V mozione. Rompere
con Prodi. Preparare l'alternativa operaia.
Primo
firmatario Claudio Bellotti.
Premessa:
la "Grande alleanza democratica", gabbia mortale per il Prc
Il VI congresso del Prc assume un carattere di straordinarietà. Siamo
tutti chiamati a scelte che avranno profonde conseguenze sul futuro del nostro
partito e della sinistra italiana. In pochi mesi il percorso di avvicinamento
del Prc all'Ulivo ha già mostrato a quali pericoli siamo sottoposti.
Il precipitoso abbraccio con Prodi e con la Grande Alleanza Democratica coincide
con un rapido scivolamento moderato nelle nostre parole díordine, nellíazione
del partito e nella sua linea complessiva.
I primi atti formali dell'alleanza parlano da soli. Il più clamoroso
riguarda la vera e propria svolta riguardo al problema cruciale della guerra
in Iraq. L'accordo sottoscritto l'11 ottobre tra tutti i partiti della Gad,
incluso il Prc, dichiara infatti quanto segue: "Tutti insieme proponiamo
che l'Italia si attivi per concorrere alla convocazione di una conferenza internazionale
con la partecipazione di tutte le parti interessate che garantisca uno svolgimento
trasparente e democratico delle elezioni irachene e permetta la nascita di un
Iraq libero e democratico. La sostituzione delle forze di occupazione con forze
multinazionali chiaramente percepite come forze di pace, di assistenza umanitaria
e di sostegno alla ricostruzione Ë un passo essenziale in questo processo.
In questo quadro va previsto il ritiro delle truppe italiane già ripetutamente
richiesto".
Questa posizione implica l'abbandono di quella che era stata finora la parola
díordine centrale avanzata dal partito, ossia il ritiro delle truppe
"senza se e senza ma" e apre la strada a chi vuole trasformare l'occupazione
americana in un'occupazione "multilalterale" sulla linea di quanto
accade in Afghanistan o nei Balcani. gravissimo che il partito abbia accettato
questa posizione che nega alla radice un principio elementare, e cioè
che non può esistere un Iraq libero senza l'uscita di tutte le truppe
occupanti, legittimando invece il processo elettorale farsa che si sta preparando
in Iraq.
Accettando il principio del voto a maggioranza e della disciplina di coalizione
il partito mette a rischio la propria autonomia politica. Si presenta una visione
mistificata dell'alleanza, si abbellisce quello che bello non é, si passivizza
la militanza del partito che diventa spettatrice delle manovre tattiche del
gruppo dirigente nel continuo balletto diplomatico con Prodi e con i vertici
dell'Ulivo.
Questa perdita dellíindipendenza politica e di classe del nostro partito
non cade dal cielo, è lo sbocco di un lungo processo di revisione politica
e ideologica, di un grave indebolimento organizzativo, di una prassi che ha
portato il Prc ad allontanarsi drammaticamente dal movimento operaio e da una
concezione di classe.
Il futuro del partito non é garantito dallíavere ottenuto 60mila
voti in più nelle scorse elezioni europee; si ricordi che in passato
il Prc ottenne risultati elettorali ben più consistenti i quali vennero
completamente dispersi e vanificati da una politica di collaborazione di classe
errata e disastrosa che ci portò dapprima a sostenere il primo governo
dell'Ulivo per poi subire la scissione, dopo aver votato una lunga serie di
provvedimenti antipopolari e inaccettabili. L'8,6% delle elezioni del 1996,
oltre tre milioni di voti, anziché essere impiegato nella costruzione
del movimento di massa venne sacrificato votando misure quali il Pacchetto Treu,
la legge Turco-Napolitano, líautonomia scolastica, le privatizzazioni
e i tagli in nome di Maastricht, e si potrebbe continuare a lungo.
Una svolta radicale é quindi necessaria, una svolta che parta dalla necessità
urgente e imprescindibile di salvaguardare l'indipendenza di classe e líautonomia
politica del partito e che punti a delineare una strategia praticabile per la
costruzione di una reale alternativa di sinistra e dia uno sbocco politico alle
grandi mobilitazioni di massa che attraversano il nostro paese.
Il risveglio dei movimenti di massa
Siamo entrati in una nuova fase storica, caratterizzata da una crisi organica
del sistema capitalista su scala mondiale e dallo sviluppo di importanti mobilitazioni.
In Europa, in India, in Sudafrica, in America Latina, vediamo lo sviluppo di
giganteschi movimenti di massa. In India la sconfitta elettorale della destra,
preceduta dal più grande sciopero generale nella storia del paese, segnala
líentrata in campo di sterminate masse di lavoratori, contadini, diseredati.
In questi anni é stata indubbiamente líAmerica latina la punta
più avanzata, con una serie di sollevazioni di massa che hanno attraversato
il continente. L'Ecuador nel gennaio 2000, l'Argentina del 2001, la Bolivia
nell'ottobre del 2003 hanno visto delle vere e proprie insurrezioni di massa
e una lotta aperta per il potere che ha costretto i governi in carica a darsi
alla fuga. In Venezuela le masse hanno sconfitto a più riprese i tentativi
golpisti, nell'aprile del 2002, nel dicembre 2002 e ancora la scorsa estate
nel referendum revocatorio voluto dallíopposizione reazionaria e da Washington
per rovesciare il governo di Hugo Chavez. Numerosi altri paesi hanno visto grandi
mobilitazioni di massa, scioperi generali e insurrezioni locali che preannunciano
nuove crisi rivoluzionarie: Uruguay, Perù, Cile, Colombia.
Dopo i decenni delle dittature militari prima e poi delle "democrazie"
sotto tutela Usa, le masse latinoamericane tornano sulla scena riprendendo il
filo di un processo rivoluzionario continentale che sembrava perso dopo due
decenni di sconfitte e arretramenti. Contrariamente alle teorizzazioni ìnoglobalî
(incluse quelle zapatiste), il centro della lotta non sono né i "municipi",
né la costruzione della "società civile" attraverso
le varie reti solidaristiche (commercio equo-solidale, ecc.), ma la lotta aperta
e diretta delle masse per la conquista del potere politico come leva fondamentale
per cambiare le loro condizioni di vita. questo il contenuto reale del movimento
delle masse latinoamericane, in particolare nei suoi punti più avanzati.
L'avanzata delle masse latinoamericane si produce dopo oltre un ventennio di
arretramenti e sconfitte che hanno gettato in una crisi profonda gran parte
delle organizzazioni della sinistra nel continente, dai gruppi guerriglieri
ai partiti comunisti e socialisti. Pertanto il movimento Ë costretto a
cercare la sua strada a tentoni, senza una direzione politica che possa rendere
più breve e lineare il processo verso la vittoria. Ma al di là
delle difficoltà e degli errori sono decisive le condizioni obiettive,
che spingono le masse a tornare alla lotta; é decisivo soprattutto il
fatto che i lavoratori e i contadini hanno ritrovato la fiducia nelle proprie
forze e sono disposti a lottare fino alle estreme conseguenze, come ci hanno
ampiamente dimostrato gli esempi citati.
Il sogno bolivariano dell'unità latinoamericana può tornare a
vivere su nuove basi storiche, come coronamento di un processo rivoluzionario
continentale. l'idea della federazione socialista dell'America latina come unica
via di sviluppo economico e sociale, come unico modo per conquistare una reale
indipendenza dall'imperialismo. in questo scontro che si deciderà anche
il destino della rivoluzione cubana, oggi minacciata da pericoli esterni ed
interni. Nei primi anni della rivoluzione cubana, il Che tentò di perseguire
una prospettiva internazionalista come via maestra per garantire la vittoria
e il futuro della rivoluzione cubana. Oggi rinasce la prospettiva di una rivoluzione
continentale che si realizzi non attraverso la costruzione di piccoli nuclei
di guerriglieri, ma principalmente attraverso il gigantesco movimento di massa
della popolazione urbana e in primo luogo del proletariato, che in questi decenni
ha enormemente accresciuto il suo peso economico e sociale. Quando al movimento
già in atto si unirà la classe operaia di paesi quali il Messico
e il Brasile, esso assumerà una forza invincibile.
La vittoria di Lula in Brasile aveva acceso le speranze delle masse di tutta
líAmerica Latina ma dopo i primi due anni di governo molte aspettative
sono andate deluse. Il Brasile é in regola con tutti i parametri dettati
dal Fmi e la principale preoccupazione sembra essere quella di "rassicurare
i mercati". Non potrebbe essere altrimenti, visto che l'esecutivo brasiliano
é costituito, oltre che da ministri del Pt, da esponenti fra i più
autorevoli della classe dominante del paese che fanno sentire tutto il loro
peso allíinterno della coalizione.
Ma se i conti macroeconomici del paese sono "in ordine", non si può
dire lo stesso per il problema della distribuzione delle terre, della disoccupazione,
della fame che colpiscono decine di milioni di lavoratori e le loro famiglie.
Nel 2003 si sono pagati 50 miliardi di dollari di interessi del debito estero,
cinque volte di più di quanto destinato alla sanità pubblica.
La delusione per le politiche governative si riflette nella perdita delle città
di San Paolo e Porto Alegre nelle recenti elezioni amministrative, e nella significativa
ripresa degli scioperi, tra cui spiccano quelli dei bancari e dei metalmeccanici
della cintura industriale di San Paolo dove nacque il Pt. La direzione del partito,
riconosciuto una volta come tra i più democratici, oggi reprime ed espelle
chi dissente rispetto alle politiche di controriforme.
Ancora una volta l'esperienza del governo Lula dimostra che non si possono servire
due padroni. "Il governo metà operaio e metà borghese",
come viene definito dal Movimento Sem Terra, dovrà abbandonare ogni illusione
rispetto a politiche di collaborazione di classe pena uníinevitabile
perdita di consensi e una nuova vittoria della destra. Lo scontro con il padronato
brasiliano ed internazionale sarà inevitabile, se si vogliono rendere
concrete le aspirazioni di milioni di lavoratori di tutto il continente, in
una situazione che mai Ë stata cosÏ favorevole per le sinistre.
L'aspetto decisivo Ë quindi quello della direzione politica. L'unica vera
debolezza del movimento in America latina contro la quale dobbiamo contribuire
a lottare Ë quella politica, la confusione di tutti coloro che, più
o meno in buona fede, tentano di fare una mezza rivoluzione, propongono ìnuoveî
vie che in realtà non sono altro che la riedizione di quelle posizioni
gradualiste che in altre epoche portarono alla drammatica sconfitta dei lavoratori
cileni o alla sconfitta della rivoluzione sandinista in Nicaragua.
Il risveglio operaio in Europa e in Italia
Seppure in condizioni e con ritmi molto diversi, assistiamo anche a un vero
e proprio risveglio del movimento operaio europeo. Italia, Francia, Spagna,
Grecia, Germania, Olanda, Austria, Gran Bretagna in un paese dopo l'altro abbiamo
assistito al ritorno dei lavoratori sulla scena con gigantesche manifestazioni,
scioperi, scioperi generali. Queste mobilitazioni ci dicono che é in
campo una nuova generazione, che comincia a lasciarsi alle spalle gli anni delle
sconfitte e della concertazione. Il processo é particolarmente chiaro
in Italia.
Accanto alle gigantesche mobilitazioni per l'articolo 18 prima e contro la guerra
poi, abbiamo visto anche una serie di vertenze locali estremamente sintomatiche.
Le mobilitazioni che si sono seguite, partendo dalla lotta della Fiat nel 2002,
in particolare a Termini Imerese, proseguendo con i momenti più avanzati
della lotta dei metalmeccanici per il contratto e lotte degli autoferrotranvieri,
dei siderurgici di Terni e Genova, e da ultimo (per ora) la lotta di Melfi sono
significative non solo per i risultati raggiunti, che sono stati diversificati,
ma perché indicano le caratteristiche della nuova fase, e precisamente:
1) La disponibilità ad utilizzare metodi di lotta radicali, sfidando
le varie leggi antisciopero, le ordinanze prefettizie, le multe, la repressione
poliziesca e rompendo le "regole del gioco" dettate non solo dai padroni
e dal governo, ma anche dalla politica concertativa seguita per tanti anni dai
vertici sindacali.
2) L'estesa solidarietà che hanno trovato nella popolazione, fra i lavoratori
ma non solo, in forte contrasto con lotte anche lunghe e condotte con coraggio
negli anni scorsi, che però facevano fatica a trovare un appoggio attivo
al di fuori dei cancelli.
3) Il ruolo di punto di riferimento che hanno svolto, per cui l'idea che "bisogna
fare come i tranvieri" oppure ìbisogna fare come a Melfiî
diventava il modo più chiaro e popolare anche in settori non direttamente
coinvolti dalla mobilitazione per esprimere líesigenza di una lotta intransigente
e decisa a strappare il risultato.
4) Il riflesso anche su mobilitazioni non direttamente operaie, che hanno interagito
con queste lotte di fabbrica: Scanzano, Acerra, la lotta in difesa della scuola
pubblica, e via di seguito. » indiscutibile che senza il risveglio operaio
che si é manifestato in questi anni non si sarebbero date neppure le
condizioni per questo genere di mobilitazioni sul territorio. Di particolare
importanza a questo riguardo sono le lotte degli immigrati, sia attorno alle
loro specifiche rivendicazioni, sia con la loro partecipazione sempre più
numerosa alle mobilitazioni generali del sindacato, del movimento contro la
guerra, ecc.
Tali esperienze di lotta avanzate hanno finora riguardato settori specifici
della classe e non ancora il movimento operaio nel suo insieme. Si pone pertanto
la domanda se tali mobilitazioni siano solo fenomeni isolati, oppure il preannuncio
di un movimento più ampio. Domanda alla quale facilmente si può
rispondere con uníaltra domanda: quante Melfi, quante Atm di Milano,
quante Termini Imerese esistono potenzialmente oggi in Italia? Quante Scanzano
e quante Acerra possono esplodere, considerata la situazione economica, salariale,
occupazionale e sociale in generale? Ci pare che la domanda si risponda da sola.
Queste lotte rispondono una volta per tutte a tutte quelle posizioni che proclamavano
la fine della lotta di classe, che teorizzavano come la precarizzazione avrebbe
impedito la lotta collettiva dei lavoratori, che dichiaravano che a Melfi la
Fiat era riuscita a mettere in piedi la ìfabbrica integrata e aconflittualeî
e tante altre dannose idiozie con le quali l'intellettualità di sinistra,
anche "radicale", tentava di giustificare la propria impotenza politica
e il proprio opportunismo.
Se la politica di lacrime e sangue degli anni 90 éstata deleteria per
tutto il proletariato italiano, per quello meridionale é stata devastante.
Il 75% delle famiglie povere si concentra al sud, la disoccupazione é
al 18% contro la media nazionale del 9% e tocca il 49% per i giovani sotto i
24 anni, mentre 450mila famiglie meridionali non vedono nemmeno un occupato
tra le proprie fila. L'idea che l'Italia abbia ereditato un sud irrimediabilmente
arretrato Ë falsa. La borghesia italiana per 150 anni ha fatto del sud
la propria colonia e questo, sia pure in forme parzialmente nuove, continua
ad essere vero oggi.
Il mezzogiorno continua ad essere riserva di manodopera a basso costo sia attraverso
una forte ripresa dellíemigrazione al nord durante gli anni 90 (con punte
di 90mila unità all'anno), sia attraverso lo sviluppo di poli industriali
come Melfi, sulla base dei bassi salari e delle massicce sovvenzioni statali.
A fianco a questo sfruttamento della forza lavoro meridionale vediamo altre
forme di sfruttamento: il territorio saccheggiato dai grandi specultaori o usato
come discarica (Scanzano), la salute dei cittadini e dei territori messa a disposizione
dell'eco-business (Acerra), le nuove servitù militari (Maddalena).
Oggi però vediamo finalmente il rovescio della medaglia: finisce l'epoca
della rassegnazione e si manifesta una ribellione diffusa e una grande disponibilità
dei lavoratori e del popolo meridionale a rendersi protagonista di mobilitazioni
che si pongono all'avanguardia nel panorama nazionale.
Oggi il sud Ë alla testa delle mobilitazioni operaie e popolari (Termini
Imerese, Melfi, Polti sud, Scanzano, Acerra) e avrà un ruolo decisivo
in futuro, da qui il bisogno che il Prc impegni risorse ed energie per costruire
e radicare il partito tra le massi meridionali.
La crisi sociale ricade con maggiore brutalit‡ sulle donne lavoratrici:
líaumento dellíoccupazione femminile dal 28,6% al 32,3% fra il
1992 ed il 2002 si Ë tradotto nella creazione di posti di lavoro precari
e sottopagati, che non prevedono líerogazione di congedi di maternità
(ridicoli quando ci sono); l'obbligo del lavoro notturno per le donne che ha
compresso fortemente i loro "tempi di vita", costringendole a fare
i salti mortali per incastrare lavoro e famiglia.
Sono le prime vittime dei tagli allo Stato Sociale: in mancanza di strutture
pubbliche che accolgano anziani e malati, le funzioni di cura ed assistenza
ricadono interamente sulle spalle delle donne; la riforma Moratti da un lato
espellerà non meno di 17.000 insegnanti dalla scuola, attaccando frontalmente
uno dei tradizionali settori díimpiego femminile, dall'altro con l'abolizione
del tempo pieno costringerà al licenziamento molte lavoratrici, che non
potranno permettersi baby-sitter. Inoltre la legge sulla fecondazione assistita
(che riconosce líembrione come soggetto giuridico avente il diritto a
vedere difesa la propria vita, mettendo cosÏ in discussione la legge sullíaborto)
cosÏ come gli assegni alle donne che rinunciano ad abortire e la proposta
di far pagare alle donne che abortiscono il costo dell'intervento fanno capire
quanto profondamente il controllo del corpo e della capacità riproduttiva
delle donne siano fortemente osteggiate dall'ideologia oscurantista della borghesia.
Consci che la soluzione di questi problemi può essere soltanto collettiva,
legata allo sviluppo di un movimento di massa che veda le donne lavoratrici
in prima fila nella lotta contro il capitalismo, pensiamo che questo sia un
terreno in cui il partito si debba impegnare affinchÈ il movimento operaio
sappia farsi portatore di rivendicazioni che difendano i diritti delle donne
e non baratti, come spesso Ë successo, questi diritti sullíaltare
delle diplomazie fra forze politiche.
Prc e movimenti: un bilancio dallo scorso congresso
Il V Congresso del partito (2002) si era svolto all'insegna della svolta verso
i movimenti, della "contaminazione", della immersione e anzi dell'identificazione
completa del Prc con i ìmovimentiî e in particolare con il movimento
ìnoglobalî.
Tale svolta Ë stata accompagnata da un vasto processo di revisione ideologica
(religione, nonviolenza, resistenza, ruolo del partito, e via di seguito) che
avrebbe dovuto, nelle intenzioni dichiarate, rimuovere gli ostacoli che si frapponevano
fra i protagonisti dei movimenti e la struttura organizzata del partito stesso.
Balza agli occhi come a oltre due anni da quel congresso, tale obiettivo sia
stato completamente mancato. I dati del tesseramento, della militanza, della
diffusione di Liberazione, insomma tutti gli indicatori dell'influenza organizzata
del partito sono in calo costante. Pur giurando ad ogni passo sui "movimenti",
il partito si trova di fatto in una posizione di debolezza precisamente sul
fronte dei movimenti di massa.
Con il movimento contro la guerra, in particolare nei suoi settori più
avanzati, la posizione assunta dalla Gad e sottoscritta dal partito apre una
divaricazione potenzialmente pericolosa. Nel movimento "noglobal",
il maldestro tentativo di matrimonio con i "disobbedienti" é
finito in cocci (come era inevitabile e prevedibile fin dal primo giorno) senza
procurarci alcun vantaggio politico e anzi con l'uscita dal partito di alcuni
settori dei Giovani comunisti.
La "contaminazione" con i movimenti ha significato nella pratica la
rincorsa alle azioni "disobbedienti" e in generale l'adozione di tutte
le teorie "alla moda" negli stati maggiori dei Social Forum. Tale
linea portava il partito a voltare le spalle al movimento operaio proprio mentre
nel paese reale esplodeva il conflitto sociale, partendo dalle mobilitazioni
sull'articolo 18.
Di fatto l'intera impostazione teorica e pratica del "nuovo movimento operaio"
ha spiazzato il partito di fronte ai conflitti reali. La centralità della
contraddizione di classe viene negata, sostituita da una semplice elencazione
di "culture critiche" (femminismo, ecologismo, pacifismo) che vengono
proposte come pilastri fondanti della nuova identità comunista.
Anche la rottura con lo stalinismo Ë stata condotta in nome di una genericissima
critica del ìnovecentoî e della presa del potere nella quale obiettivamente
viene rimossa l'eredità irrinunciabile della rivoluzione díOttobre
e dellíelaborazione dellíInternazionale comunista degli anni rivoluzionari,
prima della degenerazione stalinista; ci si Ë posti cosÏ sul terreno
non della critica comunista e di classe allo stalinismo, ma su quello tradizionale
del liberalismo e della socialdemocrazia.
I movimenti di questi anni hanno coinvolto vasti settori di massa, anche eterogenei
fra loro. Tuttavia Ë necessario che il partito tracci una strategia chiara
nelle mobilitazioni, la nostra analisi non può limitarsi ad elencare
una lunga serie di soggetti (il movimento noglobal, il movimento girotondino,
il movimento contro la guerra, quello dei lavoratori, i movimenti in difesa
del territorio e della salute, ecc.). Dobbiamo perseguire sistematicamente una
linea che ponga la classe operaia come perno fondamentale di ogni strategia
di mobilitazione. Il ruolo decisivo dei lavoratori e delle loro organizzazioni
di massa Ë stato confermato una volta di più dagli avvenimenti di
questi anni. L'entrata in campo della classe operaia organizzata Ë stato
líelemento chiave che ha permesso alle mobilitazioni di estendersi a
un livello mai raggiunto in passato ed Ë la chiave di volta per qualsiasi
strategia che punti a rovesciare i rapporti di forza nel paese e ad aprire la
strada ad una reale alternativa. La classe lavoratrice può e deve porsi
in una posizione dirigente ed esercitare uníegemonia facendosi carico
di tutte le rivendicazioni progressive che emergono anche da altri strati popolari
e inserendole in una cosciente strategia rivoluzionaria. questa l'unica credibile
strategia di unificazione e di sviluppo dei movimenti di massa; ogni altra prospettiva
condanna di fatto i movimenti alla dispersione politica, al ripiegamento in
una logica settoriale e di pressione e in ultima analisi ad essere riassorbiti.
Guerra, imperialismo, pacifismo e resistenza
La guerra in Iraq ha messo a nudo la crisi dellíimperialismo Usa, i limiti
di quella che a molti era sembrata una potenza invincibile. Gli Usa sono in
realtà intrappolati in Iraq; non possono vincere la guerra contro un
popolo in rivolta; d'altra parte ritirarsi significherebbe dichiarare la propria
impotenza di fronte al mondo intero che avevano sfidato decidendo di andare
in guerra a qualsiasi costo. La rielezione di Bush non cambia di una virgola
la situazione. Non Ë l'inquilino della Casa Bianca a decidere: decidono
gli interessi di fondo dellíimperialismo americano e la sua posizione
nel mondo. La potenza americana non può vincere in Iraq, ma prima di
abbandonare la preda commetteranno ogni possibile crimine. Il loro scopo non
Ë più quello di vincere, ma quello di devastare il paese e precipitarlo
in uno stato di tale distruzione economica, sociale e culturale che quando infine
abbandonino la preda non possa sorgere alcun movimento di massa che possa costituire
un punto di riferimento per le masse arabe.
Sono stati proprio gli americani a fare di tutto per fomentare il conflitto
etnico e religioso in Iraq; se saranno costretti ad abbandonare il paese, vogliono
lasciare un caos sanguinoso che precluda qualsiasi possibile sviluppo rivoluzionario
della lotta contro líoccupazione.
Ricade quindi sul popolo iracheno e in primo luogo sui lavoratori, i disoccupati,
i contadini, il peso terribile di una lotta per la liberazione contro un avversario
disposto ad ogni violenza e armato fino ai denti.
Il movimento operaio italiano e in primo luogo i comunisti devono prendere il
posto che gli spetta in questa battaglia. Respingiamo la tesi degli ideologi
dellíimperialismo (e del fondamentalismo reazionario) secondo la quale
il mondo si avvierebbe verso un conflitto di civiltà. In realtà
le azioni sanguinose ed efferate di gruppi reazionari come Al Qaeda e altri
analoghi, per quanto appariscenti e largamente sfruttate dalla propaganda di
guerra, non sono altro che una minima parte di quanto avviene sul campo in Iraq.
La resistenza irachena non é questo, ma é una guerra di popolo,
che coinvolge migliaia e migliaia di militanti con un appoggio di massa nella
popolazione, che ha visto non solo un crescendo della guerriglia contro le truppe
occupanti, ma anche episodi di mobilitazioni di piazza con scioperi, manifestazioni
e vere e proprie rivolte di massa contro líoccupazione e il governo collaborazionista.
I comunisti devono dichiarare ad alta voce che il popolo iracheno ha il diritto
e il dovere di ribellarsi a uníoccupazione criminale; che tale lotta
può essere vittoriosa solo come lotta di massa con al centro la classe
operaia e le altre classi sfruttate della popolazione; che l'aspetto militare
della lotta deve essere inserito e subordinato alla prospettiva di uníinsurrezione
di massa che liberi il paese dagli occupanti. Quanto più il movimento
operaio su scala internazionale saprà schierarsi attivamente contro líoccupazione
in Iraq, utilizzando tutte le necessarie forme di lotta: manifestazioni, scioperi,
boicottaggi delle infrastrutture militari Usa e alleate (lotta per la chiusura
delle basi, ecc.), tanto più si ridurrà lo spazio per la demagogia
fondamentalista; viceversa, tale demagogia può trovare una parvenza di
fondamento fino a quando agli occhi del popolo arabo e dei popoli oppressi in
generale, sinistra significherà Blair, Schroeder o DíAlema e fino
a quando i partiti comunisti saranno identificati con le posizioni collaborazioniste
del Pc iracheno o con le posizioni incerte che hanno fin qui caratterizzato
la linea del Prc riguardo la resistenza in Iraq.
La borghesia araba ha completamente tradito la lotta per la liberazione del
popolo arabo, e in particolar modo dei palestinesi e degli iracheni. Questa
considerazione vale non solo per i regimi reazionari come la monarchia saudita,
il Kuwait, o gli emirati del Golfo, da sempre stretti alleati dell'imperialismo
Usa; ma anche i regimi eredi della tradizione politica del nazionalismo arabo
"progressista": Libia, Siria, lo stesso Baath iracheno, l'Anp palestinese.
Spetta al movimento operaio nel mondo arabo di raccogliere la bandiera dell'emancipazione
e dellíunificazione del popolo arabo, diviso da frontiere in larga misura
artificiali tracciate dallíimperialismo e dai regimi suoi complici nellíarco
di un secolo. La lotta per la liberazione del popolo arabo da queste catene
Ë quindi anche una lotta contro la borghesia araba e contro i regimi arabi
e può giungere a una reale vittoria se in essa si unirà la spinta
alla liberazione nazionale e quella alla emancipazione sociale. Una federazione
socialista del Medio oriente, nella quale la classe operaia e i contadini possano
gestire direttamente le risorse immense della regione, dal petrolio all'acqua,
alla terra, é l'unico quadro possibile per lo sviluppo della regione
e per una soluzione equa dei conflitti nazionali riconoscendo i diritti di tutti
i popoli della regione: arabi, ebrei, curdi, berberi, ecc., e un quadro di convivenza
pacifica fra le diverse nazionalità, religioni e culture. Al di fuori
di questa prospettiva c'é solo il precipitare in una ulteriore balcanizzazione,
l'incancrenirsi del conflitto arabo-israeliano, il perpetuarsi della divisione
e dell'oppressione. Lo ha dimostrato un decennio di ìnegoziatiî
sulla Palestina, negoziati che basandosi sull'utopica prospettiva di una pace
equa su basi capitaliste non hanno significato altro che un continuo inganno
ai danni del popolo palestinese e degli stessi ebrei, spinti in un vicolo cieco
da tale politica.
Analogamente, qualsiasi tentativo da parte dell'imperialismo di fuoriuscita
graduale e concordata dallíIraq sulla base di ipotetiche risoluzioni
Onu con relative "conferenze di pace" non può che tradursi
in un nuovo inganno ai danni del popolo iracheno e nellíinstaurazione
di un protettorato sulla linea di quanto avvenuto in Bosnia, Kosovo, Afghanistan.
Il movimento operaio in occidente deve tendere la mano alla lotta dei lavoratori
e del popolo arabo, anche attraverso la vicinanza con le comunità di
immigrati fortemente presenti nel nostro paese e in Europa e proclamare ad alta
voce e coi fatti la propria completa ostilità alla guerra e la solidarietà
con la lotta di resistenza all'occupazione, rifiutando ogni appoggio a qualsiasi
idea di protettorato o di occupazione Onu sull'Iraq.
La crisi del capitalismo e le sue conseguenze
Si manifesta in modo sempre più evidente la crisi del capitalismo su
scala internazionale. » errato parlare solo di crisi della "globalizzazione",
o del "neoliberismo", ossia di una determinata politica economica.
Si tratta di una crisi organica del sistema capitalista su scala mondiale, che
va ben oltre la "naturale" alternanza di cicli di boom e recessione
che da sempre caratterizza questo sistema economico.
La crisi si manifesta nell'accumularsi di contraddizioni esplosive a livello
economico e finanziario; nella rottura dell'equilibrio internazionale, con una
serie apparentemente inarrestabile di conflitti commerciali, diplomatici e militari;
infine, nella rottura dellíequilibrio fra le classi, con la fine della
pace sociale, la crisi del riformismo e della collaborazione di classe, la riapertura
di prospettive rivoluzionarie in numerose aree del mondo e in particolar modo
in America Latina.
L'egemonia dell'imperialismo Usa Ë messa in discussione. L'impantanamento
in Medio oriente, le difficoltà economiche crescenti, l'evidente difficoltà
a mantenere il controllo perfino nel loro "cortile di casa", l'America
latina, sono tutte manifestazioni di queste difficoltà. La politica estera
aggressiva e arrogante di George W. Bush va letta non come una manifestazione
di forza, ma precisamente come un tentativo di riaffermare un primato ormai
sempre più traballante, sia verso potenziali rivali, sia, soprattutto,
di fronte al manifestarsi sempre più evidente di uníinsorgenza
diffusa dei popoli del mondo ex-coloniale, non più disposti a vivere
sotto le varie "democrazie" dollarizzate a sovranità strettamente
limitata.
L'inevitabile fallimento della politica americana in Iraq avrà profonde
conseguenze rivoluzionarie, poiché farà venire meno lo spauracchio
del ìpoliziotto mondialeî, ossia uno dei principali fattori che
negli ultimi decenni, e in particolare dopo il 1991, aveva impedito lo sviluppo
di processi rivoluzionari su vasta scala, particolarmente nei paesi dipendenti.
Alla base delle difficoltà degli Usa vi sono gigantesche contraddizioni
economiche. Da molti anni ormai, e in particolare dopo lo scoppio della ìbollaî
speculativa della cosiddetta new economy, l'economia nordamericana vive al di
sopra dei suoi mezzi, finanziando i propri consumi con una gigantesca montagna
di debiti. Questo vale sia per i consumi di massa delle famiglie, sia per la
gigantesca spesa statale che sotto la spinta della nuova corsa al riarmo ha
raggiunto livelli mai visti in precedenza e spinge il disavanzo pubblico annuo
degli Usa attorno al 4% del Pil se non addirittura oltre.
Le conseguenze degli squilibri economici degli Usa si ripercuotono su tutta
líeconomia mondiale. Il mercato statunitense assorbe gigantesche quantità
di merci importate, in particolare dall'Asia, merci che acquista con soldi presi
a prestito in misura sempre crescente, fino al punto che oggi gli Usa sono il
primo debitore mondiale (25% del Pil) e le famiglie americane sono in media
indebitate per il 107% del loro reddito annuo.
L'intero sistema economico e finanziario internazionale Ë percorso da gigantesche
tensioni; vi sono delle vere e proprie "bombe a orologeria" che rischiano
di scoppiare e che potrebbero trascinare l'economia mondiale in una nuova crisi
prima ancora che si sia manifestata una reale ripresa economica.
La crisi europea
Questa situazione di giganteschi squilibri e di concorrenza accanita sui mercati
erode i margini per ogni organica politica di riforme. Questo é particolarmente
evidente in Europa. Incapace di fare fronte allíoffensiva degli Usa e
premuta dalla concorrenza asiatica, la borghesia europea ha una sola via da
percorrere: quella di un nuovo feroce attacco alle condizioni di vita della
classe operaia e delle masse popolari in tutto il continente.
In Germania, nel paese più ricco e potente d'Europa, nella patria della
concertazione e della pace sociale, sotto un governo socialdemocratico, si mette
in campo uníoffensiva martellante il cui sbocco dichiarato Ë di
tagliare il tenore di vita del popolo tedesco di un 30 per cento netto: un simile
attacco non ha precedenti in tutto il dopoguerra, non solo in Germania ma in
tutta Europa. Se questo Ë il cammino imboccato dalla Germania, cosa può
accadere in paesi come l'Italia, con una struttura industriale già indebolita
e appesantiti da un massiccio debito pubblico?
Sono questi processi di fondo che spiegano le difficoltà politiche dei
partiti e dei sindacati riformisti. In questo contesto economico risulta impensabile
qualsiasi seria politica di riforme in favore della classe lavoratorice; il
"riformismo senza riforme", o meglio il "riformismo con le controriforme"
di Schroeder, Blair, D'Alema, ecc. risulta alla lunga ingestibile.
Le politiche della destra socialdemocratica (Schroeder, Blair, D'Alema, ecc.)
che hanno fatto proprie tutte le compatibilità imposte dalla classe dominante
non hanno quindi futuro; ma altrettanto impraticabili si dimostreranno anche
quelle posizioni di sinistra che cominciano ad affacciarsi allíinterno
del campo riformista. Il sogno di un ritorno a politiche keynesiane, alla "programmazione"
e in sostanza a una riedizione dell'epoca d'oro del riformismo degli anni 60
Ë ancora più insensato. Le politiche keynesiane furono possibili
solo grazie al gigantesco boom economico degli anni del "miracolo",
che nei paesi europei creava quegli spazi di manovra sufficienti allíedificazione
del welfare state. A questo si aggiungevano fattori politici quali líondata
di lotte operaie degli anni 60 e 70, nonché la necessità di affrontare
la sfida con il blocco sovietico, che spingevano la classe dominante sulla via
del compromesso sociale e di significative concessioni.
Oggi il contesto economico é radicalmente differente. Pertanto le proposte
di forze quali la sinistra Ds, la Fiom, l'Ig Metall e le nuove correnti di sinistra
che si affacciano in Germania e in altri paesi, sono da considerarsi del tutto
impraticabili.
Il sogno che l'unificazione europea possa creare quegli spazi economici sufficienti
a una politica di riforme si infrange contro la dura realtà dei fatti:
il processo di integrazione europea, nella misura in cui procede, éfatto
esclusivamente di politiche antioperaie e reazionarie sia sul piano interno
(patto di stabilità, liberalizzazioni, privatizzazioni, attacco alle
pensioni, ecc.), sia sul piano internazionale (esercito europeo, leggi anti-immigrazione,
ecc.).
La costruzione del Partito della sinistra europea si é fondata precisamente
sull'ipotesi che il processo di unificazione dell'Europa capitalista possa creare
margini per una politica di riforme. questo il contenuto delle parola d'ordine
dell'Europa sociale ormai adottata anche da settori della cosiddetta sinistra
d'alternativa e radicale (ad esempio la Lcr francese). Tale posizione é
completamente utopica, in quanto non tiene conto del contenuto di classe dell'europeismo.
L'unica Europa possibile su basi capitaliste é un'Europa imperialista
all'esterno e antioperaia allíinterno. Rivendicare di essere i veri europeisti
significa contribuire ad abbellire le politiche antisociali e reazionarie dettate
da Bruxelles.
Peraltro le contraddizioni che dividono i diversi Stati europei impediscono
che il processo di unificazione si compia, e non é affatto detto che
anche i livelli di integrazione già raggiunti non possano in futuro essere
messi in discussione.
In questo contesto vediamo una specifica debolezza del capitalismo italiano.
L'ingresso nell'Euro ha messo impietosamente a nudo tutte le debolezze dellíindustria
italiana, privata della tradizionale arma della svalutazione e dalla spesa pubblica.
L'Italia é un anello debole nella catena europea, come dimostrano la
distruzione di settori industriali di base, l'inflazione crescente (legata non
solo a elementi speculativi, ma anche alla scarsa produttività del sistema),
la colonizzazione da parte del capitale straniero. Se i margini sono stretti
in Europa, quindi, lo sono a maggior ragione nel nostro paese. Una seria battaglia
di riforme sociali si scontra con queste rigide compatibilità e assume
di conseguenza un contenuto potenzialmente anticapitalista.
Elementi di un programma di alternativa
Tutto questo non significa che i comunisti abbandonano la lotta per le riforme
"in quanto irrealizzabili", al contrario: il peggioramento delle condizioni
di vita spinge milioni di persone a lottare per difendere diritti elementari
come quello alla salute, all'istruzione, al lavoro, alla pensione, ecc. In questa
lotta Ë nostro compito partecipare in prima fila, sostenendo ogni rivendicazione
progressiva, per quanto parziale, e legandola costantemente alla necessità
di una radicale trasformazione del sistema economico e di una rottura con le
compatibilità capitaliste come unica via per qualsiasi reale miglioramento
nelle condizioni di vita.
Avanziamo qui alcuni elementi centrali di un programma díalternativa
in questa fase.
1) Diritto al lavoro. Abolizione della legge 30, del Pacchetto Treu e trasformazione
di tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato. Difesa di ogni
posto di lavoro minacciato da crisi e ristrutturazioni, per la riduzione della
settimana lavorativa a 35 ore senza perdita salariale nÈ contropartite
in flessibilità. Se necessario, procedere alla nazionalizzazione sotto
il controllo operaio delle aziende in crisi senza indennizzo se non per i piccoli
azionisti.
2) Questione salariale: per una nuova scala mobile che difenda salari e pensioni
dall'aumento reale di prezzi, difesa dei contratti nazionali e rottura della
gabbia concertativa, per un serio salario minimo legale intercategoriale, indicizzato;
per un salario garantito ai disoccupati. Per una pensione pubblica dignitosa
per tutti, contro i fondi pensione integrativi e privati.
3) Scuola, università e sanità devono essere diritti garantiti
e gratuiti. No al'iingerenza dei privati e alla controriforma federalista di
scuola e sanità. Raddoppio della percentuale del Pil destinata all'istruzione
(fino al 7% del Pil).
4) Rinazionalizzazione di tutti i settori privatizzati in questi anni, senza
indennizzo se non per i piccoli azionisti: telecomunicazioni, Enel, Eni, acciaio,
aziende municipalizzate, ecc, da rilanciarsi sotto il controllo dei lavoratori.
5) Diritto alla casa. Esproprio delle grandi immobiliari che tengono migliaia
di appartamenti sfitti per fini speculativi, blocco della svendita del patrimonio
immobiliare pubblico, per un piano su vasta scala di edilizia popolare che offra
canoni non superiori al 10% di un salario.
6) Pesante tassazione delle grandi rendite finanziarie come primo passo verso
l'esproprio dei grandi patrimoni.
7) Con le risorse reperibili attraverso queste misure, elaborare un grande piano
di rilancio economico, sociale, ambientale, sotto il controllo democratico dei
lavoratori, dei pensionati, delle associazioni di massa.
8) Pieni diritti democratici agli immigrati: abolizione della Bossi-Fini, della
Turco-Napolitano, chiusura dei cpt. No ai flussi, permesso di soggiorno per
tutti, diritto di voto dopo un anno di permanenza.
9) Contro la legge 40 (fecondazione assistita), contro tutti gli attacchi alla
legge 194 e all'autodeterminazione femminile. Rilanciamo la lotta per i diritti
delle donne nei luoghi di lavoro e nella società: reintroduzione del
divieto del lavoro notturno, rilancio della rete dei consultori pubblici, dei
nidi e degli asili e di tutte le strutture necessarie per una seria gestione
pubblica dell'assistenza.
10) Contro l'Europa capitalista di Maastricht, di Schengen e del Trattato costituzionale.
Per líuscita dell'Italia dalla Nato e la chiusura delle basi Usa e Nato
sul nostro territorio. Ritiro delle truppe dall'Iraq, dall'Afghanistan e dai
Balcani.
La crisi della socialdemocrazia e la lotta per l'egemonia, contro il
settarismo
Scopo del dibattito congressuale Ë di tracciare una strada credibile e
percorribile attraverso la quale il Prc possa diventare forza egemonica nel
movimento operaio italiano, e quindi rovesciare i rapporti di forza a sinistra.
La possibilità di questo obiettivo discende dalla crisi del riformismo
della quale abbiamo già trattato. L'impossibilità di una seria
politica di riforme mina alla base ogni politica di pace sociale, di collaborazione
di classe: di conseguenza si preparano le condizioni di una profonda crisi dei
partiti riformisti.
La crisi politica della socialdemocrazia si manifesta anche nelle crescenti
divisioni che attraversano i partiti e i sindacati di massa in Europa. Timidamente
tornano a farsi sentire posizioni critiche e si aggrega una sinistra più
o meno consistente, in un processo che significativamente interessa anche e
soprattutto le grandi organizzazioni sindacali. Lo abbiamo visto prima con il
"cofferatismo" e poi con líemergere di una posizione distinta
della Fiom rispetto alla Cgil, lo vediamo in Germania nell'Ig Metall e nella
differenziazione di alcuni gruppi "di sinistra" all'interno della
socialdemocrazia, lo abbiamo visto in Gran Bretagna con il riemergere di un'opposizione
a Blair all'interno del Labour, legata a una serie di spostamenti a sinistra
negli apparati sindacali.
Queste correnti di sinistra si caratterizzano soprattutto per la loro incertezza
nel contrapporsi alla destra della socialdemocrazia e per la loro completa confusione
politica e programmatica. tuttavia innegabile che il loro emergere costituisce
una prima, timida manifestazione all'interno degli apparati di una spinta crescente
della base di massa di queste organizzazioni. Il nostro compito non Ë quello
di condurre ambigue manovre diplomatiche con i dirigenti di queste correnti,
ma di saperci inserire nei varchi che si aprono per condurre la nostra battaglia
di egemonia. necessario a questo fine avere una chiara visione della natura
dei partiti socialdemocratici e delle contraddizioni che li attraversano. L'essenza
della socialdemocrazia, infatti, non Ë nÈ Ë mai stata quella
di proporre "le riforme" sempre e comunque, oppure quella di prefigurare
una linea gradualista, ma pur sempre orientata al socialismo. Sostenere questa
analisi significa in ultima analisi idealizzare la socialdemocrazia del passato,
la quale invece non si Ë mai fatta scrupoli nel sostenere le peggiori politiche
della borghesia, in particolare nei periodi di crisi sociale ed economica (basti
pensare alle responsabilità della socialdemocrazia nella Prima guerra
mondiale, nella repressione della rivoluzione tedesca del 1919, nelle imprese
coloniali dellíimperialismo francese e britannico in particolare, ecc.)
L'essenza della politica socialdemocratica Ë sempre stata quella di "rappresentare",
mediare e trattare gli interessi della classe lavoratrice all'interno delle
compatibilità economiche e politiche del sistema capitalista. L'aspetto
dominante della politica socialdemocratica non sono quindi le "riforme",
ma él'adattamento passivo a questa società. La socialdemocrazia
é stata pacifista nei periodi di pace, ha accettato la guerra nei periodi
di conflitti, Ë stata keynesiana nel periodo di espansione economica postbellica
e liberista negli ultimi due decenni. In questo senso, non si distingue affatto
da qualsiasi altro partito democratico borghese. Líaspetto decisivo che
la distingue Ë la propria capacità di egemonizzare e controllare
la classe lavoratrice, non solo e non tanto nel senso di conquistarne i voti
nelle elezioni, ma di controllare le organizzazioni dei lavoratori a partire
dai sindacati e di esercitare quindi un controllo sulle loro mobilitazioni.
Gli avvenimenti degli ultimi anni smentiscono chi in passato parlava in modo
unilaterale di svolta liberale, di sradicamento "definitivo" di partiti
quali i Ds o il Labour dal movimento operaio, confondendo la critica della politica
dei loro dirigenti con la loro natura e il loro radicamento di classe. Non é
un caso se la ripresa dei movimenti di massa ha determinati effetti su questi
partiti mentre non li ha sui partiti borghesi democratici del centro. Questo
dimostra come tutte quelle analisi avevano il limite di essere del tutto statiche
e formali, di limitarsi cioé ad indicare una serie di aspetti evidenti
dell'evoluzione politica e ideologica delle burocrazie sindacali e socialdemocratiche,
senza però scendere sul terreno dell'analisi concreta dei rapporti di
classe.
La socialdemocrazia non sparirà sotto il peso delle sue contraddizioni.
necessario che vi sia un'alternativa credibile e di massa che possa candidarsi
a dirigere il movimento operaio fuori dalle secche del riformismo. In assenza
di tale alternativa, le masse tentano inevitabilmente, una e più volte,
di utilizzare i partiti socialdemocratici, li eleggono al potere, tentano di
influenzarne le politiche. questa, per esempio, la lezione che ci viene dalla
Francia e dalla Spagna. I lavoratori avevano punito duramente a livello elettorale
le politiche dei governi socialisti (Spagna) e di "sinistra plurale"
(Francia), così come era avvenuto nel 2001 in Italia e come potrebbe
accadere in Germania alle prossime elezioni politiche. Tuttavia, dopo pochi
anni da quelle sconfitte elettorali in entrambi i paesi la sinistra é
tornata a vincere anche sul terreno elettorale, cosÏ come potrebbe accadere
anche in Italia.
Questo processo non Ë una semplice "alternanza" orchestrata dalla
borghesia, che chiamerebbe alternativamente al potere coalizioni di destra e
di sinistra come un regista chiama in scena via via diversi attori; va da sé
che la classe dominante ha i mezzi per far valere la propria volontà
e i propri interessi rispetto a qualsiasi governo e qualsiasi maggioranza parlamentare.
Ma l'aspetto decisivo di queste oscillazioni elettorali Ë che esse dimostrano
la ricerca di una via díuscita da parte delle masse, che cercano di risolvere
per questa via contraddizioni sempre più acute.
Il ritorno al voto a sinistra in Francia, Spagna, Italia non avviene quindi
per la credulità o per "l'arretratezza" dei lavoratori, ma
perché quando sono in gioco questioni ritenute decisive, le masse si
esprimono necessariamente attraverso grandi organizzazioni, e non prendono in
seria considerazione alternative minoritarie. La costruzione di un partito che
aspiri all'egemonia nella sinistra non può compiersi con la sola denuncia
della collaborazione di classe perseguita dai vertici dei Ds, né con
il solo lavoro di costruzione del partito e delle sue strutture. » necessaria
una tattica adeguata che parta da un dato di fatto fondamentale: le forze riformiste,
in Italia fondamentalmente i Ds e la Cgil, egemonizzano il movimento operaio
organizzato non in virtù di un "complotto", ma per un legame
storico profondo che lega i lavoratori a organizzazioni che direttamente (Cgil)
o indirettamente (Ds) si rifanno a una tradizione ormai secolare. Tale legame
non può essere rotto con la sola denuncia dei loro errori politici, con
líaccusa monotonamente ripetuta di "tradimento".
La riprova di questa verità la vediamo in paesi come la Francia, dove
a differenza che in Italia le forze dellíestrema sinistra come Lutte
Ouvriere hanno raggiunto in un momento dato una rilevante consistenza elettorale,
ma si sono dimostrate completamente incapaci di andare oltre quel livello e
nel momento in cui la massa dei lavoratori ha cominciato a cercare un canale
per esprimere la propria opposizione al governo delle destre sono entrate in
crisi, anche a livello elettorale, mentre il partito socialista e quello comunista
sono tornati a crescere.
Le cause delle difficoltà delle forze della sinistra "rivoluzionaria"
francese (così come di quella Argentina, che in parte ha seguito un analogo
percorso) non sono ovviamente riconducibili solo a questo fattore. Tuttavia
ai fini del nostro dibattito ènecessario concentrarsi su un punto: é
un'illusione pensare di sostituire l'egemonia esercitata dai riformisti con
la semplice denuncia, con la costruzione di fantomatici "poli" alternativi
che con il semplice appello alla base delle organizzazioni riformiste di massa
puntino a sottrarre a quest'ultime la loro base. Un'illusione che più
volte ha condotto in un vicolo cieco forze militanti che se meglio dirette avrebbero
potuto avere ben altri sviluppi.
Si tratta di una vecchia lezione, che non venne compresa a suo tempo dall'estrema
sinistra italiana nei confronti del Pci, durante l'autunno caldo del 69 e negli
anni successivi, e che in tempi più recenti non é stata compresa
da forze come Lcr-Lo in Francia, dalle forze che si sono scisse da Izquierda
Unida in Spagna (la "Corriente roja"), ecc. e che se non compresa
impedirà il formarsi di una credibile alternativa marxista nel dibattito
che oggi attraversa il nostro partito e líintera sinistra italiana.
Il mito dell'alleanza col centro
L'alleanza con il centro borghese Ë da oltre un decennio líasse
attorno al quale ruota la politica dei Ds. Tale alleanza è stata presentata
come indispensabile per sconfiggere le destre, per conquistare una maggioranza
elettorale e andare al governo.
"La sinistra da sola perde" é stato il ritornello ripetuto
milioni di volte per fare accettare ai lavoratori la collaborazione di classe.
La realtà ci dimostra come sia invece vero l'esatto contrario: l'alleanza
col centro é stata la causa fondamentale delle vittorie della destra
e delle sconfitte di questi anni. Se andiamo indietro negli anni, vediamo come
il grande movimento che nel 1994 portò alla caduta del primo governo
Berlusconi venne vanificato dalla coalizione con Dini (alla quale il Prc fu
estraneo) che fece una controriforma delle pensioni analoga a quella proposta
in precedenza da Berlusconi. Successivamente, fra il 1996-98, l'accordo con
Prodi é stato causa di un pesante arretramento per il movimento operaio:
precarizzazione, privatizzazioni, coinvolgimento nella guerra in Jugoslavia,
legge Turco-Napolitano, avvio dei processi di privatizzazione nella scuola e
nella pubblica amministrazione, e si potrebbe continuare a lungo. Tale arretramento
é culminato con la sconfitta elettorale del 2001 e il ritorno al potere
di Berlusconi. Di tale sconfitta sul piano sociale le peggiori conseguenze politiche
le pagò proprio il Prc con la scissione del 1998.
Anche dall'opposizione, l'alleanza con il centro é stato una pesante
zavorra che ha sistematicamente lavorato per depotenziare i movimenti di massa:
la realtà é che il centrosinistra é stato incapace di battersi
seriamente contro la destra sia nelle piazze che nelle istituzioni proprio a
causa della sua subordinazione agli interessi della classe dominante.
Anche l'argomento elettorale é falso da cima a fondo. I risultati delle
ultime elezioni dimostrano chiaramente che il voto va a sinistra. Il "listone"
ulivista delle europee é andato male, mentre laddove il voto si esprime
sui singoli partiti favorisce Ds, Pdci, Prc e Verdi mentre la Margherita subisce
una batosta dietro l'altra e l'Udeur praticamente scompare. I lavoratori, i
pensionati, i giovani, tutti coloro che vogliono cacciare Berlusconi non votano
per il centrosinistra e per l'alleanza, ma votano per un'alternativa di sinistra.
Poiché nessuna forza propone tale alternativa, lo fanno con gli strumenti
che hanno a disposizione: puniscono i centristi e sostengono le forze di sinistra
laddove questo é possibile, manifestando invece freddezza quando sono
costretti a ingoiare il "minestrone" ulivista.
Un'alleanza delle sinistre che proponesse una rottura radicale con le politiche
seguite in questi anni, che dichiarasse apertamente di volere rompere con i
partiti borghesi di centro e con le loro politiche non solo motiverebbe ancora
di più la propria base, ma potrebbe anche fare efficacemente appello
a quei settori popolari che in passato erano stati sedotti dai partiti di destra
e che rimangono sospettosi verso figure come Prodi, che incarnano le politiche
di austerità e le regole dellíEuropa capitalista.
Quale posizione elettorale?
La nostra posizione elettorale deve quindi discendere da questa generale linea
strategica, e non il contrario come sistematicamente éavvenuto negli
scorsi anni. L'applicazione concreta, tuttavia, può essere valutata solo
sul campo, quando siano chiare le condizioni concrete nelle quali si svolgerà
la campagna elettorale.
Se un movimento di massa riuscisse a rovesciare il governo creerebbe le condizioni
potenziali per uno spostamento a sinistra dell'intero quadro politico, per il
generalizzarsi di parole d'ordine più avanzate, per la marginalizzazione
delle forze centriste e per rimettere in discussione l'alleanza ulivista e la
leadership di Prodi. In quel contesto la proposta di un governo delle sinistre
con un programma di difesa degli interessi dei lavoratori diventerebbe più
credibile, comprensibile e praticabile. precisamente per timore di sviluppi
di questo genere che tutti i gruppi dirigenti del centrosinistra sono contrari
a ogni ipotesi di dare una "spallata" al governo con la mobilitazione
di massa.
Tuttavia uno sbocco di reale alternativa sul terreno di governo appare oggi
lontano, non solo per la chiara egemonia centrista sulla Gad, ma anche per l'eredità
di una lunga subordinazione dei Ds a politiche concertative e liberiste. Sarà
necessario sviluppare altre proposte tattiche che ruotino attorno a un principio
chiaro e comprensibile: vogliamo contribuire alla sconfitta di Berlusconi, ma
non siamo disposti a entrare in una coalizione di governo che necessariamente
sarà subordinata agli interessi dellíavversario di classe.
L'applicazione concreta di tale posizione potrebbe consistere in una desistenza
(totale o parziale, concordata o unilaterale) verso le sole forze della sinistra,
senza alcuna disponibilità a votare alcun candidato borghese dei partiti
di centro. Una proposta difensiva, quindi, volta a salvaguardare l'indipendenza
politica del partito, la sua autonomia di classe, mantenendo al tempo stesso
aperto un canale di comunicazione con la base di massa delle altre forze della
sinistra. Seppure per una fase la spinta "all'unità a tutti i costi"
potrebbe crearci una relativa difficoltà, un'applicazione corretta di
questa tattica porrebbe il partito nella migliore condizione successivamente
per raccogliere la spinta delle mobilitazioni di massa che inevitabilmente seguirebbero
una sconfitta elettorale della destra.
Lo scopo della tattica, infatti, non é quello di conquistare un deputato
in più, ma di collocare politicamente il partito nella migliore posizione
per sfruttare l'inevitabile crisi delle forze riformiste nella fase successiva,
di non farci schiacciare dalla pressione in favore di una unità a qualsiasi
costo, per poi passare a nostra volta allíoffensiva una volta che l'inevitabile
crisi delle politiche riformiste si palesi in modo evidente agli occhi delle
masse.
questa la lezione della migliore elaborazione dei partiti comunisti nella loro
fase più alta, dei primi quattro congressi dell'Internazionale comunista,
che elaborarono i concetti del fronte unico, del governo operaio, e in generale
della strategia che i partiti comunisti dovevano sviluppare a fronte delle forti
organizzazioni socialdemocratiche che dominavano il movimento operaio.
Il movimento operaio europeo Ë in una fase di risveglio dopo un riflusso
durato una generazione. Questo significa che i prossimi governi di sinistra
o di centrosinistra avranno una traiettoria diversa da quelli degli anni 90;
in Italia, una vittoria sulla destra ottenuta con la mobilitazione sul campo,
ma anche se maturata per la via elettorale, non significhera il "rompete
le righe" per i movimenti di massa; semmai può significarlo per
tutto quel ceto politico "di movimento" che correrà ad accomodarsi
nella nuova situazione. Ma i lavoratori vedranno nella sconfitta di Berlusconi
la rimozione di un ostacolo fondamentale per la riuscita delle mobilitazioni,
e tenderanno quindi non a mettere da parte le proprie rivendicazioni, ma al
contrario a presentarle con maggiore fiducia e determinazione.
Sarà una fase decisiva nell'evoluzione della coscienza di massa. Il conflitto
fra le aspirazioni dei lavoratori e la politica delle burocrazie riformiste
aprirà enormi varchi per l'affermazione delle idee comuniste e per raccogliere
i settori più combattivi e coscienti del movimento operaio attorno alla
prospettiva di un cambiamento rivoluzionario.
Costruire il radicamento operaio del partito
La presenza organizzata del partito nei luoghi di lavoro e nelle organizzazioni
sindacali ha toccato in questi anni un punto minimo. necessario un intervento
sistematico che orienti i nostri circoli e i nostri militanti su questo terreno
di importanza strategica.
Le grandi mobilitazioni di questi anni cominciano ad avere un effetto nella
Cgil; emerge una nuova leva di attivisti e di delegati caratterizzati da una
maggiore radicalità e dalla volontà di voltare pagina rispetto
agli anni della concertazione, dei continui cedimenti. Parallelamente vediamo
un'importante spinta alla sindacalizzazione e alla lotta collettiva da parte
di nuovi settori, in particolare fra quei giovani precari che caratterizzano
ormai massicciamente tanti luoghi di lavoro sia ìtradizionaliî
che di recente sviluppo (call centers, grande distribuzione, ecc.). importante
notare come questi processi si sviluppino tanto nell'industria quanto nei servizi,
a dimostrazione del fatto che l'innovazione tecnologica e la precarizzazione
spinta abbiano livellato le condizioni di lavoro e salariali verso il basso,
creando le condizioni per una maggior omogeneità e gettando le basi per
una riconquistata unità di classe nelle lotte.
Di questi processi principale beneficiario éstata la Cgil, che ha potuto
così reggere i ripetuti tentativi di spaccatura da parte di Cisl e Uil
in accordo col governo, recuperando una credibilità che molti osservatori
superficiali avevano considerato negli anni scorsi come irrimediabilmente compromessa.
La vecchia sinistra Cgil di "Cambiare Rotta" non é stata minimamente
toccata da questo processo a dimostrazione della sua natura completamente burocratica
e opportunista, fino al punto che oggi quest'area é stata ampiamente
scavalcata a sinistra dalle posizioni del gruppo dirigente della Fiom.
Il Prc deve sostenere attivamente qualsiasi evoluzione a sinistra da parte di
settori della Cgil, come avviene ora con la Fiom e come domani potrebbe accadere
con altre categorie o organizzazioni locali. Tuttavia tale sostegno non può
mai ridursi ad un appoggio acritico; per quanto positive le prese di posizione
di Rinaldini si caratterizzano per il loro carattere esitante, per la costante
difficoltà a passare dalle parole ai fatti, per l'incapacità di
adottare metodi di lotta e di organizzazione adeguati all'altezza della sfida.
Le vicende dei contratti nazionali dei metalmeccanici confermano tanto i tratti
positivi (il rifiuto della Fiom di firmare un contratto bidone, il tentativo
di proseguire la lotta) quanto i pesanti limiti (una tattica errata che divideva
le forze anzichÈ concentrarle, incapacità di organizzare uníeffettiva
partecipazione democratica di massa alla gestione della lotta in tutti i suoi
aspetti, lunghi momenti di vuoto di indicazioni concrete da parte del gruppo
dirigente, ecc.). Questa valutazione complessiva ci porta a una conclusione:
anche verso i settori più a sinistra e combattivi della Cgil dobbiamo
mantenere un atteggiamento critico, non rilasciare assegni in bianco ma lavorare
coerentemente per approfondire la mobilitazione, perché alle parole seguano
i fatti, contro ogni delega passiva ai gruppi dirigenti.
Questo é ancora più necessario in quelle categorie nelle quali
la posizione dei gruppi dirigenti della Cgil non ha visto alcuna evoluzione
e si mantiene sulle più classiche linee concertative. Alcuni esempi in
questo senso sono il ruolo della Filt-Cgil nella lotta degli autoferrotranvieri,
il contratto bidone firmato dalla Filcams-Cgil per un milione e mezzo di addetti
al commercio, e altri ancora.
Il partito non può accontentarsi del ruolo di spettatore passivo, seppure
entusiasta, delle mobilitazioni operaie che troppe volte ci ha contraddistinto.
Dobbiamo avviare una campagna sistematica per il radicamento del partito nei
luoghi di lavoro, per conquistare terreno azienda per azienda, categoria per
categoria, Rsu per Rsu. Non deve darsi il caso di una lotta, grande o piccola,
nella quale non si faccia sentire il punto di vista autonomo dei militanti comunisti
come punto di riferimento visibile per tutti coloro che nella Cgil e nei luoghi
di lavoro in generale cercano una politica alternativa a quella di Epifani.
Una nuova sinistra può sorgere in Cgil non per ordini di partito o manovre
díapparato, che in passato hanno creato disastri, ma solo se la spinta
a sinistra che comincia a pervadere il movimento sindacale viene raccolta e
organizzata attorno a un programma di lotta e alla rivendicazione della migliore
tradizione della democrazia operaia.
Gli sviluppi in corso impongono anche una valutazione rispetto all'intervento
del partito nel sindacalismo extraconfederale. I fatti dimostrano come sia stato
un grave errore indulgere a prospettive scissionistiche e a improbabili proposte
di "ricomposizione" disegnate a tavolino, fra settori della sinistra
Cgil influenzati dal partito e settori dei sindacati di base. Tale linea, adottata
dalla Conferenza dei lavoratori di Treviso nel 2001 non ha portato ad alcun
risultato. » indiscutibile come oggi il centro decisivo della battaglia
sindacale si situi nello scontro interno alla Cgil. Questo non significa abbandonare
altri terreni di intervento sindacale che si siano dimostrati fecondi, nè
tantomeno imporre per decreto ai militanti del partito collocati in altre strutture
sindacali di abbandonarle in favore di un'adesione alla Cgil, tuttavia la strategia
del partito deve necessariamente convergere attorno a tale punto chiave.
Il futuro della rifondazione comunista
Se guardiamo complessivamente la situazione mondiale, dobbiamo concludere che
siamo di fronte a una svolta profonda. Una nuova realtà, con la quale
la generazione di militanti e attivisti che ha attraversato gli anni 80 e 90
fatica a confrontarsi, e questa difficoltà appare tanto più profonda
quanto più ci si avvicini ai livelli dirigenti nel movimento operaio.
Tutti sono ipnotizzati dall'eredità di un passato ormai scomparso, di
un capitalismo che appariva relativamente stabile e "ragionevole",
di un mondo regolato da rapporti ben definiti e nel quale il loro posto, più
o meno rilevante, era comunque definito e garantito.
Ma questa visione si basa appunto sul passato. Su una crescita economica regolare,
che permetteva una relativa stabilità sociale; su rapporti internazionali
generalmente stabili e prevedibili. Tutto questo ora non c'è più,
viene minato quotidianamente dalla crisi organica del sistema capitalista, che
si manifesta in modo sempre più esplosivo nelle crisi economiche, nelle
guerre, negli sconvolgimenti di ogni genere che scuotono líassetto mondiale
e, non ultimo, nel risveglio della classe lavoratrice e delle masse oppresse
che ai quattro angoli del mondo cominciano a mettersi in marcia, sia pure con
modi, ritmi e tempi diversi, dall'America Latina all'Europa, dall'India al Medio
oriente.
In questi avvenimenti giganteschi, dei quali abbiamo visto solo un primissimo
preludio, si plasmerà la coscienza di una nuova generazione di militanti,
giovani ma non solo, che si avvicinano alla lotta politica, alle organizzazioni
sindacali, ai movimenti di massa, con la mente aperta, liberi da quella ipnosi
del passato che paralizza la volontà di tutti i settori dirigenti del
movimento operaio, compresi quelli più onesti e combattivi.
Non di un ìnuovo movimento operaioî dobbiamo parlare, quindi, ma
della urgente necessità di una diversa linea politica che rompa con l'eredità
del passato e con un riformismo che é completamente incapace (sia nelle
sue versioni di destra che in quelle più "radicali" e "alternative")
di dare alcuna risposta alle profonde aspirazioni che vediamo esprimersi nelle
grandi mobilitazioni di massa.
Una nuova politica, una nuova direzione per il movimento operaio: questo è
il nostro obiettivo di fondo, che va ben al di là dei recinti più
o meno credibili entro i quali si vuole delimitare la cosiddetta "sinistra
d'alternativa". Lo scopo di un partito comunista non può essere
quello di mettere insieme quei settori di apparati disposti, per un motivo o
per l'altro, a parlare di "un altro mondo possibile" per poi continuare
tranquillamente il loro quotidiano mercanteggiamento con questo sistema.
Crediamo che questa concezione costituisca un abbandono della lotta per l'egemonia,
sia che venga applicata nella versione proposta da Bertinotti (sinistra díalternativa
alleata a quella moderata e al centro borghese), sia in quella di Ferrando ("Polo
autonomo di classe anticapitalistico" collocato per principio all'opposizione).
Per la prima volta da decenni nel nostro paese un'intera generazione vede di
fronte a se la prospettiva di un peggioramento netto nelle proprie prospettive
di vita su tutti i terreni. Non si tratta solo dellíarretramento delle
condizioni materiali (istruzione, lavoro, salari, casa, sanità, ecc.)
ma anche della generale insicurezza, della precarietà, dei diritti calpestati
e della visione di un mondo trascinato verso la barbarie di un sistema sociale
ormai in decadenza.
Queste nuove condizioni materiali si riflettono nella coscienza di massa, é
questa svolta di fondo che spiega perché per la prima volta da oltre
vent'anni si affaccia una generazione di attivisti e militanti che mette al
centro della propria vita la lotta per la trasformazione della società.
Il futuro della rifondazione comunista si deciderà innanzitutto sulla
nostra capacità di entrare in sintonia, di fonderci, per così
dire, con questo settore che comincia ad emergere e nella sua conquista ad una
coerente prospettiva rivoluzionaria; in secondo luogo, sulla nostra capacità
di legare questo strato avanzato, che si va velocemente politicizzando e radicalizzando,
all'insieme del movimento di massa, sfidando l'egemonia delle organizzazioni
riformiste. Viceversa, se il Prc si dimostrasse incapace di assolvere a questi
compiti fondamentali, si condannerebbe a una sicura sconfitta.
Sarà questa generazione politica a dare fiato e gambe alle idee rivoluzionarie
del marxismo e a riportarle al posto che spetta loro di diritto: alla guida
del movimento di massa della classe operaia e delle masse oppresse in lotta
per un mondo migliore, per un mondo socialista libero dallo sfruttamento e dagli
orrori di questo sistema decrepito.