrebbero poter
guadagnare, contro la tendenza degli ultimi due decenni, una nuova tappa nel
processo di liberazione, attraverso la valorizzazione delle componenti cognitive
e creative, dirette e indirette oggi contenute nel lavoro e la generalizzazione,
seppur in diversi gradi, di quelle dirette. È necessario perseguire la
conquista di elementi d’autogoverno sulle prestazioni lavorative e sul
rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita. È necessario conquistare,
contro la flessibilità, elementi di “rigidità” per
la soddisfazione dei propri bisogni individuali e collettivi da cui far scaturire
nuove forme di controllo sociale e di democrazia diretta e partecipata. Questa
ricerca sul campo delle lotte come quella del soggetto della trasformazione,
il nuovo movimento operaio, sono le possibili levatrici della sinistra di alternativa
in Italia e in Europa.
BREVE COMMENTO
Notiamo
che la questione sindacale non viene trattata in una specifica tesi del documento.
Si indicano solo gli obbiettivi generici che la lotta dei lavoratori dovrebbe
perseguire senza però definire la tattica da attuare nelle strutture
sindacali e la pratica tra i lavoratori. Si tratta di capire se è una
dimenticanza, o se il nuovo corso del PRC, tutto incentrato nella costruzione
di questo nuovo soggetto della trasformazione, consideri la questione sindacale
dentro questo processo più generale, e pertanto non le viene riconosciuta
una sua specificità.
Oppure ancora, questo fatto potrebbe rappresentare una scelta cosciente di arretramento
(dopo la sconfitta subita nel referendum sull’articolo 18), in ossequio
alla linea governista che il PRC si propone di attuare nel futuro prossimo nell’ambito
della GAD, dentro la quale, come sappiamo, è difficile muoversi se si
pongono dei paletti nel campo dei diritti dei lavoratori e dell’autonomia
sindacale.
DOCUMENTO
GRASSI
(dalla tesi n° 12)
Le battaglie dei meccanici sul salario e sull’orario, per la democrazia
nei luoghi di lavoro e contro flessibilità, precarizzazione e licenziamenti
hanno aperto la strada a un nuovo impegno di lotta anche da parte della Cgil,
culminato nella grande mobilitazione in difesa dell’articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori. Questi elementi di positiva evoluzione della Cgil, confermati
dalla sua internità ai grandi movimenti di massa contro la guerra e contro
il neoliberismo, convivono tuttavia contraddittoriamente con scelte discutibili,
quali la firma di contratti caratterizzati da contenuti tutt’altro che
avanzati, e con tentazioni concertative a tutt’oggi presenti. Affinché
questa linea non riemerga (magari sollecitata dalla nuova presidenza della Confindustria,
dalla sinistra moderata e da Cisl e Uil), è importante che la Fiom si
mantenga sulla posizione attuale. Così come è importante che la
sinistra sindacale della Cgil, in tutte le sue articolazioni, assuma questo
obiettivo come prioritario. La politica della concertazione non solo ha dimostrato
che non è in grado di difendere i lavoratori, ma presuppone un sindacato
che è il contrario di quello per cui noi lavoriamo e cioè un sindacato
che si basi sul conflitto, autonomo dai governi e che si legittimi esclusivamente
attraverso il rapporto democratico con i lavoratori. La ripresa del conflitto
di questi anni e l’attacco sistematico operato dai padroni e dal governo
contro i diritti sindacali hanno riproposto (confutando la tesi della “fine
del lavoro” largamente accolta anche dalla sinistra) la persistente centralità
della contraddizione capitale-lavoro, dunque la funzione ancor oggi decisiva
delle lotte operaie e dei lavoratori ai fini di un efficace movimento di trasformazione
dell’ordine sociale esistente. Ne discende una sollecitazione anche per
il nostro Partito, che per molteplici ragioni – da indagare con urgenza
e rigore – ancora stenta a conquistare un’adeguata presenza nelle
organizzazioni sindacali confederali e di base e in quel mondo del lavoro che,
pure, dovrebbe costituire il suo insediamento fondamentale.
BREVE
COMMENTO
Ci
sembra corretta l’analisi che viene fatta delle scelte ondivaghe che hanno
visto protagonista la CGIL, come pure è giusto valorizzare quanto la
FIOM ha fatto per tenere alto il principio della centralità delle compatibilità
operaie.
Non si accenna nulla sulle motivazioni che hanno spinto le burocrazie a intraprendere
lo scontro con il padronato e il Governo. Come pure non si dice come i comunisti
dovrebbero lavorare nel sindacato e tra i lavoratori affinché quei principi
di democrazia e di autonomia vengano comunque attuati.
Nulla ci vieta di pensare che dietro reticenze questo tipo ci sia la convinzione
che inserendosi nelle logiche degli apparati burocratici (e in quella direzione
i compagni dovrebbero spendere le loro energie) sia possible cambiare le linee
del sindacato, tenendo in secondo piano ogni forma di intervento dei lavoratori
in prima persona.
E’ assolutamente assente, inoltre, qualsiaisi indicazione circa il ruolo
che dovrebbero avere i compagni che militano nel sindacalismo di base.
DOCUMENTO
FERRANDO
(dalla tesi: Per una svolta nella politica sindacale nel PRC)
Va superata l’attuale subordinazione del PRC alla direzione della CGIL.
La tesi secondo cui la CGIL avrebbe realizzato in questi anni una positiva svolta
strategica, salvo residue incoerenze a livello vertenziale si è rivelata
sbagliata. La burocrazia dirigente della CGIL preserva una prospettiva strategica
di recupero della concertazione. Questa prospettiva si è confrontata
in questi anni con due elementi di contraddizione che ne hanno ostacolato il
dispiegamento. In primo luogo l’indirizzo del governo Berlusconi che ha
puntato all’emarginazione dell’apparato CGIL dal tavolo concertativo.
In secondo luogo l’operazione politica (poi abortita) di Sergio Cofferati
tesa a far leva sulla CGIL per occupare lo spazio liberato dall’evoluzione
liberale della maggioranza DS e ricontrattare gli equilibri di centrosinistra.
La risultante di questo doppio condizionamento è stata un parziale irrigidimento
della CGIL sul piano “politico”. Ma questo stesso irrigidimento
era ed è funzionale a riconquistare un proprio riconoscimento sul terreno
della collaborazione di classe. Sia sul piano sindacale, dove la CGIL apre alla
“nuova” Confindustria di Montezemolo. Sia sul piano politico dove
la CGIL, prima con l’operazione cofferatiana, poi in forme diverse con
la gestione Epifani, continua a proporsi come soggetto interno al disegno governativo
del Centrosinistra quale esplicita lobby di pressione. Questa prospettiva di
collaborazione col padronato e le sue rappresentanze ha prodotto effetti profondamente
negativi sul movimento operaio. Non solo ha comportato la dispersione delle
potenzialità di lotta contro Berlusconi. Ma ha coinvolto la CGIL nella
gestione di soluzioni contrattuali negative come nel caso dei ferrovieri, del
commercio, dei lavoratori delle telecomunicazioni, dell’Alitalia. La burocrazia
CGIL già oggi opera come fattore di disinnesco di una possibile esplosione
sociale in Italia. Grave è stata, in questo quadro, la crescente subordinazione
del gruppo dirigente di Lavoro e Società all’indirizzo della CGIL.
Sia in ambito sindacale, dove è mancata una proposta alternativa alla
gestione confederale delle lotte e dove anzi si sono moltiplicati casi di aperta
corresponsabilizzazione alle scelte della burocrazia. Sia sul terreno politico,
dove il gruppo dirigente di Lavoro e Società si è adattato alla
prospettiva di centrosinistra: prima col sostegno politico all’operazione
Cofferati, poi con la richiesta di condizionare a sinistra la “coalizione
democratica” a guida Prodi. Non a caso si giunge ora a prefigurare un
documento unitario per il prossimo congresso della CGIL. Il PRC deve opporsi,
apertamente, alla linea della burocrazia CGIL. In primo luogo sul terreno centrale
dell’azione di massa, dove occorre avanzare una proposta di svolta sul
terreno dell’unificazione delle lotte e di una vera prova di forza contro
il governo e il padronato. Le rivendicazioni di un aumento generale e consistente
dei salari (senza subordinazione della libera contrattazione a meccanismi concertativi);
dell’abolizione delle leggi di precarizzazione; dell’estensione
dell’articolo 18 a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici; di un
vero salario garantito per i disoccupati; della nazionalizzazione senza indennizzo
delle industrie in crisi e che licenziano, vanno proposte nelle organizzazioni
sindacali e tra i lavoratori come base di una piattaforma vertenziale unificante.
In secondo luogo all’interno della stessa Confederazione dove va avanzata
una proposta alternativa di indirizzo a partire da una scelta di autonomia della
CGIL dal centrosinistra. Il prossimo Congresso della CGIL dovrà vedere,
necessariamente, un documento alternativo alla impostazione politica e sindacale
della maggioranza CGIL. Il PRC, con i suoi militanti in CGIL, deve apertamente
lavorare in questa direzione, con una proposta di raggruppamento unitario di
tutte le forze coerentemente classiste della confederazione. Parallelamente
nel sindacalismo di base (Cub, Sincobas, Confederazione Cobas) che si oppone
positivamente alla linea di concertazione, i militanti del PRC debbono contrastare
ogni logica di autosufficienza o di difesa corporativa di un proprio spazio,
a favore di una linea di ricomposizione unitaria della classe sul terreno dell’alternativa
radicale al padronato e ai suoi governi, e di una reale alternativa di direzione
sindacale a livello di massa. Più in generale la proposta del polo autonomo
di classe anticapitalistico, opportunamente articolata sul piano sindacale,
deve divenire il terreno di unificazione dell’azione sindacale dei militanti
del PRC, ovunque collocati sindacalmente.
BREVE
COMMENTO
In questo documento le burocrazie sindacali della CGIL vengono chiaramente indicate
come un soggetto che, in un meccanismo di unità d’azione, ha lavorato
per depotenziare la lotta contro il governo Berlusconi in vista di una ripresa
della concertazione e per creare le migliori condizioni di pace sociale volte
a favorire la ripresa del potere di un governo di centro-sinistra. La politica
del PRC viene seccamente liquidata come subordinata alle scelte del gruppo dirigente
della CGIL.
Anche ammettendo di condividere queste valutazioni, manca sempre un’indicazione
precisa su come i compagni debbano agire sia nei sindacati che tra i lavoratori
e nelle loro strutture di rappresentanza.
Si dice che i comunisti nei sindacati si dovrebbero coordinare tra loro (e ci
mancherebbe che non lo facessero) ma per fare che cosa, non è molto chiaro.
Si parla della scrittura di un documento alternativo per il prossimo congresso
della CGIL, e si pensa ad una articolazione dell’azione sindacale volta
alla creazione del più ampio “polo autonomo di classe anticapitalistico”.
Nulla si dice su come i comunisti debbano lavorare nel sindacato affinchè
questo faccia il suo mestiere e i lavoratori possano contare di più e
possano almeno tentare di condizionare le scelte delle burocrazie.
In realtà dietro i grandi proclami sulle importanti lotte da intraprendere
vi è la volontà di spingere il partito a operare per la creazione,
nel gruppo dirigente della CGIL, di una nuova componente burocratica, ben intruppata
e attrezzata per una sorta di scontro/resa dei conti, tutto interno alle burocazie,
nella più totale estraneità dei diretti interessati: i lavoratori
.
DOCUMENTO MALABARBA
(dalla tesi n° 3.4)
Un vero piano di lavoro sociale ha bisogno di un ripensamento dell’intervento
sindacale. La riattivazione sociale degli ultimi anni ha sconfitto il metodo
D’Amato ma non ha mutato i rapporti di forza né indebolito gli
obiettivi di Confindustria e del governo. La “nuova concertazione”
punta a ricostruire un patto sociale con Cgil, Cisl e Uil su basi più
arretrate dei nefasti accordi del ’93. Le contraddizioni del sindacalismo
confederale sono evidenti. Se Cisl e Uil da un lato continuano a ricercare la
legittimazione di governo e Confindustria, la Cgil si dibatte in una contraddizione
ulteriore tra un orientamento di “sinistra” sul piano politico generale
ed una pratica concertativa nella maggior parte delle vertenze di categoria.
L’arcipelago del sindacalismo di base, da parte sua, rappresenta un patrimonio
prezioso ma non costituisce ancora un’alternativa credibile e sufficiente.
La costruzione di una sinistra sindacale nella Cgil, le esperienze più
avanzate del sindacalismo confederale, come la Fiom, e le organizzazioni sindacali
di base rappresentano oggi i luoghi della costruzione della sinistra sindacale.
Ma questa ha bisogno di contenuti che possano permettere convergenze e unità
d’azione. A partire dalla rottura del quadro concertativo della “politica
dei redditi”, dalla lotta contro la precarizzazione, per la cancellazione
della legge 30 e contro la sua applicazione e, infine, la lotta per la democrazia
e le libertà sindacali (diritto di sciopero, voto su piattaforme e contratti,
legge sulla rappresentanza).
BREVE
COMMENTO
Molto semplicemente questo documento propone una sorta di unità delle
componenti sindacali che si richiamano a una cultura di classe e che si sono
ben evidenziate nelle lotte di questi ultimi tre anni.
Indica i terreni su cui tale convergenza si dovrebbe verificare ma null’altro
sulle modalità di intervento e sulle regole di democrazia interna di
questa aggregazione di sinistra sindacale.
Comprendiamo l’imbarazzo di chi, a suo tempo, ha promosso la nascita di
sindacati di base e, successivamente scissioni interne agli stessi sindacati,
ora, non essendo in grado di mettere all’attivo risultati di un certo
rilievo dall’esperienza fatta, sia in difficoltà a dire come concretamente
i compagni si debbano muovere sul piano della lotta sindacale.
Piuttosto che dire, con un giro di parole, che il sindacalismo di base non rappresenta
ancora “un’alternativa credibile e sufficiente”, sarebbe forse
meglio ammettere un suo fallimento e proporre di conseguenza un investimento
delle energie disperse in questi sindacatini, nelle realtà dei sindacati
di massa dove il numero dei lavoratori che è possible incontrare è
smisuratamente superiore, e dove vi è un grande bisogno di compagni determinati
a portare a fondo la lotta contro gli apparati burocratitici che tanto danno
hanno prodotto e continuano a produrre.
DOCUMENTO
BELLOTTI
(dalla tesi “PRC e movimenti)
Dobbiamo perseguire sistematicamente una linea che ponga la classe operaia come
perno fondamentale di ogni strategia di mobilitazione. Il ruolo decisivo dei
lavoratori e delle loro organizzazioni di massa è stato confermato una
volta di più dagli avvenimenti di questi anni. L’entrata in campo
della classe operaia organizzata è stato l’elemento chiave che
ha permesso alle mobilitazioni di estendersi a un livello mai raggiunto in passato
ed è la chiave di volta per qualsiasi strategia che punti a rovesciare
i rapporti di forza nel paese e ad aprire la strada ad una reale alternativa.
La classe lavoratrice può e deve porsi in una posizione dirigente ed
esercitare un’egemonia facendosi carico di tutte le rivendicazioni progressive
che emergono anche da altri strati popolari e inserendole in una cosciente strategia
rivoluzionaria.
(dalla
tesi “Costruire il radicamento operaio del partito)
Il Prc deve sostenere attivamente qualsiasi evoluzione a sinistra da parte di
settori della Cgil, come avviene ora con la Fiom e come domani potrebbe accadere
con altre categorie o organizzazioni locali. Tuttavia tale sostegno non può
mai ridursi ad un appoggio acritico; per quanto positive le prese di posizione
di Rinaldini si caratterizzano per il loro carattere esitante, per la costante
difficoltà a passare dalle parole ai fatti, per l’incapacità
di adottare metodi di lotta e di organizzazione adeguati all’altezza della
sfida. Le vicende dei contratti nazionali dei metalmeccanici confermano tanto
i tratti positivi (il rifiuto della Fiom di firmare un contratto bidone, il
tentativo di proseguire la lotta) quanto i pesanti limiti (una tattica errata
che divideva le forze anziché concentrarle, incapacità di organizzare
un’effettiva partecipazione democratica di massa alla gestione della lotta
in tutti i suoi aspetti, lunghi momenti di vuoto di indicazioni concrete da
parte del gruppo dirigente, ecc.). Questa valutazione complessiva ci porta a
una conclusione: anche verso i settori più a sinistra e combattivi della
Cgil dobbiamo mantenere un atteggiamento critico, non rilasciare assegni in
bianco ma lavorare coerentemente per approfondire la mobilitazione, perché
alle parole seguano i fatti, contro ogni delega passiva ai gruppi dirigenti.
………………………………………………
Gli sviluppi in corso impongono anche una valutazione rispetto all’intervento
del partito nel sindacalismo extraconfederale. I fatti dimostrano come sia stato
un grave errore indulgere a prospettive scissionistiche e a improbabili proposte
di “ricomposizione” disegnate a tavolino, fra settori della sinistra
Cgil influenzati dal partito e settori dei sindacati di base. Tale linea, adottata
dalla Conferenza dei lavoratori di Treviso nel 2001 non ha portato ad alcun
risultato. È indiscutibile come oggi il centro decisivo della battaglia
sindacale si situi nello scontro interno alla Cgil. Questo non significa abbandonare
altri terreni di intervento sindacale che si siano dimostrati fecondi, né
tantomeno imporre per decreto ai militanti del partito collocati in altre strutture
sindacali di abbandonarle in favore di un’adesione alla Cgil, tuttavia
la strategia del partito deve necessariamente convergere attorno a tale punto
chiave.
BREVE
COMMENTO
Far
precedere a tutto il ragionamento sul sindacato il principio politico secondo
cui la classe lavoratrice deve essere, in prospettiva, il nucleo centrale e
dirigente di un movimento rivoluzionario dentro cui convogliare tutti gli altri
settori di movimento, è un discorso estremamente pericoloso.
In questo modo si nega infatti l’articolazione dei campi di intervento
dei movimenti esistenti e la specificità di altri soggetti che, in questo
contesto sociale, ma anche in altri storicamente precedenti, vivono oppressioni
di vario tipo (genere, sessuale, generazionale, raziale,….).
Giusto sarebbe proporre l’alleanza tra la classe lavoratrice e gli altri
soggetti sociali oppressi, non in un rapporto gerarchico ma in un rapporto paritario,
per una lotta generale contro la società oppressiva.
Se questa questione (direzione dei movimenti, o alleanza con i movimenti) non
viene chiarita, anche la questione sindacale non può trovare una giusta
definizione.
Anche se l’analisi che viene fatta del ruolo assunto dal sindacato e dalle
sue burocrazie in questa fase; anche se si indica correttamente (in modo molto
generico) il compito dei comunisti tra i lavoratori e negli apparati; anche
se si individua nella CGIL l’ambito più logico dove investire le
energie, resta sempre il dissenso rispetto la prospettiva futura di questa azione.
Come abbiamo detto sopra, non si deve vedere nel sindacato lo strumento che
educa e/o forma i lavoratori in vista di un loro protagonismo in un processo
rivoluzionario che li vedrà dirigenti, ma semplicemente (e scusate se
è poco) un organismo che devono utilizzare per difendere i propri interessi
elementari.
I comunisti devono essere in prima linea nella difesa di questa funzione del
sindacato.