Bilancio del VI congresso
del Prc.
Dopo
il VI congresso. Di Marco Ferrando. Da Progetto Comunista. Marzo 2005.
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“Cinque documenti, due posizioni”: così avevamo caratterizzato il quadro di confronto del VI Congresso del Prc. E così è stato. Da un lato il rilancio della prospettiva governista e la verticalizzazione della stessa organizzazione interna del partito in funzione di quella prospettiva. Dall’altro il rilancio di un progetto comunista a difesa dell’esistenza irrinunciabile di un’opposizione di classe in Italia. In mezzo la crisi politica obiettiva di ogni ipotesi intermedia che volesse restare in mezzo al guado. Questo è il segno di fondo delle risultanze del congresso. Che aprono una fase nuova nel partito.
La “dote” di Bertinotti.
Fausto Bertinotti ha fatto del Congresso del Prc una sua prova di credibilità
agli occhi della borghesia italiana. Due erano le cose che doveva dimostrare:
l’effettiva volontà di portare sino in fondo la svolta di governo
del partito; la propria determinazione a imporla a un corpo militante in larga
parte recalcitrante e ostile. Questa era la dote che il Centrosinistra si attendeva.
E questa è la dote che il Segretario gli ha portato.
La svolta di governo ha conosciuto in sede di Congresso nazionale – e
dunque a “urne” chiuse – una razionalizzazione ancor più
esplicita e netta: quella di un patto con la “borghesia produttiva”
attorno a una “grande riforma” contro la rendita, nel segno del
rilancio della “programmazione” industriale e di una “redistribuzione”
del reddito. Un canovaccio culturale antico, tratto dal vocabolario del centrosinistra
degli anni ’60 e in particolare del partito socialista di quell’epoca
allora impegnato a motivare la propria svolta di governo con la Dc. Eppure un
vocabolario rivenduto come “nuovo”, nel nome della Rifondazione
comunista proprio nel momento storico della crisi profonda del riformismo ad
ogni latitudine del mondo. Non a caso il più felice ed entusiasta commento
della relazione introduttiva di Bertinotti è stato fornito da Romano
Prodi su La Stampa del 4 marzo: “Una proposta di partito socialista pienamente
riformista, del tutto compatibile con le responsabilità di governo”.
Proprio così. Il principale esponente del mondo delle banche e della
grande industria non è stato per nulla impressionato dalla “critica”
verbale del capitalismo di cui è infarcita la retorica bertinottiana.
La borghesia guarda alla sostanza, non alla confezione innocua delle parole.
E la sostanza è quella di un gruppo dirigente del Prc impegnato a rimuovere
l’opposizione di classe in Italia. Da qui l’incoraggiamento e il
plauso a Bertinotti da parte di tutta la stampa borghese.
Contro le minoranze, nel nome di Prodi.
Ma Bertinotti doveva anche dimostrare di saper domare il partito, di saperlo
piegare alla svolta, di sapersi sottrarre a condizionamenti interni di qualsiasi
sorta pena la propria inaffidabilità governativa. E anche a questa prova
– è giusto riconoscerlo – Bertinotti si è accinto
con determinazione e coraggio. Semplicemente ha imposto, a maggioranza, una
revisione statutaria del partito che concentra nelle mani del segretario “tutto
il potere”: una segreteria omogenea senza minoranze, un nuovo comitato
operativo di gestione alle dirette dipendenze della segreteria; una direzione
nazionale separata dal comitato operativo e priva al suo interno della segreteria,
quindi ridotta a parlatoio ininfluente e a semplice tribuna; infine un Cpn allargato
come pura rappresentanza decorativa. Si tratta di una forma organizzativa iperaccentrata
e ultramaggioritaria, tanto più abnorme a fronte di un dissenso interno
di oltre il 40%, ma proprio per questo funzionale a un controllo forte del partito
lungo la rotta del governo. Ed anche qui è giunto, non a caso, il compiaciuto
plauso del giornale dalemiano Il Riformista: “Salutiamo con sollievo e
favore le scelte di Fausto Bertinotti all’interno del suo partito…
Ha vinto il congresso su una linea politica chiara, di accordo di governo con
l’Unione, incontrando resistenze fortissime … Ora ha modificato
lo Statuto del partito per blindare tattica e strategia uscite dal congresso,
e ha fatto benissimo… Scelta una linea politica c’è
bisogno di organismi in grado di perseguirla” (9 marzo). I massimi cultori
del sistema maggioritario non potevano che specchiarsi nel nuovo Statuto del
Prc.
In linea retta verso la socialdemocrazia.
Molti si chiedono, ancora increduli, come possa Fausto Bertinotti procedere
in linea retta con una maggioranza del 59%. Ma sono interrogativi che ancora
una volta rivelano l’incomprensione di fondo della natura vera del bertinottismo
e della portata strategica della sua svolta. Ciò che misura la forza
della svolta non è il margine di consenso interno al partito, ma lo spazio
di cui oggi dispone nella politica italiana.
La deriva liberale della maggioranza Ds, la rinuncia di Cofferati, la crisi
di prospettiva della sinistra Ds, offrono a Bertinotti un’occasione storica:
rifondare una presenza socialdemocratica in Italia, come sinistra del Centrosinistra,
come agente di un patto di governo con la borghesia dotato di uno spazio sociale
e politico di rappresentanza assai più grande, potenzialmente, del Prc
attuale. La svolta di Bertinotti è finalizzata a occupare quello spazio.
E la grande dimensione di quello spazio trascina a sua volta la determinazione
della svolta, il suo procedere come un carro armato contro ogni ostacolo, la
sua assoluta spregiudicatezza. Il VI Congresso ha chiarito, una volta di più,
se ve ne era bisogno, un punto di fondo: Bertinotti mira all’emarginazione
definitiva di tutte le tendenze interne al Prc che considera o incompatibili,
o di ostacolo alla rifondazione socialdemocratica. Forse consapevole di correre
qualche rischio in questa prova di forza. Ma anche convinto che proprio la determinazione
della svolta, unita alla nuova veste identitaria del partito, possa guadagnargli
lungo il cammino l’afflusso di nuove forze esterne: settori più
o meno ampi della sinistra Ds, del mondo sindacale, dell’area ambientalista
e cattolico-progressista. Settori con cui rovesciare gli attuali rapporti di
forza interni e completare la marginalizzazione dei refrattari. L’adesione
di Ingrao è la metafora di un ricambio atteso. La stessa operazione della
Sinistra Europea è anche finalizzata a questo scopo.
La sconfitta delle illusioni di Ernesto
ed Erre.
Proprio per questo il VI Congresso ha segnato la sconfitta politica profonda
di tutte le illusioni di poter condizionare a sinistra il nuovo corso bertinottiano.
E’ il caso del secondo documento (Grassi) e del quarto documento (Malabarba).
Anche qui la misura del risultato congressuale non è data dal consenso
riportato (rilevante per l’Ernesto, non trascurabile per Erre) ma dalla
prospettiva politica cui è finalizzato.
Il gruppo dirigente dell’Ernesto puntava a negoziare con Bertinotti un
compromesso di gestione del partito. Il gruppo dirigente di Erre mirava a rilanciare
il proprio ruolo di “sinistra critica” del bertinottismo. In entrambi
i casi l’assenza di una prospettiva strategica di linea realmente alternativa
si combinava con un’incomprensione dell’organicità della
svolta e con l’illusione di un proprio possibile ruolo di “pressione”.
Proprio per questo la nuova accelerazione governista che il congresso ha impresso
e lo strappo compiuto da Bertinotti contro l’insieme delle minoranze sul
terreno delle regole, ha messo Ernesto ed Erre con le spalle al muro, costringendole
a una ricollocazione di “opposizione” interna. Ma questa ricollocazione
coatta a sua volta ripropone il problema della prospettiva: all’opposizione
di Bertinotti per cosa? Tutta la cultura politica di Ernesto ed Erre (rispettivamente
neotogliattiana o movimentista) resta incapace di definire un’alternativa
di fondo al riformismo e al governismo. Tutta la loro tradizione politica si
è fondata, in larga parte, sulla cogestione “critica” della
linea di maggioranza del Prc (enti locali, sindacato, ecc.). Costretti ora all’
“opposizione” quale espressione e quale progetto le daranno? Ad
esempio: si può essere all’opposizione di Bertinotti ma poi rifiutare
ogni appoggio alla proposta nostra di una battaglia alternativa in Cgil o continuare
a cogestire gli accordi di governo in regioni e città?
E ha un senso, tanto più oggi, continuare a suggerire a Bertinotti paletti
negoziali di governo con l’Unione quando l’esperienza di ogni giorno
rivela la natura di classe del Centro liberale?
Per una battaglia unitaria e coerente
delle minoranze, per la salvaguardia di un’opposizione comunista.
Come Progetto Comunista-terza mozione non siamo sorpresi dagli avvenimenti in
corso. A differenza di altri non abbiamo nutrito illusioni in Bertinotti; abbiamo
cercato da sempre, spesso controcorrente, di chiarirne prospettive e dinamica;
ci siamo sempre opposti, con coerenza, al bertinottismo, sulla base di un progetto
strategico marxista e rivoluzionario. E per questo siamo stati accusati da tanti
compagni oggi “critici” di settarismo e rigidità. Ma i fatti,
che hanno la testa dura, ci hanno dato ragione. E oggi abbiamo un patrimonio
di esperienza, strumenti, posizioni che vogliamo mettere a disposizione di una
più ampia battaglia politica nel Prc.
Pur a fronte di cinque mozioni congressuali, e di un incremento di 20.000 votanti,
Progetto Comunista si è confermata la terza tendenza del partito (6,51%),
ha preservato i propri voti assoluti, ha esteso la propria presenza territoriale,
ha consolidato attorno a sé un consenso più militante e più
convinto, ha conosciuto un’affermazione prestigiosa in importanti congressi
di fabbrica e di lavoro. Ora lavoreremo, in primo luogo, a consolidare questo
patrimonio. Ma lo faremo dentro un contesto nuovo che richiama la nostra responsabilità
verso l’insieme dell’opposizione interna al partito.
Il 40% del Prc ha votato contro Bertinotti ed è oggi all’opposizione
nel Prc. E’ un fatto. Noi abbiamo proposto e proponiamo all’insieme
di questi compagni una battaglia politica unitaria e coerente. Già in
occasione del Congresso nazionale abbiamo lavorato a favorire la più
ampia unità delle opposizioni attorno a comuni ordini del giorno (in
particolare sul ritiro immediato e incondizionato delle truppe), sul terreno
della democrazia nel partito, nella contrapposizione all’elezione di Bertinotti
a segretario. Ma ora si impone un salto complessivo di qualità, la necessità
di una prospettiva coerentemente alternativa al bertinottismo attorno a un principio
e impegno comune: la salvaguardia e il rilancio di un’opposizione comunista
e di classe in Italia. Per noi è da sempre un punto irrinunciabile. Lo
proponiamo ora, in primo luogo, a quei ventimila comunisti che nel Congresso
hanno detto, in varie forme, di non volersi omologare a Prodi.