VI congresso del PRC. Materiali dell'area Ottobre.
Dal sito della Federazione provinciale di Savona e dal sito Sotto le bandiere del marxismo. Dicembre 2004-Gennaio 2005.


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MATERIALE 1
Dichiarazione di sostegno dell'area programmatica "Ottobre" al documento congressuale "Essere Comunisti".

Strumentali, quanto strane, convergenze trasversali tra diverse aree congressuali del partito, di maggioranza e purtroppo prevalentemente di minoranza, sono di fatto confluite nel decretare la cancellazione del documento "LA NOSTRA RIFONDAZIONE COMUNISTA: pluralismo, alternativa dal basso, democrazia sostanziale" che abbiamo presentato, validamente ed entro i termini regolamentari previsti, a firma dei compagni Pasquale D'Angelo (fed. Di Chieti), Guido Benni (fed. Di Catania) e Matteo Malerba (fed. Di Vibo Valenzia), più la "firma tecnica" di un compagno di maggioranza, nel corso del Comitato Politico Nazionale del 20 e 21 novembre 2004 e, conseguentemente, distribuito in quella sede dalla Commissione Congressuale a tutti i compagni presenti; documento sostenuto da diverse sensibilità della sinistra comunista impegnate su dimensioni nazionali a mantenere aperta l'ottica di classe, nel partito e nel paese reale, per rilanciare dal basso i convergenti processi di Rifondazione Comunista e dell'alternativa alla società capitalistica.
Ci è stato, così, impedito di percorrere in autonomia, con la nostra identità e con i caratteri del nostro documento, il confronto congressuale, di fatto oggi privato di un contributo pluralistico che intendiamo comunque recuperare, pur nella diversa e difficile condizione in cui siamo stati messi, e farne proposta a tutti i compagni.
In questa condizione abbiamo deciso di farlo attraverso una "collocazione tecnica", orientati a produrre, seppur su base territoriale, emendamenti e contributi di respiro nazionale al documento congressuale "Essere Comunisti", presentato dai compagni dell'area dell' "Ernesto".
Il nostro obiettivo è giungere a conseguire, ad ogni livello, le condizioni e le agibilità necessarie per dare continuità organizzata agli impegni e agli indirizzi contenuti nel nostro documento congressuale, finalizzati alla determinazione di presenza di una sinistra comunista espressione del pluralismo alternativo, quale uno dei termini di un contesto pluralistico che intendiamo contribuire a ricostruire in tutto il partito.
La nostra "collocazione tecnica" è altresì motivata -pur nella sussistenza di divergenze, tra altre, nelle opzioni strategiche e rispetto al carattere degli strumenti organizzativi e di lotta- da una verificata convergenza su alcuni obiettivi non secondari con le posizioni pubblicamente espresse dai compagni dell'area dell' "Ernesto", tra cui, non ultimi:
* La necessità di impedire la diluizione del partito in un coacervo movimentistico, che ne cancellerebbe dimensione e identità di classe, stravolgendo oltretutto la tradizionale e naturale presenza del partito nel movimento, difenderne il carattere di "diversità comunista", salvaguardarne identità e agibilità e rivitalizzarne l'orientamento alternativo alla società capitalistica, anche e primariamente in chiave internazionalista;
* Fermare le tendenze revisionistiche che ormai, sempre più esplicitamente, finiscono in tentativo di far abortire il processo rifondativo in "revisione del comunismo", di fatto in controtendenza rispetto alla strada aperta dall'ottobre;
* Convergenze verso condizioni e contesti utili a determinare una nuova e diversa "direzione politica" nel partito, chiamata a garantire spazi pluralistici effettivi, non solo formali, e contesti organizzativi che riportino il corpo militante elemento centrale nella vita del partito, in grado di rendere concreto un confronto aperto su modi, tempi e strumenti per continuare sulla scia aperta dall'ottobre, nel nuovo e più difficile terreno di lotta, verso una società alternativa a quella dei padroni, comunque mascherata.

9 dicembre 2004

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MATERIALE 2
Contributo di "Ottobre" come emendamento aggiuntivo alla premessa del documento "Essere Comunisti“.

  
Il VI Congresso nazionale del PRC è decisivo per il partito e per risvolti ed implicazioni sullo stesso piano delle prospettive di classe, in Italia e non solo.
Non è secondario che, per la prima volta, nella linea strategica dell’attuale gruppo dirigente di maggioranza risulti, di fatto, forzato il senso originario della motivazione fondante del partito, la Rifondazione comunista.
Il processo rifondativo è il modo con cui il partito, strumento storico della classe, trova spazi e condizioni nell’attuale nuovo e più difficile terreno di scontro, per risultare concretamente utile ai lavoratori ed a tutti gli altri ceti deboli nell’autodifesa dall’attacco padronale e nella battaglia per contribuire a rilanciare, a partire dal basso, nei territori, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, l’alternativa al sistema capitalistico.
Tale prospettiva non ha nulla a che fare con il tentativo di “autoriforma” del partito, con l’ipotesi del “partito leggero”, privato della sua identità di classe, perché diluito organizzativamente e programmaticamente in un ammasso movimentistico.
Il movimento contro la globalizzazione è oggi frenato dallo stesso ceto politico che vi si è sovrapposto; un ceto politico nuovo e aggressivo, estremista nelle forme, ma istituzionalista nei contenuti e nelle prospettive politiche. 
Da più segnali si evidenzia all’interno del movimento stesso il bisogno di liberarsi da questa “tutela” per riprendere il suo originario slancio anticapitalistico; riaffiorano, così, le insopprimibili istanze della rivolta giovanile, versata alla lotta antiautoritaria, nella concezione della vita, della società e nelle forme organizzative della lotta e, perciò, come ha dimostrato il ’68, tesa all’alleanza organica con la lotta dei lavoratori e di tutti gli altri ceti deboli contro l’oppressione capitalistica.
I ritardi del movimento nell’acquisizione della coscienza di classe sono una delle gravi responsabilità della sinistra, politica e sindacale, le cui contraddizioni, nonché l’assenza di un riferimento internazionale di classe, lo hanno privato di un chiaro riferimento di linea e prospettiva, bloccandone gli obiettivi tra le secche del riformismo e rischiando di esporlo a farsi, di fatto, funzionale alla ristrutturazione del capitalismo.

Per quel che riguarda le ultime decisioni di linea del partito, va segnalato come l’attuale gruppo dirigente e sovente lo stesso segretario, hanno provocato una serie di “strappi”, a partire dal primo annuncio della “piena corresponsabilizzazione del PRC in un futuro governo post-Berlusconi, che si sono sovrapposti al corpo militante, senza alcuna verfica democratica negli stessi organismi dirigenti: primarie e “vincolo di maggioranza”, troppo strane convergenze “umanitarie”, allusioni a possibili cambi di nome, simbolo del partito e carattere del suo giornale, sistematico tentativo di revisione di aspetti fondanti la nostra identità alternativa alla società capitalistica, fino alle convergenze con la “Grande Alleanza Democratica” in vista delle elezioni.

E ancor prima il ritorno dell’affondo esplicito sulle “esperienze del ‘900”, con dentro implicitamente la strada aperta dall’ottobre, la “teoria della non violenza”, gli approcci riduttivistici all’esperienza marxista, ivi compresa l’asportazione di aspetti qualificanti, ad esempio la “teoria dell’imperialismo”.
 
Tutto questo ha aumentato lo sconcerto nel corpo militante, drammatizzato il confronto interno in vista del congresso e segnalato incrinature nel rapporto con lo stesso movimento; soprattutto, nell’immediato, finisce per collocarsi nell’angusta prospettiva “governista”, verso l’adeguamento ai futuri impegni “istituzionali”, mentre in prospettiva il rischio evidente sarebbe, di fatto, la cancellazione del riferimento comunista, attraverso il superamento della sua identità di classe, lo svuotamento dei suoi caratteri fondanti e la conseguente definitiva perdita della sua autonomia. Il che andrebbe drammaticamente a coincidere con un preciso indirizzo delle forze padronali più “aperte”, interessate a scalzare quelle più retrive e, dunque, a “dialogare” con le direzioni moderate del movimento operaio, a patto di disporre le cose in modo da “depurare” lo schieramento di classe di qualsiasi effettivo riferimento alternativo, in grado di orientare il piano di lotta lungo la scia aperta dall’ottobre rosso.

In ogni caso si tratterebbe di un’angusta “prospettiva istituzionale”, normalizzatrice della diversità comunista, realizzata nel contesto di un’alleanza, la GAD appunto, che sin d’ora si presenta inagibile  -nelle aspettative dei lavoratori, degli altri ceti deboli, del movimento di lotta che non si è mai fermato nella realtà del paese-  a rappresentare una effettiva alternativa, se non per semplici “tamponamenti” ai guasti del governo delle destre.

Sarebbe drammatico, con conseguenze disastrose per un partito comunista, se, di fronte alla prevedibile reazione popolare o alla sua disillusione, queste trovassero il nostro partito “corresponsabile” e non, invece, il necessario riferimento comunista; un riferimento che  -avendo già fatto la propria parte per scalzare le destre-  sarebbe ancora nelle condizioni di autonomia e di agibilità organizzativa e politico-programmatica per andare oltre nel risultare credibile riferimento istituzionale ad ogni livello e, insieme, garanzia, stimolo e collegamento per le lotte che provengono dal paese reale e per le agibilità ad esse necessarie per farsi, dal basso, attraverso l’autorganizzazione politica e vertenziale, la linfa che alimenti il processo attraverso il quale possa prendere corpo l’alternativa al capitalismo.

Va assolutamente arrestata la sciagurata tendenza a portare il PRC dentro un governo estremamente moderato che il centro-sinistra si appresterebbe ad esprimere, fondato sulle difficoltà e sull’incapacità a dar risposte sufficienti alle istanze dei ceti non parassitari, già penalizzate dai precedenti centro-sinistra e soffocate dai disastri perseguiti dal centro-destra di Berlusconi. La situazione che si profilerebbe potrebbe favorire l’avventurismo; e una eventuale irruzione populistica, in simile situazione, potrebbe originare un clima plebiscitario, tipico anticipatore di sbocchi autoritari.

E’ evidente che, anche per noi, perché la situazione non arretri ancora oltre, la “cacciata” del centro-destra è, per l’immediato, una priorità; e dunque vanno individuati, insieme al resto delle forze di opposizione, tutti i meccanismi tecnici ed elettorali per conseguirla nel più breve tempo, ivi compresa la necessità di una vasta mobilitazione popolare nell’intero paese per chiedere le dimissioni del governo Berlusconi.

La “cacciata” delle destre, però, è per noi aspetto di un percorso lungo il quale la nostra pratica diretta nelle istituzioni e nella realtà sociale, i rapporti con le altre forze di sinistra e quelli col resto del centro-sinistra  -necessari, ma da mantenere ben distinti-  siano vincolati a linee politiche e programmatiche in grado di conseguenziare il senso effettivo delle spinte contestative, per muoverle lungo un coerente processo di transizione, dal basso, mantenendo viva la dimensione di classe nell’indicare sbocchi concreti perché si faccia fattore di trasformazione della realtà del paese e conservando così aperta la prospettiva alternativa.

Nell’oggi il PRC va direttamente impegnato nel contribuire alla costruzione di un “polo autonomo di classe”, esigenza primaria nella lotta contro il capitalismo, su un piano che rifugga dai pericolosi equivoci dell’elettoralismo, dall’improvvisazione e dalla strumentalità.

Necessita, perciò, avviarne la realizzazione come processo che, da subito, nel tempo coinvolga tutte le forze che nella sinistra avvertono la necessità contingente di convergenze finalizzate alla sconfitta del centro-destra; che rifiutano, nel contempo, l’omologazione nel moderatismo della GAD; che operano dichiaratamente nella prospettiva di un governo dove la sinistra risulti determinante e impegnata nella costruzione di una società alternativa al capitalismo, in quanto espressione degli interessi non parassitari del paese.

Fra gli elementi portanti di questo percorso vi sono le forze politiche, vertenziali e sociali che, nell’arco della sinistra e nei contesti di collocazione, evidenziano reale presenza nelle lotte e impegno per il superamento delle direzioni politiche versate a compatibilizzarsi col moderatismo e a sacrificare, di conseguenza, motivazioni e interessi dei lavoratori e degli altri ceti deboli.

E’ importante e qualificante per l’avvio di questo processo la battaglia congressuale nel PRC, per sconfiggere le tendenze omologanti presenti nella maggioranza e per determinare una nuova direzione politica, le cui linee poggino sulla riaffermazione dell’identità alternativa del partito, nella salvaguardia e rafforzamento della sua autonomia, rendendolo espressione sempre più compiuta del suo corpo militante nel rilancio pluralistico della rifondazione e riconfermando, così, la continuità storica della funzione d’avanguardia dei comunisti nello scontro di classe, ad ogni livello.

In questo modo, dal basso, attraverso l’azione costante di raccordo, stimolo e organizzazione delle lotte e per garantire ad esse le agibilità necessarie a farsi processo di autorganizzazione politica e vertenziale, si possono determinare condizioni di transizione per giungere a conseguire, sul piano istituzionale e nel paese reale, i rapporti di forza necessari a muoversi in piena autonomia rispetto alle forze borghesi.

Una lettura realistica della transizione, però, implica il superamento di limiti, contraddizioni ed insufficienze accumulatisi nella storia del movimento comunista internazionale dopo l'ottobre rosso.

L’esperienza del movimento comunista internazionale e un diverso terreno di lotta determinato dal capitalismo nello scontro di classe impongono al processo di transizione alternativa di superare quello sdoppiamento in due tempi, prima la conquista del potere istituzionale e poi l’azione per dar corpo alla prospettiva comunista; sdoppiamento che, nel tempo, ha finito per ipotecare le strategie di lotta, a danno della realizzazione dei contenuti.

La riproposizione della collateralità di questi due termini è discriminante, oggi più che mai, per la possibilità di successo della lotta alternativa. E ciò vale anche per l'azione che si conduce dentro il partito, per liberarlo dalle incrostazioni verticistiche e consegnarlo alla gestione diretta dei suoi militanti.

La conquista del potere, oltretutto, non la si può ancora concepire come evento mitico, solutore di tutti i problemi; la sua efficacia alternativa, invece, scaturisce, da un lato, dalla capacità del partito di utilizzare le agibilità istituzionali -senza peraltro offuscare  la sua identità e distorcere la finalità alternativa in assetto migliorativo del sistema- e contemporaneamente, dall'altro, saper essere promotore, riferimento e garanzia per la qualificazione delle lotte come momento di costruzione degli elementi alternativi alla base della società.

Scontata, perciò, a livello nazionale, l'opposizione intransigente a governi in cui la sinistra non risulti determinante  -tanto più oggi, nel contesto di un centro-sinistra nel quale il "modernismo" é ormai predominante e relega sempre di più persino il "progressismo" a qualcosa di prossimo al residuale- perché  l'alternativa si conformi risposta ai reali bisogni della gente,  è necessario abbia come riferimento quello che scaturisce da una lotta per l'alternativa alla base della società. A maggior ragione perché, ormai,  il capitalismo è riuscito a rendere l'istituzionalità una via di rammodernamento su esigenze proprie e, per questo, indirizzata ad escludere ogni possibilità di essere utilizzata come via per realizzare l'alternativa di sistema.

Senza una sinistra determinante, il nostro posto è all'opposizione, per operare in direzione di un duplice obiettivo: da un lato, nella consapevolezza dei limiti oggettivi entro i quali l'istituzionalità risulta ancora permeabile, l'intransigente riferimento istituzionale per tutti i ceti deboli e per l'agibilità democratica, perché nelle lotte di massa avanzi la "coscienza dell'opposizione" come salto di piano della strategia di lotta; dall'altro sostegno attivo ad un processo che, attraverso le lotte e l'autorganizzazione alla base della società, affianchi all'autodifesa dalla pressione capitalistica la sperimentazione e la costruzione diretta di risposte alternative alla società dei padroni, quale modo più rispondente a ché l'alternativa stessa si conformi risposta ai bisogni reali della gente e, nel contempo, risulti strumento efficace per prevenire e togliere terreno ad ogni tentazione populistica.

A livello delle Amministrazioni territoriali, anche per arrestare il più possibile il processo di progressiva omologazione dei territori al piano di avanzata blindatura dell'istituzionale, non va sottovalutata, invece, la possibilità di intese qualificanti con altre forze che, ovviamente, si richiamino effettivamente agli interessi dei ceti deboli. Intese che -fermi restando autonomia, identità strategica del partito e suo radicamento nei territori- poggino e si qualifichino, in modo discriminante, su difesa e ampliamento degli spazi disponibili e utilizzabili dalla partecipazione popolare, in modo che le istanze di questa risultino determinanti negli indirizzi di governo, assunti perciò come elemento organico della struttura dell’impianto amministrativo, con articolazioni e agibilità che ne garantiscano l’attuazione, per superare l’equivoco di una partecipazione come fatto generico, tutto al più risolvibile in formalità consultive o in altrettanto sterili espedienti “partecipativi”, non in grado di incidere sulle dimensioni di potere.

Partecipazione popolare, dunque, determinante, come elemento pregiudiziale per la valenza della presenza comunista; come condizione per determinare un avanzamento concreto del sostanziamento della democrazia e contrastarne la formalizzazione che progressivamente la rende sempre meno agibile per i ceti deboli, a difesa dei propri interessi; per ridare agibilità di cambiamento alle spinte che salgono dal paese reale, verso il superamento della situazione sempre più sfavorevole dei ceti non parassitari, ulteriormente penalizzati dal governo delle destre; per sconfiggere le tendenze che, dentro la sinistra, avendo rinunciato all’alternativa di sistema, perseguono una collocazione nel contesto dei nuovi equilibri del capitalismo e, perciò, finiscono col supportare di fatto l’omologazione delle realtà territoriali alle esigenze di tali equilibri.

Ciò va posto come elemento discriminante per intese di presenza del partito in tutti i livelli di governo territoriale; in ogni caso per quelle dove le forze che si richiamano alla sinistra risultano determinanti, ma, eventualmente, estendibile anche per quelle in cui la possibilità di intesa è data  -oltre che dalla convergenza nella difesa della pace, della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, dei diritti e dell’ambiente-  dalle disponibilità a recepire, fra le centralità programmatiche, le istanze della partecipazione popolare di cui la sinistra è espressione.

La focalizzazione del processo della transizione per l’alternativa alla base della società reale si fa, così, anche terreno di rilancio e di sostegno  -nel sindacato di ispirazione di classe, la CGIL, e nel contesto delle altre espressioni del “sindacalismo di base”-  per una vertenzialità di classe che esca dalla trappola obbligata della concertazione con chiunque risulti la controparte di turno e, contestualmente, di verifica per lo stesso movimento.

Sarebbe l’avvio di un processo che prende corpo nella realtà dei territori, coinvolgendo nel vivo della realtà di vita le masse, qualificando la pratica della partecipazione in coinvolgimento diretto, come aggancio per sviluppare i tre temi portanti dell’alternativa: quello del potere, quello della proprietà e quello del controllo degli indirizzi di produzione dei beni e la loro qualifica di bisogni reali dell’uomo. Per cominciare, la riscoperta dei valori fondanti la cooperazione, nella sua accezione di classe originaria, rappresenta terreno di una prospettiva lungo la quale è possibile riprendere lo scontro con le logiche dell’economia di mercato e sperimentare ulteriori strumenti alternativi, non solo nel campo economico, ma in tutti gli aspetti della produzione, da quelli educativi, culturali, artistici, a quelli sanitari e così via, onde avviare la concretizzazione di nuovi riferimenti produttivi, alternativi a quelli imposti dai sistemi capitalistici di produzione.

Questa tensione alternativa si conferma necessaria anche nel più generale contesto internazionale, rispetto al quale  –soprattutto dopo l’operazione verticistica del PSE- il partito ha l’obbligo di impegno a fondo perché la prospettiva internazionalista, aspetto fra i prioritari, prenda corpo nella ricostruzione dell’internazionale di classe. E’ un aspetto contestuale al processo della rifondazione comunista, senza il quale ogni opposizione alla globalizzazione liberista rischia di rifluire o finire integrata nelle maglie della ristrutturazione capitalistica.

Il problema, di per sé, non è la costruzione prima del partito della classe e poi il collegamento internazionale, o viceversa. La questione vera resta un contesto pluralistico, caratterizzato da un autentico spirito di “emulazione” tra le diverse proposte ed esperienze impegnate nell’ottica internazionale.

Di fronte all’attacco capitalistico, ormai condensato su scala globale, si tratta di imboccare, con rapidità, un percorso di ritessitura dell’internazionale comunista, puntando a superare la vecchia visione monolitica e verticistica e la negatività dei suoi limiti burocratici, costruendo rapporti e legami con le concretezze e con le realtà di lotta delle altre esperienze che nel mondo non hanno ceduto al revisionismo e mantengono visibile il loro impegno per la prospettiva comunista. E ciò lungo una prassi democratica ed un costante confronto pluralistico e rifuggendo da ogni tentazione egemonica.

L’egemonia è un diritto indiscutibile della classe, se riferita alla società, ma non lo è  se riguarda una tendenza nel contesto dello schieramento di classe.

Quando una funzione d’avanguardia non scaturisce più dalla sintesi di confronto diventa supremazia  -peraltro autoreferenziale-  di una modulazione sulle altre e toglie costruttività alla dialettica interna, formalizzandone senso e prassi.

Si giunge, così, a generare contraddizioni incomponibili, i cui guasti rendono impossibile ogni sintesi unitaria e indeboliscono la lotta, ne mortificano le motivazioni, fino a far apparire irrealizzabile l’alternativa. Come stanno a dimostrare, appunto, le esperienze che hanno portato all’89 e quello che a sinistra è avvenuto dopo.
 
Roma, 12 dicembre 2004

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MATERIALE 3. Intervista a Susanna Angeleri.

Una collocazione tecnica a sostegno della mozione congressuale "Essere comunisti". È questa la scelta dei compagni dell'Area Programmatica Ottobre in vista del VI Congresso di Rifondazione Comunista. È per noi un piacere parlare di questa scelta, nata dall'impossibilità di presentare un proprio documento, con Susanna Angeleri della Federazione di Arezzo rappresentante dell'Area Programmatica. Il VI Congresso di Rifondazione Comunista stabilirà senza alcun dubbio e senza alcuna ambiguità la linea politica del nostro partito per i prossimi anni.

Quale dovrebbero essere, secondo la proposta congressuale che qui rappresenti, le strategie e le scelte future del PRC?
È ancora tutta da verificare la "indubitabilità" delle scelte che saranno sancite dal VI Congresso, considerati lo stato reale del partito e la studiata drammatizzazione del dibattito precongressuale, provocata da una serie di esternazioni e forzature verticistiche operate dal gruppo dirigente di maggioranza e sovente dallo stesso Segretario; esternazioni e forzature che, di fatto, si sono sovrapposte al corpo reale del partito al di fuori di qualsiasi confronto democratico nei suoi stessi organismi dirigenti.
Rispetto al futuro, il documento che abbiamo elaborato come Area Programmatica Ottobre e che ci è stato impedito di presentare al dibattito congressuale, continua ad essere - pur nel contesto della nostra "collocazione tecnica" nella mozione 2 "Essere comunisti", che abbiamo scelto per il percorso congressuale - il riferimento per le proposte politiche e programmatiche e per gli indirizzi strategici che intendiamo offrire come contributo a tutti i compagni. Nel merito, fra le altre cose, sottolineiamo:
• la necessità di riavviare e rendere effettivo il percorso della "rifondazione comunista" e, perciò, la rivitalizzazione delle motivazioni e dell'identità fondanti del PRC, come modo per rilanciare la prospettiva dell'alternativa alla società capitalistica nel nuovo e più difficile terreno di lotta;
• l'impegno a costruire condizioni e spazi perché nel partito sia possibile vivere e praticare il pluralismo comunista, liberandolo dalla formalizzazione e dal verticismo;
• la difesa ed il rafforzamento dell'identità di classe e dell'autonomia del partito, nonché il suo orientamento alternativo al capitalismo;
• il rilancio della prospettiva internazionalista, lungo un percorso di ritessitura dell'internazionale comunista, attraverso rapporti e raccordi pluralistici con tutte le realtà di lotta che nel mondo non hanno ceduto al revisionismo e mantengono visibile il loro impegno per la prospettiva comunista; e ciò lungo una prassi democratica e di confronto pluralistico alternativa ad una concezione monolitica e centralizzata e ad ogni tendenza egemonica e verticistica;
• il costante raccordo tra la presenza sul piano istituzionale e quella alla base del paese reale e nel vivo dei luoghi di vita e di lavoro; e dunque la difesa intransigente degli interessi dei lavoratori e di tutti i ceti non parassitari, la salvaguardia e l'ampliamento dell'agibilità democratica, degli spazi e delle condizioni perché, dal basso, anche attraverso la nostra azione di stimolo e di sostegno nei territori, le spinte contestative possano giungere a conseguire un orientamento effettivamente alternativo alla società capitalistica.

In sede congressuale verranno affrontati diversi aspetti del nostro essere comunisti, ma è indubbio che l'accordo programmatico con le forze del Centrosinistra viene visto come il fulcro dell'intero dibattito. Una scelta impegnativa dettata dalla necessità di cacciare Berlusconi, una scelta che ha portato alla nascita della Grande Alleanza Democratica (GAD). Ma come sono conciliabili le nostre proposte con quelle dei partiti del Centrosinistra? L'accordo organico di governo è l'unica strada percorribile?
Sicuramente la cacciata del governo Berlusconi è, oggi, tra gli obiettivi prioritari nelle lotte che si sviluppano alla base della società. Ma tale obiettivo per noi non va confuso con la nascita della GAD, né con la questione "governo Sì, governo No" presentata erroneamente come fulcro del dibattito congressuale, quando la vera questione riguarda l'autonomia, l'identità di classe e la natura del partito, oggi minate dalle tendenze revisioniste presenti nell'attuale direzione politica di maggioranza.
È prioritario che il PRC mantenga la propria autonomia dalla GAD, che è espressione di un capitalismo modernizzatore, solo in parte differente ed autonomo dalle forze economiche che hanno creato e sorretto il berlusconismo. Così come va detto subito che senza una sinistra determinante il nostro posto è all'opposizione.
Per noi la cacciata delle destre è un aspetto di un percorso lungo il quale la nostra pratica diretta nelle istituzioni e nella realtà sociale, i rapporti con le forze di sinistra e quelli con il resto del centro sinistra, necessari ma da tenere ben distinti, siano vincolati a linee politiche e programmatiche in grado di conseguenziare il senso effettivo delle spinte contestative, per muoverle lungo un coerente processo di transizione, dal basso, mantenendo viva la dimensione di classe nell'indicare sbocchi concreti perché si faccia fattore di trasformazione della realtà del paese e conservando così aperta la prospettiva alternativa. Perciò oggi, preliminarmente, è necessario arrestare le tendenze alla omologazione ed il processo degenerativo che ha investito il PRC e porre l'esigenza di salvare la sua identità di classe e autonomia.

Nella costruzione dell'alternativa di società, che rimane il nostro obiettivo, un ruolo decisivo dovrebbero ricoprirlo le lotte sociali promosse dai movimenti. Ma in che modo riusciranno ad influire nella vita politica nazionale?
I ritardi e le contraddizioni della sinistra politica e sindacale e l'assenza di un chiaro riferimento internazionale di classe hanno, di fatto, privato le lotte sociali promosse dai movimenti di un chiaro riferimento alternativo di linea e prospettiva. Il movimento contro la globalizzazione, oggi, risulta arenato tra le secche del riformismo e corre il rischio dell'istituzionalizzazione e con esso di farsi funzionale alle esigenze ristrutturative del capitalismo ponendo solo obiettivi correttivi dei suoi aspetti più brutali (ad es. la tobin tax).
Il nostro ruolo deve essere quello di contribuire affinché il movimento riprenda il suo slancio originario, liberandosi dal ceto politico dall'equivoco stampo di estremismo migliorista, che vi si è sovrapposto, e favorire le istanze della rivolta giovanile, in esso presente, realmente portatrici di una concezione antiautoritaria della vita, della società e della lotta e, come ha dimostrato il '68, protesa all'alleanza organica con le lotte dei lavoratori e di tutti gli altri ceti non parassitari contro l'oppressione capitalistica.

Per anni all'interno e all'esterno del nostro partito si è parlato di un progetto per la costruzione della "Sinistra Alternativa". Condividi questo progetto? La nascita della GAD non rischia di farne tramontare definitivamente la costituzione?
Ovviamente non condividiamo questo progetto; oltretutto, oggi, la pratica concreta e l'indirizzo della maggioranza del partito rischiano di portare ad un ulteriore arretramento, e cioè l'omologazione nella GAD, con tutto quello che ne deriverebbe rispetto ai futuri e già preannunciati impegni istituzionali e di governo, che nulla hanno a che vedere con l'esigenza di cacciare queste destre dal governo del paese.
Negli ultimi mesi nel nostro partito si è discusso molto della politica della nonviolenza. Una nuova proposta identitaria vista come strumento necessario per la trasformazione della società. Questa scelta rappresenta un taglio netto con la storia comunista e quella del movimento operaio? Rinnega in qualche modo le lotte di liberazione dei popoli?
La questione della nonviolenza, assolutamente fuori dalla tradizione del movimento comunista e dall'esperienza marxista, è stata anch'essa calata dall'alto con la stessa pratica verticistica e l'ottica "maggioritaristica" che oggi rischiano di imbarbarire la vita interna del partito, a tutti i livelli; essa in ogni caso contribuisce ulteriormente a far "tabula rasa" di tutto il patrimonio storico delle lotte di classe del movimento operaio e comunista. Con la stessa ottica e con le stesse tendenze revisionistiche sono state imposte l'adesione al PSE e l'ingresso nella GAD.
Nel merito, tutto ciò va collegato all'affondo esplicito alle esperienze del'900 (con dentro implicitamente la strada aperta dall'ottobre) e agli approcci riduttivistici all'esperienza marxista contenuti nella mozione congressuale di maggioranza. Il marxismo è per noi lo strumento per la trasformazione della società, perché non è solo la dottrina di due pensatori, per quanto grandi, come Marx ed Engels, ma sintesi dell'esperienza di tutto il movimento operaio, una unità organica dalla quale non è possibile asportare una parte importante, come la teoria dell'imperialismo di Lenin, senza togliervi incisività. È un metodo che va riscoperto e collocato coerentemente nel nuovo terreno dell'oggi perché, soprattutto le nuove generazioni, non finiscano facilmente suggestionabili, fino ad accettare come nuove ed originali vecchie forme di riformismo, riverniciate con colori alla moda.

Per chiudere. Perché un iscritto dovrebbe votare per gli emendamenti da te sostenuti?
Il motivo è chiaramente contenuto nella dichiarazione con la quale abbiamo ufficializzato la nostra obbligata "collocazione tecnica" nel contesto del documento presentato dai compagni dell'"Ernesto", attraverso un unico emendamento aggiuntivo alla premessa del documento stesso, che non è nostro obiettivo modificare.
I compagni dell'area dell'"Ernesto", oltretutto, in più occasioni, pur in presenza del permanere di divergenze strategiche, hanno evidenziato esplicite convergenze con alcuni obiettivi di fase che negli ultimi tempi soprattutto noi abbiamo indicato come necessari per il PRC; tra questi la salvaguardia dell'autonomia e del carattere di classe del partito, l'arresto del processo revisionistico e una nuova "direzione politica", garante del pluralismo effettivo e del rilancio del processo rifondativo.
In ogni caso, anche attraverso il sostegno che verrà al nostro emendamento, intendiamo conseguire le condizioni per poter dare continuità organizzata, dopo il congresso, agli indirizzi del documento non ammesso al dibattito, del quale vogliamo richiamare l'indicazione contenuta nel sottotitolo: "sulla via maestra aperta dall'ottobre, pluralismo alternativo e democrazia sostanziale, per riportare il PRC all'avanguardia della mobilitazione popolare, sconfiggere il capitalismo e il riformismo e far avanzare, dal basso, la transizione verso la società socialista".